Capitolo 39: Il dovere dei Custodi

 

“Da anni tanta violenza non investiva le nostre coste, le stesse che insieme ai miei compagni sarei tenuto a custodire, eppure, non posso impedirlo, né soccorrere in battaglia coloro che per secoli non ho visto, ma di cui ho condiviso il solitario destino”, pensava fra se il Custode della Costa Orientale, guardando la collina e le figure che combattevano in lontananza, “Spero solo, egoisticamente, che Senru e gli altri sopravvivano a questa giornata”, sussurrò fra se, chinando il capo triste.

 

Suan Ku osservava dall’elevata posizione il nemico dinanzi a se, Oslo era fermo, impassibile ed apparentemente invincibile. Entrambi i combattenti avevano dato il meglio di loro in quell’ardua battaglia che si era scatenata sulla costa Meridionale, ma ancora nessuno dei due sembrava minimamente stanco per lo scontro fatto.

“Sembrava un cumulo di bende senza vitalità alcuna, invece si dimostra un nemico degno di tutto il mio rispetto”, osservò il Custode, scrutando dall’alto il nemico.

“Che fai? Non attacchi?”, domandò annoiata Seala, avvicinandosi ai due combattenti, “Senti, donna Gatto, perché non mi affrontavi tu, se è tanta la tua voglia di arrivare alle mani?”, sbottò infastidito Suan Ku, “Perché il Comandante non vuole”, rispose semplicemente l’altra, indietreggiando con fare sornione.

“Non ti curare di Seala, Custode Meridionale, lei ama vincere psicologicamente i nemici, giocando con loro, spingendoli a sragionare, penso sia parte della sua natura felina”, avvisò Oslo, avanzando verso la figura sollevata a mezz’aria, “al contrario, il mio stile di lotta è ben diverso, non ho mai apprezzato giocare con un nemico, né perdermi in lunghi scontri senza utilità alcuna, combatto solo per uccidere, perché questo è il motivo per cui mi è stata ridata la vita, per toglierla agli altri”, tagliò corto il Muruk, avanzando con le braccia aperte ai lati, come pronto ad abbracciare chi gli fosse posto davanti.

“Triste sembra essere la tua esistenza, nemico mio, se sei vivo solo per uccidere, allora questo non è vivere, ma morire lentamente, specialmente quando più alcun nemico si porrà dinanzi a te”, rifletté allora Suan Ku, “No, non confondere la mia esistenza come una marcia inesorabile, io sono un soldato, vivo per la guerra che mi è data da combattere, non per uccidere chiunque si pone dinanzi a me, quella vita è data a chi ha più possibilità di scelte, non a me, semplice pedina nelle mani di Rikka”, spiegò Oslo.

“Dunque ti consideri un soldato? Allora non siamo poi così diversi, anch’io non sono altro che un soldato, al servizio, un tempo, degli dei supremi, ora di colei che mi dà luce, la Regina dell’Isola, per la cui volontà il mio corpo si muove. Come te vivo solo per combattere, lontano da coloro che con me condivisero per secoli il destino di Custodi, solo con il mare e la profonda determinazione che mi anima”, replicò Suan Ku, prima di lanciarsi di nuovo all’assalto con tutta la propria furia.

Oslo, però, separò le proprie bende, congiunte al centro da un piccolo gomitolo, e lasciò passare attraverso se il nemico, che planò al suolo, per poi rialzarsi di nuovo in volo, “Pensi di battermi così, Muruk? Non potrai vincere solo evitando i miei colpi”, lo ammonì il Custode, quasi volesse suggerirgli una via per abbatterlo.

“Non preoccuparti delle mie strategie, so come vincerti, anzi, dovresti essere onorato per la morte che ti darò”, affermò con tono deciso Oslo, invitando il nemico all’assalto.

L’Anies si lanciò subito all’assalto, calando in veloce picchiata contro il nemico ed iniziando, a qual tempo, a roteare lungo il suo asse longitudinale. Ancora una volta il Muruk si lasciò oltrepassare dal nemico, ma, non senza lanciargli contro le lunghe bende, che subito bloccarono gli arti di Suan Ku, senza però fermarne la picchiata. Fu allora che accadde il contrattacco del Tulakeo, il suo corpo di bende si spinse in avanti e con un forte strattone tirò a se il nemico. Grandi urla di dolore proruppero dalla bocca di Suan Ku, mentre il braccio destro echeggiava nel cupo rumore di rottura emesso dalle sue ossa.

Malgrado il dolore, il Custode si rialzò in volo, sospendendosi a mezz’aria, dinanzi al nemico, “Puoi avermi spezzato un braccio, ma questa tua strategia non è sufficiente ad abbattermi”, lo ammonì Suan Ku, “Al contrario, mio nobile avversario, nei due assalti che ho subito, mi è stato facile constatare come il tuo corpo si sbilanci proprio verso l’arto che ti ho spezzato, quindi ho danneggiato particolarmente le tue doti offensive, così da poterti ora mostrare le mie”, spiegò il Muruk.

Le bende, dopo quelle parole, iniziarono a gonfiarsi, quasi che un corpo più robusto si trovasse ora fra loro, ma, mentre si gonfiava, il corpo di Oslo iniziò anche ad allungarsi, raggiungendo le elevate altezze toccate dal suo nemico alato, senza però spostare i piedi da terra, ora il Muruk era un gigante, pronto ad affrontare il piccolo Anies dinanzi a lui.

“Rinuncia alla lotta, ormai è persa, con un solo gesto della mano posso eliminarti”, lo avvisò Oslo, “Ebbene? Fallo pure, se te ne credi capace”, lo ammonì Suan Ku, lanciandosi in picchiata contro il volto bendato dell’avversario, che, aprendo le grigiastre bende che coprivano la bocca, lasciò scatenarsi delle altre fasciature, legandole intorno al collo ed alla schiena del nemico, a cui bloccò le ali.

I due nemici sembrarono scambiarsi uno sguardo triste per alcuni secondi, “Che aspetti? Sei un soldato? Quindi compi i tuoi ordini e ricevi diritti e doveri del Custode”, tuonò Suan Ku, prima che la benda intorno al collo si stringesse tanto da decapitarlo, con un gesto rapido e, apparentemente, non doloroso.

 

Nello stesso lasso di tempo, sulla Costa Settentrionale dell’Isola, lo scontro fra Garulf e Jen – Bu turbinava. Colpi, da ambo le parti, erano portati verso i corpi nemici, senza tentare la minima difesa, o cercare alcuna pausa per riprendere fiato, i due esseri sembravano più bestie feroci che uomini.

Ad ogni pugno che il Custode portava con la possente corazza, il Kreeb rispondeva con una feroce zampata all’elmo, che lentamente andava rompendosi.

Con una testata, però, dopo alcuni minuti di lotta irrefrenabile, il Custode allontanò il proprio avversario, “Sei più una bestia che un essere vivente”, ripeté per diverse volte Jen – Bu, quasi vaneggiasse.

“Sommo Tyrion”, sussurrò Roan, che osservava lo scontro, “questo essere, non le sembra un pazzo? Non vi è logica alcuna negli attacchi da lui portati, inoltre ripete frasi già dette più volte, persino Garulf, nel suo stato di Kreeb, è più umano e ragionevole di lui”, rifletté il guerriero invulnerabile.

“Si, lo avevo notato anch’io”, rispose il figlio di Odath, “ma di certo la sua pazzia è data dalla solitudine, giacché non credo che in molti gli facciano visita in questo luogo”, rifletté il dio del Nord.

“Qui non ci sono impronte, a parte le nostre, nemmeno antiche, devono essere secoli che nessuno, eccetto quel Custode, calpesta questa spiaggia”, affermò Brulde, intromettendosi nel dialogo.

“Esatto!”, esclamò allora Jen – Bu, “sono solo su questa costa da quando gli dei qui mi posero a Custode. Nessuno, prima di voi, aveva mai osato giungere dai territori dell’Asjar, troppa fede avete nei vostri dei voi del Nord, per secoli e secoli sono vissuto soltanto guardando il mare, di giorno, di notte, con il sole e con la pioggia, tutto questo mi ha reso particolarmente nervoso, pronto ad uccidere chiunque mi si poneva dinanzi e proprio una bestia mi sono trovato contro”, ringhiò il Custode, prima di lanciarsi all’assalto di Garulf.

Lo scontro riprese, con la medesima furia, pugni e zampata si susseguirono senza sosta per alcuni minuti. I colpi del Custode provocavano profonde ferite sul corpo del Kreeb, mentre quelli di quest’ultimo aprivano sempre nuove falle sulla corazza dell’altro.

“Per quanto ci provi, non riuscirai mai a distruggere questa corazza”, continuava a ripetere Jen – Bu, mentre le urla animalesche del suo avversario cercavano di sovrastare la sua voce, “La pazzia ha ormai preso del tutto quei due”, osservò stupito Roan, deciso ad intromettersi nello scontro.

“Non penso che Garulf te lo perdonerebbe”, esordì Tyrion, fermando il suo seguace, “ma, divino figlio di Odath, se non intervengo, potremmo restare qui per molto ad osservarlo, o peggio ancora, perdere uno dei nostri guerrieri più validi”, balbettò il combattente invincibile. “Proprio perché Garulf è un grande guerriero non puoi dubitare di lui, nella fiducia che ripongo in voi, ti devi vedere e devi vedere anche i tuoi compagni, sono certo che né lui, né chiunque altro, cadrà in questa battaglia, non perché io veglierò su di voi, ma perché siete i migliori soldati dell’Asjar”, affermò con un sorriso la divinità, convincendo il guerriero a lasciar combattere il Kreeb.

Un urlo di Garulf, però, risvegliò tutti i presenti che, voltatisi verso i due combattenti, videro Jen – Bu chino sullo sterno del Kreeb, da cui usciva del sangue, segno di una ferita, probabilmente una testata, ma, allo stesso tempo anche le mani del guerriero del Nord erano sporche di sangue, il sangue del Custode, che usciva copioso dalle ferite appena apertegli sulla schiena, grazie agli artigli del suo nemico.

“Come hai osato?”, iniziò ad urlare il Custode, colpendo con dei veloci ganci ai reni il nemico, ma Garulf sembrava soffocare il dolore, mentre veloce sollevava le braccia verso il collo di Jen – Bu, scavando la pelle e la corazza, che adesso si colorava di un rosso accesso.

Questo folle scontro fra furie animalesche continuò ancora per alcuni secondi, come se fra i due ora vi fosse una semplice prova di resistenza, ma alla fine la spuntò il Kreeb, quando le sue mani uscirono dal corpo del nemico, a cui avevano ormai squarciato la gola.

Jen – Bu cadde al suolo, “Sapevo che questa spiaggia sarebbe stata la mia tomba”, affermò ridendo follemente, “ma, bestia maledetta, a te dono lo stesso destino, con i diritti ed i doveri dei Custodi”, concluse con una malefica risata l’essere dalla grigia corazza, mentre la sabbia sotto di lui diventava rossa, a causa del suo sangue, che usciva via dal corpo, insieme alla vita.

 

Odisseus osservava freddamente il nemico, diversi suoi attacchi erano già andati a vuoto ormai. Quella corazza fatta d’acqua sembrava una difesa invalicabile per chiunque, e, come se ciò non bastasse, a tale protezione era unita un’offesa altrettanto potente, quell’artiglio con cui Senru attaccava violento e deciso.

Solo grazie a dei veloci movimenti il Navigatore riuscì ad evitare diversi fendenti nemici, uno di questi, portentoso per il bagliore che lo anticipava, era persino stato capace di scavare un profondo solco nel terreno, lasciando sbalorditi gli Arvenauti, che osservavano lo scontro.

Dopo alcuni attacchi a vuoto, però, Senru sembrò indeciso sul da farsi, “Adesso basta tergiversare, Navigatore”, esordì infatti il Custode, “è tempo che tu mi sferri contro i colpi più potenti che possiedi, almeno questo mi è stato ordinato che accada dalla Regina dell’Isola”, sentenziò il guerriero dall’artiglio color giada.

“Nuovamente questa misteriosa Regina hai nominato, sarei proprio curioso di sapere qualcosa in più su di lei e sui suoi piani, perché sembra che la tua fedeltà sia rivolta a lei, e non agli dei che ti hanno scelto come ancestrale Custode di questa Spiaggia?”, domandò con voce incuriosita Odisseus.

“Come già ti ho detto, Navigatore, non mi è dato risponderti su chi sia la mia sovrana”, tagliò corto Senru, preparandosi all’attacco, “Mostrami piuttosto tutta la tua potenza, è l’unica cosa che ti resta, per avere almeno un po’ di onore dalla tua morte”, lo avvisò, lanciandosi di nuovo all’assalto.

Con rapidità il Custode sollevò l’artiglio, brillante di un verde funereo, contro il nemico e lo calò con forza contro il suo capo, ma Odisseus si rivelò più veloce e con agile passo evitò l’assalto, spostandosi alle spalle del nemico, mentre già le sue mani brillavano di un nero colore. “Ti propongo un affare, Custode Occidentale, colpiscimi ed uccidimi, oppure subisci il mio attacco, che ti renderà nudo alle offensive successive e, come pegno per questa sconfitta, mi parlerai di questa Regina”, esordì il Navigatore, voltandosi con fare deciso, mentre gli azzurri occhi brillavano come il mare, nell’osservare con fermezza l’avversario.

“Sia, invasore dell’Ovest, accetto la proposta, mostrami questo attacco che dovrebbe rendermi indifeso”, lo sfidò allora Senru, lanciandosi all’assalto con il luminoso artiglio di Tomatos, subito seguito dall’avversario.

I due grandi combattenti si scontrarono a mezz’aria, mentre ancora i loro corpi erano intenti nell’assalto, l’artiglio di Senru calò con furia contro il corpo di Odisseus, mentre questi lanciava un duplice assalto con ambo i pugni contro la difesa d’acqua, che si increspò al contatto con i neri bagliori provenienti dal Navigatore. L’impatto dell’assalto dell’Arvenauta sembrò avere effetto, subito il nemico fu spinto indietro, ma, con un possente colpo di reni, Senru roteò su se stesso e con un veloce calcio raggiunse allo stomaco il Navigatore, gettandolo indietro con una forza incredibile, così, per la potenza dei colpi dati e subiti, ambedue i guerrieri si ritrovarono al suolo.

Molti granelli di sabbia si alzarono verso il cielo, coprendo per alcuni secondi la visuale dei sei navigatori, “Odisseus!”, esclamò stupito Iason, osservando il maestro cadere al suolo, insieme al suo nemico. Fu però il braccio di Argos a fermare i passi del Guerriero di Aven, “Non preoccuparti per il nostro amico ed alleato, è fin troppo duro per essere abbattuto così, inoltre, già lo vedo rialzarsi”, lo rassicurò l’ex semidio.

Subito dopo, anche Iason poté notare il Navigatore rialzarsi, lievemente ferito e sanguinante dal fianco, ma vivo e pronto a continuare la lotta.

“Anche il Custode si sta rialzando”, osservò a quel punto Atanos, con la fredda voce.

Senru era anche in piedi, deciso, ma stordito, con la corazza d’acqua ancora a coprirne il corpo, “Sembra che la tua scommessa sia persa, Navigatore”, osservò prontamente il Custode, “Aspetta a dirlo ed osserva attentamente quella tua barriera, ancora fin troppo increspata”, lo contraddisse Odisseus, indicando i punti da lui colpiti.

L’increspatura sulla corazza sembrò curvarsi, come se le acque si stessero richiudendo su se stesse, poi, d’improvviso, una piccola falla, un’apertura, simile ad onde che alte lasciavano intravedere i fondali marini per poi cadere feroci contro il resto della superficie acquatica, come accadde alla corazza, di cui le acque si aprirono, scivolando le une sulle altre, finché Senru non trovò intorno a se, sulla sabbia ormai inumidita le proprie difese, ora sconfitte.

I due avversari si guardarono fra loro, finché una smorfia di dolore non si dipinse sul volto del Custode, che fu costretto a chinarsi per una fitta che improvvisamente lo colpì nei punti raggiunti da Odisseus.

“Ti ho colpito, abile nemico, ora sarai costretto a dirmi tutto su questa Regina”, lo avvisò prontamente il Navigatore.

“Tutto non posso dirtelo, come già ti ho ripetuto, ma non per slealtà verso la promessa fatta, bensì perché il mio corpo non me lo concede”, avvisò la voce sofferente di Senru. “Che intendi dire?”, esclamò Acteon, entrando nel discorso, “Un patto è un patto, non puoi rimangiarti la parola data”, ringhiò il Cacciatore.

“La mia mente vorrebbe dirvi tutto sulla Regina, il pericolo che lei costituisce per tutti voi e che da tempo costituisce per me ed i miei compagni Custodi, ma non può, perché se i pensieri sono ancora di Senru, il corpo è servo della Regina”, si scusò sofferente il guerriero, rialzandosi a stento.

“Che intendi dire?”, domandò prontamente Pandora, “Come può una mente essere slegata dalle azioni del corpo?”, incalzò la Signora del Nero Sciame.

“Circa vent’anni fa la Regina apparve sull’Isola, con i poteri di cui era dotata fece schiavi noi Custodi, nemmeno il potente Byak’O, della costa Orientale, poté opporsi a lei, tutti ci rese suoi servi, servitori e guardiani lo eravamo già, ma di dei buoni, non di questa creatura tanto bella, quanto malefica. Ci lasciò a custodire l’Isola, dove lei ora soggiorna, Ten-Lah, un tempo territorio sacro che nessuno osava avvicinare. Sono anni che io aspiro soltanto alla morte, ma mentre la mente desidera uccidere lei, o liberarmi del controllo che ha su di me, il corpo è al suo completo servizio, proprio per questo, non posso dirvi di più, perché non vuole che nessuno sappia il suo nome, o i piani che sta portando avanti, piani terribili di distruzione e terrore”, spiegò con sguardo triste Senru.

“Ha in mano i Tre Tesori?”, domandò allora Iason, “Non mi è dato dirvelo, dovrete raggiungere la collina per scoprirlo, solo quando uno di voi mi avrà battuto vi sarà concesso scoprire questo e molte altre cose”, tagliò corto Senru, togliendo la maglietta e scoprendo il possente petto, segnato da centinaia di cicatrici, segni di ferite e morsi, da ciò che poterono tutti constatare.

“Hai davvero intenzione di continuare la battaglia? Sai cosa vorrebbe dire per te? Desideri tanto la morte?”, incalzò Odisseus, sollevando di nuovo i pugni contro il nemico.

“In questo momento non è basilare cosa io desideri, bensì ciò che la Regina vuole, cioè che ti sconfigga, o che venga ucciso da te in questa battaglia”, rispose Senru, prima di avvicinarsi il braccio destro, che subito si morse, strappandosi un pezzo di pelle.

“Cosa fa? È forse impazzito?”, si domandò Eracles, sbalordito da quel gesto, “No, giovane figlio di Urros, vuole semplicemente usare il vero potere del Tomatos”, spiegò con voce preoccupata Argos, mentre il sangue scendeva svelto verso l’artiglio color giada.

Quando la linfa vitale entrò in contatto con la protuberanza metallica, questa brillò di una luce argentea e successe qualcosa di sorprendente, il sangue e l’artiglio divennero entrambi color argento, un fiume d’argento, che si mosse nella direzione inversa a quella originaria del sangue, risalendo l’intero braccio e disperdendosi su tutto il corpo. Ogni volta questo fiume argenteo entrava a contatto con una cicatrice, la riapriva, prendendo nuova linfa per la propria espansione, finché, dopo alcuni minuti, l’intero corpo di Senru fu ricoperto da questo liquido color argento, che lentamente si modellò sul corpo del suo padrone, diventando simile ad una pelle di squame, allungando un secondo artiglio sulla mano sinistra e prendendo la forma di un drago sopra il capo del Custode, che ora sembrava veramente una bestia mitologica, color argento.

“Incredibile”, balbettò Eracles, dinanzi alla corazza del nemico, “Non dovresti sorprenderti tanto, in fondo lo stesso Senru lo aveva ammesso che la forza del Tomatos proviene dal sangue, una precauzione presa Rahama, quando si rese conto di aver dato un’arma dalle molteplici doti a gli uomini”, lo avvisò Odisseus, “ma questo metallo lo ucciderà, soprattutto prendendo forza da così tante ferite”, concluse, preparandosi al nuovo scontro.

“Si, mi ucciderà, ma prima mi permetterà di compiere il dovere non agognato, agirò come deve un Custode, combattendo ed uccidendo gli invasori”, sentenziò Senru, allungando ambo le braccia verso il nemico distante.

Gli artigli, che dapprima apparivano distanti ad Odisseus, si lanciarono contro il nemico, grazie alle braccia, ora estese per diversi metri, come se il corpo di Senru non avesse più dei limiti dati dalla fisica costituzione. Il Navigatore evitò l’assalto con un agile salto, ma, con sua grande sorpresa, i due arti continuarono ad inseguirlo, correndogli dietro con fare furioso. In un tentativo disperato, Odisseus cercò di distruggere l’artiglio sinistro con il nero pugno, ma grande fu la sorpresa ed il dolore nel sentire il contatto con il metallo, resistente ed invincibile, che rimase intatto dopo il colpo.

“Tutto inutile, Invasore dell’Ovest”, ringhiò Senru, mentre le braccia ritornavano normali, ma non perché il Custode le avesse ritratte, bensì perché anche lui si era alzato con un’agile salto da terra, raggiungendo il nemico a mezz’aria.

“Il Tomatos non può essere spento come qualsiasi entità, perché è privo di essenza”, sentenziò il Custode, colpendo con una possente testata Odisseus, rigettandolo al suolo.

Entrambi i nemici erano ora a terra, Senru in piedi osservava il Navigatore rialzarsi, mentre dalla fronte colava del sangue, ma questo non sembrò fermare Odisseus, che con un rapido movimento colpì con un gancio lo stomaco del Custode, riuscendo, però, solo a ferirsi.

“Sei uno stupido, se pensi di battermi con dei colpi del genere, niente può distruggere questa pelle di Drago, costituita da Tomatos”, lo ammonì subito Senru, “Io sarei lo stupido? Tu, che ti fai comandare da chi disprezzi, che mi vuoi eliminare contro la tua stessa volontà, ti ritieni più furbo di me?”, incalzò ironico l’Arvenauta, rialzandosi, “Ebbene, sappi che non sono così sprovvisto di saggezza, sapevo fin dall’inizio come abbattere questa corazza, ma volevo evitare di ucciderti, però, sembra che questo sia impossibile, fin troppo complessa è ormai la situazione per divincolarsi dal problema in altro modo che non rischiando entrambi la morte”, esclamò il Navigatore, mentre l’intera mano destra era diventata rossa, non vi erano più dei semplici bagliori che ne fuoriuscivano.

“Davvero un bel discorso, ma la Regina ordina di muoversi”, tuonò la voce di Senru, diventata, improvvisamente, distante, prima che il Custode si lanciasse contro Odisseus.

I due nemici si colpirono ripetutamente, i pugni sinistri del Navigatore cozzarono contro la pelle di Tomatos, mentre le artigliate del nemico aprivano su di lui delle ferite, ma, proprio in quel momento, accadde qualcosa: il pugno destro, quello che Odisseus aveva evitato di usare in quell’ultimo assalto, fu mosso, diretto contro l’artiglio destro di Senru, “Va bene, vediamo chi si rompe per primo!”, replicò subito il Custode, probabilmente intuendo le intenzioni del nemico.

L’artiglio ed il pugno cozzarono l’uno contro l’altro, un’esplosione di luce seguì all’impatto, mentre i corpi dei due guerrieri venivano sbalzati lontani, Odisseus sulla spiaggia e Senru in pieno mare.

Tutti rimasero sbalorditi in silenzio, ad osservare l’esito di quell’assalto.