Capitolo 43: Immagine del Passato

 

Sulla Costa Occidentale, Odisseus osservava la collina, “Le grida prima ed ora queste continue microscosse, sempre più potenti ed acute, non so cosa stia succedendo dentro quella collina, ma, amici miei, vi prego di fare attenzione”, sussurrò fra se il Navigante, la cui mano era ancora riversa al suolo, priva di mobilità.

 

Anche Garulf era seduto sulla spiaggia. Ormai il Kreeb era totalmente tornato umano, ma quando sentì scuotersi il terreno, la sua parte animalesca fu come messa in allarme, era una delle doti maggiori che dava la sua duplice natura, il poter percepire gli sconvolgimenti dell’ambiente solo da un accenno, una microscossa, ad esempio, gli era bastata per capire che il pericolo accennato dalla misteriosa Regina dell’Isola, si stava avverando, Ten-Lah stava per sprofondare, ma non era questo che lo preoccupava, quanto la lontananza del divino Tyrion e dei due compagni di viaggio, ancora intenti nella ricerca dei Tesori, pensava. Inoltre, lentamente, una domanda aveva preso forma nella mente del giovane Kreeb, “Chi dei due viaggiatori degli altri regni si è diretto a soccorrere i propri compagni?”, si chiedeva, pronto a fare altrettanto, malgrado questo avrebbe potuto segnare per sempre la fine dell’Isola.

 

Oslo, sulla costa Meridionale, era seduto, a braccia conserte, non gli interessava delle scosse, né della lontananza del suo gruppo, sapeva che fra loro vi era Sokar e questo gli bastava come certezza, la certezza di dover compiere il proprio dovere ed impedire che la nave fosse danneggiata dal crollo dell’Isola, dato che era stato obbligato a restare sulla Spiaggia dai doveri dei Custodi.

 

Atanos e Seala, intanto, erano fermi dinanzi alla figura di donna che continuava a chiamare “Taos”. “Mi vuoi spiegare che intendi dire?”, domandò la Guerriera del Rihad, “Come può questa fanciulla essere una nemica? Non ne ha l’aspetto”, tuonò la Donna Gatta, pronta ad attaccare, “Non è una nemica, è un mio nemico, l’essere che si nasconde dietro quell’aspetto, tu vedi di allontanarti da qui”, tagliò corto il gelido Immortale, senza togliere gli occhi dalla figura inoffensiva.

“Come vuoi tu, ti lascerò combattere il nemico che dici essersi parato dinanzi a noi, perché se lo reputi pericoloso, immagino che lo sia, date le tue parole di prima”, concordò allora Seala, scattando velocemente in avanti.

Fu un attimo, forse meno, ma la Donna Gatta riuscì a distinguere appena ciò che accadde dinanzi a lei: la figura femminile aveva appena accennato un malefico sorriso quando, con una veloce roteazione, cambiò aspetto in quello di un uomo affascinante, che, subito divenne un gigante dalle braccia dorate, fatte a forma di clave e con l’arto destro, la colpì alla schiena, dopo essersi fatto oltrepassare.

“Un mutaforma”, balbettò divertita Seala, schiantandosi contro una parete e cadendo al suolo svenuta, mentre la figura gigantesca ritornava ad essere quella della giovane fanciulla dai capelli castani.

“Basta con questa recita, Kalos, so bene che sei tu, non mi puoi più ingannare con l’immagine di Doka, un triste ricordo affiora alla mia anima priva di sensazioni, ma niente più, né ira, né altro posso provare verso questo tuo gesto”, esordì allora Atanos, “seppur so quanto ti odierei per l’offesa che fai alla memoria della donna da me amata”, concluse avanzando verso la figura di donna.

“So bene che non puoi provare niente ormai, caro Taos, ma so anche che non potresti mai alzare la tua mano contro di me, Doka, la donna che amavi, colei per cui ti dannasti l’anima”, osservò allora la figura di fanciulla, avanzando verso l’Immortale, fino a portarsi dinanzi a lui, a meno di un passo da quello che era un nemico dei sette provenienti dalla Lutibia.

“Hai perso ogni sentimento, Taos, ma non puoi dimenticare ciò che ci fu tra te e Doka, questo non ti permette di uccidermi, poiché non puoi eliminare colei che amavi, sarebbe come perdere l’ultima parte di anima che tieni stretta, quella in cui affonda il ricordo di lei”, osservò la figura di donna, “lo stesso ricordo che ti spinge a cercare di continuo la morte, una morte che non potrai mai realizzare, forse”, concluse il mutaforma, indietreggiando.

“Si, è vero tutto ciò che hai detto, Kalos, non potrei mai ucciderti mentre hai quest’aspetto, ma temo che se non mi muovo nell’agire, tutti i miei compagni potrebbero cadere nelle trappole che di certo i tuoi alleati hanno preparato, perché ormai è chiaro che fra voi, Naviganti della Lutibia, e le Teste dell’Idra vi è un legame, dato dalla vostra completa subordinazione a loro”, affermò Atanos, “inoltre, hai ragione anche su un altro fatto, cioè che non posso ricevere la morte tanto agognata, nemmeno da te, che rispecchi colei per cui sarei morto”, concluse l’Arvenauta, togliendosi un coltello dal costato sinistro, senza che alcuna ferita rimanesse sul suo corpo.

“Temevo di non poter dare pace alla tua anima sofferente, però ci ho comunque provato, si vede che dovrò solo fermarti, mio caro Taos, dato che già l’Isola sta iniziando a sprofondare negli abissi dell’Unico Mare”, avvisò la figura, ricominciando ad avanzare.

“Che vuoi dire?”, esclamò allora una voce alle spalle dei due, quella di Seala, “L’isola sta sprofondando?”, continuò la guerriera del Rihad, “E poi perché tanta titubanza, Immortale? Elimina questo essere, qualsiasi sia la sua forma è chiaro che si tratta di un nemico”, tuonò la creatura felina.

“Tu non puoi capire”, replicò allora il mutaforma, “quella che Taos ha di fronte non è un’immagine scelta a caso, fra le più pure ed innocenti, bensì è quella della sua amata Doka, colei che lui perse secoli or sono, quando anche la sua anima fu sacrificata al dio Sade, con cui aveva cercato di giungere ad un patto per riavere la propria amata”, spiegò il nemico.

 

“La storia è più complicata di così”, pensò fra se Atanos, mentre dei ricordi lontani, che cercavano di restare assopiti, si risvegliavano, per quelle immagini e le parole che Kalos riportava a lui.

Ricordi di un’era antica, in cui una guerra aveva costretto ad arruolarsi molti abitanti dell’Oleampos, un regno molto piccolo a quei tempi, che non aveva ancora grandi monarchie come quella di Aven o della Lutibia. Atanos allora si chiamava semplicemente Taos, il nome che i suoi genitori avevano scelto per lui, un nome semplice, come semplice era la sua vita, quella di giudice nelle giurie della sua piccola città, Kentia, nelle vicinanze dell’attuale regno di Aven. Lì Taos aveva trovato anche la donna che avrebbe amato per tutta la sua vita mortale, Doka, una semplice fanciulla figlia di pastori. La vita era semplice per il giovane giudice, finché non si ritrovò costretto a compiere il dovere per la sua città, combattere. Fu via un anno, in cui temette più volte di morire, ma non avvenne, però, l’esperienza lo aveva convinto a prendere decisioni precise, prima fra tutte, sposare l’amata Doka, cosa che avvenne poco dopo il suo ritorno. La felicità della coppia, però, durò poco: Doka si ammalò di un male allora sconosciuto, che solo due secoli dopo Atanos scoprì essere una malattia incurabile alle vie respiratorie. Quando la moglie morì, il giovane Taos si disperò ed abbandonò tutto ciò che aveva, deciso a viaggiare in cerca di un modo per vincere la morte. Alla fine, però, scoperto che non si poteva vincere la morte, Taos giunse ad una conclusione: “Se non posso vincerla, potrò almeno scendervi a patti”. Questo lo portò a compiere un atto che solo i semidei avevano fatto, secondo le leggende a lui note, cioè scendere negli inferi, regno del dio Sade ed incontrare il dio stesso. Offrendo animali in segno di rispetto, il giovane giudice fu portato dinanzi alla divinità dal traghettatore degli inferi.

“Divino Sade”, iniziò l’uomo, “sono un semplice mortale che si sente onorato da questa possibilità di parlarvi. Sono qui, dinanzi a lei, con il capo chino in segno di rispetto, umile creatura che vale nulla dinanzi alla vostra potenza e che proprio per questo vuole chiedervi una benevolenza, un atto che di certo verrà ripagato con degni gesti di rispetto e con la devozione più completa”, spiegò con fare prosaico il mortale.

“Taglia corto, misero essere, ti ho concesso udienza perché mi aveva incuriosito la tua determinazione, dimmi ciò che vuoi, seppur già lo so”, ordinò il dio, che si era presentato a lui come una figura coperta da una profonda luce nera, che niente lasciava intravedere.

“Vi supplico di far ritornare in vita la donna da me amata, Doka, affinché noi si possa vivere felici insieme, finché il destino ce lo concederà”, affermò Taos. “Te lo concederò, ma a due condizioni, mortale. La prima è che dovrete ritornare sul piano dei vivi senza l’aiuto del mio traghettatore, dovrete camminare per le ruvide lande della Morte, fra il gelo ed il fuoco”, spiegò Sade, “Vi riusciremo, divino signore, glielo assicuro”, sussurrò chinando il capo l’uomo.

“Aspetta a dirlo, vi è una seconda condizione, la più dura. Dovrai pagarmi la vita della donna che ami con le vite di dieci uomini, scegli tu chi, anche dei perfetti sconosciuti, però dovrai ucciderli in mio onore”, concluse la divinità, con un accenno malvagio.

In quel momento Taos ebbe un sussulto, ma l’indecisione non lo prese minimamente, “Si, divino Sade, lo farò”, concluse semplicemente il mortale, mentre l’anima di Doka si mostrava a lui.

Gli sguardi dei due si incontrarono, esprimendo la gioia nelle loro anime, quindi presero congedo dal dio e ricominciarono la salita.

Fu un viaggio faticoso per entrambi, Doka era visibilmente scossa da tutto quello che era successo, la sua anima era quasi sfocata agli occhi di Taos, ed il giovane ben presto fu stremato dalla scalata, ma non per questo si fermò.

Quando ormai erano prossimi all’uscita, però, accadde qualcosa, o meglio, a loro si presentò qualcuno, un uomo che aveva l’aspetto di un commilitone del giovane. “Taos, anche tu qui?”, gli domandò l’anima errante, “No, non sei qui come morto, ma per riportare con te quella donna, che aveva vissuto le gioie del paradiso”, concluse con tono ironico la figura.

“Che cosa?”, tuonò allora Taos, che sembrava propenso a non preoccuparsi del morto, “Si, quell’anima è tanto sfocata perché è stata in paradiso finora, adesso tu la riporti ad una vita di dolori e tristezze, di certo non te ne potrà essere grata, anzi, tutt’altro”, ridacchiò fra se l’interlocutore, “Cosa ti ha promesso Sade per lei? Delle anime da dannare immagino, è tipico di quel dio, dare un beato per dei dannati”, continuò ironico l’essere, “Tu come puoi sapere tutto ciò?”, tuonò allora Taos, senza rendersi conto di aver afferrato per il bavero quella che doveva essere un’anima incorporea.

“Perché l’aspetto che vedi è quello che un semidio ha deciso di usare per parlarti”, ringhiò una voce differente, mentre una luce gettava al suolo il giovane, “sono uno dei due servitori di Sade e per curiosità ed ironia ho deciso di porti dinanzi alla verità, se non ti muovi la perderai di nuovo, poiché la sua anima anela a tornare nella luce del paradiso, mentre se uscirete da quello sbocco, la riporterai a soffrire, con te, le dannazioni della vita mortale”, concluse la voce, mentre l’anima di Doka diventava sempre più sbiadita.

Il giovane giudice fu preso dal dubbio: era giusto ciò che stava facendo? Decidere se la donna amata vivesse con lui, egoisticamente, nel dolore, o potesse gioire dell’eternità, senza di lui.

“Sade, che tu sia maledetto, costringermi a scegliere fra la sua gioia e la nostra”, tuonò allora il giovane, spazientito dalla situazione in cui si trovava. Dopo quella frase il misterioso semidio scomparve, in una malefica risata, mentre Sade apparve, in un bagliore oscuro.

“Queste parole non dovevi osare dirle, mortale”, ringhiò il dio, “la tua donna ritornerà nel regno dei beati, perché quella era la volontà di chi chiamo Maestro, ma tu, sei mio”, continuò avvicinando dei tentacoli di luce al petto di Taos, mentre Doka scompariva.

“Volevi vivere con lei? La tua anima soffriva troppo nella solitudine? Ebbene ti toglierò questo dolore, ma ti lascerò la solitudine, né ti concederò di rivederla di nuovo, a te sarà dato solo il Limbo eterno”, sentenziò il dio, prima che Taos sentisse il dolore più terribile della sua vita, l’ultimo che potesse ricordare.

Fu come se degli aculei gli strappassero di netto la pelle, per prendervi il cuore e sezionarlo, recidendone dei pezzi, ma, quando tutto fu finito, niente più. Taos si ritrovò solo su una roccia, avrebbe voluto gridare dal dolore, ma non sentiva dolore, urlare per la rabbia e la disperazione, ma quei sentimenti non erano suoi, non più, né la gioia lo aveva pervaso, sentiva solo un profondo vuoto, un gelo che sembrava avergli svuotato il cuore. Barcollò l’essere e cadde dalla roccia, sbattendo su un’altra ed allora notò di non provare nemmeno il dolore fisico, anzi, il suo corpo era illeso, i pochi graffi fatti si richiusero subito. Ci volle poco all’essere per capire di non avere più niente di Taos, se non i ricordi e da allora, in pochi anni, prese il nome di Atanos, l’Immortale, che più di ogni cosa anelava alla morte per se stesso.

 

La mente di Atanos tornò al presente, al mutaforma che si trovava dinanzi a lui ed alla giovane guerriera del Rihad, che si apprestava ad attaccare quel nemico non suo.

“Se l’Immortale non vuole colpirti ci penserò io”, ringhiava in quel momento Seala, tentando un assalto, che l’elegante figura evitò senza nemmeno mutare aspetto, semplicemente chinandosi, poi, una voce non propria alla leggiadra Doka uscì da quelle candide labbra, “Ti avviso, guerriera di Rikka, infastidiscimi oltre e mi vedrò costretto a finirti prima del previsto”, concluse la voce.

“Mio caro Taos”, esordì pochi attimi dopo la femminile tonalità vocale, “è tempo che tu riposi, in attesa che l’Isola sprofondi, portandoti con se”, avvisò la creatura nemica, prima che ancora una volta il suo aspetto mutasse, prendendo una forma maschile, con lunghe sbarre metalliche al posto delle braccia, sbarre che sembrarono muoversi con determinazione nell’investire Atanos, così da fargli perdere l’equilibrio, per poi gettargli addosso il muro alle sue spalle, che sotterrò l’Immortale, celandolo alla vista degli altri due presenti in quella sala.

“Ora andiamo a noi, Guerriera del Sud”, tuonò poi un’altra voce, prima che Kalos si mostrasse con il suo vero aspetto a Seala.

 

Nella grande selva, in un altro cunicolo della collina, Acteon osservava preoccupato tutto ciò che gli era intorno, da una parte le edere, che con velocità innaturale continuavano a crescere, minacciose, dall’altra, Sokar, da cui alcune lame di sabbia sembravano fuoriuscire, pericolose. “Allora, dove sarebbe quest’altro nemico? Qui vedo solo te e tu sei l’unico che blocca la mia via”, minacciò il Demone della Sabbia, “Non avere fretta, guerriero del Sud”, rispose il Cacciatore, con falsa sicurezza, “ti porterò ad un nemico, non ti preoccupare, già fiuto nell’aria il suo odore, malgrado cerchi di confonderlo con il resto della vegetazione circostante”, concluse l’Arvenauta, voltandosi e scattando velocemente verso avanti, nella direzione in cui l’aria era più limpida, ma dove percepiva anche un odore già sentito sull’Isola precedente Ten-Lah.

 

Nel lungo ed oscuro corridoio, invece, Pandora e Kaar avanzavano frettolosamente, “Guerriera degli Insetti”, esordì dopo alcuni secondi l’uomo Scorpione, che aveva accettato di seguire la Signora del Nero Sciame, “spiegami dove dovremmo andare? Perché non ci fermiamo ad attendere il nemico?”, tuonò il guerriero del Sud.

“Mi sorprende che tu non percepisca le microscosse che scuotono questo luogo, i miei insetti sono come impazziti, inoltre hanno percepito anche la direzione per raggiungere l’uscita, perciò, Scorpione gigante, direi che piuttosto che attendere qui un nemico che potrebbe rivelarsi fin troppo pericoloso, con le sue tele, dovremmo muovere il passo e dirigerci verso le nostre rispettive navi, dato che qui, nessun Tesoro ci attende, sperando che i nostri compagni ci raggiungano presto”, sentenziò Pandora.

“Non ho di che preoccuparmi per questo. Seala è abbastanza furba da sapere quando combattere e Sokar non è mai stato fermato da nessuno”, sentenziò l’Uomo Scorpione, avanzando dietro la Signora del Nero Sciame, “Io invece c’è qualcuno per cui mi preoccupo”, pensò fra se Pandora, guidando il momentaneo alleato lungo la via.

 

Seala osservava il mutaforma, aveva un aspetto elegante ed affascinante, ma insieme gli occhi lasciavano trasmettere la malvagità di Kalos. “Dimmi, Gatta del Sud, cosa speri di poter fare contro di me? Anche se mi attaccassi, non potresti certo sperare di battermi, la fuga è l’unica cosa che ti può salvare”, affermò il Navigante della Lutibia, “ma fuggire in un labirinto del genere è difficile, ti troverei subito, era il mio divertimento da giovane, inseguire le fanciulle”, ridacchiò con voce decisa il nemico, avanzando verso la guerriera.

“Fai un altro passo, mutaforma, e ti apro a metà”, replicò allora Seala, alzando le mani affilate, “Non lascerò qui l’Immortale, né ti permetterò di farmi entrare in un gioco per me letale, una caccia in cui io farei solo la parte del topo”, avvisò la Donna Gatta, lanciandosi in un agile assalto.

Con dei veloci movimenti del tronco, Seala tentò di affondare delle zampate affilate contro il ventre del nemico, ma Kalos si dimostrò più veloce di lei ed evitò ogni assalto, che venisse dal basso o dall’alto.

“Sei lenta”, ridacchiò il Mutaforma, impugnando un coltello e lanciandolo contro l’avversaria, che, malgrado un agile salto, non evitò l’assalto, rimanendo ferita ad una gamba.

“Troppo lenta”, ridacchiò, “specialmente per un essere come il passato guardiano di questo labirinto, colui che doveva custodire il potente Tesoro di Odath, l’arma ultima che adesso ha il padrone della Regina”, concluse Kalos, prima di cambiare lentamente forma.

L’essere divenne un gigante, alto più di due metri, con pelle in parte squamosa in parte fatta di melma, una sostanza che mischiava insieme verde e viola nel colore della sua carnagione. Il volto era quello di un serpente, ma le mani più simili a gigantesche fauci, spaventose e minacciose nell’alzarsi contro Seala.

La stessa guerriera del Rihad rimase sorpresa da quell’essere, “Cosa avresti potuto fare tu, misera Donna Gatta, contro una creatura tanto potente e spaventosa?”, domandò ironica la voce del mostro, prima che veloci le mani si lanciassero contro la nemica.

Qualcuno, però, si pose fra i due, era Atanos, di nuovo in piedi. L’Immortale subì in pieno i morsi delle mani nemiche, che cercarono di sventrarne inutilmente il corpo, “Io avrei potuto facilmente domare questa bestia, mutaforma, come altrettanto facilmente domerò te”, lo avvisò l’Arvenauta, mentre l’assalto nemico si ritirava, lasciando il nemico illeso.

“Mi salvi di nuovo, ti ringrazio, Immortale”, sussurrò Seala, la cui ferita alla gamba aveva smesso subito di sanguinare.

“Sembra che tu abbia difese più dure di quanto mi aspettavo, Atanos, eppure, data la debolezza di quella tua alleata, sono l’unico capace di attaccare ed i miei attacchi avranno infine effetto, ne sono certo”, concluse Kalos, riprendendo l’aspetto di Doka, “non pensi anche tu, Taos?”, aggiunse con un malefico sorriso proveniente da un dolce viso.

“Colpiscilo, Immortale, quello non è la donna che amavi, ma un mostro, una creatura che si fa beffe del tuo dolore, se non lo abbatti la memoria della tua amata, oltre ai tuoi stessi compagni, saranno ben presto cancellati, come me, temo”, esclamò allora Seala.

“So bene che quest’essere non è la donna che Taos amava, so che l’unica cosa che sta cercando il mutaforma è indebolire la mia mente, per meglio distruggere ciò che ero mi lega alla vita per questo non gli concederò tanto, concluderò prima il nostro scontro, in tempo per trovare una via di fuga per me e per te, e cercare poi i miei compagni”, affermò allora Atanos, avanzando verso la figura femminile, per bloccarla al collo con la possente mano.

“Taos”, balbettò appena la voce di Doka, mentre lentamente il fiato le veniva sottratto, “Ritorna al tuo vero aspetto, mutaforma, e forse ti concederò di sopravvivere, ormai ti è chiaro che non puoi vincermi”, sentenziò Atanos, sollevando con tutta la forza che aveva il corpo esile dell’avversario.

Subito, sentito l’ordine, Kalos mutò aspetto. Vedendo tornare normale, l’Immortale abbandonò la presa, lasciando cadere al suolo il nemico, “Vattene, se vuoi vivere”, tagliò corto l’Arvenauta, mentre il mutaforma, chino al suolo, si rialzava di scatto con un coltello in mano, diretto verso Seala.

“Almeno una vita la prenderò”, tuonò Kalos, ma nuovamente Atanos lo fermò, subendo in pieno la coltellata, “Hai dimenticato sia i miei poteri, sia un tuo coltello”, tagliò corto l’Immortale, mentre gettava al suolo il corpo del nemico, la cui gola era stata perforata dall’arma con cui Doka aveva cercato di uccidere Atanos, all’inizio dello scontro.

“Ho ucciso un nemico”, esordì allora l’Immortale, “ed insieme a lui anche ciò che restava di Atanos”, sussurrò fra se. “No, non lo credo possibile”, replicò allora Seala, avvicinandosi barcollante al guerriero dell’Ovest, “queste non può averle versate un guerriero completamente senz’anima”, affermò, appoggiando un dito su quella che sembrava una lacrime, sotto l’occhio di Atanos, “in te vi è ancora qualcosa di umano, solo che credo tu abbia voluto abbandonarlo, hai preferito abbandonare quel poco di umanità che Sade ti ha lasciato, la stessa che hai legato al ricordo della donna amata ere fa”, concluse la Donna Gatta.

“Tu non sai quale sia la mia condizione”, replicò l’Arvenauta, “No, non lo so, ma so che un essere senz’anima non difenderebbe una perfetta sconosciuta, né si preoccuperebbe di salvare i propri compagni, oltre che se stesso, in te vi è ancora dell’umano, ne sono certa, come sono certa di doverti la vita, nobile guerriero”, concluse Seala, con un gentile sorriso.

“Cerchiamo un’uscita”, replicò freddamente Atanos, quasi a voler cambiare discorso, “Si, va bene”, concordò l’altra, sorridendo all’alleato momentaneo e fiutando una via che le sembrava più adatta.

 

Nello stesso labirinto, intanto, Tyrion ed Argos avanzavano, cercando una via. “Sei sicuro della direzione, semidio sacro ad Urros?”, domandò il figlio di Odath, “Si, divino Tyrion, sono certo che questa direzione è quella giusta, riesco ogni tratto di più a raggiungere l’uscita con lo sguardo, ma ogni volta che avanziamo, anche il nostro nemico avanza, ben presto ci sarà tanto vicino da decidersi in un attacco, dovremo stare attenti, poiché colui che ci attende non è da sottovalutare”, spiegò il Guardiano, svoltando un altro angolo, “Non preoccuparti, sarò pronto”, concluse il dio del Nord.

 

Anche Iason e Brulde avanzavano nella selva che si trovava intorno a loro, i due guerrieri camminavano stentati in quella boscaglia, ignari di quale potesse essere la strada più adatta a farli uscire. “Spiegami perché stai facendo la mia stessa strada, guerriero di Aven?”, domandò ad un tratto l’Hellekia, “Perché è meglio combattere insieme che l’uno contro l’altro nel momento del bisogno. Sono certo che ci sono nemici che tu nemmeno puoi immaginare, guerriera dell’Asjar”, replicò il giovane, “Davvero? Mi sembra al quanto strano, ad essere sincera, un nemico così potente sarei curiosa di incontrarlo”, concluse Brulde.

“Non confondere la tua semplice forza con quella che riesci a sviluppare quando combatti con i tuoi compagni di viaggio, un guerriero Invulnerabile, una bestia ed un dio sono dei compagni invincibili per una battaglia, da solo, un qualsiasi uomo non può molto contro un essere dai poteri superiori quasi divini”, concluse Iason, mentre un nitrito si alzava nell’aria.

“Dobbiamo muoverci”, avvisò il Guerriero, avanzando lungo la via.

 

Eracles e Roan, infine, erano nel lungo corridoio. Cercavano una via d’uscita i due, seguendo l’unica strada che si apriva a loro. “Dunque avete incontrato prima questo dio minore di nome Zion, che sarebbe stato usato dall’Idra Nera e poi sette Naviganti, provenienti dalla Lutibia, ma fedeli sempre a questo misterioso nemico?”, domandò il guerriero Invincibile, “Si, proprio questi nemici ci si sono posti dinanzi lungo il viaggio”, rispose il figlio di Urros, che aveva raccontato il proprio viaggio all’alleato momentaneo.

“Fra questi nemici vi erano anche dei miei fratellastri, dei figliastri di Urros come me, persone che avrei voluto trattare con rispetto ed amore, ma che mi si sono poste davanti come terribili nemici, nell’ingiusto andare del destino”, spiegò rattristato il ragazzo.

Una risata, però, impedì a Roan di parlare, “Certo, giovane stupido”, esordì una voce, “non avremmo mai potuto esserti amici, né io, né il Minotauro. Tu hai avuto la fortuna di essere apprezzato da nostro padre, mentre io ho persino perso il mio gemello per il suo disinteresse”, sentenziò una figura, mostrandosi dall’ombra.

“Chi è costui?”, domandò allora Roan, “Mio fratello, un mio nemico”, rispose triste Eracles.