Capitolo 46: Grandi doveri

 

Il divino Tyrion ed Argos, l’Arvenauta, un tempo semidio al servizio di Urros, osservavano con decisione la figura maestosa che si era posta dinanzi a loro, fermandone i passi.

“Che essere è mai questo?”, domandò dopo alcuni secondi il figlio di Odath, “Egli è un Minotauro, il suo nome è Mihok, figlio illegittimo del divino Urros”, rispose prontamente Argos, ponendosi dinanzi al compagno di viaggio, “e la prego di lasciare a me questa battaglia, poiché è mio dovere, verso Urros, verso i compagni Arvenauti, verso di lei, ma soprattutto verso di me”, spiegò deciso il Guardiano, impugnando il lungo bastone.

“Non è vero ciò che dici, dannato Guardiano, il tuo dovere è solo verso di me, che a causa della tua servile natura verso Lera sono nato così, deforme e da tutti odiato”, ringhiò Mihok, avanzando verso i due nemici e pronto alla lotta.

“Purtroppo hai ragione su questo, giovane sfortunato, ma non per una mia colpa passata ti permetterò di fermare il nostro passo, se dovrò pagare un pensante fio per le mie azioni di semidio, lo farò, se il fardello che dovrò sostenere sarà peggiore di quello che già sostengo, così sia, ma di certo non sarà per causa mia che la missione degli Arvenauti fallirà, non sono pronto a cadere e lasciare soli i miei sei compagni di viaggio”, spiegò Argos, togliendosi il soprabito e mostrando gli occhi rossi sulle braccia.

“Belle parole le tue, miserabile, ma servono solo a nascondere la tua egoistica natura”, ringhiò il Minotauro, lanciandosi velocemente all’assalto.

Con abili ed eleganti movimenti Argos evitò l’attacco diretto, bloccando il braccio del nemico fra le stecche del proprio bastone, “Non mi coglierai di certo di sorpresa da questa distanza”, avvisò il Guardiano, “No, però ti farò volare in aria con facilità”, replicò Mihok, sollevando l’avversario con la sola forza del braccio bloccato, così da scagliarlo al suolo, lontano da se.

“Subirai tutta la potenza datami dall’odio”, urlò allora il Minotauro, partendo in una nuova, maestosa, carica. L’Arvenauta, però, risultò più veloce e con un agile rotazione sulla schiena colpì alle gambe il nemico, facendolo così cadere al suolo, mentre lui si rialzava saltando.

“Capisci dunque la differenza fra noi?”, domandò allora Argos, “forse non potrò bloccare la tua potenza, ma di certo posso impedirti di raggiungermi, finché seguo ogni minimo movimento del tuo corpo”, spiegò il Guardiano, pronto di nuovo alla lotta.

Mihok non rispose, conficcò semplicemente le mani nel terreno e con una potenza senza pari sembrò quasi strappare il suolo dalle sue viscere, sbalzando all’aria persino l’Arvenauta che, non riuscendo a mantenere l’equilibrio, perse il proprio bastone nel momento in cui tornava a terra.

“Puoi essere agile quanto vuoi, maledetto essere, ma avrò la mia vendetta, niente più mi può fermare dallo strapparti la testa e prendere la tua vita”, ringhiò allora il Minotauro, prima che un potente fulmine lo investisse, gettandolo di nuovo al suolo.

“Sei forse cieco, mostro? Non vedi che anche Tyrion, figlio di Odath, è qui? Non ti permetterò certo di fare i tuoi comodi, non contro chi ritengo degno d’amicizia”, lo avvisò subito il prode dio dell’Asjar.

“Amicizia? Verso quest’immondo essere a cui devo la colpa della mia nascita ibrida? Mi sorprendi, divinità del Nord, ma forse è una dote propria degli dei circondarsi di tali rifiuti. Quest’essere che Lera maledì, proprio per la mia nascita, tu vorresti aiutare? Chi pensi dei due abbia avuto più sfortuna quel giorno? Io, che nacqui impuro e divenni così, o lui, che fu condannato a vivere da mortale, senza perdere i propri poteri?”, replicò allora Mihok, rialzandosi.

“Di certo nessuno di noi avrebbe voluto che quel giorno esistesse, se fosse possibile entrambi torneremmo indietro per evitare che ambo i nostri destini venissero segnati, ma è impossibile fare ciò, dobbiamo semplicemente vivere con concezione di ciò che è successo, cercando di espiare le nostre colpe, senza dimenticare i doveri che abbiamo verso gli dei che ci guidano”, avvisò allora Argos, alzandosi anch’egli in piedi.

“Ed a questo proposito, nobile Tyrion, la prego di non intervenire in questa battaglia, poiché è uno scontro privato, dato il rancore che costui mi porta”, concluse pochi attimi dopo l’Arvenauta, togliendosi anche l’abito che nascondeva il suo possente tronco.

“Temo sia il tempo di mostrare un altro dei miei poteri, quello di cui andavo meno fiero”, affermò l’ex semidio, mentre un bagliore verde lo circondava al petto.

 

Sulla costa settentrionale dell’Isola, intanto, Byak’O osservava soddisfatto il mutamento fisico di Garulf, che lentamente tornava a mostrare i possenti artigli e le affilate zanne simili a quelle di un orso, “Dunque è questa la forza di un Kreeb dell’Asjar? Sorprendente. Ora capisco come tu possa aver abbattuto Jen-Bu, devi avere una forza maestosa in quelle braccia, peccato che ti sarà inutile contro di me”, lo avvisò subito il Custode, mentre le mani luccicavano di un bagliore dorato, che non le circondava del tutto, ma le sovrastava simili a maestosi artigli d’oro.

Bastarono dei semplici movimenti delle braccia perché si aprissero dei solchi sul terreno che distanziava i due avversari, solchi che corsero rapidi verso il Kreeb, investendolo in pieno petto e lanciandolo di nuovo al suolo, con profonde ferite grondanti sangue.

“Sei troppo misero per me, dotato dei grandi poteri dell’Essenza. La tua natura animale non può certo essere un vantaggio contro di me, al più una sfortuna, poiché non capirai quando dover fuggire”, lo ammonì Byak’O, avvicinandosi con passo calmo.

“Garulf distrugge”, tuonò allora il Kreeb, alzandosi di scatto e cercando di colpire con una decisa zampata il nemico, ma questi non si mosse, o almeno questo sembrò all’essere del Nord, prima che un altro bagliore, proveniente dalla mano sinistra del Custode, lo travolgesse, aprendo diverse ferite sul suo braccio.

Il Kreeb, però, non si fermò, e tentò un altro attacco, che finì a vuoto, data la velocità con cui Byak’O si spostò, raggiungendo alle spalle il nemico, così da segnare anche la sua schiena con dei profondi solchi, gettando il guerriero del Nord vicino al cadavere di Jen-Bu.

“Dì pure addio alla vita, bestia del Nord”, avvisò allora il Custode, sollevando la mano destra, che già brillava di una luce pari al sole. In quel momento, però, accadde qualcosa nello sguardo di Byak’O, che tornò improvvisamente cosciente e stupito da ciò che vide.

“Che sto facendo? Come posso uccidere questo guerriero? Giunto sulla Costa Settentrionale e divenuto il nuovo Custode? Come posso compiere i voleri di quella malefica donna, ancora ed ancora?”, si domandò disperato il combattente esperto delle tecniche dell’Essenza, “Non posso fare tanto, sarebbe male non solo verso di me e quest’essere, ma anche verso chi mi ha dato il dovere di custodire Ten-Lah”, sussurrò fra se il guerriero, prima di chinarsi per il dolore su se stesso, “No!”, urlò ad un tratto, “dannata Regina, non avrai di nuovo il controllo sulla mente di Byak’O, l’ultimo dei Custodi”, tuonò alzando il capo al cielo, in lacrime, prima di cadere al suolo anch’egli.

 

Acteon era ancora in piedi, osservava deciso Sokar, l’essere che aveva appena ucciso, dopo atroci torture, Palion, il figlio risorto di Priaso. “Puoi osservarmi con tutta la malvagità che hai in corpo, Demone del Sud, o minacciarmi furente, ma di certo non scapperò, sono stato un Cacciatore ed ora sono un Arvenauta, un guerriero che combatte per qualcosa in più del proprio orgoglio, seppur tengo molto al mio orgoglio”, affermò con tono ironico Acteon.

“Belle parole, guerriero dell’Ovest, ma mi chiedo quanto ancora continuerai a blaterale, dopo che ti avrò iniziato ad attaccare”, replicò con voce decisa Sokar, mentre gli occhi sembravano iniettarsi di sangue.

“Combatteremo, se vorrai, morirò, se sarà questo il destino che mi è stato dato, ma ti posso dire due cose per certe, Demone. Se mi elimini non avrai vita facile per uscire di qui e, anche se riuscirai ad uscire, sono certo che almeno uno dei miei compagni verrà a darti la caccia e contro di lui non potrai avere fortuna, poiché nemmeno tu puoi ucciderlo”, sentenziò Acteon, alzando gli artigli con fare minaccioso.

“Un essere che non potrei uccidere? Chi sarebbe?”, domandò allora Sokar, mentre il suo sguardo diventava curioso, più che omicida, “Quel tuo compagno di viaggio che ha bloccato le mie ondate di sabbia? Dove lo posso trovare? All’uscita di questa grotta di certo”, si domandò il Demone del Rihad, rispondendosi da solo, per poi voltarsi ed andare nella direzione in cui si dirigeva già da prima con il Cacciatore.

“Che fai? Non vieni?”, domandò allora Sokar, voltandosi verso Acteon, “Ho deciso di non combattere con te, dato che c’è un nemico molto più potente fra i tuoi compagni”, concluse, correndo in avanti.

“Un nemico che nemmeno tu potrai battere però, pazzo assassino”, sussurrò fra se il Cacciatore, seguendo e poi raggiungendo il Demone del Sud, lungo la via che porta all’esterno.

 

Anche Iason e Brulde continuavano la loro corsa, ma entrambi erano inquieti nei movimenti, forse per la paura di aver perso qualche compagno di viaggio, forse per il terrore di poterne perdere, un terrore che di certo scuoteva la mente del Guerriero di Aven, preoccupato per il Navigatore ferito, e che probabilmente turbava anche la Guerriera dell’Asjar, pensierosa nei confronti dei suoi due compagni mortali, che con lei aveva seguito il divino Tyrion. La corsa della coppia continuava silenziosa.

 

Garulf si rialzò in piedi, era cosciente e si sorprese nel rendersi conto di essere tornato normale, il suo potere Kreeb era stato stroncato dall’assalto del Custode, aveva subito dei colpi troppo potenti e veloci, non aveva potuto niente, se non soccombere, cadendo al suolo praticamente senza forze. Grande fu però la sorpresa del guerriero del Nord nel notare che anche il suo nemico era a terra, si stava rotolando nella sabbia, dolorante, sembrava quasi essere impazzito, mentre delle profonde lacrime scendevano dal suo volto.

Alla fine quel vaneggiamento finì. Garulf non poté far altro che osservare il dolore di quell’uomo, un dolore che era del tutto disegnato sul suo volto, un volto triste e dannato, ma, malgrado questo, Garulf non aveva la forza di muoversi.

“Sei ancora vivo, guerriero del Nord?”, domandò all’improvviso Byak’O, osservandolo con occhi rossi di lacrime, “Si, ma non ho la forza di combattere, quindi finiscimi, forza, potente guerriero. Sei il primo che sia riuscito a sconfiggere completamente la furia della Bestia nordica con la propria sola forza, meriti la vittoria”, si congratulò il Kreeb, chiudendo gli occhi ed attendendo la fine.

Ma quella fine non giunse, Garulf attese per alcuni minuti, poi riaprì gli occhi e vide il guerriero dinanzi a se piangere, mentre osservava il cadavere di Jen-Bu, poco lontano da lui. “Sai, un tempo, decenni fa, questo guerriero che tu hai sconfitto aveva un grande cuore, era un uomo buono, desideroso di farsi ricordare per una grande impresa, quella di raggiungere Ten-Lah, l’Isola del Mito, ma appena giunto fu condannato a non poter lasciare questo luogo, dovette abbandonare tutto, per questo impazzì. Anche gli altri erano puri di cuore, eravamo uniti dalla curiosità e dall’intraprendenza, all’inizio, e poi dal medesimo triste destino, ora sono solo e non a causa di voi, che ci avete assalito e siete stati degni di abbatterci, bensì per colpa di una maledetta creatura, una donna che arrivò sull’Isola non per affrontarci, ma per soggiogarci”, concluse con un pugno nel suolo il Custode, guardando di nuovo il Kreeb.

“La Regina vuole che un Custode cada qui, già sento che colui che ha eliminato Suan Ku è scomparso e che sulla Costa Occidentale un altro scontro sta per iniziare, non vuole che l’Isola sopravviva al vostro avvento, ebbene non posso obbiettare ai suoi ordini, però, posso rileggerli”, concluse Byak’O, sollevando la mano sinistra, brillante di una luce dorata.

“Addio, nobile guerriero del Nord”, furono le ultime parole che Garulf sentì prima di chiudere gli occhi, poi più niente, solo un sordo rumore ed un rantolo di dolore. Quando il Kreeb riaprì gli occhi vide il Custode al suolo, con il petto perforato dal suo stesso artiglio d’energia.

Byak’O chiuse lentamente gli occhi, chinando senza più forze il capo sulla sabbia, vicino al corpo del suo vecchio compagno di viaggio Jen-Bu. “Addio, nobile Custode, ti ringrazio della grazia concessami”, lo salutò allora il Kreeb, appoggiando il capo a terra, incapace di rialzarsi.

 

Nel labirinto, intanto, il bagliore verde stava lentamente quietandosi, permettendo a Mihok e Tyrion di osservare ciò che Argos non avrebbe voluto usare, degli occhi verdi che sovrastavano il suo ventre.

“Che cosa sono quelli? Maledetto?”, tuonò il Minotauro, “Sono gli occhi dal potere attivo, quelli che la dea Lera mi diede per offendere, anziché difendere”, spiegò Argos, con voce sconfortata.

“Belle parole, ma voglio proprio vedere di cosa sono capaci questi nuovi occhi”, tuonò Mihok, lanciandosi velocemente all’assalto, per trovarsi improvvisamente fermato, incapace di muovere il minimo muscolo.

“Se gli occhi bianchi mi permettono di vedere tutto intorno a me, e quelli rossi seguono il minimo movimento dei muscoli, concedendomi una velocità di reazione straordinaria, questi verdi hanno una dote diverse, quella di bloccare ogni lembo di carne che osservano, rendendo chi mi è di fronte incapace ad ogni movimento”, spiegò il Guardiano.

“Ora che sei fermo, posso parlarti”, esordì poco dopo l’Arvenauta. “Mi dispiace di tutto, Mihok, ho sempre e solo seguito gli ordini dei miei dei. Non ho mai opposto resistenza a nessuna azione della Regina Lera, né a quelle del divino Urros, loro agivano come meglio preferivano, amando, odiando, punendo e distribuendo a loro piacimento le doti, chi ero in fondo io per obbiettare? Sono sempre stato solo un soldato, anzi, un Guardiano, un puro e semplice servitore che non poteva fare altro che seguire gli ordini infertigli. Questa mia natura, però, mi è sempre stata stretta, ogni volta che vedevo Urros divertirsi con una mortale inconsapevole, o Lera punire un semidio, o un mortale, mi sentivo in parte colpevole di tutto questo e nel tuo caso ne sono stato un diretto responsabile. Forse se allora fossi arrivato prima avrei potuto salvare te e me da questa fine, avrei potuto fare qualcosa, anche solo parlare al dio dell’Oleampos, ma no, sono rimasto in silenzio e ho agito solo dopo che Urros aveva concluso, sono stato meschino ed egoista.

Mi sono odiato da allora, da quando sono tramutato in un mortale, e, per questo sia perdonato, ho odiato gli dei a cui dovevo obbedienza, ma adesso, vivendo con gente che ha subito dannazioni come le mia, o peggiori, ho potuto capire che non è l’agire da servitore, o da ribelle, che deve essere criticato, né il fatto che amassi o odiassi i miei sovrani, ma, più semplicemente, come mi sento con me stesso. Se sono in pace con le mie azioni, potrò riposare in pace, quando gli dei lo vorranno, ma se non lo sono dovrò morire e finire negli Inferi.

Non sono in pace con me stesso per ciò che ti ho fatto, ma sento che prendendo parte a quest’impresa, diventando un Arvenauta, avrei potuto rappacificarmi con la mia anima tormentata, avrei potuto meglio servire gli dei, malgrado non approvassi il loro agire, poiché il primo dovere di un Guardiano è osservare i propri dei, ma agire per il loro bene è un bisogno di chi ha una fede profonda”, concluse Argos.

“Tutto questo dovrebbe interessarmi?”, tuonò allora Mihok, “Per colpa tua sono nato così, se tu avessi fermato Urros mia madre non avrebbe amato quel dio ed io non sarei stato maledetto da Lera”, continuò il Minotauro, mentre gli occhi verdi si chiudevano.

“Tutto questo è vero, e sembra che il tuo odio non ti permetta di comprendere la mia situazione, di ciò sono spiacente, però ti assicuro che questo sarà l’ultimo assalto”, concluse Argos, riprendendo il proprio bastone e preparandosi all’ultimo attacco del Minotauro.

Quando Mihok si accorse di potersi nuovamente muovere, sorriso soddisfatto, “Ora morirai, maledetto, la mia vendetta sarà compiuta, avrò la vita del primo colpevole, l’unico che posso uccidere da solo”, tuonò il Minotauro, scatenandosi in una carica furiosa.

Argos non parlò, ma si lanciò contro il nemico con determinazione, roteando il lungo bastone sopra il capo prima di raggiungerlo ed essere da lui raggiunto.

I due combattenti furono respinti dai rispettivi attacchi, entrambi gettati indietro stremati si osservarono per alcuni secondi, poi il Minotauro si chinò su un ginocchio, sputando sangue dalle labbra marroni, “Bel colpo, dannato essere, avrò onore in battaglia, oltre che la mia vendetta”, ridacchiò fra se Mihok, prima di rialzare il capo ed osservare il Guardiano che cadeva al suolo, sconfitto.

“La potenza del tuo attacco mi ha impedito di ucciderti sul colpo, ma ora non risponderai ai miei assalti e basterà un singolo colpo per finirti”, ringhiò a quel punto il nemico, frantumando una colonna di pietra con il pugno e sollevando l’oggetto contro il capo di Argos, pronto a schiacciarglielo.

Una possente mano, però, fermò quel gesto, “Non posso permetterti tanto, giovane sfortunato, perché l’odio ti acceca più di quanto io potessi credere e quindi la battaglia è finita, ora devo intervenire”, sentenziò Tyrion, che aveva bloccato il Minotauro.

“Che vuoi dire?”, esclamò Mihok, cercando di liberarsi, “Che Argos ha fermato il proprio assalto, cercando semplicemente di rallentare l’impatto del tuo. Egli non voleva la vittoria, malgrado le sue parole, il suo senso di colpa è troppo vasto e la compassione per te immensa, dei sentimenti che tu sembri aver perso per le sfortune capitate”, osservò con tristezza il dio.

“Taci tu!”, ordinò allora il nemico, liberandosi e cercando di colpire Tyrion con la colonna, che però andò in frantumi ancora prima di sfiorarlo. “Di norma eliminerei con determinazione un essere maligno come te, capace solo di odio e distruzione, ma sento che ciò sarebbe ingiusto verso il tuo triste destino e il senso di colpa che il Guardiano ha nei tuoi confronti, quindi, ti donerò una morte quieta, priva di dolore”, sentenziò con decisione il figlio di Odath, mentre il suo volto si rattristava nel sollevare il possente martello e puntarlo contro il Minotauro.

“Che intendi fare?”, domandò Mihok, “Darti la pace che non hai mai avuto”, rispose seccamente il dio, prima che un bagliore circondasse la sua arma, per poi investire il Minotauro, che volò rapido in aria, schiantandosi contro una parete quando ormai era già morto.

Tyrion recitò una breve preghiera dell’Asjar per quell’essere, poi si voltò verso l’Arvenauta, per sincerarsi delle sue condizioni.

 

Odisseus si guardava ancora intorno, sapeva che c’era qualcuno in quella spiaggia, anzi sapeva proprio chi era il nemico che lo aveva attaccato di sorpresa, apparendo dalle profondità marine, ma sembrava che costui non volesse presentarsi a lui. “Che aspetti a farti vedere? Hai forse bisogno di un ordine dei tuoi padroni? Da grande elemento di un regno a misero cane da riporto, come hai potuto diventare così?”, domandò con voce decisa il Navigatore, guardando verso il mare immenso, da cui, proprio in quel momento, apparve un’immensa figura biancastra, uno dei Serpenti marini di Possidos, sul cui capo si ergeva deciso il nemico dell’Arvenauta. “Sei dunque pronto alla lotta con me, Sairon”, osservò il Navigante, “Lo sono da molto tempo, Generale Odisseus”, ringhiò il defunto Sommo Sacerdote, osservando il colpevole della sua morte.

 

Nel lungo corridoio circondato da un abisso, in cui correvano Pandora e Kaar, il silenzio era continuo, mentre i due camminavano rapidi, finché la giovane maledetta da Urros non si fermò, inaspettatamente.

“Che succede? Hai per caso percepito altre cose riguardanti i tuoi compagni?”, domandò infastidito l’uomo Scorpione, “No, non i miei compagni, ma noi, stiamo per essere attaccati”, spiegò con voce decisa la Signora del Nero Sciame, “Da chi?”, tuonò in tutta risposta il guerriero del sud, “Da quell’essere”, concluse l’altra, indicando una figura che scendeva dall’alto minacciosa, il loro nemico.