Capitolo 54: Anirva e Smartash


Pandora si svegliò all’improvviso, “Dove siamo?”, si domandò subito la giovane maledetta da Urros, prima ancora di rendersi conto di ciò che le era successo contro Marut. “Tu, fra le braccia di Eracles”, ridacchiò come pronta risposta Acteon, facendo accennare un sorriso anche ad Iason, Odisseus ed Argos, oltre che imbarazzando il giovane figlio di Urros.

“Scusa, eri svenuta”, balbettò appena il giovane, appoggiando a terra la compagnia di viaggio, “Ti ringrazio”, fu la semplice risposta di Pandora, prima di rivolgere uno sguardo ad Acteon, “al contrario di ciò che posso dire per te, Cacciatore, di cui la finezza e l’educazione sono sempre poche”, criticò poi, prima di guardarsi intorno.

“Siamo dentro una delle due navi che ci avevano accerchiato. Dopo che sei stata atterrata da Marut, anche Atanos è stato reso inoffensivo con la potenza di Awr’ien, quindi, bloccati voi due, ed indeboliti Iason ed Acteon, io, Eracles ed Odisseus abbiamo preferito non opporre ulteriori resistenze, così ci siamo fatti catturare, insieme a tutti voi. Ci stanno conducendo presso il castello della Triade di Tenkia, dove i due dei sovrani ci giudicheranno nel loro tribunale, cui siamo vicini. Di certo è stata la loro potenza divina a risvegliarti, poiché già la avverto anch’io, una potenza senza pari, che circonda tutto, quasi volesse distruggere ogni cosa”, spiegò Argos, alzandosi in piedi dal luogo in cui era seduto.

“Si, ho sentito anch’io una presenza terribilmente feroce, ma non mi sembrava avere niente di divino, anzi era quasi un’entità oscura, seppur molto fugace, qualcosa che è stato poi coperto da un’altra potenza, più grande”, replicò Pandora, mentre dei passi si avvicinavano a loro, quelli di Marut.

“Sono lieto di trovarvi tutti vivi e coscienti, nobili prigionieri”, esordì il Guardiano del Tay, “la nostra imbarcazione è ormai arrivata alla sua meta, ora vi chiediamo di allinearvi, per essere incatenati alle mani, così da non tentare azioni poco degne di uomini pronti a sfidare la legge delle divinità, azioni da codardi, se volete”, concluse l’uomo con un braccio solo, indicando, con un cenno del capo, due Senku, che si fecero avanti con delle gigantesche manette.

“Facciamo come ci dice”, suggerì subito Odisseus, facendosi avanti per primo e lasciandosi bloccare i polsi silenziosamente, subito seguito da Argos, Iason, Atanos, Acteon, Eracles e Pandora, che chiudeva il gruppo.

 

Gli Arvenauti furono condotti fuori dalla nave e poterono vedere la bellezza dell’immensa città delle divinità di Tenkia, “Questa è Tenaka, la città divina, soggiorno del grande Rahama e dei suoi due venerabili fratelli, Anirva e Smartash”, la presentò subito Marut, aprendo la via ai sette prigionieri, mentre Awr’ien la chiudeva.

La città si presentava immensa, composta da trenta grandissimi palazzi di colore rosso rubino, con vetri dalla bellezza indescrivibile per i magnifici disegni rappresentati. Eracles notò che nei diversi vetri vi erano rappresentati degli animali, mentre Argos, con la sua vista poté notare i magnifici mobili che adornavano anche dentro quelle che in realtà erano trenta torri del medesimo ed unico castello, che si apriva come una piovra lungo tutte le direzioni possibili, alcune volte anche sovrapponendo i lembi di alcune mura esterne.

Fra tutte queste mura, una sola via si apriva, proveniente dal mare, una lunga strada circondata da due di queste torri, su cui decine di Senku facevano la guardia alla zona, per evitare che dei nemici degli dei li attaccassero.

“Nobile Marut”, esordì Odisseus, che già una volta nella vita aveva potuto ammirare quelle bellissime creazioni e quindi ne era meno sbalordito, “posso parlarti liberamente?”, domandò il Navigatore.

“Certamente, Viaggiatore, so bene quanto il sommo Rahama ti portasse rispetto, dato che per alcuni giorni, anche dopo la tua partenza, continuava a parlare di te, quindi ti concedo con gioia la parola”, replicò il Guardiano del Tay, “Ti ringrazio, nobile guerriero, però ciò che ho da chiederti sarà triste per te da raccontare, poiché vorrei sapere come è caduto colui ha cui dovevo la vita, la divinità che per prima ha parlato al mio cuore con voce d’amico e non di superbo giudice celeste”, affermò con un tono molto triste Odisseus, guardando con volto cupo il suo interlocutore.

“Hai ragione, mi chiedi di parlarti di ricordi molto tristi, Viaggiatore, ma mi sembra giusto che tu sappia”, affermò con tono sereno l’uomo dal grande cappello di paglia.

“Ricordo che il nostro Eccellentissimo signore ebbe una visione quella notte, si vide su un campo di battaglia in un’isola lontana, accanto a se, i corpi dei suoi due fratelli, gli altri possenti dei della Triade. Non ci volle molto al saggio Rahama per capire che il luogo era lo stesso dove sarebbero dovuti andare il giorno dopo, una piccola città di nome Shia, dove gli eccelsi avrebbero dovuto benedire il raccolto e costatare la salute dei malati, ma il potente signore preferì vietare ai fratelli di seguirlo e solo a me spiegò il perché. Lasciò la Guardiana del Say a custodire i suoi amati consanguinei e scelse me, insieme a poche decine di Senku, per seguirlo in quella missione che non sembrava più così ovvia e semplice.

Partimmo quasi subito, dopo che il nostro saggio signore aveva convinto i suoi due fratelli, ed in poco tempo, grazie alle agili navi, raggiungemmo la città di Shia e qui lo spettacolo ai nostri occhi fu raccapricciante.

Vi erano cadaveri ovunque, alcuni erano stati decapitati, altri uccisi con netti colpi di spada, altri ancora, specialmente le donne, prima avevano subito indescrivibili torture poi, erano state impiccate, tutto questo era stato fatto in pochissimo tempo e da più uomini.

<<Che cos’è successo qui, divino Rahama?>> domandai spaventato, <<Qualcosa di indescrivibilmente terribile e di altrettanto pericoloso, per gli effetti futuri che avranno le scelte compiute quest’oggi>>, mi rispose il saggio essere, guardandosi intorno quando un fischio richiamò quattro nitriti.

Mi voltai e vidi due ombre nere apparire dal nulla sui tetti di due case e poi, fummo circondati, ma non da un esercito, bensì da quattro cavalieri, quattro individui coperti da corazze dagli oscuri colori che cavalcavano mostruosi destrieri che ancora ricordo: un cavallo rosso fuoco, un grifone dalle zanne viola, un serpente dalle squame grigie ed un gigantesco orso dalle braccia deformi. Ognuno di questi cavalieri aveva un’arma diversa, una spada, una falce, una frusta ed un’ascia ed ognuno ci guardava con volto soddisfatto sotto la maschera.

Ad un tratto una delle figure con il mantello sollevò la mano destra ed urlò: <<Andate, miei cavalieri>>, fu questo il semplice ordine ed iniziò l’orrore della lotta.

In pochi attimi quei quattro esseri furono sui Senku, dilaniando i loro corpi con una facilità superiore a quella che hanno dimostrato i tuoi compagni, Viaggiatore, uccisero tutti ed io, in poco tempo, mi ritrovai da solo contro tutti e quattro, poiché il mio signore Rahama era già stato circondato dai due esseri incappucciati.

Io cercai di liberarmi in fretta dei nemici, ma per quanto cercassi di vincerli, non ci riuscivo, poiché erano perfettamente coordinati e troppo potenti per me, infatti, alla fine, quello con la falce, colui che cavalcava il destriero rosso, mi fu sopra e con un singolo fendente mi recise il braccio, per poi sperare di finirmi con un secondo colpo, che lasciò un profondo taglio sul mio volto”, concluse, riprendendo fiato, il fedele seguace di Rahama, togliendosi finalmente il grande cappello.

Odisseus fu sbalordito da ciò che vide: un volto liscio e pallido ed i due grandi occhi argentei in esso incastonati, ma, oltre questi, un’immensa cicatrice che segnava dalla tempia sinistra alla guancia destra il guerriero, come un marchio inciso a fuoco su quella pelle, avendola penetrata in profondità.

“Mi risvegliai poche ore dopo quel colpo e vidi il corpo del mio signore Rahama a terra, un singolo fendente all’altezza del petto gli aveva aperto in due il tronco, lasciandone metà da una parte e l’altra poco lontano. Feci per avvicinarmi a lui, sperando che, essendo una divinità, fosse ancora vivo, ma fu tutto inutile. Piansi per ore lì, fermo, dinanzi al cadavere senza vita dell’uomo più giusto che io avessi mai conosciuto e vidi il segno di chi l’aveva ucciso inciso sul terreno. Un serpente con un unico corpo e nove teste, era disegnato sul terreno in un modo piuttosto strano, poiché era stata chiaramente l’arma che aveva ucciso il mio divino signore a comporre quell’orrida figura, ma vi era di più, un simbolo sottostante di impronte, che, confrontandole dopo, scoprii non corrispondere né a quelle delle due ombre, né a quelle delle bestie dei loro quattro cavalieri ed esclusi che appartenessero ad uno dei quattro nemici che avevo affrontato da solo, poiché non vi erano vicine le zampe degli animali che li conducevano”, concluse il Guardiano di Tay, mentre delle lacrime scendevano sia dai suoi occhi sia da quelli di colui che lo ascoltava.

“Hai detto un serpente a nove teste?”, domandò pochi attimi dopo Odisseus, fermando le lacrime, “Si, Viaggiatore, perché?”, replicò perplesso Marut per quella domanda, “Perché abbiamo avuto dei nemici durante il nostro viaggio, degli esseri che facevano parte di un gruppo chiamato l’Idra Nera, loro erano le Teste dell’Idra”, rispose il Navigatore.

“Davvero? Dimmi quanto più puoi di questi esseri, che siano gli assassini del mio sommo signore?”, continuò Marut, perdendo la calma che lo aveva contraddistinto, “Purtroppo non sappiamo molto di questi esseri. Solo che un tempo erano nove, guidati da una volontà a loro superiore, riuscirono a conquistare l’Isola dove si trovavano i Tre Tesori, che possiedono ormai da circa cinquant’anni. Ora si stanno riunendo. Una di loro ha attaccato l’isola di Tirand, sacra agli dei dell’Asjar, una si era eletta Regina dell’Isola dei Tre Tesori, e gli altri due li abbiamo quasi incontrati nella prima Isola che visitammo lungo il nostro viaggio. I restanti cinque, invece, devono essere rieletti, poiché morirono nel conquistare i Tre Tesori divini”, spiegò brevemente Odisseus, prima che il gruppo si fermasse, perché dinanzi alle ampie porte della costruzione centrale.

 

I Sette furono condotti in un’ampia sala, una specie di gigantesca piazza all’interno di quel piano, “Attendete qui, mentre avviserò i miei divini signori del vostro arrivo”, affermò quietamente Marut, scomparendo nel vento che lo circondava.

Gli Arvenauti aspettarono, finché il suono del sonaglio di Marut li richiamò, mentre alcuni Senku indicavano al gruppo una scalinata, “Seguitela”, ordinò seccamente Awr’ien, rimasta in disparte.

“Si, Awr’ien”, rispose subito Odisseus, cercando un sorriso della guerriera, ma ricevendo solo distacco e disinteresse da parte di lei.

 

Salirono la scalinata ed alla fine si trovarono in un’ampia sala, i Sette Arvenauti e dinanzi a loro vi era Marut ad attenderli, “Nobili stranieri, ecco a voi gli eccelsi Smartash ed Anirva, signori del regno di Tenkia, membri sopravvissuti dell’antica e sacra Triade”, esordì il Guardiano di Tay, indicando due immani figure in piedi dietro ad un bancone circondati da un semicerchio di sedili, vicini ai Sette.

Uno dei due esseri aveva un lungo abito arancione, che scendeva aderente sul corpo, mostrandone i potentissimi muscoli, incredibilmente virili. Aveva appena quello che si poteva definire un abito sotto quel mantello, costituito da una sottile stoffa del medesimo colore, che esaltava la corporatura del dio. Lo sguardo era proprio come quello che Odisseus aveva ricordato di Rahama, occhi color dell’oro e capelli simili a smeraldo, mentre una piccola gemma, uno zaffiro, brillava sulla fronte, come un terzo occhio di colore diverso.

Accanto a quest’uomo, ve ne era un altro, dai lineamenti molto simili al primo, che però sembrava meno rigido nello sguardo, come se stesse soffrendo per ciò che accadeva dinanzi a se. Costui aveva un lungo mantello, più ampio di quello del fratello, che ne celava per intero il corpo, senza esaltarne la muscolatura, anzi nascondendone per intero il tronco e le gambe, mentre appena si intravedevano le lunghe e chiare braccia.

“Quello dai possenti muscoli è Smartash, il dio guerriero, mentre Anirva era, ai miei tempi, considerato un medico, quasi un santone presso i mortali, poiché si occupava di studiare e guarire i mali che meglio conosceva”, sussurrò con voce veloce Odisseus, “non possiamo sperare nella benevolenza di nessuno dei due”, concluse il Navigatore.

“Ma perché si mostrano così chiaramente a noi?”, domandò a quel punto Argos, abituato a intravedere solo le forme degli dei, “Perché io li ho già visti quando fui giudicato la prima volta, per scelta del divino Rahama, probabilmente onorano questa scelta del loro saggio fratello”, rispose con tono perplesso Odisseus.

“Come già sai, Viaggiatore, ora ognuno di voi dovrà raccontare i fatti dal suo punto di vista, evitate di mentire, o di saltare degli elementi, poiché i saggi signori della Triade conoscono i vostri cuori e sanno se qualcuno mente loro”, affermò allora Marut, indicando una sedia dinanzi a loro.

“Sarà colui che abbiamo già giudicato il primo a parlare”, affermò a quel punto uno dei due, la divinità di nome Smartash.

 

Odisseus avanzò verso la sedia e li si fermò, prendendo posto, poi iniziò il suo racconto. “Il Re di Aven, Ruganpos, dopo aver ricevuto il vaticinio di un oracolo, fece in modo di riunire i sette che vedete qui davanti a voi, dei di Tenkia, dalla sua capitale partimmo con la nave che ci ha portato fin qui, come meta, l’Isola dei Tre Tesori, perché noi li prendessimo e li portassimo all’esercito di Aven, così da aiutarli nella guerra contro la Lutibia.

Approdammo poco dopo la partenza sull’Isola di Lembia, lì scoprimmo che governavano le Axelie, creature demoniache rinate a nuova vita, che abbiamo vinto, liberando quel luogo dalla tirannide di quelle entità malefiche. Da una di loro, poco prima della sua morte, abbiamo saputo che erano state richiamate alla vita da un essere facente parte di un’organizzazione chiamata l’Idra Nera, i cui nove membri erano capaci di far resuscitare i demoni.

Lascia Lembia incontrammo sulla nostra strada una nave proveniente dall’Asjar e guidata dal figlio di Odath, Tyrion. Dai membri di quel veliero sapemmo che anche loro avevano trovato dei misteriosi nemici rinati dagli inferi sul loro cammino e ciò ci portò a supporre che queste Teste dell’Idra non volevano che noi raggiungessimo la nostra meta.

Lasciati i guerrieri del Nord raggiungemmo l’Isola di Midian, governata dal tirannico dio Zion, che aveva imprigionato i propri tre fratelli, aiutato dal Jinma Tsun Ta. Alcuni di noi furono catturati dall’esercito di queste oscure figure e per liberarli ci siamo messi contro la divinità tirannica, così da arrivare a liberare i suoi fratelli e vedere sconfiggere lui e lo stesso Jinma per mano di costoro.

Raggiungemmo poi l’Isola antecedente la nostra meta, dove fummo intrappolati dai naviganti provenienti dalla Lutibia, che scoprimmo essere degli guerrieri risorti dai membri dell’Idra Nera, ma da cui riuscimmo a fuggire.

Arrivati alla nostra meta, dovetti affrontare il Guardiano della Costa Orientale, contro cui danneggiai la mia mano, ma di cui scopriiche la mente era guidata da una figura misteriosa, proclamatasi la Regina dell’Isola.

Mentre io dovetti rimanere sulla costa, avendo ucciso il Custode e presone quindi il posto, i miei sei compagni raggiunsero il luogo dove si trovava tale Regina, scoprendo che lei era un’altra delle Teste dell’Idra, capace di incantare gli uomini con la sua voce, e persino gli dei, e che aveva permesso ai suoi compagni di rubare i Tre Tesori dall’Isola. I miei compagni, da ciò che seppi da loro, furono divisi da un urlo distruttivo di questa Regina ed insieme ai naviganti dell’Asjar e del Rihad sconfissero i naviganti provenienti dalla Lutibia, mentre io ne affrontai il comandante in un duello che portò grandissimi danni alla nostra nave.

Fuggimmo in fretta dall’Isola, poiché ben due Custodi non erano più nei loro luoghi, uno ucciso dalla Regina, che si era poi allontanata, e l’altro perché si era spostato per ordine di questa Testa dell’Idra, da ciò che sapemmo dopo.

La nostra rotta, però, era legata alle maree dati i danni alla nave, fummo quindi costretti a restare vicino all’isola, così da aiutare anche i due sopravvissuti del Rihad a recuperare un’altra nave per fuggire e poi fummo investiti dall’onda causata dall’Isola inabissatasi.

Quando mi ripresi la nostra nave si stava dirigendo in questa direzione, probabilmente a causa della mia maledizione, ad ogni modo, gli altri Arvenauti non hanno colpa alcuna”, concluse Odisseus, prima di alzarsi.

Anche i suoi sei compagni raccontarono quasi la stessa storia, aggiungendo dei particolari sui loro scontri e su ciò che avevano saputo vedendolo o sentendolo dire da chi con loro aveva corso nella collina su Ten-Lah.

Quando tutti ebbero parlato, Smartash, che sedeva su un piccolo trono, si alzò in piedi, osservando tutti i presenti.

“Abbiamo potuto ascoltare le spiegazioni rivolteci dagli accusati, ora, come è uso da quando il nostro venerabile fratello è venuto a mancare, sentiremo le parole del nostro grande fratello Anirva, parole di accusa e poi decideremo”, esordì il dio.

“Cosa?”, esclamò Odisseus, senza alzare il volto, “Non ci è concesso qualcuno che ci difenderà, venerabili dei?”, domandò il Navigatore, “Purtroppo no, essendo noi solo due”, spiegò in tutta risposta Anirva.

“Sommi signori”, affermò a quel punto Argos, prendendo la parola, “solo chi ha sangue divino può parlare a questa corte, esatto?”, domandò il Guardiano, “Si, giusto”, concordò Smartash, “Allora io posso? Sono stato un semidio”, spiegò l’Arvenauta, “No, non puoi”, replicò quietamente l’altro dio, “Non sei più una divinità, se non per i poteri, non vi è traccia di sangue divino più in te”, concluse.

“Ma io posso”, esordì balbettando una voce, mentre tutti osservavano colui che aveva parlato: Eracles, “sono figlio di Urros, signore dei Cieli nell’Oleampos, ho sangue di dio in me, posso parlare a questa corte”, affermò con fare incerto il giovane.

“Si, ragazzo, tu puoi”, concordò Smartash, “ma lo vuoi fare? Sai quante responsabilità dovranno reggere le tue spalle, robuste, ma solo fisicamente, supponiamo”, affermò la divinità della Triade.

In quel momento il figlio di Urros guardò i due dei, che lo osservavano freddi, quindi osservò lo sguardo gelido di Awr’ien e quello nascosto di Marut, per spostarsi quindi verso i propri compagni. Atanos era silenzioso, come sempre, Acteon, sorrideva sorpreso dinanzi alle parole coraggiose del compagno di viaggio, come Iason, che sembrava incitarlo con lo sguardo, mentre il volto di Argos era ben celato dal suo turbante. Odisseus, invece, guardava perplesso il giovane, ma bastò lo sguardo di Pandora a far decidere Eracles, uno sguardo sorridente e pieno di fiducia, lo sguardo di chi sa di potersi fidare della persona che ha davanti, non un ragazzino, ma un uomo deciso.

Il figlio di Urros ricambiò quel sorriso e si voltò: “Si, voglio parlare in difesa dei miei compagni e mia”, rispose deciso.

Anirva e Smartash si guardarono silenziosi, poi il primo parlò: “Sia, parlerai, dopo nostro fratello ti sarà data la parola come difensore”, ordinò la divinità, mentre il giovane si riavvicinava ai compagni.

“Bene, ragazzo, siamo nelle tue mani”, esordì Odisseus, “Ascolta attentamente le sue parole e se non puoi sfruttare i suoi dubbi, parti da ciò che sai per certo, devi essere sicuro mentre parli”, gli suggerì il Navigatore, mentre Anirva si preparava ad iniziare la sua arringa.