Capitolo 56: Voci dominanti

 

Gli Arvenauti furono condotti lungo un corridoio, alla sinistra della sala dove era stata emessa la sentenza, lì Odisseus si divise dai suoi sei compagni, poiché egli fu scortato da alcuni Senku, al fine di seguire i divini fratelli di Rahama ed i due Guardiani nella zona da cui avrebbero osservato il procedere della prova.

“Voi sei, invece, andrete in quella direzione”, spiegò seccamente Awr’ien, indicando la via che avrebbero dovuto seguire gli altri prigionieri.

 

“Qualunque cosa succeda”, esordì Argos, mentre il gruppo camminava nel corridoio dalle belle mattonelle rosse in cui erano stati condotti, “ricordate sempre che nessuno di noi giudicherà gli altri, anche se perderanno, o se gli mancherà la forza di eliminare il proprio avversario. State però tutti attenti, amici miei, poiché coloro che abbiamo davanti non sono semplici esseri umani, bensì dei Jinma, esseri potenti come Tsun Ta, ma privi di quel poco d’umanità che era rimasta nel Nero Sacerdote di Midian”, spiegò il Guardiano.

“Che intendi dire?”, domandò allora Iason, “Ricordi le parole di Odisseus? Un Jinma è un essere tanto conoscitore dell’Essenza, da penetrarne i segreti ultimi, ma non sufficientemente potente interiormente per saper resistere al fascino oscuro di tale conoscenza, non sono esseri ormai, come non lo era Tsun Ta, che fu capace di impadronirsi dei corpi di altri uomini”, rispose l’ex semidio, “quindi dovremo dare tutti il nostro meglio per abbatterli da soli, capito?”, incalzò alla fine, “Si, abbiamo capito”, rispose prontamente il Guerriero.

“Dovrò uccidere il mio nemico?”, domandò all’improvviso Eracles, “Temo che non vi saranno altre vie, mio giovane amico”, s’intromise Atanos, con la voce fredda che lo caratterizzava, mentre Pandora chinava il capo, appoggiando una mano sulla spalla del figlio di Urros, “Dovrai decidere se togliere o meno la vita ad un altro essere vivente, un essere la cui natura umana si è ormai persa in anni di follia e sadica violenza. Nel momento in cui sarai costretto a prendere questa decisione, Eracles, ricorda solo una cosa: nessuno di noi cambierà il suo modo di vederti, non in peggio, questo è certo”, spiegò la Signora del Nero Sciame, sorridendo al giovane.

Acteon, che insieme ad Argos conduceva il gruppo fu, poco dopo, abbagliato da una luce, qualcosa di accecante, cui però si abituò ben presto, riuscendo a distinguere, come tutti i suoi compagni, la gigantesca foresta che si apriva dinanzi a loro.

“Che luogo è mai questo?”, si domandò il Cacciatore, “Questa è la Grande Foresta, una zona ricca di vegetazione d’ogni genere, dagli alberi secolari propri delle zone da cui voi provenite, ai boschi dai lunghi tronchi, ai cespugli di bambù delle nostre terre, tutto qui vi è, come in una grande foresta che rappresenta il mondo intero”, spiegò un Senku fra quelli che li conducevano, “Perfetto, sarà come giocare in casa per me”, esclamò soddisfatto Acteon, “A tal proposito”, esordì a quel punto Argos, “in che consiste di preciso la prova? Uccidere i nemici che abbiamo dinanzi e fermarci? O cosa altro?”, domandò il Guardiano.

“Sarete condotti a sei delle venti entrate di questa Foresta, ognuna su un lato diverso, distante dalle altri di 60 gradi circa, considerando questo luogo come una gigantesca circonferenza. Al suo interno troverete una grande zona boscosa, come già detto, ma al centro vi è un piccolo lago e quella è la vostra meta. Incontrerete dei nemici lungo il viaggio, i sei Jinma prescelti per la prova e contro di loro dovrete combattere; solo in sei potranno arrivare al lago, se sarete voi, Naviganti dell’Oleampos, avrete salva la vita, insieme al vostro compagno Viaggiatore, se saranno i Jinma, gli sarà dato qualche premio, come un’ora in più d’aria nella loro prigione, o del cibo migliore. Se nessuno dei due gruppi sarà al completo, ai sopravvissuti sarà concesso di andarsene, se saranno dell’Oleampos, o di tornare nelle loro celle, se Jinma, ma il destino di Odisseus non potrà più cambiare”, concluse il Senku, indicando la prima porta. “Qui dovete separarvi dal primo di voi”, spiegò dopo alcuni secondi di pausa, “Vado io per primo, ci rivediamo al lago”, esordì a quel punto Acteon, lanciandosi a capofitto nella boscaglia.

Poco dopo anche gli altri entrarono dalle diverse porte indicategli, prima Iason, poi Atanos, quindi Argos, dopo Eracles e per ultima Pandora.

 

Odisseus era stato intanto condotto lungo una scalinata, raggiungendo un altro piano della medesima torre. Aveva camminato in silenzio, seguito da diversi Senku e condotto da Marut ed Awr’ien che scortavano i divini Smartash ed Anirva, grande fu poi la sua sorpresa, una volta uscito alla luce della sala, nel capire dove si trovava.

Era infatti in un’altra torre dell’immensa città, il cui tetto era una immensa lastra di vetro, attraverso cui poteva passare la luce del sole o della luna, oltre che il bagliore delle stelle. Il piano in cui si trovava, però, era più simile ad un’ampia terrazza circolare, costruita al di sopra dell’immensa foresta, una terrazza da cui, probabilmente grazie ai poteri dei divini fratelli di Rahama, era possibile vedere chiaramente lo svolgersi delle battaglie, sentendo anche le parole che i diversi avversari si dicevano fra loro.

Il Navigatore poté così capire velocemente dove si trovavano i suoi sei compagni, ma non sapeva ancora niente dei loro nemici.

“Chiedo scusa, nobili signori”, esordì dopo alcuni attimi Odisseus, “Dicci pure, Viaggiatore”, replicò con eleganza Marut, “Chi sono i nemici dei miei compagni? Dei potenti Jinma, o esseri alla pari dell’oscuro Tsun Ta, il ladro di Anime?”, domandò. Subito il Guardiano del Tay si voltò verso un Senku e questi lesse da un plico, “Sono sei fra i più pericolosi nemici del nostro regno, rinominati con il marchio S, per la furia con cui si scagliavano contro gli uomini e gli altri esseri viventi, dilaniandone la vita. Ognuno di loro è stato immesso nella Foresta da una porta diversa e prevediamo che attaccheranno secondo degli schemi di lotta molto diversi fra loro. Tre sono più abili nell’assaltare i nemici in luoghi di loro scelta, altri due sono ottimi predatori, che si divertono seguire per un po’ i loro avversari prima di affrontarli, mentre l’ultimo è verosimilmente il primo che attaccherà”, spiegò quel guerriero del regno di Tenkia.

“Nemici dal marchio S? I più pericolosi secondo i canoni del sommo Rahama”, esclamò stupito Odisseus, prima di riprendere la calma, “Chi sarà il primo ad attaccare secondo voi?”, domandò subito dopo, “Certamente Izuna, il Dominatore del Vento”, rispose il soldato, “Chi è costui?”, chiese il Navigatore, “Un abile guerriero che un tempo utilizzava la propria conoscenza per evitare tornado o altre devastazioni nelle zone di campagna, finché il troppo potere non lo rese pazzo, permettendogli di sentire le urla disperate del vento, così da fare di lui un mero burattino omicida al servizio di quelle voci”, spiegò il Senku.

Odisseus fu sorpreso da quella spiegazione e si voltò subito a cercare quale dei suoi compagni fosse in pericolo quando intravide una figura correre veloce fra gli alberi dietro ad uno dei sei Arvenauti e fu sorpreso nel vedere chi avrebbe combattuto per prima in quel luogo: Pandora.

 

Pandora camminava silenziosa nel lungo corridoio di canne di bambù che aveva trovato dinanzi a se, correva leggiadra in quella strada scomoda, grazie alle dote datele dalla sua stessa maledizione, quando una voce la fermò.

“Le mie voci mi avevano assicurato che avrei trovato un nemico davvero debole, ma non pensavo che una leggiadra fanciulla sarebbe stata la vittima dei poteri che possiedo grazie alla conoscenza dell’Essenza”, esordì con tono ironico qualcuno, nascosto fra gli alberi che circondavano la zona delle canne di bambù, poi si sentì un sibilo, simile al vento che scuote le fronde e qualcosa come una variazione di pressione si materializzò nell’aria, correndo veloce, come una falce quasi trasparente, verso la Signora del Nero Sciame, che subito si scompose nei suoi tanti insetti, così da non essere raggiunta da quel misterioso attacco.

L’attacco, però, raggiunse le canne di bambù, che recise come se fossero state colpite da precise ed affilate spade, con dei tagli netti e privi di sbavatura alcuna.

Una figura, subito dopo, saltò giù da un albero, atterrando vicino a quelle canne recise, “Dove saranno i suoi resti?”, si domandò l’uomo nell’ombra, prima di alzare il capo, “Cosa? È ancora viva?”, esclamò, come intento a parlare con qualcuno, “Come può essere?”, continuò, spostandosi alla luce.

Era un uomo dai lunghi capelli color cenere, che gli arrivavano fino alle spalle maestose, un lungo kimono viola, rappresentante sul dorso, un gigantesco volatile con sei ali ed una grande coda piena di piume. Oltre quell’abito, per lo più strappato, aveva dei segni sui polsi e sul collo, segni di catene che lo avevano bloccato fino a quel momento. Gli occhi, di uno spento colore argenteo, scrutavano intorno, mentre il volto, sottilmente affilato, di sicuro per il naso aquilino ed il mento pronunciato, che ricordavano molto il volatile rappresentato sulla schiena, seguivano quello strano nero sciame che ruotava intorno alle canne di bambù.

“Le tue voci ti hanno detto, hai affermato prima, che significa?”, esclamò Pandora, componendosi dinanzi al nemico, guardandolo con il suo quieto sguardo.

“Le voci del Vento mi parlano, donna, sono voci di morte, che mi avvisano della tua fine e di quella del resto di molti altri esseri viventi, in questo ed in altri luoghi”, spiegò l’altro, “Io sono Izuna, la Bestia dei Venti, colui che con un solo movimento del braccio recide decine di vite”, si presentò il Jinma, sollevando ambo gli arti, per poi far scaturire dei veloci e potenti movimenti da questi.

Pandora vide nuovamente quelle strane increspature nell’aria e si divise di conseguenza, evitando la furia di quell’assalto, che recise altre decine di canne alle sue spalle, lasciando un deserto dietro di lei.

“Dunque è contro un pazzo come te che devo combattere? Ebbene, lo accetto, poiché non mi darà dolore alcuno spazzare via la vita di un essere folle, per il bene di un amico”, esclamò la voce di Pandora nel Nero Sciame scomposta, mentre quest’ultimo si lanciava furente contro Izuna, puntandolo da diverse direzioni.

“Le voci del Vento mi avranno reso pazzo, ma non sprovveduto, so bene come eliminarti”, ringhiò a quel punto il Jinma, con tono chiaramente divertito, sollevando le braccia sopra il capo ed aprendo le mani, per poi calarle veloci contro il suolo. Dieci archi si composero nell’aria, dirigendosi in tutte le direzioni intorno ad Izuna, creando dei solchi nel terreno e disperdendo lo sciame Nero intorno a loro, o almeno così parve inizialmente, poiché la forza centrifuga di quelle onde di vento, poiché di quello si trattava, spinse gli insetti a ricongiungersi.

Quando il Jinma vide il Nero sciame quasi del tutto ricomposto, con una velocità impressionante mosse ambo le mani, spazzando l’aria dinanzi a se ed investendo gli oscuri insetti con le folate di vento.

Questa volta, però, non ci fu dispersione alcuna, gli insetti rimasero dov’erano, riuscirono solo a ricomporsi in Pandora, che cadde in ginocchio, con alcune ferite che le sanguinavano dalle sottili braccia, in cui l’abito scuro non si era strappato, bensì era regredito, quasi a lasciar posto al sangue, come una ferita su un semplice corpo.

“Avevano ragione, quello non è un abito, tu sei una creatura fatta d’insetti, che si rivela con questo elegante aspetto, quindi sei un mostro proprio come me, per questo ci hanno messo a combattere”, esclamò sorpreso Izuna, osservando la nemica rialzarsi.

“Sembra che le voci di cui vaneggi, in qualche modo esistano e ti abbiano rivelato l’unico modo di ferirmi, lo stesso che ha usato ieri quel Guardiano, riunendo il Nero Sciame è possibile danneggiarlo, quando sono in una fase di passaggio dal mio corpo al loro aspetto naturale, quando non sono né la giovane Pandora, maledetta da Urros, né le creature del Vaso Nero, ma in una fase di passaggio, in cui gli insetti sono pronti a mutare la loro forma cellulare, per tornare ciò che erano in origine, oppure per ridarmi il mio aspetto, quello è l’unico momento in cui posso essere ferita, o uccisa, nel peggiore dei casi”, spiegò la Signora del Nero Sciame, dinanzi al nemico che aveva abilmente raggiunto e superato le sue misteriose difese.

“Non dovevi deridere le mie voci, ragazza, se non lo avessi fatto, ti avremmo potuto abbattere senza farti soffrire troppo, ma ora loro richiedono il tuo sangue, affinché si disperda nel vento e porti ad altri la notizia della tua morte”, spiegò con tono perplesso Izuna, “Parli di queste voci come se fossero superiori a te e ti comandino, è così?”, domandò Pandora, rialzandosi a stento, “Si, proprio così, sono voci a me superiori, che danno ordini furenti a tutto il mio corpo, costringendomi a fare ciò che vogliono, ma in fondo chi sono io per fermarle?”, replicò con tono cupo il Jinma, risollevando le braccia in posizione di difesa.

“Tu sei un uomo a cui è stata data la possibilità di scegliere, se solo volessi, potresti di certo liberare la tua mente da quella sofferenza, basterebbe concentrarsi su qualcosa di gioioso, anziché affogare nella disperazione”, replicò con voce offesa l’Arvenauta, lanciandosi di nuovo all’attacco.

Nuovamente, però, un movimento delle mani di Izuna costrinse la nemica a riavvicinare il nero sciame, per poi raggiungerlo con un potente assalto frontale, che sbalzò indietro la figura di Pandora, ora ferita al ventre da un profondo taglio.

“Spero tu sia pronta alla morte”, avvisò a quel punto Izuna, avvicinandosi silenzioso alla nemica, ancora a terra, “No, non lo sono”, replicò a quel punto Pandora, “non sono pronta ad abbandonare gli amici che anche in me credono, dopo tanti anni di solitudine, non sono pronta a perdere contro un uomo che ha ceduto dinanzi ad una sofferenza che io ho saputo sopportare e, soprattutto, non sono pronta a lasciare l’unica persona che, dopo tanti secoli, riesce a quietare il terribile dolore che proviene dalla mia maledizione”, esclamò con voce decisa la Signora del Nero Sciame.

“Poco male”, sentenziò la voce priva di vitalità del Jinma, chinando il braccio verso la nemica, il cui corpo fu raggiunto dall’assalto di vento, ma non si divise nel nero sciame, bensì si sparse sul terreno come oscura schiuma, “Che succede?”, si domandò Izuna, guardando la strana sostanza disperdersi nel terreno umido che circondava le canne di bambù, per poi scomparire al di sotto delle stesse.

Improvvisamente, però, un fortissimo ronzio circondò il Jinma, “Che succede?”, domandò di nuovo l’essere, come se nessuno gli avesse ancora risposto, quando dal terreno proruppe l’intero nero Sciame che sollevò come un geyser il corpo di Izuna, per poi penetrarlo e disperdersi in questo.

 

“Non dovevi permetterle di raggiungerti”, sentì esclamare Pandora, una volta dentro al corpo di Izuna, “Dovevi porre attenzione anche al pericolo che raggiungesse il terreno dove noi, voci del Vento, non possiamo parlare. La terra è sorda ai nostri avvisi, avvisi di stragi e distruzione, la stessa che spesso anche tu provochi, nostro impuro messaggero”, avvisò una seconda voce, mentre decine di altre urlavano delle critiche e degli insulti contro l’agire del Jinma, “Vi prego, basta”, esclamò a quel punto una presenza più debole delle altre, qualcuno che sembrava essere assoggettato a tutti coloro che lì parlavano, e nel cui tono l’Arvenauta riconobbe il suo nemico.

“Questa è dunque la tua mente, debole creatura?”, esclamò allora Pandora, rivelandosi non solo con dolori fisici, ma anche con quell’esclamazione.

“Cosa? Chi è entrato qui fra noi?”, domandò una voce fra le altre, “La tua nemica, Izuna, è costei”, affermò un’altra, riconoscendo Pandora, “Si, esatto sono io, o, per essere più esatti, è la presenza del Nero Sciame che mi permette di essere qui, in questo spirito popolato da decine di menti, uno spirito torturato da un abisso di pensieri, dove chi dovrebbe essere il padrone è solo un mero schiavo, un destino che anch’io avrei potuto condividere, ma che ho rifiutato con tutta me stessa”, spiegò a quel punto l’Arvenauta, mentre potente si rendeva il ronzio dei suoi insetti in quel mare di pensieri.

“Basta!”, “Falli smettere”, urlavano disperate le diverse voci, mentre solo Izuna restava in silenzio.

“Senti questo ronzare, Jinma? Questa è la maledizione che percuote il mio spirito da secoli, fui condannata a vivere, non più come donna, ma come contenitore di questa disperazione, dopo aver aperto il Nero Vaso datomi dal supremo Urros”, raccontò la giovane, “Si, abbiamo sentito anche noi questa storia”, concordarono alcune delle voci, “sei tu quella fanciulla curiosa, che fu ripagata con la dannazione della mente e dell’animo, eternamente torturate dal più oscuro dei mali”, esclamarono delle altre, “una sfortunata creatura sei tu”, aggiunsero altre ancora, “per questo oggi ti daremo la pace che meriti, spegnendo la sofferenza che in te scaricò l’eterno Urros”, conclusero.

“Si, ti ucciderò”, ripeté con voce vuota Izuna, “No, non lo farai”, ribatté Pandora, “poiché, come ti ho già detto, ora ho amici e motivi validi per rimanere viva e non abbandonarmi alla solitudine o al dolore silenzioso che mi aveva reso schiava, il terribile dolore ed il panico che in me aveva provocato il nero sciame e che solo la presenza di alcuni amici e l’affetto delle persone care può ormai quietare”, spiegò di nuovo l’Arvenauta, la cui presenza si rese silenziosa, mentre la furia dello sciame si presentava in tutta la sua furia all’interno del Jinma, chinandosi a metà su se stesso, mentalmente e fisicamente.

 

Nella terrazza al di sopra della Foresta, i due Guardiani, i Senku e le divinità, osservavano con interesse l’evolversi dello scontro in cui il potente Jinma, che fino a quel momento era stato in vantaggio, si trovò improvvisamente in svantaggio ed ora era chino al suolo, urlante di dolore.

“Odisseus, che cosa ha fatto la tua alleata ad Izuna?”, domandò Marut, osservando l’evolversi del dolore nel volto del prigioniero nella Foresta, “Lo ha raggiunto con tutta la sua furia e disperazione, per poi scatenarla dentro di lui, rendendolo, così, partecipe della sua sofferenza”, spiegò il Navigatore, “così combatte Pandora, la custode del Nero Vaso, che fu dannata per la sua curiosità e che da poco ha potuto ritrovare, in parte, la pace di cui fu privata nell’età dell’innocenza, la fanciullezza, il periodo che per tutti dovrebbe essere il più gioioso, ma che per lei si concluse con dolore estremo”, affermò l’uomo maledetto da Possidos, mentre le urla di Izuna si quietavano.

 

Nella Grande Foresta Izuna cadde al suolo, smettendo di lamentarsi e la vita fuggì via dal suo corpo, come i neri insetti, che presto uscirono dalla sua bocca, componendo di nuovo il corpo di Pandora dinanzi al suo cadavere.

“Addio, Jinma che comandavi i Venti, o almeno che pensavi di farlo, poiché era il vento a guidarti, portandoti notizie di distruzione, che tu erroneamente seguivi, rendendo così la tua conoscenza un mezzo di distruzione, anziché di salvezza per tutti gli uomini che vivono in questo mondo”, spiegò con voce cupa Pandora.

“Come te anch’io ho sofferto per la presenza di volontà aliene nella mia mente, ma ho saputo combattere quelle presenze, riuscendo, in alcuni brevi momenti, persino a liberarmene, riavendo il controllo di me stesso, ma senza mai potermi sentire di nuovo una persona normale, al contrario tu, Jinma, sei rimasto schiavo di quelle voci e questo ti è costato la tua umanità, prima, e dopo la vita, nella battaglia contro di me”, concluse l’Arvenauta, mentre le ferite sul ventre e sulle gambe continuavano a sanguinare debolmente, costringendola a camminare faticosamente, mentre si dirigeva avanti lungo la Foresta.

 

In un’altra zona del folto bosco, intanto, Argos correva veloce, evitando rami e quanto gli si disponesse vicino, finché, ad un tratto, non si fermò.

“Perché Odisseus non pone le sue domande ai diversi individui che sono lì con lui? Deve trovare il contatto con l’Idra”, pensò il Guardiano, prima che i suoi lunghi sguardi notassero una figura poco lontana, “sembra che abbia trovato il mio nemico”, rifletté l’ex semidio, “meglio che mi diriga da lui, prima di ricevere un attacco a sorpresa”, concluse, cambiando direzione e dirigendosi verso un’ampia zona coperta da gigantesche e secolari querce, attraverso cui la luce non filtrava, pronto alla sua battaglia.