Capitolo 67: Sul campo di battaglia

 

I sei Arvenauti erano in piedi sulla soglia dell’accampamento degli Avenui, Re Ruganpos fece portare loro dei cannocchiali, che tutti accettarono, eccetto Argos.

“Vedete i due schieramenti in campo?”, esordì subito il sovrano, “Si, vediamo le truppe dalle vesti azzurre di Aven e dei loro alleati di Tryo, e l’armata reale di Lutibia, dalle vesti rosse e dorate”, rispose per primo Iason, cui seguirono dei segni concordi dei suoi cinque compagni.

Le due armate iniziarono a duellare con un ordine innaturale, qualcosa che dava della bellezza a quel marciare di lame e sangue, che si iniziarono ad alzare alti verso il cielo.

L’ordine fu però presto sconvolto, come Acteon poté notare, “Del fuoco? Un incendio?”, domandò il Cacciatore, notando una gigantesca fiammata esplodere fra i soldati di Aven, travolgendoli, “No, non può svilupparsi un incendio in orizzontale, per di più all’altezza delle teste”, replicò sbalordito Eracles, “Infatti quello è Pirros, Generale delle Fiamme Infernali, come le chiamano i miei soldati”, spiegò Ruganpos, prima che un suono facesse eco alle sue parole, una melodia tenebrosa che tempo addietro gli Arvenauti avevano già udito.

“Orpheus”, esordì Atanos, notando la figura del musico oscuro fra i soldati, “Il Generale che richiama alla vita i morti, per usarli in battaglia, lo avete già conosciuto, come ben ricordo e perciò sapete quanto egli sia pericoloso”, affermò Ruganpos.

Una luce accecò, all'improvviso, tutti, costringendoli ad abbassare lo sguardo, “Cos’è stato?”, domandò Iason, “Un guerriero, era coperto da un abito violaceo, ma appena tolto, ha mostrato un’armatura dorata ed una spada del medesimo materiale, qualcosa di accecante persino per me”, spiegò Argos, chinando il capo scombussolato, “Deve essere Aristos, figlio primogenito di Priaso e comandante dell’esercito di Lutibia, egli non combatte con malefici stratagemmi, ma grazie all’armatura che il dio Porian fece costruire per il fondatore della città di Lutibia, luogo a lui sacro”, rifletté il sovrano, prendendo la parola, per poi indicare una figura che, in quel caos, si alzava alta in cielo, come fosse un uccello.

“Ecco, quello è uno dei miei Generali”, esordì lieto il Re di Aven, “Axar di Tys, città del mio regno in cui lui, uno degli ultimi Anies, è andato a vivere”, spiegò il sovrano, indicando una figura che veloce calava fra i nemici per poi rialzarsi rapida in volo.

“E gli altri suoi generali, maestà?”, domandò Argos, mentre guardava fra i soldati intenti nella battaglia, “Uno è lì, il guerriero con l’armatura blu e rossa. Non è un mio generale, ma un guerriero del regno di Nator, un tempo contadino, ma con innate doti belliche, si chiama Hadon”, rispose prontamente Ruganpos, mentre tutti poterono notare una figura dalle purpuree vesti avanzare con due spade, dilaniando i corpi di tutti i nemici che trovava dinanzi a se.

“Ed il terzo?”, chiese Pandora, “La terza è Ebhe, una donna che mi ha detto di aver viaggiato per molto tempo nelle terre dei Cancelli Celesti e di aver lì imparato le sue doti guerriere”, spiegò il Re, indicando una figura che avanzava gelidamente fra i nemici, seguita da un piccolo schieramento di soldati.

“Penso che abbiamo saputo abbastanza, Arvenauti, è tempo di scendere in campo anche per noi”, propose Argos, trovando concordi i suoi compagni di viaggio.

 

In pochi minuti i sei furono sul campo di battaglia, “Buona fortuna a tutti”, esordì dopo qualche attimo Acteon, lanciandosi per primo nel mezzo della mischia, con i lunghi artigli già pronti a ferire i soldati Lutibiani. Anche i suoi cinque compagni si divisero, disperdendosi sul campo di battaglia.

 

Argos avanzava con passo deciso fra i soldati nemici e gli alleati, atterrando i primi con veloci movimenti del suo bastone, mediante colpi decisi e letali, finché non si ritrovò circondato.

“Bene, soldati della Lutibia, fatevi pure avanti”, gli propose, togliendosi il soprabito che nascondeva gli occhi rossi sulle sue braccia, quindi, con un semplice gesto della mano, bloccò due colpi di spada contemporanei, per poi raggiungere con un calcio al volto un terzo nemico, facendolo barcollare indietro e colpire quindi i due che lo avevano attaccato con la sua arma.

Il Guardiano appoggiò poi il bastone sul terreno e facendo leva su quello colpì un quarto soldato allo stomaco, costringendolo ad indietreggiare, per poi investirlo con l’estremità rigida della sua arma, lasciandolo così cadere al suolo con il capo frantumato.

Argos si voltò poi di scatto, pronto a colpire il nemico che aveva già ferito, quando vide una spada perforargli lo stomaco, lasciandolo cadere al suolo, senza vita. Il Guardiano trovò quindi dinanzi a se un uomo dalle vestigia rosse e blu, il volto austero di guerriero era segnato dai lunghi capelli violacei, mentre le due spade nelle sue mani grondavano sangue.

“Chi sei?”, domandò seccamente il guerriero, “Argos, uno degli Arvenauti giunti da un lungo viaggio”, rispose prontamente il Guardiano, “Capisco. Il mio nome è Hadon, navigante, vedi di non starmi in mezzo durante gli scontri”, tagliò corto il Generale, prima che un nemico si lanciasse contro l’ex semidio.

Argos si voltò di scatto, spezzandogli il collo con un veloce movimento del bastone, “Non ti starò intorno, se questo ti dà fastidio, Generale”, avvisò il Guardiano, prima che un guerriero si avventasse contro il suo interlocutore, “Attento!”, ebbe solo il tempo di urlare l’Arvenauta prima di osservare i veloci e spietati movimenti dell’altro.

Hadon, infatti, si voltò di scatto, affondando la spada destra nel petto del nemico, poi con la sinistra sgozzò un secondo soldato avverso, per poi lanciare l’arma nel ventre di un terzo e correre a prenderla, facendo intanto strage dei Lutibiani che trovava lungo il suo cammino.

 

Il Nero Sciame avanzava incessante fra i soldati, alcuni, fra gli Avenui, videro quella tempesta di insetti oscuri avanzare e si sbalordì nel vedere come li evitava tutti, per poi raggiungere ed uccidere i soldati della Lutibia, ma, ben presto, quelli stessi soldati, tanto sorpresi, furono a loro volta raggiunti da qualcosa: fiamme.

Un fuoco immenso si espanse fra di loro, una fiammata senza pari si aprì improvvisa sul terreno, come se tutti si fossero trovati in una rete di fuoco, rete in cui le loro armature si sciolsero prima che la pelle si incendiasse.

“Bruciate! Bruciate!”, tuonò una voce all’improvviso, “Che il mio dolce fuoco vi avvolga, tramutandovi in uomini fiamma, fedeli solo a me, Pirros, finché non diventerete cenere, naturalmente”, esclamò con una voce gioiosa il Generale della Lutibia dai capelli rosso acceso.

“Adesso basta”, esclamò la voce quieta di Pandora, ricompostasi alle spalle del nemico, “sei una specie di pazzo”, osservò infuriata la Signora del Nero Sciame, “Una specie di pazzo?”, ripeté Pirros, “Io adoro vedere la gente bruciare, quindi, donna, dammi anche tu questa gioia”, ordinò, voltandosi e spuntando fuoco dalle labbra.

Pandora si divise nel nero Sciame, lanciandosi furente contro il nemico, che però, malgrado la sorpresa, allontanò gli insetti di morte con delle potenti alitate di fuoco, costringendo l’avversaria a ricomporsi dietro di lui, che si era voltato.

“Liquore, ne hai le labbra cosparse, questo sarebbe il tuo potere?”, domandò l’Arvenauta, “Perché ti hanno fatto tornare in vita quelli dell’Idra Nera se sai fare così poco?”, continuò con tono inquisitore, mentre Pirros la guardava con volto sempre più sbalordito, finché non sembrò aver capito, “Sei una di quei Naviganti di Aven, giusto? Devi essere la Donna del Vaso Maledetto. Allora è tutto diverso, ti mostrerò subito una delle doti concessemi, la stessa che ben conoscono gli uomini dell’esercito di Ruganpos. Eccoti le fiamme animate che io comando”, esclamò il generale, voltandosi verso i corpi dei nemici che aveva arso, corpi che iniziarono a muoversi, mentre ancora bruciavano, diretti con le spade affilate verso Pandora.

“Finché bruciano, i loro corpi sono sotto il mio controllo, poi, quando restano solo pelli arrostite, passano sotto il comando di Orpheus, come altre decine di soldati morti sul campo per morti diverse”, spiegò ridendo Pirros, allontanandosi di qualche passo.

“Non permetterò che i loro corpi diventino dei vostri burattini”, minacciò irata la Signora del Nero Sciame, investendo con tutta la furia dei suoi insetti le fiamme animate, che pochi attimi dopo caddero al suolo, spegnendosi senza più vitalità, mentre Pandora si ricomponeva, con delle lievi bruciature, notando che il generale nemico si era disperso nella folla di guerrieri.

 

Acteon correva veloce fra i nemici, con ampi passi balzava da una parte all’altra del campo di battaglia, dilaniando quanti più corpi gli fosse possibile. Si era buttato contro i cadaveri, contro le fiamme animate, come se una furia senza pari lo possedesse, spingendolo a combattere senza tregua, una furia innaturale persino per il Cacciatore.

Ad un tratto l’Arvenauta vide un arciere sollevare il proprio arco verso di lui, per poi puntare qualcosa di diverso, qualcosa che era più in alto di lui, ma non gli diede il tempo di colpire qualunque cosa fosse, poiché, preso un coltello da terra, glielo lanciò contro, perforandogli la trachea e lasciando cadere al suolo il suo corpo senza vita.

Subito dopo, però, l’Arvenauta sentì l’odore di altri due nemici avvicinarsi e si voltò di scatto, pronto ad attaccarli, ma questi erano già caduti, colpiti da qualcun altro.

“Chi sei?”, domandò a quel punto una voce sopra Acteon, prima che questi potesse voltarsi, così da puntare gli artigli contro un Anies, che stava atterrando elegante dinanzi a lui.

Era un uomo elegante, con corti capelli ispidi e due ampie ali dalle piume castane che si aprivano fatiscenti sulla sua schiena, mentre con le mani sosteneva una possente frusta artigliata, “Acteon, il Cacciatore, giunto ieri dalle lontane terre d’Oriente”, replicò l’Arvenauta. L’altro lo guardò per qualche attimo, poi sembrò capire, “Sei uno dei Naviganti che il nostro Re aveva mandato alla ricerca dei Tre Tesori, immagino. Io sono Axar, primo Generale di Aven, è un piacere conoscerti, Cacciatore”, replicò l’Anies, “ma questo è il territorio di caccia, come te sono anch’io un abile predatore, quindi, ti prego di aiutarmi nella battaglia, anziché rubarmi prede”, concluse con un gentile sorriso l’uomo alato, chinando il capo.

“Va bene”, concordò il mezzo uomo, voltandosi ed avanzando verso un’altra parte del campo di battaglia, diretto verso altri nemici, mentre Axar già si rialzava in volo, puntando nuovi nemici.

 

Anche Atanos avanzava con passo deciso fra i soldati della Lutibia, colpendolo con veloci fendenti, così da dividere a metà i loro corpi, dandogli una morte certa e veloce. Spesso alcuni soldati tentavano di ferirlo, ma con vani risultati, giacché le ferite si richiudevano subito sulla pelle dell’Immortale. “Avanti, soldati della Lutibia, fatevi pure avanti, non temo nessuno di voi, poiché so bene quanto sia impossibile per un semplice guerriero darmi la morte”, li spronò ad un tratto, trovandosi circondato, ma in quel momento le decine di uomini che lo avevano bloccato da ogni parte si fermarono, chinando quietamente i loro capi per far passare una figura fra loro.

Atanos vide un uomo farsi avanti, coperto da una lunga armatura dorata, armatura con spalliere a forma di leoni ed artigli per coprire le braccia, mentre una maschera, simile ad un guanto che si poneva sul volto, nascondeva il viso di questo nuovo giunto, la cui corazza integrale sembrava difendere interamente il corpo.

“Sembri sicuro di te, guerriero”, osservò il nuovo giunto, notando la lunga spada di Tomatos nelle sue mani, “l’uomo con la spada lunga d’argento”, ridacchiò fra se, prima di fermarsi a guardarlo negli spenti occhi. “Immagino tu sia uno dei Naviganti”, continuò poi il nuovo giunto, “Si, sono Atanos, uno degli Arvenauti”, replicò l’Immortale, “L’essere senz’anima che Sade maledì millenni fa, dovevo aspettarmi una creatura così oscura e potente”, rifletté l’altro, “Tu chi saresti per criticarmi? Un demone dalla corazza d’oro?”, continuò Atanos, “No, sono Aristos, principe di Lutibia e primo generale dell’esercito di mio padre”, si presentò il primogenito di Priaso, estraendo una spada dal fodero. Era un’arma bellissima, con la corta lama propria delle spade dell’Oleampos, ma con l’impugnatura dorata a forma di leone e la lama che sembrava fatta del medesimo metallo, ma di certo più resistente del normale oro.

“Questa è dunque l’armatura sacra a Porian che avevo intravisto? Davvero bella, ma inadatta per chi serve quelli dell’Idra Nera”, lo criticò l’Immortale, “Non so di cosa tu stia parlando”, ribatté in fretta Aristos, “il mio popolo è da sempre fedele a Porian, signore del Sole, non si consacrerebbe mai a servire altri dei, nessuno escluso”, lo ammonì il Principe. “O stai mentendo con abilità, o sei veramente stupido, per non aver notato che non c’è traccia di Porian nel vostro regno, ma l’ombra di quei dannati esseri vi aleggia”, lo accusò Atanos, sollevando la sua spada fra loro con la lunga lama che sola li divideva. Aristos spinse lontano la lama con un veloce movimento dell’avambraccio, coperto dalla corazza, quindi scattò verso il nemico, perforandone lo sterno con la sua spada dorata, “Non ti saresti dovuto avvicinare tanto a me”, avvisò Atanos che con un semplice movimento sollevò la propria lama sulle loro teste, calandola verticalmente fra loro.

Il primogenito di Priaso si salvò allontanandosi dal nemico, mentre il fendente gli recideva parte dell’elmo, mostrandone la guancia sinistra, ora ferita. Grande fu lo stupore dei soldati per ciò che era appena accaduto, ma ancora maggiore fu nel vedere la profonda ferita di Atanos, una ferita mortale, richiudersi subito, lasciando illeso il corpo dell’Immortale.

“Ora attacco io, prepara le tue di difese”, avvisò subito l’Arvenauta, lanciandosi alla carica, ma, quando ormai stava per affondare la spada nel perplesso Aristos, due soldati si posero fra loro, subendo loro l’affondo mortale, “Per Aristos noi viviamo, per lui moriamo”, sussurrò il primo.

In quel momento tutti i soldati che si erano fatti da parte si lanciarono insieme contro Atanos, che, sbalordito, non poté più occuparsi del principe di Lutibia, dovendo bloccare quella valanga di uomini. “Scappi, maestà”, sentì urlare ad un soldato, “lei non può morire su questo campo di battaglia, da lei dipende il futuro della nostra città e patria!”, tuonò prima di cercare di affondare la spada nell’Immortale avversario.

Dopo averne uccisi almeno una dozzina, Atanos si ritrovò nuovamente libero di muoversi e cercò con lo sguardo Aristos, che già si era allontanato, “Non avrai la vita del nostro principe”, sussurrò un soldato agonizzante, “Perché vi siete sacrificati per un singolo uomo?”, domandò l’Immortale, la cui voce atona lasciava intuire lo stupore, “Egli è l’unica luce che risplende ormai nella nostra città, solo per lui viviamo, se si spegnesse, la nostra città cadrebbe nelle tenebre”, balbettò nell’ultimo alito di vita il nemico.

 

Eracles era l’unico, fra i sei Arvenauti, a non aver ancora ucciso nemmeno un nemico, anzi, se Pandora, o gli altri avessero potuto seguirne con attenzione i movimenti, come riusciva a fare Argos, in quel caos, avrebbero di certo notato come la sua forza non si fosse ancora mostrata ai nemici, che il giovane figlio di Urros cercava, al più, di evitare, o di atterrare con pugni dalla violenza irrisoria.

Quando tre soldati, poi, dal mucchio apparvero, lanciandosi contro il giovane Arvenauta, questi li allontanò con un movimento deciso, ma privo di forza, tanto debole da permettere a quelli stessi individui di lanciarsi di nuovo contro di lui, armati di spade. Una folata di vento, però, introdusse il loro arrivo, mentre un bagliore bianco li seguì, raggiungendoli e superandoli, parandosi fra loro ed Eracles, un bagliore che divenne presto un muro di ghiaccio, contro cui i tre cozzarono, trovandosi alle spalle una figura esile di donna, dalle vestigia proprie dei guerrieri di Aven, ma arricchite da un elmo verde, che lasciava appena intravedere gli occhi di ghiaccio di questa guerriera.

Eracles non sentì le parole che i tre le dissero, da dietro il muro di ghiaccio, ma poté intuire quanto gli fossero ostili, giacché si lanciarono subito contro di lei, con le spade sollevate. La guerriera evitò il primo con un elegante movimento laterale, bloccando poi il suo braccio con la semplice mano destra, che brillò di una forte luce bianca, prima che l’arto nemico diventasse di ghiaccio e si staccasse dal resto del corpo, lasciando il soldato monco al suolo.

Gli altri due Lutibiani si lanciarono quindi contro di lei ad elevata velocità, ma la donna sollevò l’ampio mantello che le copriva le braccia e bloccò i due soldati, appoggiando le mani sulle loro teste. Nuovamente il figlio di Urros poté notare quello strano bagliore, prima che le due teste diventassero di ghiaccio, frantumandosi nelle mani della guerriera.

La misteriosa salvatrice si avvicinò quindi ad Eracles, appoggiando la mano sul muro di ghiaccio che li divideva, così da farlo scomparire, “Stai bene, ragazzo?”, fu la sua prima domanda, “Si”, rispose sbalordito il giovane Arvenauta.

“Sei uno dei navigatori chiamati da Re Ruganpos, giusto? Io sono Ebhe, Generale dell’esercito di Aven”, spiegò la guerriera, “Io sono Eracles, uno degli Arvenauti”, si presentò il giovane, “Avevo sentito che fra voi c’era persino il figlio del divino Urros, ma non pensavo fossi tu”, osservò la Generalessa, “comunque, ragazzo, dato che non sembri molto portato alla battaglia, vedi di non allontanarti troppo da me, chiaro?”, ordinò poi, voltandosi e dirigendosi verso la mischia che si era sviluppata poco lontano, subito seguita da Eracles.

 

Iason aveva corso fra le schiere nemiche con movimenti rapidi e decisi, non aveva ancora utilizzato le tecniche apprese durante i lunghi mesi di viaggio, non ne aveva visto il motivo, dato lo stile di lotta dei soldati avversi, tutti armati di spade, o lance, ma, ad un tratto, il Guerriero era stato distratto da un suono lugubre, un suono che ricordava lontano nel tempo, nel giorno in cui era partito da Aven.

Corse fra i nemici l’Arvenauta finché non si trovò dinanzi all’eburnea figura di Orpheus, il Musico, nonché Generale della Lutibia.

Il musico dai bianchi capelli fermò per alcuni attimi la sua melodia di morte, “Che sorpresa trovarvi qui, Naviganti, finora sul campo di battaglia non avevo notato nessuno di voi, quindi avevo pensato ad una falsa notizia trapelata fino a noi, invece ci siete. O almeno ci sei tu, Guerriero di Aven, dimmi i tuoi sei compagni sono anche qui?”, domandò Orpheus, scambiando uno sguardo con il nemico, prima di ricominciare a suonare la sua nera arpa, “Purtroppo uno di noi è caduto, in terre lontane, ma non è della dipartita del nostro Navigatore che devi preoccuparti, Generale Oscuro, bensì per la tua, che arriverà lesta, come i miei colpi”, avvisò Iason, lanciandosi in avanti.

La musica di Orpheus divenne più frenetica mentre dei cadaveri si paravano fra i due nemici, bloccando i movimenti del secondo, “Mi dispiace che abbiate perso Odisseus, era un uomo dall’elevato intelletto, immagino sia caduto per qualcosa di imprevedibile, ma che sia morto da eroe”, osservò il Musico, “Non riuscirai a farti risparmiare con queste parole gentili”, avvisò l’Arvenauta, prima che il suo corpo iniziasse a risplendere e lui, con movimenti velocissimi roteasse su se stesso, lanciando lontani in cielo i corpi senza vita, che si schiantarono poi al suolo, a diversi passi di distanza.

Orpheus sembrò sorpreso da quella nuova forza del suo nemico, “Sei diventato abile, Guerriero di Aven, più di quanto ricordassi, ma ora non è ancora venuto il tempo che io perda la vita, seppur sarà forse l’unico modo in cui riavrò ciò che ho perso. Per ora ti saluto e ti presento nuovamente le mie condoglianze per la vostra perdita”, concluse il Musico, mentre altri cadaveri si ponevano fra i due, bloccando Iason, sbalordito dallo sguardo del suo nemico che trovò cupo, non più malvagio quando si incontrarono la prima volta, ad Aven.

 

La battaglia andò avanti per molte ore, ore interminabili in cui diversi soldati morirono, uccisi da altri soldati, o dagli Arvenauti, o dai Generali dei due schieramenti, finché, verso la quarta ora del pomeriggio, un cupo suono echeggiò in tutto il campo di battaglia.

“Che succede?”, domandò Eracles, “Questi sono i corni della ritirata. Ormai la quarta ora del giorno è passata, ben presto farà troppo caldo per resistere con le corazze in corpo e soprattutto arriverà il tramonto, dopo il caldo e con la notte le schermaglie finiscono, mentre gli Spazzini, coloro che recuperano i morti, passano sul campo di battaglia. Per ora ci ritiriamo, portando via i feriti”, spiegò Ebhe, Generalessa di Aven, prima che le truppe si allontanassero in modo meno scomposto, dirette verso i relativi accampamenti, come i guerrieri di Lutibia erano diretti nella loro città.

Il primo giorno di guerra degli Arvenauti era ormai finito.