Capitolo 70: Tre giorni di guerra

 

Il secondo giorno di guerra arrivò per gli Arvenauti.

Acteon fu il primo ad alzarsi dei sei e con suo grande stupore, mentre aspettava i propri compagni, vide uscire Argos dalla tenda di Ebhe. “Buongiorno”, lo salutò semplicemente il Guardiano, con un sorriso che mai aveva visto disegnato sul suo volto, “Buongiorno”, ripeté perplesso il Cacciatore, poco prima che anche gli altri quattro compagni fossero in piedi.

La mattinata passò in silenzio per i sei, ognuno aveva i propri pensieri e dubbi e quel silenzio continuò fino al suono che invocava l’adunata a cui, questa volta, gli Arvenauti parteciparono.

Hadon aveva richiamato tutti i soldati dinanzi a se, “Salve a tutti, guerrieri di Aven e di Tryo, sentite che oggi gli dei vi sono avversi o amici?”, domandò il Generale con voce sicura, mentre Axar ed Ebhe osservava l’esortazione in silenzio, “Io li sento amici, quindi, spero che lo stesso valga anche per voi, poiché oggi desidero che quelle mura, le stesse che per secoli hanno difeso la Lutibia, cadano, quindi, soldati, mettetecela tutta!”, tuonò il guerriero, sollevando le sue due spade al cielo.

I sei Arvenauti si riunirono mentre le truppe avanzavano verso il campo di battaglia, “Dobbiamo trovare un modo per entrare nella città”, esordì Argos, “avete qualche idea?”, domandò poi, “L’unica che mi viene in mente è avanzare fin sotto le mura”, rispose Atanos, “Si può fare, ma non so quanto sia pratico, dato il gran numero di nemici che ci troveremo sulla nostra strada. Ad ogni modo, dividiamoci sul campo di battaglia, ma non del tutto, resteremo a coppie, ognuno avanzerà nella direzione di uno dei tre generali, così da aver sempre dei soldati vicini, se serve”, suggerì il Guardiano, “Bene”, concordarono ad unisono Acteon, Iason e Pandora.

“Atanos, Acteon, voi andrete insieme alle truppe di Hadon, Pandora ed Eracles con Axar, Iason, noi seguiremo le truppe di Ebhe, bene?”, domandò Argos, rivolgendosi ai compagni, “Bene”, risposero uno dopo l’altro i cinque Arvenauti, prima di giungere al campo di battaglia.

 

Con rapidità Atanos ed Acteon si fecero spazio fra i primi nemici che gli si avventarono contro, l’uno con gli artigli, l’altro con la spada, avanzavano, dilaniando e tagliando tutto ciò che si trovasse dinanzi a loro, fino a raggiungere Hadon. Il generale era intento a dilaniare con le due spade i nemici, “Siete davvero abili”, esordì ad un tratto, quasi fermandosi per complimentarsi, “specialmente tu, Immortale, con quella magnifica spada d’argento”, osservò, rivolgendosi ad Atanos, “Non è argento, questa è stata fatta con un materiale sacro, il Tomatos, con quest’arma combatto perché donatami da un uomo di cui ho preso la vita, ma a cui ho tornato la libertà”, spiegò l’Arvenauta, uccidendo con un fendente un nemico, mentre altri tre si avvicinavano al Generale ed ai suoi due interlocutori.

“Che ne dite di perderci dopo in chiacchiere?”, domandò allora il Cacciatore, evitando il fendente di uno dei nemici e conficcando la mano destra nel petto del malcapitato, dilaniandolo mortalmente, “Si, hai ragione”, concordò Hadon, lanciando una delle sue spade nel ventre di un altro dei Lutibiani, mentre il terzo cercava di ferire Atanos, inutilmente, per poi essere da lui ucciso con un singolo colpo.

La lotta fu però interrotta da una melodia, una triste requiem che richiamò alla vita i tre nemici appena uccisi, bloccando i movimenti di Hadon ed Acteon, “Eccolo, finalmente”, esordì Atanos, voltandosi indietro, da dove vide arriva Orpheus.

“Uno dei tre Generali della Lutibia”, esordì il Generale di Aven, “Si, Orpheus, il Musico Oscuro”, lo riconobbe Acteon, mordendo il braccio di uno dei nemici morti, così da strapparglielo, “Il Cacciatore e l’Immortale, insieme ad uno dei miei nemici di parigrado, sono sorpreso di vedervi tutti assieme, vi sapevo tre solitari indipendenti”, osservò il triste nemico, continuando la sua cupa melodia.

“Siamo cambiati da quando ci hai visto partire da Seev”, avvisò Atanos, sollevando la spada in posizione di guardia, “Ora l’uno chiama l’altro amico, e viceversa”, continuò Acteon, con gli affilati artigli pronti a colpire. E così fu, i due si lanciarono insieme contro il nemico, con furia e determinazione, ma altri cadaveri li fermarono, bloccando i loro movimenti, “Sembra che entrambi abbiate trovato qualcuno che come voi condivide un peso enorme per la sua singola persona, oltre che altri individui maledetti, ne sono lieto per voi, ma non vi basterà per batterci”, avvisò il Musico, allontanandosi.

“Stramaledetto, musicista”, ringhiò Acteon, liberandosi dai cadaveri, “sempre a farsi scudo con i morti”, continuò, “Vero, ma adesso la sua musica è più cupa, una tristezza senza pari ora lo schiaccia, almeno così sembra, malgrado il suo aspetto sia ancora lo stesso”, osservò Atanos, liberandosi a sua volta e tornando verso il centro della battaglia con il compagno ed il Generale che osservava in silenzio.

 

Axar dall’alto avanzava, uccidendo ogni nemico si mettesse sulla sua strada e colpendo con attacchi decisi chiunque lo sfidasse con archi e frecce, ma nel frattempo vedeva anche sul terreno una coppia di formidabili alleati farsi avanti: Eracles e Pandora.

La Signora del Nero Sciame avanzava decisa fra i soldati avversari, i suoi passi erano certi e quieti, ogni volta che qualcuno tentava di fermarla gli oscuri insetti venivano liberati per abbattere quel nuovo nemico, ma per il resto, lei rimaneva nella sua forma umana, per restare vicina al giovane figlio di Urros, che sembrava più determinato del giorno prima. Eracles, infatti, combatteva con tutta la forza che sembrava possedere, scagliando i nemici distanti di diversi passi con dei semplici pugni, ma senza ucciderli, con la stessa forza e determinazione che gli erano stati propri prima di arrivare presso i Cancelli Celesti. La potente avanzata dei due, però, fu fermata da una singola figura, brillante di luce dorata, “Costui è un dio?”, domandò sbalordito Eracles, “No, sono solo Aristos, primogenito di Priaso e principe di Lutibia”, esordì il guerriero dalle brillanti vesti, “e voi chi siete?”, incalzò poi, “Il mio nome è Eracles e sarò io il tuo nemico”, replicò prontamente il figlio di Urros, sbalordendo la stessa Pandora, che nemmeno poté presentarsi.

Subito il giovane si lanciò all’attacco, con un potente pugno raggiunse la spalliera destra dell’armatura d’oro, gettando indietro il Principe di Lutibia. “La tua forza è senza pari, ragazzo, da dove ti proviene? Che maledizione ti diede tutto questo potere?”, domandò Aristos, rialzandosi, “La mia nascita mi ha dato questo potere, sono figlio di Urros, seppur nato da donna mortale”, spiegò Eracles, pronto alla lotta, “Figlio del Supremo Urros?”, balbettò il Principe di Lutibia, “Sì”, rispose l’altro, mentre un triste sorriso si dipingeva sul viso del primogenito di Priaso.

“Forse anche gli dei ci sono contro se tu combatti con Aven, ma questo poco importa, poiché devo salvare la mia gente, perciò, ragazzo, appena vedrai tuo padre chiedigli di perdonarmi perché oggi alzo la mia spada contro di te”, tuonò con voce rammaricata Aristos, sbalordendo lo stesso Eracles, che mai avrebbe creduto un suo nemico così fedele agli dei e pieno di onore.

I movimenti del Principe furono fulminei e probabilmente il giovane Arvenauta ne sarebbe stato ferito se Pandora non fosse intervenuta, rigettando indietro il nemico, “Mi dispiace intromettermi tra voi, nobili guerrieri, e disturbare il grande scontro che si sarebbe prospettato, ma non posso permetterti, Principe di Lutibia, di ferirlo”, esordì la Signora del Nero Sciame.

Aristos si rialzò in piedi velocemente e scrutò con attenzione la donna che si parava ora dinanzi a lui, “Pandora, colei che aprì il Vaso, giusto?”, domandò allora, sollevando la spada in posizione di guardia, “Esatto, e se mi conosci sai anche che maledizione mi fu legata, quindi vattene, poiché non ho intenzione di ucciderti, dopo il rispetto che hai avuto per Eracles, rivolgendogli delle parole degne di un figlio di Urros, parole che mai nessuno gli aveva detto”, sentenziò l’Arvenauta, sbalordendo, stavolta, il suo nemico.

Aristos guardò i due avversari che si era trovato dinanzi e ritrasse la spada dorata, “Non avrei mai pensato che voi Arvenauti foste uomini dal così grande onore”, sussurrò, prima di spostarsi, ritornando verso il centro della battaglia.

Pandora si voltò quindi verso Eracles, “Va bene?”, domandò la Signora del Nero Sciame, “Va bene”, rispose sorridente il giovane figlio di Urros, prima che dei nuovi soldati nemici interrompessero i sorrisi fra i due.

 

Anche Argos ed Iason, avvicinatisi ad Ebhe, erano nel mezzo di una battaglia, uno scontro con le fiamme viventi che Pirros aveva richiamato a se, bruciando i corpi di alcuni soldati Avenui.

“Ardete, maledetti Arvenauti, che possiate bruciare così che anche i vostri cadaveri diventino degni servitori della mia grandezza!”, tuonò furioso il Generale della Lutibia, spingendo i nemici verso una zona a dirupo sul mare, proprio sul lato esterno della città di Passis.

“Se andiamo avanti così non potremo certo fermarli tutti”, urlò dopo alcuni minuti Ebhe, che continuava a combattere, congelando ogni avversario le si avvicinasse, “Lo so, ma cosa suggerisci?”, tuonò in tutta risposta Argos, atterrando altri due nemici con una veloce rotazione del bastone che utilizzava per combattere, “Io suggerisco di eliminare quel dannato generale”, incalzò allora Iason, lanciandosi in avanti con movimenti velocissimi.

La Generalessa ed il Generale nemico furono entrambi sbalorditi da ciò che videro, la velocità a cui si muoveva il Guerriero di Aven era innaturale, la stessa che aveva mostrato altre volte dopo gli addestramenti di Odisseus, pensò Argos, ma che i due non avevano ancora visto in azione. Fu con quella incredibile velocità che Iason spense con abili pugni tre torce animate per poi raggiungere il nemico e colpirlo allo sterno con un diretto che lo lanciò indietro di decine di passi.

Pirros, però, si rialzò subito, con la corazza in pezzi, “Vuoi il gioco pesante, soldato? Lo avrai”, ringhiò il Generale, gettando tre piccole fiale al suolo e respirandoci sopra, così da accendere delle gigantesche lingue di fuoco che corsero veloci e letali contro i tre nemici.

“Presto spostatevi”, ordinò Ebhe, mentre una barriera di ghiaccio si posizionava dinanzi a lei, difendendola dalla lingua di fuoco. Subito Argos, vedendo il fuoco, si lanciò lateralmente, ma nessuno lo notò, poiché entrambi i generali furono distratti da Iason che, fermo nella posizione in cui era, chiuse gli occhi e cercò la concentrazione che più volte aveva trovato nei momenti di addestramento, così il Guerriero ritrovò il controllo mentale sull’Essenza che lo circondava e da lui scaturì qualcosa di molto simile ad una folata di vento, che subito spense il fuoco nemico, abbattendosi come feroce tormenta e gettando indietro Pirros, che subito si nascose fra le file Lutibiane.

“Sorprendente, vero Argos?”, balbettò Ebhe, prima di notare che il Guardiano non era più sul terreno, “Argos!”, urlò la Generalessa, mentre Iason riprendeva coscienza di ciò che accadeva intorno a lui.

“Sono qui”, sentì urlare il Guerriero di Aven, prima di raggiungere la sporgenza che dava sul mare, lì si trovava Argos, appeso nel vuoto e sostenendosi solo con il proprio bastone da una piccola cavità nella roccia. “Aiutatemi”, chiese l’Arvenauta, prima che il suo compagno di viaggio gli porgesse delle lunghe catene, così da permettergli di sostenersi a quelle mentre lo risollevava. Solo all’ultimo Argos sembrò avere un attimo di perplessità, quasi che qualcosa lo fermasse, ma poi completò la scalata, ritornando sul campo di battaglia.

Così il secondo giorno di battaglia dei sei Arvenauti continuò, concludendosi ancora lontano dalle mura della capitale Lutibiana.

 

Nella notte i sei preferirono andare a riposare dopo il resoconto dinanzi a Re Ruganpos, senza parlare di possibili strategie, ma osservando, con loro grande stupore i primi anticipi di quello che sembrava preannunciarsi come un acquazzone.

Il giorno dopo, infatti, una forte pioggia torrenziale evitò lo scontro.

I due eserciti rimasero nei loro territori, ognuno ad elaborare dei piani. Gli Arvenauti ed i Tre generali di Aven e Tryo parlarono per diverso tempo, senza però arrivare ad alcuna soluzione, nessuno di loro aveva qualche piano, seppur Argos sembrava molto interessato, notarono poi i suoi cinque compagni, alla geografia della costa e dell’intera zona circostante Passis.

Nemmeno nella capitale del Regno di Lutibia si realizzò alcun piano, i cinque Custodi rimasero intorno a Cassandra, che notarono più agitata dei giorni precedenti, mentre ognuno dei generali passò il tempo come meglio credeva: Orphues rimase nelle proprie stanze, a pregare dinanzi alla figura funeraria, Pirros, dopo un breve e poco esaustivo resoconto ad Axides tornò nelle proprie stanze ed Aristos rimase vicino alla moglie ed al figlioletto in quell’unico e raro giorno che gli era stato concesso per la propria famiglia.

 

La mattina dopo, però, tornò il sole sulle coste della Lutibia. L’esercito reale era già pronto alla lotta, lo stesso Aristos aveva fatto preparare le sue truppe dentro la città, mentre Pirros ed Orpheus osservavano la scena in silenzio, ma accadde un fatto inaspettato: improvvisamente apparve uno dei cinque Custodi di Cassandra.

“Mio Principe”, esordì il guardiano dalle ampie vesti rosse con una fiamma, “Dimmi, Caio”, replicò con attenzione il primogenito di Priaso, “Vostra sorella ha supplicato di darvi un consiglio, anzi, una strategia per oggi”, affermò con voce quieta il Custode prima di iniziare ad esporre le idee della giovane figlia di Lutibia.

 

I soldati di Aven, guidati dagli Arvenauti e dai Generali, avanzarono sul campo di battaglia quel mattino, lo trovarono stranamente deserto, il che li sbalordì.

“Argos”, esordì dopo alcuni minuti Ebhe, “dove sono i soldati di Lutibia?”, domandò la Generalessa, “Non ci crederai, ma ci attendono sotto le mura della città”, rispose prontamente l’Arvenauta, mentre gli altri generali si guardavano fra loro perplessi.

Le truppe alleate di Aven e Tryo, però, si fermarono a pochi passi dalle altissime mura, proprio perché videro l’immane esercito nemico che li attendeva, guidato da Aristos ed Orpheus.

Il Principe di Lutibia sollevò la spada dorata, “Arcieri”, sembrò urlare, malgrado non si poterono sentire le sue parole, ma subito dopo, quando calò la lama luminosa, una pioggia di dardi ne seguì, diretta inesorabile e letale contro le armate di Aven, di cui più e più uomini furono colpiti a morte.

Gli Arvenauti si salvarono spostandosi lateralmente e come loro fecero anche i Generali ed alcuni soldati, ma il più dell’armata fu ferito, o massacrato, poco prima che la triste musica di Orphues rianimasse i corpi ormai senza vita, lanciandoli contro quelli che un tempo erano loro compagni.

Gli Avenui ed i loro alleati si trovarono quindi bloccati davanti, sia dai propri cadaveri, sia dalle frecce nemiche, ma grande fu comunque il loro stupore quando dalla montagna apparve Pirros. “Bruciate!”, fu l’unica parola emessa dal Generale Fiammeggiante prima di dar fuoco ai nemici più vicini con fiamme che lentamente si dispersero fra tutti i suoi avversari, bruciandone diversi.

“Hadon, Ebhe, fateli ritirare”, urlò ad un tratto Iason, mentre già l’esercito veniva schiacciato fra quei due assalti, “Noi dobbiamo intanto pensare a fermarli”, esclamò poi Eracles, “E come?”, tuonò allora Acteon, “Ognuno a modo suo, amico mio, ma dobbiamo fermare sia gli arcieri, sia il Musico, sia quel Generale fiammeggiante”, rispose quietamente Atanos, iniziando a decapitare tutti i cadaveri che venivano rianimati dalla musica di Orpheus.

“Ha ragione, a me lasciate il Musico, ma qualcuno mi deve coprire”, esordì subito dopo il Guerriero di Aven, “Vai sicuro, ci sarà io a difenderti”, suggerì Pandora, dividendosi nel Nero Sciame e lanciandosi contro i primi soldati Lutibiani che le si facevano incontro.

“Ragazzo, tu occupati di abbattere quel gruppo di arcieri, trova qualcosa da lanciargli contro. Io penso al fiammifero”, ordinò poco dopo il Cacciatore, lanciandosi verso Pirros.

Eracles si guardò intorno, i soldati Avenui, feriti ed in rotta, si ritiravano guidati dai loro Generali, Atanos e Pandora facevano intanto strage dei nemici non morti e Lutibiani, mentre Argos ed Iason si dirigevano contro il grosso delle armate poste a difesa della città ed Acteon si lanciava contro Pirros; mentre si guardava attorno, il giovane figlio di Urros vide alcuni giganteschi macigni sul terreno, conformazioni naturali di quel terreno roccioso e con ambo le mani ne sollevò uno, facendo leva su tutta la forza che aveva in corpo. “Padre, ti prego, fai che non uccida nessuno”, sussurrò fra se l’Arvenauta prima di lanciare il primo di quei macigni contro le mura di Passis, atterrando alcuni degli arcieri che da lì attaccavano.

 

Acteon si lanciò con un agile salto contro Pirros, ma il Generale lo evitò con facilità, “Sei venuto fin qui per bruciare, mezzo cane?”, domandò divertito il nemico, “No, per farti a fette, a dirla tutta”, replicò con voce decisa il Cacciatore, osservando con sguardo attento ogni movimento dell’avversario.

Pirros attaccò subito, sputando delle fiamme contro il nemico, ma Acteon le evitò con un veloce salto laterale per poi gettarsi contro il Generale avverso che, sollevati tre fili diede loro fuoco, creando una corda fiammeggiante in cui imprigionare l’Arvenauta. Il Cacciatore fu comunque più veloce e con gli affilati artigli recise i fili, provocandosi solo qualche sottile ustione alle mani, quindi con un veloce calcio a mezz’aria produsse una ferita sul volto di Pirros, ferita che, appena apertasi, prese subito fuoco.

“Maledetto”, tuonò il Generale ponendosi una mano sul volto, quindi, diede fuoco al terreno, così da creare un immenso muro fiammeggiante fra se e l’Arvenauta, che fu subito costretto ad indietreggiare, per non essere intrappolato dalle fiamme, così da lasciarsi scappare il nemico.

 

Iason aveva corso con estrema velocità sul campo di battaglia, scattando velocemente verso Orpheus, atterrando quanti più nemici si frapponevano fra loro e colpendo poi il Musico con un potente diretto allo stomaco.

“Sei veloce e forte, Guerriero di Aven, di questo devo darti ragione, ma di certo non vorrai vincermi così?”, domandò Orpheus, prima che alcuni dei soldati che Iason aveva atterrato lo bloccassero di nuovo. “Ti restituisco la domanda, Musico, pensi di poter aver ragione di me così?”, tuonò l’Arvenauta, prima di lanciare in aria in nemici con un veloci movimenti laterali. Uno di questi guerrieri, però, si schiantò contro Orpheus, facendolo cadere a terra e rovinandogli il calzare sinistro. Il Musico dai capelli bianchi si rialzò a stento, “Non ho cadaveri qui vicino, quindi se vuoi eliminarmi, fallo pure”, esordì con voce secca il Generale, prima di notare che Iason osservava sbalordito la sua caviglia, “Non può essere”, si ripeteva più volte il Guerriero di Aven, guardando la strana voglia pentagonale del nemico, “La stella di Mare? Non puoi averla tu!”, ripeteva con voce infuriata, restando immobile dinanzi al nemico.

 

Argos, intanto, si era fermato dinanzi ad Aristos, “Sei un altro degli Arvenauti, giusto?”, gli aveva subito chiesto il Principe di Lutibia, “Si, sono Argos, un tempo primo Guardiano di Lera”, si presentò l’ex semidio, sollevando il bastone dinanzi a se, mentre il suo nemico faceva lo stesso con la propria spada d’oro.

“Non voglio combatterti in questo momento, Principe di Lutibia, sono certo che tu non mi sia nemico per tua volontà, ma soltanto per difendere la tua terra, come sono altrettanto certo che tu, per troppo amore, non abbia ancora capito quale Idra Nera si cela nel castello reale di Passis, la stessa Idra che sta tessendo una tela di morte e distruzione intorno a voi tutti”, spiegò l’Arvenauta, mentre il suo capo si spostava lateralmente verso il mare, “inoltre, il massacro che avevate progettato è andato a segno, ma ormai sarebbe inutile continuare. I miei compagni Arvenauti hanno fermato gli arcieri ed i cadaveri viventi, i tuoi due Generali sono costretti alla resa proprio ora, quindi sii furbo, ritirati per oggi, come già stanno facendo i guerrieri di Aven per cui combatto”, tagliò corto Argos, mentre Aristos lo guardava stupefatto.

Il Principe di Lutibia indietreggiò di alcuni passi, poi, sollevata la spada, guardò tutti i soldati che ancora restavano sul campo di battaglia, “Ritirata!”, tuonò poi, indietreggiando fino alle mura della città.

 

Argos attese ancora alcuni minuti, sempre intento a puntare la costa, anziché la città, quindi si voltò, ricongiungendosi a Pandora ed Atanos, che avevano finito il massacro dei nemici, mentre Iason ritornava indietro perplesso ed Acteon ed Eracles si avvicinavano a loro, l’uno ustionato alle mani, l’altro con una freccia nella gamba.

Una volta ritornati all’accampamento, Argos sorrise ai cinque compagni, “Curatevi e riposatevi, stasera dovremo parlare a fondo con re Ruganpos ed i generali”, esordì l’ex semidio, “Perché?”, domandò Eracles, zoppicante, “Perché ho un piano per espugnare la città”, rispose quietamente il Guardiano, allontanandosi.