Appunti di Psicologia

Copyright 1995-1996-1997 by Dr. Salvatore Manai


GLI STADI DEL CAMBIAMENTO

Intervista a Carlo C. DiClemente

Ph.D. Department of Psychology - University of Houston




Dr. Roberto Ravera (Psicologo - Psicoterapeuta)




Quale è stata l'intuizione fondamentale nella genesi del modello degli stadi del cambiamento?

Quando ero uno studente di psicologia all'Università di Rhode Island, insieme a James Prochaska ci ponevamo il problema di studiare i processi di cambiamento in quanto pensavamo che ci fossero alcuni meccanismi comuni, relativamente a determinati comportamenti, in grado di far convergere le diverse metodologie psicologiche e psicoterapiche (psicodinamiche, comportamentali, cognitive, ecc.). Ho iniziato quindi a fare ricerche sui fumatori, ho cominciato a parlare con loro e ad analizzare attentamente il loro modo di porsi rispetto alla possibilità di cambiare abitudine, raccogliendo una notevole quantità di informazioni sul loro rapporto con il fumo; domandavo quanto fosse importante per loro smettere di fumare e le risposte rimandavano quasi sempre ad una certa variabilità rispetto alla possibilità di cambiare; mi chiedevano: «quando? In questo momento? Quando ero in trattamento? Prima del programma per smettere?»

Abbiamo compreso allora che non esisteva un atteggiamento univoco rispetto alla possibilità di cambiare, ma che dovessero esserci diversi stadi o tempi in cui questi processi di cambiamento sono più o meno importanti ed attivi, ed altri momenti in cui l'individuo non è accessibile al cambiamento. Occorre in effetti dire che già diversi autori avevano parlato delle diverse fasi in cui si può trovare un soggetto con una dipendenza da una sostanza. Per esempio Marlatt (Citare) ha scritto molto sulla fase della ricaduta e sulla sua prevenzione.

E' stato allora, circa quindici anni fa, che io e Prochaska siamo arrivati alla conclusione che fosse necessario pensare non solo a dei processi che servono a modificare il comportamento, ma anche a delle vere e proprie fasi, quelli che poi abbiamo chiamato gli stadi del cambiamento e che adesso sono la parte più conosciuta del nostro modello transteorico.


Che cosa si intende per stadi di cambiamento?

Gli stadi si possono intendere come momenti, con un tempo e una specificità propria, caratterizzati da alcuni processi di cambiamento propri di quella fase. Possiamo paragonarli agli stadi dello sviluppo, in cui ognuno di essi rappresenta un punto ben preciso dell'evoluzione personale; in tal modo è possibile per noi sapere cosa fare per aiutare la persona ad andare verso lo stadio successivo. Evidentemente se questi meccanismi sono correlati al cambiamento è abbastanza logico che sia ben difficile andare ad uno stadio successivo se non si è affrontata adeguatamente la fase in cui si trova il soggetto. Abbiamo imparato a riconoscere quali sono i processi di cambiamento che si devono utilizzare per il passaggio da uno stadio di cambiamento all'altro.


Comunemente i non addetti al lavoro - ma talvolta anche coloro che lavorano con tossicodipendenti - pensano che sia molto difficile, se non quasi impossibile, curare tali soggetti proprio per la determinazione con cui rimangono sedotti dalla sostanza. E' quella che tu chiami fase di precontemplazione, inteso come un periodo poco incline a qualunque cambiamento. Ma è possibile indurre un soggetto a lasciare questa fase?

In questi termini allora credo che non sia solo lo stadio di precontemplazione il più difficile. Credo che anche la contemplazione sia complessa in quanto vi sono tante persone che sono diventate dipendenti da una sostanza (cocaina, eroina, nicotina, ecc.) e da una serie continua di comportamenti e abitudini che sono divenute parte, psicologicamente e fisiologicamente, del loro stile di vita. Ognuno di noi ha sperimentato un comportamento di dipendenza così integrato e strutturato nella propria esistenza e quanto sia veramente difficile cambiare abitudini. Qualche volta, quando si vedono le conseguenze negative, si manifesta il desiderio di modificarsi o si prova a cambiare, ed è in quel momento che le persone si chiedono: «che cosa posso fare?».

Il problema è che si costruisce un vero e proprio adattamento alla situazione di dipendenza in cui non vi è spazio per altri comportamenti e per un cambiamento. Accade durante la vita di questi soggetti che essi siano in uno stadio di precontemplazione in cui non prendono in considerazione nessuna possibilità di cambiamento. Qualche volta essi si accorgono che sarebbe opportuno cambiare qualcosa o non riescono più a sostenere senza conseguenze uno stile di vita così problematico e allora entrano nello stadio di contemplazione. Frequentemente questo passaggio rimane impercettibile e credo che questo accada perché chi passa dalla precontemplazione alla contemplazione, comincia a considerare, con una certa frequenza, gli aspetti positivi e negativi del cambiamento, ma, usualmente, vedendo le difficoltà legate al compito di cambiare, si scoraggia. Ad esempio, lavorando con i fumatori, accade spesso sentirsi dire che un loro conoscente ha 90 anni e ha sempre fumato senza nessuna conseguenza!

La mia considerazione è che vi sia un frequente passaggio da una fase di precontemplazione ad una di contemplazione in cui i soggetti iniziano anche a mettersi alla prova per un cambiamento ma poi recedono ben presto. Vanno avanti indietro in questa scansione, talvolta anche per pochi istanti! Anche per chi si trova nello stadio della contemplazione, credo che il problema della ricaduta consista principalmente nel fatto che costoro avevano preso decisioni superficiali e non ancorate a convinzioni solide all'interno della loro vita. Se un individuo non svolge il lavoro proprio della fase della contemplazione il suo cambiamento spesso sarà solo un tentativo maldestro senza che però vi sia una reale possibilità di modificare la sua dipendenza.

Anche durante lo stadio di determinazione vi sono persone che dicono di voler fare un programma di cambiamento; ad esempio possiamo pensare che un tossicodipendente che entra in ospedale per un programma di disintossicazione sia nello stadio dell'azione, ma egli non è in azione, egli è in determinazione e si può credere che sarà in azione solo quando uscirà dall'ospedale e dovrà affrontare tutte le tentazioni, le responsabilità e le difficoltà della vita.

Ecco l'importanza della determinazione: la capacità di fare un piano, un progetto che almeno offra una possibilità di riuscita. Ad esempio, vi può essere un cliente che viene nel nostro ambulatorio per smettere di far uso di cocaina; egli appare determinato su questa richiesta, però poi afferma di non voler lasciare il proprio ambiente, le proprie compagnie e amicizie, e intende continuare a frequentare locali malfamati e a non cambiare il proprio stile di vita. Non credo che questo sia un piano solido, ritengo invece che questo condurrà facilmente al fallimento e alla ricaduta. Allora in azione è necessario un lavoro dove principalmente si deve interrompere l'uso di droghe, ma occorrono soprattutto delle strategie che suppliscano al vuoto che l'abitudine alle sostanze ha lasciato.

Questa capacità di "sostituzione" ci offre un valore predittivo sulla capacità di portare a termine il programma di cambiamento. Quando si entra nello stadio di mantenimento è in atto uno sforzo che non può essere sottovalutato solo per il fatto che il cliente non usa più sostanze: il rischio di ricadute è frequente nel caso di soggetti che in questa fase sottovalutano il problema e hanno troppa fiducia nella propria volontà di smettere.

Quando ho iniziato il mio programma di ricerca sul fumo ho potuto constatare come vi siano stati dei soggetti che, pur avendo intrapreso dei programmi di interruzione da molti mesi, avevano ricominciato in occasione di incidenti o di avvenimenti stressanti. Ad esempio uno di costoro aveva deciso di ricominciare a fumare quando accompagnò la moglie al pronto soccorso dopo un incidente. Egli mi disse che lui poteva non fumare se non avesse avuto dei problemi ma non nel caso in cui il livello di stress fosse troppo elevato. Un altro individuo che era da sette anni astinente dal fumo mi disse di aver veramente capito che non avrebbe certamente più fumato quando, dopo aver corso un grave rischio per un incidente stradale, scoprì che nemmeno questo evento l'aveva indotto a riprendere la vecchia abitudine. Egli è indubbiamente in quella che si può definire fase terminale del programma di cambiamento.


Quali sono i corretti criteri d'interpretazione dello stadio della ricaduta?

Dopo molte ricerche noi adesso stiamo pensando che la ricaduta non è uno stadio vero e proprio ma è un evento che accade nella storia del cliente. La persona che sta provando a fare un programma terapeutico e che quindi è nello stadio dell'azione e, improvvisamente ricomincia ad usare sostanze per uno, due, tre giorni e successivamente ritorna in programma, crediamo che questo sia ancora riferibile allo stadio dell'azione. Una specie di incidente che provoca uno scivolamento temporaneo all'uso di sostanze, un po' ciò che ha descritto Marlatt nei suoi studi sulla relapse.

Occorre comunque distinguere tra una ricaduta vera e propria nell'uso di sostanze come prima del programma terapeutico e uno "scivolone" temporaneo. Il problema che alcune volte notiamo con programmi come quelli proposti dagli Alcolisti Anonimi (AA) o i Narcotici Anonimi (NA) è che loro pensano che ogni singola assunzione sia paragonabile ad una ricaduta: io credo che questo sia difficile da sostenere. Vi sono casi come, ad esempio, le diete alimentari, in cui alcuni soggetti che per un solo giorno mangiano più di quanto è loro concesso e a quel punto si sentono motivati ad interrompere la dieta in quanto oramai è infranta la regola concordata con il medico e con se stessi. Ancora una volta occorre vedere ciò che sostiene Marlatt a proposito.

Non è una ricaduta o un fallimento e pertanto non è necessario che il cliente debba ricominciare dall'inizio il programma. Possiamo intendere che vi sia uno spazio fisiologico nello stadio dell'azione in cui la ricaduta sia un normale processo di riadattamento alla normalità. Ma quando una persona scivola molto frequentemente nell'uso di sostanze stupefacenti o alcool o sigarette non è nella fase di ricaduta, in realtà egli torna ad uno stadio precedente: ad esempio in quello di precontemplazione o di contemplazione o di determinazione.

Questo è il problema di molti programmi di trattamento. Negli USA vi sono strutture terapeutiche che sostengono che se il cliente abbandona il programma egli non può più tornarvi - se non dopo molto tempo - in quanto non sono ancora pronti e motivati! Essi non riescono a comprendere la portata del percorso di cambiamento ed in effetti si riducono a fare delle affermazioni assolutamente immotivate e senza un valido criterio scientifico. La ricaduta è importante all'interno del processo di cambiamento ed è per tale motivo che occorre spiegare all'utente e alla sua famiglia come questo momento faccia parte del processo di cambiamento.


Anche in Italia assistiamo spesso a una certa forma di pregiudizio clinico nei confronti della ricaduta: per molti la sua gestione appare insostenibile. Perché?

Mi pare che frequentemente non solo la gente comune ma anche molti addetti ai lavori vedono la dipendenza come correlata a due opzioni ben distinte: o il soggetto è dipendente o non è dipendente. Una specie di bipolarità in cui o si sta di qua o si sta di là e questa è una visione poco dinamica; il modello degli stadi del cambiamento indica che non vi sono due poli o due mondi contrapposti dove non si possa stare nel mezzo, ma semmai vi è un processo di definizione attraverso cui passa l'individuo nel suo entrare nella dipendenza, e altrettanto accade per uscirne: non devono esistere rigidi compartimenti perché non fanno altro che far violenza alla persona.


Eppure, ritorno ancora a questo concetto, nella cultura sociale la tossicodipendenza viene ancora vista come un male quasi inguaribile in cui l'unica speranza viene vista in quell'isolamento elettivo, non sempre dinamico, che è la comunità residenziale. Perché questo pessimismo, questa difficoltà a trattare la tossicodipendenza come qualunque altra patologia seppure con un grado elevato di aspetti sociali?

Non vi è una persona che non conosce direttamente o indirettamente - ad esempio in famiglia - un problema di dipendenza. Io cerco di spiegare il significato del cambiamento dicendo che la dipendenza non è un fenomeno strano, assurdo, ma che è presente in molte circostanze e in diverse modalità. Che non vi è una particolare personalità tossicomanica associabile a chi diventa dipendente. Tutti possono diventare tossicodipendenti da una qualunque sostanza ed è per questo che io cerco di spiegare che il processo di cambiamento può riguardare ogni persona.

Qui negli Stati Uniti noi tendiamo a condannare l'uso di droghe illegali, eppure tolleriamo la vendita di alcolici: noi siamo una cultura che crede fortemente alle droghe! Siamo sempre alla ricerca della sostanza che ci darà la soluzione per ognuno dei nostri problemi: se siamo depressi, se siamo grassi, ecc. In questa società perché è così strano vedere persone che vanno alla ricerca di cocaina o eroina per cercare di stare bene? Essi cercano una risposta per la vita.


Dagli stadi del cambiamento, che sembrano disegnarci una mappa del percorso dinamico, ritengo sia opportuno che tu ci possa spiegare ciò che cosa intendi per Processi di Cambiamento. In altre parole è possibile forzare il cambiamento in un individuo?

Noi parliamo di cambiamento intenzionale. Per fare un cambiamento come quello che intendiamo, noi dobbiamo capire che ci sono persone che non vogliono sentirsi dire di dover cambiare e che cosa devono fare per realizzare tale intento. E questo è ancor più vero con gli adolescenti che esprimono una naturale opposizione verso i genitori e verso la società. Quest'ultimo aspetto trova il suo significato nella genesi dell'individualità e nella nascita di una identità personale dotata di una propria intenzionalità.

Le persone vogliono poter decidere che cosa fare. L'approccio motivazionale dice che noi dobbiamo iniziare a lavorare con le persone nello stadio in cui si trovano, con la considerazione e il vissuto che essi hanno di se stessi. Per esempio io posso sostenere molti motivi per cui un cliente debba smettere di far uso di cocaina, ma sono le mie ragioni e non quelle del cliente. Noi dobbiamo cominciare a vedere nella vita degli adolescenti quali sono i bisogni che esprimono, senza continuare a dire che questo non si deve fare perchè non si deve fare, in quanto così facendo, fra l'altro, noi rendiamo più attraente ciò che è proibito; inoltre essi vedono molto bene gli aspetti positivi perché stanno intorno a loro a scuola, con gli amici, nel loro quartiere, ecc.

Proprio nel tentativo di non operare nessuna forzatura, noi abbiamo identificato l'idea di far lavorare il cliente su quella che si può ritenere una bilancia decisionale, dove egli pesa gli aspetti positivi e negativi. A seconda di dove pende questa bilancia decisionale sarà il cliente ad operare una scelta. E' importante entrare nel "bilancio decisionale" delle persone con cui dobbiamo lavorare. Per questo si utilizzano dei Processi di Cambiamento. All'interno di questi 10 processi occorre sottolineare quelli che hanno una connotazione cognitivo-esperienziale, in quanto sono importanti nei primi stadi di precontemplazione e contemplazione. Ad esempio il processo di auto rivalutazione appare fondamentale perché questo è il processo in cui la persona sta pensando ad un cambiamento ma, affinché sia veramente possibile, è necessario che questo movimento sia veramente personale e individuale.

Liberazione personale, Aumento della consapevolezza e Rivalutazione di sé, sono i primi passi nei processi di cambiamento in cui si muove il soggetto. Anche l'Attivazione emozionale appare importante in quanto io vedo spesso, ad esempio, come ci siano persone che associano aspetti emotivi differenziati in relazione a ciascun tipo di droga.


Proprio in relazione a quest'ultimo processo di cambiamento, come è possibile aiutare persone che dopo molti anni di dipendenza dalle sostanze hanno maturato un forte blocco emotivo e una alexitimia marcata?

Ad esempio quando noi abbiamo studiato il processo di rivalutazione di sé, abbiamo inizialmente pensato che esso fosse un aspetto maggiormente cognitivo, ma ci siamo accorti che non era vero. E' composto da una parte cognitiva e da una parte emozionale, in quanto in tale processo si fa una rivalutazione personale non solo sui fatti cognitivi ma anche sugli aspetti affettivi ed emozionali. Ne abbiamo verificato la realtà su molti casi di dipendenza. Ad esempio ricordo un soggetto che fumava da vent'anni e stava pensando di interrompere senza però prendere mai una decisione. Un giorno mentre stava fumando tenendo in braccio sua figlia piccola finì con il procurarle una accidentale bruciatura ad un braccio: quell'avvenimento, così casuale e imprevisto, provocò un forte contagio emozionale, facendo pendere la bilancia decisionale a favore di un cambiamento e quindi il passaggio alla stadio dell'azione.

Così anche l'uso dello psicodramma tra i soggetti che fanno uso di alcolici: molti di essi sono perfettamente in grado di elencare tutti gli aspetti contingenti ed emozionali che sono correlati con la loro esperienza di dipendenza alcolica. Ma questa elencazione è arida, fatta con la testa e non con aspetti realmente profondi. Occorre quindi prendere queste emozioni pure e aiutare il soggetto a spingerle verso la rivalutazione di sé, definendo i sentimenti reali nei riguardi del proprio problema. Allora è giusto pensare che vi sia un lavoro incrociato tra il processo di Attivazione emozionale e la Rivalutazione di sé, conducendo ad uno spostamento del soggetto verso lo stadio dell'azione e del mantenimento.


Vorrei che ci aiutassi a chiarire il significato del termine "Transteorico", che appare così importante nel tuo modello.

Il nostro approccio è integrativo, proviamo cioè ad essere eclettici, nel senso che intendiamo utilizzare i concetti e le metodologie veramente significative dei vari modelli psicoterapeutici; fin dall'inizio noi abbiamo cercato di integrare i diversi aspetti, le diverse prospettive e le teorie più specifiche della psicoterapia.

Per questo abbiamo parlato di transteorico, ma credo che tale concetto, questa prerogativa, senza un modello, una struttura, non vale molto, in quanto non è possibile capire quali siano gli interventi necessari a determinare un cambiamento nel soggetto. Pertanto il modello degli stadi del cambiamento ci offre la possibilità di definire la dinamica interna del rapporto che il soggetto stabilisce con la sostanza e con il cambiamento all'interno del comportamento umano.


In altre parole, vuoi intendere che è possibile utilizzare diversi tipi di approcci psicoterapici a seconda dello stadio in cui si trova il soggetto?

Esatto. Ognuno ha la sua validità. Per esempio l'approccio psicodinamico non è un approccio utilmente applicabile allo stadio dell'azione, ma veramente specifico per lo stadio di contemplazione. Freud infatti sosteneva che quando si è in analisi non si deve cambiare: non si deve lasciare il lavoro, non si deve lasciare la moglie, ecc. Egli ha elaborato un programma di psicoterapia che è valido per uno stadio in cui il soggetto pensa e valuta il cambiamento, ma ancora non mette in atto nulla di specifico per cambiare

Vi sono persone che in maniera valida hanno compreso se stessi molto meglio dopo l'analisi: io ho conosciuto molte persone che dopo 6/7 anni non avevano evidenziato nessun cambiamento, però loro parlavano con un buon insight della loro vita! L'approccio comportamentista, in particolare di Skinner, è una metodologia che prevede l'azione e il mantenimento: egli sostiene la non importanza di ciò che il paziente pensa; l'unica cosa che importa sono i correlati del comportamento e il rinforzo dei comportamenti positivi. Quando non è possibile ottenere il controllo del rinforzo occorre avere la volontà del paziente per un cambiamento intenzionale. Non sempre questo può essere possibile: però con il modello degli stadi e dei processi di cambiamento possiamo mettere diverse teorie in coabitazione e utilizzarle nell'ambito di un progetto di cambiamento.

Nel modello transteorico vi sono compresi gli stadi, i processi e i livelli. E' una struttura simile ad una lente con cui è possibile vedere più chiare le cose. L'approccio motivazionale di Miller e Rollnick è un valido metodo psicologico per osservare e capire in quale punto sia il cliente rispetto agli stadi. Tale approccio è molto importante per i primi stadi, quando il paziente è in una fase di grossa indecisione, ma occorre anche dire che se non vi è la capacità di indurre il paziente ad essere assertivo, di rilassarsi e di parlare insieme agli altri, diventa molto difficile determinare una motivazione valida al cambiamento. Miller sostiene il contrario, cioè che si possa fare qualcosa anche per coloro che oppongono una forte resistenza al cambiamento. Io ritengo, come già affermato precedentemente, che comunque l'approccio motivazionale sia molto importante specificatamente nei primi tre stadi del cambiamento. Però quando si arriva allo stadio dell'azione occorre supportare la motivazione e l'impegno della persona, trovando anche l'abilità di capire e vedere se egli ha la capacità di fare le cose importanti per cambiare e trovare delle nuove strategie.


In questo senso quali sono le prospettive future di ricerca e di approfondimento relativamente agli stadi del cambiamento?

Occorre capire quali sono le cose veramente importanti per il cambiamento e avanzare nella conoscenza e l'approfondimento degli stadi. Noi stiamo facendo delle ricerche per capire quello che si può esprimere con l'espressione inglese: "doing the right thing at the right time" (fare la cosa giusta al momento giusto). In altre parole si è notato che le persone che hanno avuto più successo nell'interrompere il fumo di sigarette erano coloro che nello stadio di contemplazione e di preparazione hanno utilizzato maggiormente dei processi cognitivi piuttosto che approcci di natura puramente comportamentale. Nello stadio dell'azione, al contrario, si è notato che i processi maggiormente utilizzati erano più sul versante comportamentale che sul piano cognitivo. Le persone che hanno modificato il tipo di approccio a seconda dello stadio in cui si trovavano, hanno avuto dei risultati migliori rispetto a coloro che hanno sostenuto lo stesso tipo di approccio per tutto il trattamento Quindi anche noi dobbiamo imparare a fare la cosa giusta al momento giusto.


Quali altre patologie vedi interessate al modello degli stadi del cambiamento?

Io credo che è possibile utilizzare questo modello dove è necessario avere un cambiamento intenzionale. Indubbiamente è difficile pensare di poter utilizzare tale modello su soggetti che presentano disturbi di tipo psicotico, dove vi è una patologia nell'ideazione e disturbi del pensiero. Noi stiamo utilizzando questo modello, ad esempio, nei disturbi comportamentali degli adolescenti. Stiamo osservando in quale stadio sono i genitori e osservando quali sono i cambiamenti necessari e se essi sono pronti a tali cambiamenti.

Nel campo della depressione stiamo osservando l'applicazione di un programma cognitivo per aiutare coloro che sono depressi ed osservare se gli stadi possono essere utilizzati in questo settore. Lo stesso accade anche nei problemi legati all'ansietà.

Occorre capire che noi parliamo fondamentalmente di un comportamento che si deve cambiare, quello che definiamo come l'obiettivo in un cambiamento intenzionale; in altri casi occorre sottolineare che per quanto ci è dato a conoscere gli stadi non hanno senso. Altro ad esempio riguarda gli studi sulla compliance nel caso di pazienti che non vogliono assumere farmaci indispensabili per vari trattamenti terapeutici.


Non è un problema da poco l'intenzionalità del cambiamento in psicoterapia...

Quando faccio supervisione con gli studenti di solito capita che questi seguono pazienti con disturbi d'ansia e loro si pongono il problema di come rilassare tali soggetti, insegnando quindi specifici comportamenti e tecniche. Ma essi rimangono colpiti dal fatto che i pazienti non svolgono le tecniche che gli vengono insegnate perché essi non vogliono cambiare ancora! Molte delle nostre metodologie in psicologia sono state studiate per coloro che già si trovano in una fase di azione. Se un paziente viene da noi e ci riferisce di soffrire di una forte "ansia di parlare in pubblico", noi facciamo con lui la desensibilizzazione sistematica e così dopo 7/8 settimane ottiene un netto miglioramento. Ma il problema è come arrivare a coloro che non vanno dallo psicologo, coloro che non sono nello stadio dell'azione e indurli a un cambiamento e portarli a tale punto.


In ambito italiano come vedi l'introduzione del modello di cambiamento?

Non conosco bene la situazione della psicologia in Italia, la mia impressione però è che agli inizi vi sia stata una forte prevalenza del linguaggio e delle metodiche psicodinamiche e psicoanalitiche. Successivamente, all'incirca dagli anni sessanta, vi è stata l'esplosione del fenomeno della psicoterapia familiare. Credo che nel vostro paese vi sia ancora una certa difficoltà a vedere i problemi del comportamento come centrali nelle risorse terapeutiche. Per esempio il comportamentismo trova difficoltà anche in ragione della cultura filosofica presente in Italia e questi possono essere ostacoli che impediscono di accettare questo modello. Infatti noi ci poniamo il problema di come cambiare il comportamento e quali strategie siano più idonee. Noi non ci poniamo il problema di cambiare la vita, sebbene io sia convinto che si cambia la vita cambiando i diversi comportamenti che maggiormente la connotano.



Riferimenti bibliografici


Prochaska J.O., DiClemente C.C. (1982). "Transtheoretical therapy: Toward a more integrative model of change". Psychotherapy, theory, research and practice, 19, 276-288.

Janis I.L., Mann L. (1977) Decision Making: a psychological Analysis of conflict, choice and commitment, New York, T Free Press.

Miller W., Rollnick S.(1991), Motivational Interview. Preparing People to Change Addictive Behavior, The Guilford Press, New York. Trad. italiana, Il colloquio di motivazione. Tecniche di counselling per problemi di alcol, droga e altre dipendenze (1994), Erikson, Trento.