Appunti di Psicologia
Copyright 1995-1996-1997 by Dr. Salvatore
Manai
GLI STADI DEL CAMBIAMENTO
Intervista a Carlo C. DiClemente
Ph.D. Department of Psychology - University of
Houston
Dr. Roberto Ravera (Psicologo - Psicoterapeuta)
Quale è stata l'intuizione fondamentale nella genesi
del modello degli stadi del cambiamento?
Quando ero uno studente di psicologia all'Università di
Rhode Island, insieme a James Prochaska ci ponevamo il problema
di studiare i processi di cambiamento in quanto pensavamo
che ci fossero alcuni meccanismi comuni, relativamente a determinati
comportamenti, in grado di far convergere le diverse metodologie
psicologiche e psicoterapiche (psicodinamiche, comportamentali,
cognitive, ecc.). Ho iniziato quindi a fare ricerche sui fumatori,
ho cominciato a parlare con loro e ad analizzare attentamente
il loro modo di porsi rispetto alla possibilità di cambiare
abitudine, raccogliendo una notevole quantità di informazioni
sul loro rapporto con il fumo; domandavo quanto fosse importante
per loro smettere di fumare e le risposte rimandavano quasi sempre
ad una certa variabilità rispetto alla possibilità
di cambiare; mi chiedevano: «quando? In questo momento? Quando
ero in trattamento? Prima del programma per smettere?»
Abbiamo compreso allora che non esisteva un atteggiamento univoco
rispetto alla possibilità di cambiare, ma che dovessero
esserci diversi stadi o tempi in cui questi processi di cambiamento
sono più o meno importanti ed attivi, ed altri momenti
in cui l'individuo non è accessibile al cambiamento. Occorre
in effetti dire che già diversi autori avevano parlato
delle diverse fasi in cui si può trovare un soggetto con
una dipendenza da una sostanza. Per esempio Marlatt (Citare) ha
scritto molto sulla fase della ricaduta e sulla sua prevenzione.
E' stato allora, circa quindici anni fa, che io e Prochaska siamo
arrivati alla conclusione che fosse necessario pensare non solo
a dei processi che servono a modificare il comportamento, ma anche
a delle vere e proprie fasi, quelli che poi abbiamo chiamato gli
stadi del cambiamento e che adesso sono la parte
più conosciuta del nostro modello
transteorico. Che cosa si intende per
stadi di cambiamento? Gli stadi si possono intendere come momenti,
con un tempo e una specificità propria, caratterizzati da alcuni
processi di cambiamento propri di quella fase. Possiamo paragonarli agli
stadi dello sviluppo, in cui ognuno di essi rappresenta un punto ben preciso
dell'evoluzione personale; in tal modo è possibile per noi sapere
cosa fare per aiutare la persona ad andare verso lo stadio successivo.
Evidentemente se questi meccanismi sono correlati al cambiamento è
abbastanza logico che sia ben difficile andare ad uno stadio successivo se
non si è affrontata adeguatamente la fase in cui si trova il
soggetto. Abbiamo imparato a riconoscere quali sono i processi di
cambiamento che si devono utilizzare per il passaggio da uno stadio di
cambiamento all'altro.
Comunemente i non addetti al lavoro - ma talvolta anche coloro
che lavorano con tossicodipendenti - pensano che sia molto difficile,
se non quasi impossibile, curare tali soggetti proprio per la
determinazione con cui rimangono sedotti dalla sostanza. E' quella
che tu chiami fase di precontemplazione, inteso come un periodo
poco incline a qualunque cambiamento. Ma è possibile indurre
un soggetto a lasciare questa fase?
In questi termini allora credo che non sia solo lo stadio di
precontemplazione il più difficile. Credo che anche la contemplazione
sia complessa in quanto vi sono tante persone che sono diventate dipendenti
da una sostanza (cocaina, eroina, nicotina, ecc.) e da una serie continua di
comportamenti e abitudini che sono divenute parte, psicologicamente e
fisiologicamente, del loro stile di vita. Ognuno di noi ha sperimentato un
comportamento di dipendenza così integrato e strutturato nella
propria esistenza e quanto sia veramente difficile cambiare abitudini.
Qualche volta, quando si vedono le conseguenze negative, si manifesta il
desiderio di modificarsi o si prova a cambiare, ed è in quel momento
che le persone si chiedono: «che cosa posso fare?». Il
problema è che si costruisce un vero e proprio adattamento alla
situazione di dipendenza in cui non vi è spazio per altri
comportamenti e per un cambiamento. Accade durante la vita di questi
soggetti che essi siano in uno stadio di precontemplazione in cui non
prendono in considerazione nessuna possibilità di cambiamento.
Qualche volta essi si accorgono che sarebbe opportuno cambiare qualcosa o
non riescono più a sostenere senza conseguenze uno stile di vita
così problematico e allora entrano nello stadio di
contemplazione. Frequentemente questo passaggio rimane impercettibile e
credo che questo accada perché chi passa dalla precontemplazione alla
contemplazione, comincia a considerare, con una certa frequenza, gli aspetti
positivi e negativi del cambiamento, ma, usualmente, vedendo le
difficoltà legate al compito di cambiare, si scoraggia. Ad esempio,
lavorando con i fumatori, accade spesso sentirsi dire che un loro conoscente
ha 90 anni e ha sempre fumato senza nessuna conseguenza! La mia
considerazione è che vi sia un frequente passaggio da una fase di
precontemplazione ad una di contemplazione in cui i soggetti iniziano anche
a mettersi alla prova per un cambiamento ma poi recedono ben presto. Vanno
avanti indietro in questa scansione, talvolta anche per pochi istanti! Anche
per chi si trova nello stadio della contemplazione, credo che il problema
della ricaduta consista principalmente nel fatto che costoro avevano preso
decisioni superficiali e non ancorate a convinzioni solide all'interno della
loro vita. Se un individuo non svolge il lavoro proprio della fase della
contemplazione il suo cambiamento spesso sarà solo un tentativo
maldestro senza che però vi sia una reale possibilità di
modificare la sua dipendenza. Anche durante lo stadio di
determinazione vi sono persone che dicono di voler fare un programma di
cambiamento; ad esempio possiamo pensare che un tossicodipendente che entra
in ospedale per un programma di disintossicazione sia nello stadio
dell'azione, ma egli non è in azione, egli è in
determinazione e si può credere che sarà in azione
solo quando uscirà dall'ospedale e dovrà affrontare tutte
le tentazioni, le responsabilità e le difficoltà della vita.
Ecco l'importanza della determinazione: la capacità di fare un
piano, un progetto che almeno offra una possibilità di riuscita. Ad
esempio, vi può essere un cliente che viene nel nostro ambulatorio
per smettere di far uso di cocaina; egli appare determinato su questa
richiesta, però poi afferma di non voler lasciare il proprio
ambiente, le proprie compagnie e amicizie, e intende continuare a
frequentare locali malfamati e a non cambiare il proprio stile di vita. Non
credo che questo sia un piano solido, ritengo invece che questo
condurrà facilmente al fallimento e alla ricaduta. Allora in
azione è necessario un lavoro dove principalmente si deve
interrompere l'uso di droghe, ma occorrono soprattutto delle strategie che
suppliscano al vuoto che l'abitudine alle sostanze ha lasciato.
Questa capacità di "sostituzione" ci offre un
valore predittivo sulla capacità di portare a termine il
programma di cambiamento. Quando si entra nello stadio di mantenimento
è in atto uno sforzo che non può essere sottovalutato solo
per il fatto che il cliente non usa più sostanze: il rischio di
ricadute è frequente nel caso di soggetti che in questa fase
sottovalutano il problema e hanno troppa fiducia nella propria
volontà di smettere. Quando ho iniziato il mio programma di
ricerca sul fumo ho potuto constatare come vi siano stati dei soggetti che,
pur avendo intrapreso dei programmi di interruzione da molti mesi, avevano
ricominciato in occasione di incidenti o di avvenimenti stressanti. Ad
esempio uno di costoro aveva deciso di ricominciare a fumare quando
accompagnò la moglie al pronto soccorso dopo un incidente. Egli mi
disse che lui poteva non fumare se non avesse avuto dei problemi ma non nel
caso in cui il livello di stress fosse troppo elevato. Un altro individuo
che era da sette anni astinente dal fumo mi disse di aver veramente capito
che non avrebbe certamente più fumato quando, dopo aver corso un
grave rischio per un incidente stradale, scoprì che nemmeno questo
evento l'aveva indotto a riprendere la vecchia abitudine. Egli è
indubbiamente in quella che si può definire fase terminale del
programma di cambiamento. Quali sono i corretti criteri
d'interpretazione dello stadio della ricaduta? Dopo molte ricerche
noi adesso stiamo pensando che la ricaduta non è uno stadio vero e
proprio ma è un evento che accade nella storia del cliente. La
persona che sta provando a fare un programma terapeutico e che quindi
è nello stadio dell'azione e, improvvisamente ricomincia ad usare
sostanze per uno, due, tre giorni e successivamente ritorna in programma,
crediamo che questo sia ancora riferibile allo stadio dell'azione. Una
specie di incidente che provoca uno scivolamento temporaneo all'uso di
sostanze, un po' ciò che ha descritto Marlatt nei suoi studi sulla
relapse. Occorre comunque distinguere tra una ricaduta vera e
propria nell'uso di sostanze come prima del programma terapeutico e uno
"scivolone" temporaneo. Il problema che alcune volte notiamo con
programmi come quelli proposti dagli Alcolisti Anonimi (AA) o i Narcotici
Anonimi (NA) è che loro pensano che ogni singola assunzione
sia paragonabile ad una ricaduta: io credo che questo sia difficile da
sostenere. Vi sono casi come, ad esempio, le diete alimentari, in cui alcuni
soggetti che per un solo giorno mangiano più di quanto è loro
concesso e a quel punto si sentono motivati ad interrompere la dieta in
quanto oramai è infranta la regola concordata con il medico e con se
stessi. Ancora una volta occorre vedere ciò che sostiene Marlatt a
proposito. Non è una ricaduta o un fallimento e pertanto non
è necessario che il cliente debba ricominciare dall'inizio il
programma. Possiamo intendere che vi sia uno spazio fisiologico nello
stadio dell'azione in cui la ricaduta sia un normale processo di
riadattamento alla normalità. Ma quando una persona scivola molto
frequentemente nell'uso di sostanze stupefacenti o alcool o sigarette non
è nella fase di ricaduta, in realtà egli torna ad uno stadio
precedente: ad esempio in quello di precontemplazione o di
contemplazione o di determinazione. Questo è il
problema di molti programmi di trattamento. Negli USA vi sono strutture
terapeutiche che sostengono che se il cliente abbandona il programma egli
non può più tornarvi - se non dopo molto tempo - in quanto non
sono ancora pronti e motivati! Essi non riescono a comprendere la portata
del percorso di cambiamento ed in effetti si riducono a fare delle
affermazioni assolutamente immotivate e senza un valido criterio
scientifico. La ricaduta è importante all'interno del processo di
cambiamento ed è per tale motivo che occorre spiegare all'utente e
alla sua famiglia come questo momento faccia parte del processo di
cambiamento. Anche in Italia assistiamo spesso a una
certa forma di pregiudizio clinico nei confronti della ricaduta: per molti
la sua gestione appare insostenibile. Perché? Mi pare che
frequentemente non solo la gente comune ma anche molti addetti ai lavori
vedono la dipendenza come correlata a due opzioni ben distinte: o il
soggetto è dipendente o non è dipendente. Una
specie di bipolarità in cui o si sta di qua o si sta di là e
questa è una visione poco dinamica; il modello degli stadi del
cambiamento indica che non vi sono due poli o due mondi contrapposti
dove non si possa stare nel mezzo, ma semmai vi è un processo
di definizione attraverso cui passa l'individuo nel suo entrare nella
dipendenza, e altrettanto accade per uscirne: non devono esistere rigidi
compartimenti perché non fanno altro che far violenza alla
persona. Eppure, ritorno ancora a questo concetto,
nella cultura sociale la tossicodipendenza viene ancora vista come un male
quasi inguaribile in cui l'unica speranza viene vista in quell'isolamento
elettivo, non sempre dinamico, che è la comunità residenziale.
Perché questo pessimismo, questa difficoltà a trattare la
tossicodipendenza come qualunque altra patologia seppure con un grado
elevato di aspetti sociali? Non vi è una persona che non
conosce direttamente o indirettamente - ad esempio in famiglia - un problema
di dipendenza. Io cerco di spiegare il significato del cambiamento dicendo
che la dipendenza non è un fenomeno strano, assurdo, ma che è
presente in molte circostanze e in diverse modalità. Che non vi
è una particolare personalità tossicomanica associabile
a chi diventa dipendente. Tutti possono diventare tossicodipendenti da una
qualunque sostanza ed è per questo che io cerco di spiegare che il
processo di cambiamento può riguardare ogni persona. Qui negli
Stati Uniti noi tendiamo a condannare l'uso di droghe illegali, eppure
tolleriamo la vendita di alcolici: noi siamo una cultura che crede
fortemente alle droghe! Siamo sempre alla ricerca della sostanza che ci
darà la soluzione per ognuno dei nostri problemi: se siamo depressi,
se siamo grassi, ecc. In questa società perché è
così strano vedere persone che vanno alla ricerca di cocaina o eroina
per cercare di stare bene? Essi cercano una risposta per la vita.
Dagli stadi del cambiamento, che sembrano disegnarci una mappa
del percorso dinamico, ritengo sia opportuno che tu ci possa spiegare
ciò che cosa intendi per Processi di Cambiamento. In altre
parole è possibile forzare il cambiamento in un individuo?
Noi parliamo di cambiamento intenzionale. Per fare un cambiamento
come quello che intendiamo, noi dobbiamo capire che ci sono persone che non
vogliono sentirsi dire di dover cambiare e che cosa devono fare per
realizzare tale intento. E questo è ancor più vero con gli
adolescenti che esprimono una naturale opposizione verso i genitori e verso
la società. Quest'ultimo aspetto trova il suo significato nella
genesi dell'individualità e nella nascita di una identità
personale dotata di una propria intenzionalità. Le persone
vogliono poter decidere che cosa fare. L'approccio
motivazionale dice che noi dobbiamo iniziare a lavorare con
le persone nello stadio in cui si trovano, con la considerazione e il
vissuto che essi hanno di se stessi. Per esempio io posso sostenere molti
motivi per cui un cliente debba smettere di far uso di cocaina, ma sono
le mie ragioni e non quelle del cliente. Noi dobbiamo
cominciare a vedere nella vita degli adolescenti quali sono i bisogni che
esprimono, senza continuare a dire che questo non si deve fare perchè
non si deve fare, in quanto così facendo, fra l'altro, noi rendiamo
più attraente ciò che è proibito; inoltre essi vedono
molto bene gli aspetti positivi perché stanno intorno a loro a
scuola, con gli amici, nel loro quartiere, ecc. Proprio nel tentativo di
non operare nessuna forzatura, noi abbiamo identificato l'idea di far
lavorare il cliente su quella che si può ritenere una bilancia decisionale, dove egli pesa
gli aspetti positivi e negativi. A seconda di dove pende questa bilancia
decisionale sarà il cliente ad operare una scelta. E' importante
entrare nel "bilancio decisionale" delle persone con cui dobbiamo
lavorare. Per questo si utilizzano dei Processi di Cambiamento. All'interno
di questi 10 processi occorre sottolineare quelli che hanno una connotazione
cognitivo-esperienziale, in quanto sono importanti nei primi stadi di
precontemplazione e contemplazione. Ad esempio il processo di auto
rivalutazione appare fondamentale perché questo è il
processo in cui la persona sta pensando ad un cambiamento ma,
affinché sia veramente possibile, è necessario che questo
movimento sia veramente personale e individuale. Liberazione
personale, Aumento della consapevolezza e Rivalutazione di
sé, sono i primi passi nei processi di cambiamento in cui si
muove il soggetto. Anche l'Attivazione emozionale appare importante
in quanto io vedo spesso, ad esempio, come ci siano persone che associano
aspetti emotivi differenziati in relazione a ciascun tipo di droga.
Proprio in relazione a quest'ultimo processo di cambiamento,
come è possibile aiutare persone che dopo molti anni di dipendenza
dalle sostanze hanno maturato un forte blocco emotivo e una alexitimia
marcata? Ad esempio quando noi abbiamo studiato il processo di
rivalutazione di sé, abbiamo inizialmente pensato che esso
fosse un aspetto maggiormente cognitivo, ma ci siamo accorti che non era
vero. E' composto da una parte cognitiva e da una parte emozionale, in
quanto in tale processo si fa una rivalutazione personale non solo sui fatti
cognitivi ma anche sugli aspetti affettivi ed emozionali. Ne abbiamo
verificato la realtà su molti casi di dipendenza. Ad esempio ricordo
un soggetto che fumava da vent'anni e stava pensando di interrompere senza
però prendere mai una decisione. Un giorno mentre stava fumando
tenendo in braccio sua figlia piccola finì con il procurarle una
accidentale bruciatura ad un braccio: quell'avvenimento, così casuale
e imprevisto, provocò un forte contagio emozionale, facendo
pendere la bilancia decisionale a favore di un cambiamento e quindi il
passaggio alla stadio dell'azione. Così anche l'uso dello
psicodramma tra i soggetti che fanno uso di alcolici: molti di essi sono
perfettamente in grado di elencare tutti gli aspetti contingenti ed
emozionali che sono correlati con la loro esperienza di dipendenza alcolica.
Ma questa elencazione è arida, fatta con la testa e non con aspetti
realmente profondi. Occorre quindi prendere queste emozioni pure e aiutare
il soggetto a spingerle verso la rivalutazione di sé,
definendo i sentimenti reali nei riguardi del proprio problema. Allora
è giusto pensare che vi sia un lavoro incrociato tra il processo di
Attivazione emozionale e la Rivalutazione di sé, conducendo ad uno
spostamento del soggetto verso lo stadio dell'azione e del mantenimento.
Vorrei che ci aiutassi a chiarire il significato del termine
"Transteorico", che appare così importante nel tuo
modello. Il nostro approccio è integrativo, proviamo
cioè ad essere eclettici, nel senso che intendiamo utilizzare i
concetti e le metodologie veramente significative dei vari modelli
psicoterapeutici; fin dall'inizio noi abbiamo cercato di integrare i diversi
aspetti, le diverse prospettive e le teorie più specifiche della
psicoterapia. Per questo abbiamo parlato di transteorico, ma credo che
tale concetto, questa prerogativa, senza un modello, una struttura, non vale
molto, in quanto non è possibile capire quali siano gli interventi
necessari a determinare un cambiamento nel soggetto. Pertanto il modello
degli stadi del cambiamento ci offre la possibilità di definire la
dinamica interna del rapporto che il soggetto stabilisce con la sostanza e
con il cambiamento all'interno del comportamento umano.
In altre parole, vuoi intendere che è possibile utilizzare diversi
tipi di approcci psicoterapici a seconda dello stadio in cui si trova il
soggetto? Esatto. Ognuno ha la sua validità. Per esempio
l'approccio psicodinamico non è un approccio utilmente applicabile
allo stadio dell'azione, ma veramente specifico per lo stadio di
contemplazione. Freud infatti sosteneva che quando si è in analisi
non si deve cambiare: non si deve lasciare il lavoro, non si deve lasciare
la moglie, ecc. Egli ha elaborato un programma di psicoterapia che è
valido per uno stadio in cui il soggetto pensa e valuta il cambiamento, ma
ancora non mette in atto nulla di specifico per cambiare Vi sono persone
che in maniera valida hanno compreso se stessi molto meglio dopo l'analisi:
io ho conosciuto molte persone che dopo 6/7 anni non avevano evidenziato
nessun cambiamento, però loro parlavano con un buon insight della
loro vita! L'approccio comportamentista, in particolare di Skinner, è
una metodologia che prevede l'azione e il mantenimento: egli sostiene la non
importanza di ciò che il paziente pensa; l'unica cosa che importa
sono i correlati del comportamento e il rinforzo dei comportamenti positivi.
Quando non è possibile ottenere il controllo del rinforzo occorre
avere la volontà del paziente per un cambiamento intenzionale. Non
sempre questo può essere possibile: però con il modello degli
stadi e dei processi di cambiamento possiamo mettere diverse teorie in
coabitazione e utilizzarle nell'ambito di un progetto di cambiamento.
Nel modello transteorico vi sono compresi gli stadi, i processi e i livelli.
E' una struttura simile ad una lente con cui è possibile vedere
più chiare le cose. L'approccio motivazionale di Miller
e Rollnick è un valido metodo psicologico per osservare e capire in
quale punto sia il cliente rispetto agli stadi. Tale approccio è
molto importante per i primi stadi, quando il paziente è in una fase
di grossa indecisione, ma occorre anche dire che se non vi è la
capacità di indurre il paziente ad essere assertivo, di rilassarsi e
di parlare insieme agli altri, diventa molto difficile determinare una
motivazione valida al cambiamento. Miller sostiene il contrario, cioè
che si possa fare qualcosa anche per coloro che oppongono una forte
resistenza al cambiamento. Io ritengo, come già affermato
precedentemente, che comunque l'approccio motivazionale sia molto importante
specificatamente nei primi tre stadi del cambiamento. Però quando si
arriva allo stadio dell'azione occorre supportare la motivazione e
l'impegno della persona, trovando anche l'abilità di capire e vedere
se egli ha la capacità di fare le cose importanti per cambiare e
trovare delle nuove strategie.
In questo senso quali
sono le prospettive future di ricerca e di approfondimento relativamente
agli stadi del cambiamento? Occorre capire quali sono le cose
veramente importanti per il cambiamento e avanzare nella conoscenza e
l'approfondimento degli stadi. Noi stiamo facendo delle ricerche per capire
quello che si può esprimere con l'espressione inglese: "doing
the right thing at the right time" (fare la cosa giusta al momento
giusto). In altre parole si è notato che le persone che hanno avuto
più successo nell'interrompere il fumo di sigarette erano coloro che
nello stadio di contemplazione e di preparazione hanno utilizzato
maggiormente dei processi cognitivi piuttosto che approcci di natura
puramente comportamentale. Nello stadio dell'azione, al contrario, si
è notato che i processi maggiormente utilizzati erano più sul
versante comportamentale che sul piano cognitivo. Le persone che hanno
modificato il tipo di approccio a seconda dello stadio in cui si trovavano,
hanno avuto dei risultati migliori rispetto a coloro che hanno sostenuto lo
stesso tipo di approccio per tutto il trattamento Quindi anche noi dobbiamo
imparare a fare la cosa giusta al momento giusto.
Quali altre patologie vedi interessate al modello degli stadi del
cambiamento? Io credo che è possibile utilizzare questo
modello dove è necessario avere un cambiamento intenzionale.
Indubbiamente è difficile pensare di poter utilizzare tale modello su
soggetti che presentano disturbi di tipo psicotico, dove vi è una
patologia nell'ideazione e disturbi del pensiero. Noi stiamo utilizzando
questo modello, ad esempio, nei disturbi comportamentali degli adolescenti.
Stiamo osservando in quale stadio sono i genitori e osservando quali sono i
cambiamenti necessari e se essi sono pronti a tali cambiamenti. Nel
campo della depressione stiamo osservando l'applicazione di un programma
cognitivo per aiutare coloro che sono depressi ed osservare se gli stadi
possono essere utilizzati in questo settore. Lo stesso accade anche nei
problemi legati all'ansietà.
Occorre capire che noi parliamo fondamentalmente di un comportamento
che si deve cambiare, quello che definiamo come l'obiettivo in
un cambiamento intenzionale; in altri casi occorre sottolineare
che per quanto ci è dato a conoscere gli stadi non hanno
senso. Altro ad esempio riguarda gli studi sulla compliance nel
caso di pazienti che non vogliono assumere farmaci indispensabili
per vari trattamenti terapeutici.
Non è un problema da poco l'intenzionalità del
cambiamento in psicoterapia...
Quando faccio supervisione con gli studenti di solito capita che
questi seguono pazienti con disturbi d'ansia e loro si pongono
il problema di come rilassare tali soggetti, insegnando quindi
specifici comportamenti e tecniche. Ma essi rimangono colpiti
dal fatto che i pazienti non svolgono le tecniche che gli vengono
insegnate perché essi non vogliono cambiare ancora! Molte
delle nostre metodologie in psicologia sono state studiate per
coloro che già si trovano in una fase di azione. Se un
paziente viene da noi e ci riferisce di soffrire di una forte
"ansia di parlare in pubblico", noi facciamo con lui
la desensibilizzazione sistematica e così dopo 7/8 settimane
ottiene un netto miglioramento. Ma il problema è come arrivare
a coloro che non vanno dallo psicologo, coloro che non sono nello
stadio dell'azione e indurli a un cambiamento e portarli a tale
punto.
In ambito italiano come vedi l'introduzione del modello di
cambiamento?
Non conosco bene la situazione della psicologia in Italia, la
mia impressione però è che agli inizi vi sia stata
una forte prevalenza del linguaggio e delle metodiche psicodinamiche
e psicoanalitiche. Successivamente, all'incirca dagli anni sessanta,
vi è stata l'esplosione del fenomeno della psicoterapia
familiare. Credo che nel vostro paese vi sia ancora una certa
difficoltà a vedere i problemi del comportamento come centrali
nelle risorse terapeutiche. Per esempio il comportamentismo trova
difficoltà anche in ragione della cultura filosofica presente
in Italia e questi possono essere ostacoli che impediscono di
accettare questo modello. Infatti noi ci poniamo il problema di
come cambiare il comportamento e quali strategie siano più
idonee. Noi non ci poniamo il problema di cambiare la vita, sebbene
io sia convinto che si cambia la vita cambiando i diversi comportamenti che
maggiormente la connotano. Riferimenti bibliografici
Prochaska J.O., DiClemente C.C. (1982). "Transtheoretical therapy:
Toward a more integrative model of change". Psychotherapy, theory, research
and practice, 19, 276-288.
Janis I.L., Mann L. (1977) Decision Making: a psychological
Analysis of conflict, choice and commitment, New York, T Free
Press.
Miller W., Rollnick S.(1991), Motivational Interview. Preparing
People to Change Addictive Behavior, The Guilford Press, New York. Trad.
italiana, Il colloquio di motivazione. Tecniche di counselling per
problemi di alcol, droga e altre dipendenze (1994), Erikson, Trento.
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