Appunti di Psicologia

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Appunti sulla psicoterapia di gruppo dei disturbi alimentari

Dr. Salvatore Manai (Psicologo - Psicoterapeuta)


Un primo problema che si pone quando si decide di affrontare terapeuticamente una particolare situazione psicopatologica, è quello di esplicitare la cornice teorica entro la quale si colloca il nostro intervento. Spesso la teoria di riferimento è implicita nell'uso di determinati strumenti, nel senso che quest'ultimo deriva sempre da un particolare modo di considerare i fenomeni e presuppone dei principi di "funzionamento" in qualche modo formalizzati.

Nel momento in cui abbiamo deciso di utilizzare la psicoterapia di gruppo nell'ambito della terapia dei disturbi alimentari, ci siamo chiesti quale dei modelli disponibili in letteratura si prestava meglio ai nostri scopi, tenendo conto delle risorse disponibili e dei vincoli del contesto in cui andavamo ad operare.

Una prima impressione ricavata dalla lettura dei materiali di studio è stata quella relativa alle descrizioni delle tecniche di gruppo di tipo cognitivista, utilizzate in vari contesti in Italia e all'estero, come supporto ad altri interventi terapeutici utilizzati per questo tipo di patologia (1). Da un lato queste tecniche ci apparivano interessanti per la loro relativa semplicità d'uso, prevedendo fin dall'inizio un preciso schema di intervento centrato su dieta, cibo, abitudi alimentari ecc.. Accanto a questo vantaggio "economico", possiamo dire, conseguente alla forte "strutturazione" dell'intervento, ci rendevamo conto che "qualche cosa di importante", anche se difficilmente determinabile, sfuggiva irrimediabilmente. Secondo noi in qualche modo veniva a mancare proprio quel "clima" terapeutico che sperimentavamo invece negli altri gruppi di terapia.

D'altra parte, la natura stessa del problema psicopatologico affrontato e la impossibilità di garantire un preciso setting analitico, indipendente da variabili esterne in qualche modo estranee al processo terapeutico, ci impediva l'uso di strumenti come la gruppo-analisi e in generale la psicoanalisi di gruppo (2).

Decidemmo di "entrare nella fossa dei leoni" senza particolari attrezzature, determinando solo tempo e spazio degli interventi, con la finalità esplicita di lavorare con persone con diagnosi di anoressia o bulimia, utilizzando i criteri diagnostici dell'ICD-10 (3) e del DSM III R (4), confidando nella possibilità di una continua osservazione sottoposta a confronto e verifica tra i conduttori dell'esperienza e soprattutto nella possibilità di una sistematica discussione in un gruppo di supervisione. Il gruppo diventava quindi un gruppo sperimentale, e se da un lato eravamo preoccupati per questo procedere "senza mappe precise e bussole attendibili" (ma ne esistono in fondo?), dall'altro avevamo la sensazione che ci saremmo procurati il necessario quando e se ne avessimo sentito l'esigenza. Anzichè accingerci alla partenza per questo viaggio con pesanti bagagli, decidevamo di partire "leggeri", con poche idee ben chiare, ma con le carte di credito... in noi stessi. Il gruppo di supervisione, in ogni caso, sarebbe stato il nostro campo-base.

Il gruppo si è riunito per la prima volta nel mese di marzo del 1995 ed ha continuato ininterrottamente il suo lavoro con cadenza settimanale.

Condividendo una impostazione che tende a cogliere una Sindrome Anoressico-Bulimica anzichè due sindromi separate, il gruppo accoglie contemporaneamente persone con diagnosi di Anoressia nervosa e di Bulimia nervosa. Ogni incontro ha la durata di tre ore con una pausa di dieci minuti.

Essendo un gruppo "aperto", esiste la possibilità di uscite e nuovi ingressi dei membri. Questi ultimi vengono decisi sulla base di considerazioni ricavate da una serie iniziale di colloqui individuali.

Dopo un anno di attività, (5), avvertiamo l'esigenza di non perdere (e quindi di poter rendere comunicabile ad altri) ciò che è stato acquisito fino a questo punto. All'inizio avevamo rinunciato a un preciso inquadramento teorico del nostro intervento terapeutico; a questo punto le varie "formalizzazioni" e i vari modelli ci sembrano "troppo larghi" o "troppo stretti" per poterlo contenere. In poche parole, ci stiamo creando una "mappa", una sorta di griglia di lettura dell'esperienza a partire non solo dalle conoscenze psicologiche in nostro possesso, ma utilizzando teorie e modelli più generali.

Crediamo che un lavoro di ricerca teorica e di sistematizzazione a questo livello richiederà molto tempo e molta fatica da parte nostra e del gruppo di supervisione. Soprattutto perchè, contemporaneamente, il gruppo è sempre attivo e, accanto alle nostre motivazioni per la ricerca clinica, permane il nostro compito di terapeuti.

Un primo schema teorico nel quale riteniamo di cogliere quei concetti che meglio descrivono la nostra esperienza, scaturisce da alcune citazioni di carattere epistemologico:

H. Von Foerster ("On self organizing systems and their environments", in "Self Organizing System, a cura di Yovitz & Cameron, Pergamon, 1960, p. 39).

"I sistemi auto-organizzatori non si nutrono soltanto d'ordine, trovano anche del rumore nel loro menu [...]. Non è male avere del rumore nel sistema. Se un sistema si irrigidisce in uno stato particolare è inadattabile, e questo stato finale può oltretutto essere cattivo. Il sistema sarà incapace di adattarsi a qualsiasi cosa che sia una situazione inadeguata."

In queste frasi di H. Von Foerster cogliamo, a nostro modo di vedere, un possibile schema concettuale che ben si presta a descrivere il nostro oggetto di studio. Il gruppo di terapia è considerato da noi come un sistema chiuso da un punto di vista operazionale, ma aperto e quindi non isolato rispetto all'ambiente esterno.

La chiusura operazionale è necessaria per garantire qualsiasi forma di funzionamento del sistema mentre l'apertura a livello di comunicazione con l'esterno garantisce uno scambio con i contesti di realtà di ogni singolo elemento e del gruppo nel suo insieme (7). L'esempio di un orologio meccanico, chiuso operazionalmente nel senso che i suoi ingranaggi sono strettamente collegati gli uni agli altri e non direttamente influenzabili dagli eventi esterni ordinari (requisito essenziale per il suo funzionamento), e aperto a un particolare tipo di comunicazione esterna (le informazioni che, attraverso la manovra della corona, ne permettono la regolazione), si presta fino a un certo punto a descrivere questa situazione.

Il sistema "gruppo di terapia" ha poi la capacità, secondo noi, di auto-organizzarsi nel senso che, nel corso del processo terapeutico, si attraversano vari punti di equilibrio dinamico caratterizzati dalle varie fasi di interscambio tra i vari componenti del sistema.

Secondo un'ottica circolare, i terapeuti del gruppo sono componenti del sistema caratterizzati da un alto livello di ridondanza, nel senso che mantengono nel tempo il setting (le regole esplicite del sistema). Riassumendo, il gruppo di terapia viene quindi descritto come un sistema nel quale alcuni elementi (i terapeuti) hanno la specifica funzione di mantenere un ottimale livello di ridondanza di certi messaggi (le regole del setting), sistema che attraversa vari punti di equilibrio (su cui si basa la sopravvivenza del gruppo) e che è soggetto a crisi (momenti in cui avvengono modificazioni strutturali nel senso dell'espulsione di una componente del sistema nel caso di "guarigione" o di abbandono della terapia, e, eccezionalmente, di disintegrazione del gruppo stesso).

L'ordine che caratterizza il sistema terapeutico è l'effetto della ridondanza dei messaggi tra le sue componenti. In ogni caso crediamo che se il livello di ridondanza è troppo basso, il gruppo terapeutico corre il rischio della disintegrazione mentre se il suo livello è troppo elevato il gruppo è caratterizzato da uno stato di equilibrio "rigido", con poche possibilità di attraversare momenti "critici" di cambiamento strutturale quali la "guarigione" e la formazione di nuove strategie di adattamento.

Il lavoro (e quindi la funzione ridondante) dei terapeuti consiste soprattutto nel saper dosare la ridondanza dei messaggi nel gruppo (compresa quella relativa ai propri messaggi di terapeuti).

Il rumore del sistema può essere inteso come l'insieme dei messaggi poco o per nulla ridondanti; spesso coincide proprio con il brusio nel gruppo, situazioni nelle quali subentra una sorta di disordine, di scarsa strutturazione, di difesa da messaggi ridondanti che sono per qualche verso problematici e che quidi tendono ad aumentare il livello di ansia nel gruppo.

Ma rumore è anche ciò che accade nel silenzio del gruppo; una sorta di rumore interno ai singoli componenti del gruppo che porta spesso alla ricerca di una ridondanza attraverso strategie volte a spezzare proprio il silenzio, con messaggi banali, superficiali, con alta probabilità di essere condivisi dagli altri e quindi in grado di generare una tranquillizzante ridondanza con la quale ridurre il livello di ansia del momento.

Il rumore, quindi, e' sempre in rapporto con l'"hic et nunc" del gruppo, sia come mezzo per una strutturazione terapeuticamente rilevante dell'esperienza, sia come movimento verso una strutturazione eccessivamente rigida di difesa.

La gestione del rumore in un gruppo può coincidere, da questo punto di vista, con la funzione terapeutica dei conduttori.

Nell'esperienza fatta nel nostro gruppo, abbiamo sperimentato e sperimentiamo tutt'ora varie posizioni rispetto al rumore. Alcuni nostri interventi (non previsti ma scaturiti nel corso della seduta) possono essere considerati una sorta di induzione di rumore nel sistema, seguita da una fase di osservazione delle ridondanze (strutturazioni) che prima o poi ne scaturiscono inevitabilmente. Altri interventi si configurano invece come riduzione di rumore attraverso l'uso della ridondanza di messaggi dei terapeuti.

Con "messaggi", naturalmente, non ci riferiamo esclusivamente alle verbalizzazioni. La stessa intesa dei terapeuti rispetto all'operare in gruppo secondo una certa prospettiva costituisce un messaggio fortemente ridondante e in qualche modo strutturante.

Ovviamente il rischio della terapia, rischio da tenere comunque nella giusta considerazione, è quello di dare origine nel gruppo a due o più ridondanze simultanee dei messaggi, prodotte tra i pazienti del gruppo, e/o dal sottosistema dei curanti. Riteniamo che una tale situazione sia da evitare in quanto riduce notevolmente quella dose di rumore nel gruppo che può condurre a nuove strutturazioni creative, e quindi al cambiamento.

Una soglia di rumore estremamente bassa, secondo noi, rende il gruppo "inadattabile" alle situazioni inadeguate che inevitabilmente deve affrontare per poter essere "terapeutico".

Prendiamo in esame, ora, una formulazione della "legge della varietà indispensabile" di W. R. Ashby (9), così come è espressa da Atlan (8).

H. Atlan ("Sul rumore come principio di auto-organizzazione", in "Teorie dell'evento", a cura di E. Morin, trad. italiana di S. Magistretti, Bompiani, Milano, 1974, pp. 39-40).

"La legge di Ashby stabilisce una relazione tra la varietà delle perturbazioni, quella delle risposte e quella degli stati accettabili. La varietà delle risposte disponibili deve essere tanto più grande quanto quella delle perturbazioni è grande e quella degli stati accettabili è piccola. In altri termini, una grande varietà nelle risposte disponibili è indispensabile per assicurare una regolazione del sistema mirante a mantenerlo in un numero molto limitato di stati quando è sottoposto a una grande varietà di aggressioni. In altri termini, in un ambiente fonte di aggressioni diverse e imprevedibili, una varietà nella struttura e nelle funzioni del sistema è un fattore indispensabile di autonomia".

"Ma si sa, d'altra parte, che uno dei metodi efficaci per lottare contro il rumore, cioè per scoprire e correggere degli eventuali errori nella trasmissione dei messaggi, consiste al contrario nell'introdurre una certa ridondanza, cioè una ripetizione dei simboli nel messaggio. Si vede, dunque, già come nei sistemi complessi il grado di organizzazione non potrà essere ridotto né alla sua varietà (o alla sua quantità di informazione), né alla sua ridondanza, ma consisterà in un compromesso ottimale tra queste due proprietà opposte".

Intendendo per "variabilità delle perturbazioni" tutte le esperienze, interne ed esterne all'individuo (quindi relazionali e intrapsichiche), per "variabilità delle risposte" il repertorio comportamentale (risorse personali) e per "variabilità degli stati accettabili" le modalità adattive ritenute "sane" nel contesto di vita dell'individuo, si ipotizza che nel momento in cui il vissuto personale e relazionale dell'individuo è ricco e la gamma dei comportamenti ritenuti "sani" e quindi accettabili è molto limitata (a causa dei vincoli interni ed esterni all'individuo stesso), il repertorio comportamentale (le modalità personali) debbano possedere un'alta variabilità per consentire all'individuo il raggiungimento di un buon livello di autonomia.

Alla luce dell'esperienza clinica effettuata nel nostro gruppo, riteniamo che le persone che seguiamo siano caratterizzate da un lato da una particolare "ricchezza" di personalità (l'età è quella coincidente con il massimo delle potenzialità cognitive, affettive e di relazione dell'individuo), dall'altro da una sorta di limitazione nelle valenze espressive e comunicative (regole familiari, inibizioni personali, ecc.). In tutte si riscontra un disturbo alimentare accompagnato da un basso livello di autonomia.

Il superamento dello stato patologico e il potenziamento dell'autonomia personale non consegue, secondo noi, da una sorta di "integrazione" delle esperienze personali o da un "rinforzo" del sistema delle regole dell'individuo.

E' il giusto rapporto tra questi due elementi, riteniamo, che può generare nella personalità nuove risorse e quindi nuovi modelli nel repertorio comportamentale.

Quell'opportuno rapporto reciproco tra "rumore" e "ridondanza" nel gruppo di terapia, rispecchierebbe l'evoluzione del rapporto tra "espressione" e "regola" nel vissuto personale delle nostre ragazze.

Bibliografia

(1) J. Vanderlinden, J. Norré, W. Vandereycken, "A practical guide to the treatment of Bulimia Nervosa", Brunner/Mazel, New York, 1989. Edizione italiana: M. Cuzzolaro (a cura di), La bulimia nervosa. Guida pratica al trattamento. Astrolabio, Roma 1995.

(2) D. B. Herzog, M. B. Keller, M. Strober, C. Yeh, S. Y. Pai, "The current status of treatment for Anorexia Nervosa and Bulimia, Int. J. Eating Disord., 12, 215-220.

(3) Classification of Mental and Behavioural Disorders: Clinical descriptions and diagnostic guidelines, World Health Organization, 1992. Trad. italiana: ICD-10, Decima revisione della classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali, Masson, Milano 1993.

(4) American Psychiatric Association (1987): Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (3rd Edn. Rev.) (DSM-III-R), Washington, D. C.: The American Psychiatric Association. Trad. italiana: DSM-III-R - Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Masson, Milano 1988.

(5) S. Cupisti, Un gruppo in terapia, in "Appunti di Psicologia", sito WEB in Internet all'indirizzo: http://www.caen.it/psicologia/simcup_1.htm.

(6) H. von Foerster, "On Self-Organizing Systems and Their Environments", in Self- Organizing Systems, M. C. Yovits and S. Cameron (a cura di), Pergamon Press, London 1960. Trad. italiana: H. von Foerster, "Sui sistemi auto-organizzatori e i loro ambienti", in Sistemi che osservano, M. Ceruti, U. Telfner (a cura di), Astrolabio, Roma 1987, pp. 51- 69.

(7) F. J. Varela, "Complessità del cervello e autonomia del vivente", in La sfida della complessità, G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), Feltrinelli, Milano 1985.

(8) H. Atlan, "Sul rumore come principio di auto-organizzazione", in Teorie dell'evento, E. Morin (a cura di), Bompiani, Milano 1974.

(9) W. R. Ashby, "Requisite variety and its implications for the control of complex systems", in Cybernetica, vol. 1, n. 2, Namur, 1958, pp. 83-99.

Riferimenti generali:

(10) P. Alferj, A. Pilati (a cura di), "Conoscenza e complessità", Theoria, Roma 1990.

(11) G. Bocchi, M. Ceruti (a cura di), "La sfida della complessità", Feltrinelli, Milano 1985.

(12) H. Bruch, "Patologia del comportamento alimentare", Feltrinelli, Milano 1977.

(13) H. Bruch, "La gabbia d'oro. L'enigma dell'anoressia mentale.", Feltrinelli, Milano 1983.

(14) B. Brusset, "L'anoressia mentale del bambino e dell'adolescente", Borla, Roma 1979.

(15) F. Del Corno, M. Lang, "Trattamenti in setting di gruppo", Franco Angeli, Milano 1989.

(16) W. Gray, F. J. Duhl, N. D. Rizzo, "Teoria generale dei sistemi e psichiatria", Feltrinelli, Milano 1978.

(17) M. Selvini-Palazzoli, "Self-Starvation: From individual to family therapy in the treatment of anorexia nervosa", Jason Aronson, New York, 1978.

(18) M. Selvini-Palazzoli, "L'anoressia mentale- Dalla terapia individuale alla terapia familiare", Feltrinelli, Milano 1981.

(19) A. Tridenti, S. Bocchia, "Il fenomeno anoressico/bulimico", Masson, Milano 1994.


Dr. Salvatore Manai (e-mail: salvatore.manai@telcen.caen.it )