Appunti di Psicologia

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Un gruppo in terapia

Dr.ssa Simona Cupisti (Psicologa)


Oggi, alla luce di tutto quello che è stato detto e fatto sui disturbi alimentari in questi ultimi anni, si avverte con sempre maggiore forza la necessità di trovare nuove strade conoscitive per poter percorrere questa forma di disagio.

La sensazione che si ha quando difronte ad un' anoressica si utilizzano categorie diagnostiche predefinite e tecniche d' intervenento standardizzate, è quella di una paralizzante parzialità che suscita nel terapeuta un profondo senso d' impotenza ed inefficacia.

Questo non significa che tutto ciò che esiste intorno a questo problema sia da buttare via ma che la natura stessa del problema costringe ad un profondo ripensamento.

E' a partire da queste considerazioni che circa un anno fa è iniziata una terapia di gruppo per disturbi dell'alimentazione.

Fin dall' inizio abbiamo sentito l' esigenza di mantenere il setting libero dall' influenza di specifici riferimenti teorici ed operativi. Questa scelta naturalmente è stata molto faticosa da portare avanti prima di tutto perchè ci costringeva ad affrontare situazioni segnate da una forte drammaticità in una posizione di quasi totale sperimentazione e poi perchè significava riuscire ad "esserci" in ogni momento, immergerci completamente nella sofferenza che queste persone manifestano con tanta evidenza, stare "con" loro nella mortifera battaglia che stanno combattendo, tollerare il loro continuo tentativo di autoannientamento, ascoltare con attenzione e partecipazione le "pazze" ragioni che motivano il loro comportamento, condividere la pervasiva e ricorrente sensazione di vuoto che insieme le divora e rassicura.

Per diversi mesi abbiamo vissuto nell'incerta attesa di un gruppo che ogni volta avrebbe dovuto cominciare ma che poi non riusciva a partire. Eppure, tra abbandoni e continui avvicendamenti, la sensazione che ogni volta alla fine della seduta ci restava dentro era che comunque quella che avevamo vissuto era stata un'esperienza significativa. Quello che per diverso tempo ci ha spinti ad andare avanti è stata proprio la sensazione che nelle tre ore passate insieme alle ragazze ci fosse stato uno scambio "autentico", la possibilità in certi momenti di "toccare" un corpo vivo che ride, piange, vibra e si emoziona.

Poi il gruppo è nato. Non a caso forse è nato quando è stato introdotto un elemento di differenziazione: la tossicomania.

L'inserimento di una ragazza che stava tentando faticosamente di uscire dal tunnel della droga ha costretto i partecipanti a cercare un senso dell'esperienza che stavano vivendo al di là del sintomo che così prepotentemente le imprigionava.

Scoprire che c'era una profonda corrispondenza tra i vissuti di chi lotta contro la schiavitù della droga e chi combatte con la tirannia del cibo, ha permesso al gruppo di intravedere modi diversi per poter esprimere il proprio disagio. Questa scoperta ha avuto un effetto liberatorio nella misura in cui ha indotto ciascuna ragazza ad uscire dalla gabbia del problema alimentare ed a stare nella relazione non più come anoressica o bulimica ma come persona.

In questo modo il gruppo rappresenta la possibilità di integrare un'esperienza relazionale che appare molto difficile e faticosa.

L'isolamento che insieme subisce e ricera chi soffre di disturbi alimentari nasconde una profonda paura del confronto con l'altro sostenuta da sentimenti d'insicurezza ed autosvalutazione. Il gruppo mette queste ragazze in contatto con tale timore, le spinge ad esprimerlo ed a sperimentarlo in tutti i suoi aspetti fino a poterlo piano piano circoscrivere e ridimensionare. Stare nel gruppo significa infatti esporsi al giudizio dell'altro, integrare nel proprio sè le percezioni che gli altri hanno di noi e diventare consapevoli di quelle parti di noi che mettiamo nel rapporto con l'altro. Tutto questo porta ad una modificazione dell' immagine di sè che per un' anoressica/bulimica risulta congelata, bloccata e bloccante.

Le esperienze di condivisione e di identificazione ma anche il riconoscimento delle differenze nel gruppo servono a scalfire l'immagine rigida e statica che queste ragazze hanno di se stesse e consentono loro di intravedere e sperimentare modi diversi di rappresentarsi in cui possono essere accolti elementi di contradditorietà e di ambivalenza.

Attraverso lo scambio con gli altri membri del gruppo ogni ragazza è costretta a fare i conti con la necessità di tenere dentro e tirare fuori sia cose buone che cattive: ma è proprio la scoperta della possibilità di tenere insieme le polarità della sua esperienza che le consente di emanciparsi dal bisogno di "svuotarsi" e dal meccanismo del "tutto o niente".

Smuovere le acque melmose di un'immagine di sè rigidamente costruita su di un penoso senso d'inferiorità e sulla presuntuosa aspirazione alla perfezione, significa liberare energie per riattivare un difficile percorso d'individuazione che sembra essersi bloccato.

Negli ultimi tempi ci siamo chiesti se non fosse utile o addirittura necessario unire all'esperienza del gruppo un intervento sulla famiglia d'origine. Sebbene la letteratura in materia abbia ampiamente descritto le disfunzioni del sistema familiare di anoressiche e bulimiche, dando precise indicazioni per una presa in carico di tutto il nucleo familiare, il nostro intento è quello di mantenere il gruppo come setting terapeutico privilegiato e di finalizzare l'intervento sulla coppia genitoriale al contenimento dell'ansia suscitata dall'intensità e drammaticità dei sintomi e ad ottenere, attraverso prescrizioni chiare e precise, la collaborazione dei genitori nel difficile cammino di identificazione e di emancipazione della figlia.