Anime Salve

lettura in chiave libertaria di Alberto Mingardi

Si puo' definire _Anime Salve_, penultimo lavoro di Fabrizio De Andre', ultimo inedito, usando le stesse parole del cantautore, come l'osservazione di una serie di diverse solitudini, alla riscoperta dunque del valore di questo modo di essere e dell'individualità in sè, da parte di un osservatore, il poeta, volutamente estraniatosi dal contesto cociale e politico. Estraniamento necessario nel tentativo di dare una testimonianza che tenga conto non solo di una solitudine basata su di una libera scelta originaria o di una originale diversità, ma anche di una solitudine "costretta", proprio in virtù di quella libera scelta, dal mondo circostante ignaro e intollerante nei confronti appunto delle diversità. Solitudini vissute diversamente : con orgoglio e a testa alta, oppure con uno sconforto disperato.

"Anime Salve" annuncia questo suo carattere fin dal titolo dell'album, in cui mantiene l'etimo tanto di ANIMO quanto di SALVO, ovvero SPIRITO SOLITARIO. "Mi sono visto di spalle che partivo", recita un verso della canzone omonima (in cui con Fabrizio De Andre' canta Ivano Fossati) : un netto rifiuto dell'identità anagrafica, dell'uomo costruito da una autorità-stato che vuole imporre a ciascuno dove e come stare al mondo. La solitudine e' dunque cercata, voluta, libera scelta che consente di non stare nel mucchio, di non venire impressi damarchi della società.

Ed il primo marchio non consiste forse nell'impartire un sesso definitivo all'individuo ? Tuttavia, più forte dell'autorità e' il "chiaroscuro dove son nato", e allora PRINCESA [ispirata dall'omonimo racconto-intervista di Maurizio Iannelli, ediz. Sensibili alle Foglie] tenta di "correggere la fortuna".

Altra solitudine volontaria e libera, che come quella di PRINCESA però si puo' pagare con l'emarginazione, e' quella dei Rom, qui descritti tramite la tribu' serbo-montenegrina dei KHORAKHANE' ("a forza di essere vento", a forza di viaggiare, di spostarsi, ma anche di essere liberi, come lo è il vento). Il loro nomadismo comporta un'identità ridotta al nome, all'essenziale, intrisa di libertà, dove il controllo spetta soltanto alla famiglia: l'economia delle pulsioni, la riduzione delle cose ad un principio unitario ed assolutistico come lo Stato, nel movimento incessante risulta impossibile ("qualche Rom si è fermato italiano / come un rame a imbrunire su un muro").

Può anche esistere uno status di autoemarginazione involontariamente vissuto o volontariamente desiderato a seconda della lettura che si vuol fare di DOLCENERA: in ognuno dei due casi, l'innamorato ed il tiranno (quando DOLCENERA voglia essere intesa come metafora del potere) escludono ogni cosa che non si accordi alla loro passione, vivono un sogno paranoico che elimina l'"altro", lo fa apparire o scomparire secondo i misteriosi percorsi della propria follia, chiunque o qualunque cosa sia: la moglie di Anselmo o l'alluvione di Genova nel 1972. Anche il "tumulto del cielo" o lo straripare di un torrente, "sbagliano momento".

Non solitudine ma emarginazione è invece quella del pescatore de LE ACCIUGHE FANNO IL PALLONE, al cui desiderio fa contrasto la povertà. Una povertà che è la conseguenza dell'imposizione di regole da parte della "comunità", dello Stato, che non lascia spazio all'individuo neppure per la realizzazione di pochi ed estremamente semplici desideri (sposarsi), per la realizzazione dei quali non si può contare sulla propria libertà ma bisogna rivolgersi a un impossibile "sogno" (pescare il pesce d'oro")

Ma il disagio non sempre diventa rassegnato sogno, quando "la corsa del tempo spariglia destini e fortune" mettendoli a continuo confronto, nasce l'invidia; la DISAMISTADE, la faida, nasce dalla volontà di azzerare questo status quo e riportare il mondo a una ipotetica condizione originaria di eguaglianza. La faida consiste nel paradosso di ammazzare l'ultimo assassino e l'autorità interviene quasi sempre a sproposito, giudicando frettolosamente in base a testimonianze equivoche, penalizzando innocenti che scontata pena ingiusta diventano i nuovi luttuosi protagonisti della carneficina.

Tuttavia, la faida non è ovunque, ci sono ancora luoghi in cui l'invidia è restia ad arrivare e dove l'autorità del controllo centrale non arriva e fra gente semplice e libera, il contratto si può instaurare senza acrimonia seguendo la consuetudine di antichi rituali ricchi di rispetto e di grazia e quindi di poesia: la CUMBA volerà di casolare del padre a quello dello sposo quasi di nascosto, senza lasciare segni di torti o risentimenti.

Il contrasto dell'autorità, in questo caso quella paterna, ai desideri del giovane contadino protagonista di HO VISTO NINA VOLARE, determina in lui una condizione di isolamento, di totale abbandono: eppure si tratta di desideri più che normali, semplici, quelli che riguardano il nostro cercare e ritrovare "noi stessi" oltre le imposizioni dell'autorità.

SMISURATA PREGHIERA (ispirata dal "Gabbiere" di Alvaro Mutis) è invece secondo me non solo la somma dei percorsi del disco, ma anche di quelli della vita poetica di De Andre'. Fortissima la presenza di Mutis (l'autore,per intenderci, di "Ilona arriva con la pioggia") qui ripreso sia per la "Preghiera" di Maqroll, che al contrario recita "Ricorda Signore che il tuo servo ha osservato pazientemente le leggi del branco. Non dimenticare il suo volto", sia in piu' punti, a partire da quel "gli elementi del disastro" che ricorda appunto una delle raccolte più note del poeta. Ma De Andre' attraverso la poesia stavolta ci offre un vero, grande affresco a tinte forte della solitudine libera e scelta, pressupposto necessario per "consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità", perche' l'uomo è individuo non esaltato dalla massa, dalla folla, dalla maggioranza, ma da essa annullato, appiattito, reso schiavo e complice di naufragi, scandali, disastri. Una condizione questa che necessita forza, tenacia ("direzione ostinata e contraria")ma sembra garantire soltanto una vita disagevole ed emarginata ("nel vomito dei respinti", "marchio speciale di speciale disperazione"). Quand'ecco, almeno alla fine, la speranza che la fortuna faccia il suo dovere ed aiuti i figli (di Dio) disobbedienti alle leggi del branco, restando comunque questa un'anomalia. E' secondo me LA canzone di De Andre', nella quale possiamo leggere il punto di vista dell'autore maturato in tanti anni, apparsoci frammentato in tante canzoni non soltanto in questo album, e qui riunito in un ideale "manifesto" comunque molto bello e poetico malgrado questa sua natura, se si vuole libertario o anarchico, la definizione non è forzata, ma soprattutto inno alla libertà e alla solitudine come scelta in una società statalista e massificata. Pareri scomodi di un cantautore scomodo.