FABRIZIO DE ANDRE'

visto da Cesare G. Romana

Via del Campo è una straducola stretta e tortuosa nel cuore di Genova vecchia. Appartiene a quella rete di vicoli che, collocata a ridosso dell'angiporto, fa storcere il naso ai Catoni della società bene, ma piace ai poeti. Piace, dunque, a Fabrizio, che già in un'altra occasione ne ha cantato "l'aria spessa, carica di sale e gonfia di odori" che si spoa al tanfo della spazzatura accumulata lungo i marciapiedi, all'odor di vino e di fumo ( poco distante, all'imbocco della via, l'ombra austera di una chiesa e la sede della "Protezione della giovane" sembrano messe lì a bella posta da un folletto in vena di sfottò). Qui viene spesso Fabrizio che è - a suo modo - un poeta e come tale ama scoprire il fondo delle cose, il colore autentico della realtà umana che è fatta anche di miseria, di tristezza, di inutili attese e di disattese promesse.

E' sempre stato un tema caro a Fabrizio, quello dell' uomo scrutato - e amato - nei capitoli più amari, nei risvolti fallimentari della sua storia. Che è essenzialmente, per lui, storia di agognati ma tanto spesso irraggiunti traguardi, di fronte alla evidenza diventa inutile la speranza illusoria e la ribellione pigmeiforme di chi vorrebbe opporre la propria fragile volontà alla violenza gigantesca del destino. Sempre pronto, quest'ultimo, a dissolvere con un colpo di spugna i poveri fantasmi che colorano i sogni dell'uomo con le luci di un impossibile paradiso.

Ecco perchè non mi ha affatto stupito - alla luce di quanto avevo intuito dalla affettuosa consuetudine con lui uomo e con lui artista - che Fabrizio abbia composto, giunto a un certo stadio della sua parabola creativa, Via del Campo. Che non è soltanto una pagina di amarissima poesia, ma, soprattutto, il ritratto emblematico di una condizione umana, la dimostrazione di quanto possa essere disagevole - oltre che improduttivo - il mestiere di vivere.

In questa cornice vivono i personaggi di Fabrizio e si consuma la loro attesa, che ha già in sè i germi del proprio nulla. Così la "graziosa" di Via del Campo, la bambina ai cui piedi nascono i fiori, ma che "vende a tutti la stessa rosa"; la puttana che non potrà mai offrire altro che un paradiso provvisorio e, tutto sommato, inutile l'incantesimo di un quarto d'ora. Così il povero "illuso" che viene a cercare fra il letame, i fiori di un impossibile, assurdo amore. Così, in fondo, tutti noi. E allora ?

Si vorrebbe credere, si vorrebbe sperare. Ma in che cosa, e in chi ? Può accadere che nasca nel buio del cuore la tentazione di una preghiera. Ma Dio dov'è ?

"Dio del cielo, se mi vorrai amare / scendi dalle stelle e vienimi a cercare...". Noi non sappiamo individuare il confine che separa il sorriso dal pianto, indicacelo Tu : "le chiavi del cielo non ti voglio rubare / ma un attimo di gioia me lo puoi regalare..."1. Ecco allora, finalmente, profilarsi l'ombra di una speranza.

Fiducia, se non altro, in una giustizia finale che arriverà ad invertire le posizioni, castigando chi troppo ha goduto ("chi bene condusse sua vita / male sopporterà sua morte"), affrancando chi troppo ha sofferto : "partirvene non fu fatica / perchè la morte vi fu amica"2.

E' l'epilogo che il suicida di Preghiera in gennaio sceglie come unica alternativa all' "odio e all'ignoranza" che avvelenano la terra : "Lascia che sia fiorito / Signore il suo sentiero..." . Non c'è altra certezza, non c'è altro rimedio è lecito supporre al nostro male di vivere : "Dio di misericordia / il tuo bel paradiso / l'hai fatto soprattutto / per chi non ha sorriso, / per quelli che han vissuto / con la coscienza pura : / l'inferno esiste solo / per chi ne ha paura".

E prima ? Diceva Ungaretti "La morte si sconta vivendo". Nessuno si salva da questa legge, neppure coloro che Fabrizio chiama semidei, i fortunati. Come quel Carlo Martello il cui rango regale non vieta ad una qualsiasi sgualdrinella di sottoporlo ad una atroce turlupinatura ; neppure coloro che, avendo raggiunto alle spalle degli altri una aleatoria felicità, troveranno il loro castigo quando la Morte "estrema nemica"2 verrà a rammentare loro l'infinita vanità del tutto.

Lungo queste costnti la meditazione di Fabrizio nasce e procede con i frutti di una concretezza tanto più tangibile tanto più diretto - e sofferto - è il suo approccio con la realtà. E se a taluni troppo ampio potrà sembrare lo spazio che Fabrizio concede ad un pessimismo apparentemente distruttivo, non va dimenticato come esso trovi le proprie radici in un atto d'amore per l'UOMO, di ansia per la sua salvezza.


1 ] Spiritual

2] La Morte

Tratto da "Fabrizio De Andre' vol.1", Belldisc Italiana s.p.a. . Non si intende infrangere alcun copyright .