Sommario

La Risveglia


n° 1 Maggio - Agosto 1999
quadrimestrale di varia umanità

Alta Maremma: un ricordo

di Gianna Ciao Pointer

La Maremma fu essenzialmente terra di esclusi. I"buzzi verdi" si giocavano la vita fra malaria, acquitrini, macchie e terre rosse.
Non vi era posto per l'epico o il picaresco: si trattava di sopravvivere.
E per riuscirvi donne e uomini, mossi dalla disperazione e senza altre vie di uscita, si batterono anonimamente.
In Maremma il vento soffia più che altrove e se ne perdono le tracce. Sul litorale il maestrale, lo scirocco e il libeccio fanno da padroni.
La Maremma fu un eccesso. L'inverno si eternizzava col freddo, l'estate faceva crepare la terra e il padule viveva con le sue zanzare.
La grande ferita, che fu la Maremma, convisse con la fatica, le malattie e la morte prematura.
La violenza del potere bugiardo (neoplasma) e del più forte e di regola più vile, si perpetrò sotto il volo dell'anofele.
Fra gli annunci dei disastri, la vita continuava, bandendo la memoria.
Alla "Mala aria" o alla "Malsanìa" si attribuivano la terzana, la quartana e la perniciosa.
La Maremma, governata da Siena, era tenuta a latifondo, e pochi butteri ( chissà chi si concesse questo lusso culturale di origine greca, preferendolo al più banale madriano ) e pastori regolavano tutto, dalle mandrie dei bufali domi agli ovini e ai bovini, negli acquitrini e nelle zone addette ai pascoli. Siena sfruttò la Maremma con fredda lucidità, pensando - se occorreva - al mezzadro delle crete e disinteressandosi del bracciante maremmano. La prosperità... di Siena si appoggiava al Monte dei Paschi, la banca creata nel 1472, e con ciò tutto è detto.
"Il linguaggio non è un fatto scientifico ma artistico... ed è molto più antico della scienza" (Chesterton)
Spesso in Maremma si salutava, dicendo: "Stammi fiero".
Questa terra palustre non conobbe mai l'illusione, che richiede l'arte. E così è oggi nella transumanza sociale.
La bestemmia, tanto diffusa in Toscana, diventò nella Maremma una punteggiatura, uno sfoggio verbale. I suoi abitanti avevano abbandonato speranze e utopie, pochi furono ampiamente e pienamente sovversivi e sopravvissero, abitati da sostanze cosmiche.
La Maremma esercitò un oscuro incanto, che sbranò tante vite.
Nella Maremma dei colli si dormiva fra i muri, ma dabbasso, nella pianura confinante coi paduli, si abitavano capanne o "diacci" da soli o con i propri capi di bestiame, essendoci pochi coltivatori di piccoli spazi. Nei paesi gli uomini cacciavano per necessità e le donne, in nero, formavano il solito coro storico.
La Maremma, oggi, sembra soddisfatta dei suoi niente affatto rimarcabili edifici, quasi avesse dimenticato che far entrare la storia sociale in quella naturale significa responsabilizzarsi di fronte alla natura, perché è questo quanto è in gioco: il pericolo e il superfluo contro la vita sulla terra. Ci sono le eccezioni? Ai margini, in uno scenario di volontà.
La Maremma si snodava, prossima al mare, poi penetrava nel retroterra, fra tradimento e seduzione, per dare vita a una lotta tutta umana, che non ebbe mai il suo poeta.
Dopo aver capito che l'acqua stagnante nutriva il male allora oscuro, nel 1830 si cominciarono a scavare fossi per convogliarla al mare e seccare i paduli. Ma l'opera non giunse a termine. E per evitare la malaria chi poteva partiva in primavera per tornare in autunno; tale fu la vicenda della fonderia di Follonica, dell'allumiera di Montioni, delle miniere di Massa e degli uffici di Grosseto, che praticarono l'"estatatura" fino al 1898.
I poveri, naturalmente, rimanevano, bevendo un vino, che costava meno dell'acqua, o raccogliendo mignatte e giunchi, come ombre che scivolano nella nebbia del mattino; le donne facevano figli e zappavano la terra, impegnate in una vita più forte di loro.
La Maremma fu terra fatale: nel senso di Greta Garbo in "Mata Hari", ne "La carne e il diavolo". Fu terra di dolore: Paul Muni in: "Io sono un evaso". Fu terra d'attesa: "Ombre rosse" di John Ford. Fu terra disperata: "La ballata di bruno" di Herzog. Fu terra di sconforto: "Paris Texas" di Wim Wenders.
La Maremma ricorda che una delle forme della libertà è amare quando non si dovrebbe amare.
La Maremma, come quasi tutta la Toscana, fu essenzialmente laica e repubblicana, anche se amò Leopoldo IIº, soprannominato Canapone, appellativo che dice di un'affettuosa confidenza. Un monumento al granduca è stato eretto a Grosseto, il capoluogo della provincia, già assediato dalla palude, dove volteggiavano i butteri, e niente affatto protetto dalle poderose mura medicee, incapaci, naturalmente, di fermare l'anofele.
Ricca fu la vegetazione della Maremma. I pini e gli eucalipti si espandevano con nobiltà e solennità. nelle macchie prosperavano il mirto, le bacche di ginepro, il rosmarino, fra la spiaggia e il mare i bianchi gigli, il cui profumo sormontava l'odore del salmastro.
Gli animali presenti, ieri e oggi, sono le tartarughe, il cinghiale, l'istrice e altre specie in via di estinzione, come avviene quando si raggiungono estremi distruttivi per interesse, o perché privi di ogni contatto con la realtà.
Quali che fossero le idee politiche dei maremmani, il potere era per loro quello che è sempre stato: abuso e richiesta di denaro. Il popolo dava un nome diverso a quella che oggi si chiama "mafia": le sue infrastrutture - padroni, gerarchie e fattori - erano visti come una scandalosa e alterata mappa del mondo.
Ogni tanto scoppiava una rivolta contadina e ci si impadroniva delle terre abbandonate, suscitando la reazione dei padroni che in un'occasione assoldarono il bandito Tiburzi contro la povera gente, e tutto rientrò nel cosiddetto ordine, senza che il popolo rinnegasse le simpatie che nutriva per il bandito, padrino di alcuni battesimi e ospite ai matrimoni.
Dopo l'unità d'Italia fu rispettato e ammirato il deputato Socci, che per andare in Parlamento, a Roma, si pagava il biglietto del treno e portava con sé, il suo mangiare. Un busto, ancora esistente, fu eretto alla sua memoria, a Follonica.
La Maremma fu laica. "non sono chiesaioli", disse una fiorentina. Le mie amiche Antonietta e Fulvia sono credenti, ma mai mi hanno parlato di Chiesa o indotta a frequentarla. Conosco Antonietta da sempre ed è l'ultima persona rimastami, di cui possa dire questo. E così del reciproco affetto. Da bambine giocavamo insieme a "sghiribizzo", al circuito, alla guerra francese, a nascondino.
La Maremma è laica, ma emana il sacro. E' terra che fa ripensare alla vita, senza preferenze etiche e costrizioni, ma sempre con i suoi contrasti. L'uomo è un nodo doloroso di contraddizioni.
La Maremma fu repubblicana e nel secolo scorso i patrioti di Scarlino e di Follonica aiutarono Garibaldi in fuga, facendolo imbarcare a Cala Martina, dove due lapidi, oggi in abbandono, ricordano il fatto e chi rischiò per salvarlo. Fra i patrioti che condussero Garibaldi per Val Citerna e per val Lunga c'erano Gaetano Butelli e Pietro Gaggioli, detto Giccamo.
Ho conosciuto Sirio Butelli, discendente di uno dei membri di quel gruppetto di audaci. Maremmano fino alla punta delle unghie, conosce la terra che lo circonda e avverte ogni rumore per chilometri all'intorno. Usava e usa avere gli armenti sotto i castagni che crescono sulle pendici di scarlino, oggi in pessime condizioni e in via di scomparizione a causa delle esalazioni della fabbrica che sormonta la pianura.
La Maremma di cui testimonio direttamente è quella della transizione fra la sconfitta della malaria e il tempo, in cui venne sconciata dal cemento: il periodo compreso fra il 1900 e il 1950.
Quella Maremma era ancora armoniosa e piena di misteri, bella e commovente, brada e riservata. A sei mesi mi ci portarono da Roma, nella casa di vacanza, dove venivamo al mare, a quaranta metri dalle onde, in un quartiere composto di viuzze, che finivano sulla spiaggia. La mia sorella ricorda che nella casetta bianca si usavano ancora i lumi a petrolio e le finestre erano protette dalle zanzariere. E rammenta il rombo degli zoccoli dei bufali e l'uomo, che parlando da un corno, incitava la gente a chiudersi in casa. Io ho negli occhi un corso d'acqua, dove si specchiavano due file di alberi, poi abbattuti, e oggi strada dove transita un intenso traffico.
Più tardi, ancora bambina, sognavo sui colori della Maremma, che si componevano e scomponevano. Prodotto cittadino e romano, che giurava su Castel Sant'Angelo, Piazza Navona, Piazza di Spagna e così via, mi stabilii più tardi a Follonica per qualche anno, avendo mia madre liquidata Roma e scelta Follonica, finalmente libera di far circolare nel piccolo giardino cani, gatti e tartarughe, libera di far crescereil rosmarino gigante e i fiori che amava, libera di tingere le persiane in viola e inaffiare la strada, perché non si levasse la polvere. Poi, accudite le faccende, se ne andava alla spiaggia, da dove guardava, senza stancarsi, le onde, che tanto amò. Però, appena alzata, portava prima di tutto l'acqua calda e la carbonella alla sua amica Amelia Gasperi, di ascendenze anarchiche e anarchica ella stessa, donna di grande coraggio e lealtà.
La storia della Maremma inizia per me a quattro anni, nel quartiere poetico dove abitavo, in case basse e variamente colorate, a seconda degli umori e delle possibilità. La gente usciva allora dalla miseria per entrare nella povertà. Nascevano progetti per il futuro, nonostante la molesta presenza dei fascisti. In quelle strade, e anche nella mia, ancora sparsa di orti, abitavano minatori, operai, pescatori venuti da Goro a elevare le vele adriatiche che coloravano mare e spiaggia. Notai che spesso gli uomini portavano alla cintura il pennato ( seppi poi il suo nome e il suo largo uso ) e vidi, in qualche casa, il fucile appeso in capo al letto. Imparai che la tartaruga si poteva chiamare bezzuga e che a certe varietà di formiche si davano i nomi di ghizze o di cudere.
A otto anni la Maremma divenne per me una passione: la felicità era tale che, a volte, mi impediva di giocare. Il padule era grande, un corpo favoloso e sempre chiuso nel suo mistero, che i fossi, con i loro nomi, contribuivano ad accrescere: gli uomini fatti raccontavano qualche volta di essere stati nella Valle della Scodella, in Val Metata, alle Madriacce, in val di Torri, al Vallino del Diaccio di Treppio e in quelli del Pin delle Streghe e dell'Aia dello zoppo.
A sedici anni tutto mi interessava in Roma e la bella Maremma divenne un di più. Poi, nella maturità, tornò il fascino delle zone palustri, e di tutte le ammirabili stagioni. Infine la parte litoranea fu preda, come in tutto il mondo, delle costruzioni, degli stabilimenti industriali, che cancellarono i bufali e i bischeri di padule, e di molti altri tic. I maremmani ne furono contenti, le informazioni fecero la loro strada puntata su soluzioni pratiche, rapide, brutte e livellanti nell'anonimato. Ripensai alla frase di Valéry: "La politica è l'arte di impedire alla gente di intrattenersi su quanto la riguarda".
La Maremma è stata racchiusa nella sua pericolosa bellezza, come il mistero delle Sirene, escludendo il tecnico Ulisse, uomo della strada legato al successo. Ha avuto, pur non registrandolo, il sapore delle saghe, lasciando le donne e gli uomini interlocutori di qualcosa di composito e astratto come concetto e per essenza, nel suo contrario, nominalista. L'irreale non ha mai confuso la storia della Maremma. Durante il suo regno non si sono conosciute risate, ma beffe più vicine alla sua malinconia: fu terra priva di gigantismi teatrali, ma anche di limiti locali e temporali. Della Maremma rimangono le macchie e la dignità si gioca ancora fra queste e il mare.
La pubblicità è un'arte, l'arte di tutte le arti, perché da essa scaturisce il potere, che determina il mondo in cui viviamo. Essa finirà per trasferirci in un mondo assente e neutro, mentre precipitano i rapporti umani. Trasversalmente ha abolito, nella pianura di questa Alta Maremma, lo splendido Macchion dei Corvi, ultimo resto dell'ontaneta "solo ai bufali praticabile" e testimone di terre difficili e insidiose, poi di quelle attese e belle, e infine di quelle cancellate.
Pochi, oggi, i maremmani, gabbiani dell'imprevisto. Ancora Valéry osserva: "Non amo la memoria che è spesso nello sbaglio per fedeltà, quanto può esserlo per tradimento".
Si è stati sordi a chi di queste terre fece parte, e le difese e contribuì al loro faticoso evolversi, dicendo qualcosa senza parole e qualche cosa tacendo, ma senza silenzio.


La Risveglia nuova serie on-line del giornale fondato nel 1872