Da: madsilk
Oggetto: 3 - Epilogo (violenza)
Data: venerdì 27 febbraio 1998 14.33
o be', avevo promesso una cosa corta, eccola qua... (non mi picchiate se la violenza vi offende, pero'! :-)) madd ------------------------------------------------------------
Era tornato, tornato di nuovo indossando la sua vecchia uniforme, ancora seduto nella sua vecchia poltrona d'ufficio, davanti alla sua vecchia scrivania, nella sua vecchia stanza. Vecchia amica scrivania era vuota, la pelle rossa neanche leggermente graffiata, neppure tagliata, neppure minimamente cambiata, neppure lisa. Nuova se non per uno spesso strato di polvere e d'intonaco da vecchio soffitto caduti. Fissato osservo' a lungo la superficie della vecchia amica, distesa rossa pelle. Piantate le palme nella polvere, bagnando le sue nove dita nello strato di polvere, spalmandolo in grumi, senza cercare di toglierla, neppure cercando di livellarla, palpando con i polpastrelli la liscia area, strizzando lo sporco tra le dita, portandolo al naso, esaminandolo con estrema cura, mettendo un dito in bocca, come per assaggiare l'insolita sostanza. Si guardo' intorno, vagarono i suoi occhi slittando sull'uniforme che stava indossando, ancora in capo il suo berretto. Sollevo' la mano sinistra, raggiunse la visiera del berretto, lo sollevo' dalla testa, caro vecchio berretto, se lo rimpallo' da una mano all'altra, lo tasto' e ritasto' ben bene torno torno, passando un tempo indefinito sulla spazialita' del berretto. Allargo' lo sguardo, intorno, per tutta la stanza, espansione di un territorio già conquistato, trascrizione mentale di realta' ambigua. Il suo sguardo si arresto', si punto' su un pannello verde, bordato di filo spinato, fissandolo sul muro, tutto il resto sparì, si sciolse nel biancore generico del fiorame della carta da parati. Ripetuti suoni ritmici bombardati da fuori dentro le sue orecchie, urla e mitragliatrici, ordini emessi, ordini eseguiti, palpito frenetico, martellanti ancora ancora nelle sue tempie. L'una e l'altra mano strinsero la presa, agguantarono i braccioli della sedia per gli angoli, gli occhi ancora puntati sul pannello verde appeso al muro, il volto costretto nella cornice verde. Lentamente si sollevo' dalla sedia. Le lunghe gambe magre, deboli, subito erano dolore. Precipito' nella sedia, mollemente si rimise a sedere. Ora solo il lieto canto degli uccelli a stormi sostituiti, picchiettati, penzolati dabbasso, in cucina, frizzantino, bruciaticcio, frittura e mestolate. Stormi su in cielo, come fanno a volare? Fragori metallici, pentole e padelle e forchette, la donna aveva promesso una cenetta bella calda. Bollito e cavolo nero e budino al forno appetitosi odorini su per le scale, penetrando da sotto la porta rossa chiusa a chiave. Era tornato, di nuovo tornato rimosso dal dolore, vaghe nuvole di rumori, attutiti morbidi ricordi picchiavano forte dentro la sua testa. Scie di visioni, lampi di luce, acute voci stridule, urla, grida da brivido, fulmini fragorosi che lacerano boccioli di rocce celesti contro uno sfondo nero, pile di libri, libri e ancora libri ovunque, muri fatti di libri come mattoni come mattoni impilati, impalati a caso senza legamenti, intasati e spianati, accoppiati scoppiati, pesi, sospesi, ammucchiati scoscesi, schiaffati nella faccia, avrebbe dovuto essere più carina con me, dovevo farlo, dovevo fermarlo. Grida, strazianti isterici urli rutilanti, ronzanti ancora nelle orecchie sue. Picchiettare, picchiare quella puttana, se lo meritava quello che le e' venuto, gli ha graffiato il volto, selvaggia, indomita bestia che era, era cosi' bella, una dea dell'amore era, perche' l'ha costretto a farlo? Cosi' floride le sue membra, voluttuose forme sinuose, delicate forme, lascive le sue pose, erotiche le sue curve, ondulando i suoi fianchi a quel modo, morbidezza le sue rosse labbra turgide, morbidezza i suoi seni, oscillante così provocante a quel modo, il suo sguardo, cosi' perfido, cosi' freddo, l'onda fluente dei suoi lunghi capelli, miele versato sulle sue minute spalle bianche, un volto di dolcezza amore innocente, perversa diabolica attrattiva. Si alzo' dalla sedia di nuovo, lentamente, molto lentamente cauto restando a lungo sui suoi piedi, trascinando i passi intorno alla scrivania. Involontariamente sollevo' un nugolo di polvere, nebbiosa aria schermava i vetri delle finestre, gli infissi delle finestre, le cornici dei quadri, tranne uno, tentatore, lo invitava ad entrare. Una forza trascinante, qualcosa o qualcuno lo guidava per l'ennesimo viaggio, un viaggio tra cose ancora ignote, familiari, gettiti di passione svanita. Pallide luci soffuse, facce, sorrisi, risate, di nuovo incalzavano infestanti di nuovo ritornava la risata, argentina, d'acciaio, malvagia, non lo lasciava mai, sempre con lui, quella risata. Pugni stretti sferrati nell'aria, gesto disperato per far tacere quella risata, scaglio', lo scaglio', lo scaglio' con violenza bang, cozzo' bang, cozzo' con fragore contro il vetro bang, cozzo' contro il vetro in miliardi di schegge, la fonte del suo dolore bang, la fonte del suo dolore torturava la ferita sanguinante, ferita aperta sanguinante lungo il taglio lungo nella sua lunga gamba sottile, cuore sanguinante, immagine sanguinante rosso porpora sangue vivente pulsante, dappertutto, svenatura, scontro tintinnanti schegge di vetro sottile esplose conflagrate irradiate dappertutto.

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