Da: Leeloo
Oggetto: new entry
Data: martedì 17 marzo 1998 22.59
bene bene, che ne dite di un racconto scritto da una ragazza? forse non sara' cio' che vi aspettate ... si accettano suggerimenti e correzzioni. Ciao da leeloo
A qualsiasi età si e’ sufficientemente grandi per adempiere a certi compiti ed ancora piccoli per compierne altri, ma una cosa è certa non siamo noi, in prima persona, a giudicare. A dieci anni ad esempio ero abbastanza grande da poter andare a scuola da sola, uscire a fare le spese, mentre non lo ero per uscire con le amiche oltre le sette di sera o mangiare la pizza in compagnia di ragazzi. E andare a messa? Certo, potevo farlo, anzi dovevo. Ogni domenica presso la solita chiesa e alla stessa ora. Era però quella l’età in cui iniziavo a ribellarmi, a voler gestire da sola le mie giornate libere e decidere finalmente cosa volevo o non volevo fare. Tuttavia non ero immune dal senso di colpa che puntualmente mi si infliggeva per non aver fatto questa o quella cosa. Questa avventura ebbe inizio proprio da un senso di colpa suscitatomi per aver rinunciato alla partecipazione della messa domenicale, fui così dirottata un’ora più tardi presso un’altra chiesa non lontana da casa. Entrare in un luogo buio quando gli occhi sono stati esposti alla luce del sole richiede un breve periodo di adattamento in cui è facile osservare cerchi multicolori aleggiare nell’aria, scomparire e riapparire in forma diversa, in basso, in alto, a lato. Mentre queste visioni colorate danzavano lungo la navata della chiesa mi accorsi che non vi erano che poche persone, quattro o cinque ognuna seduta per conto proprio. Forse avevo sbagliato chiesa o forse ad essere sbagliata era l’ora o semplicemente il destino mi aveva riservato la mia prima esperienza proprio in quel santo luogo, dove viene perdonato ogni peccato. Intinsi la mano nell’acquasantiera, era quasi prosciugata, mi inchinai, feci il segno della croce e mi avvicinai a quella persona che sembrava meno assorta nella preghiera. Gli chiesi dunque a quale ora sarebbe iniziata la messa, non capii la risposta, ma mi fece cenno di seguirlo. Passai accanto al confessionale, era vuoto la tendina aperta, raggiungemmo quasi l’altare, a destra vi era una porta di legno socchiusa, la aprì e gentilmente mi fece strada. Entrammo e chiuse la porta alle nostre spalle. A dieci anni non si è prive di malizia, almeno io non lo ero e guardandolo negli occhi capivo già perché mi aveva portata in quella stanza e perché aveva chiuso la porta, stranamente non a chiave. Ero molto curiosa, non avevo mai visto quella cosa in mezzo alle gambe di un uomo e speravo veramente di poterla osservare per la prima volta. Forse se io gli mostravo ciò che avevo tra le gambe anche lui avrebbe fatto altrettanto. Camminai all ’indietro, pochi passi, fino a sbattere contro un tavolo appoggiato al muro, sono sicura avesse interpretato quel mio allontanamento come un ritrarmi ed invece appoggiati i palmi delle mani mi sollevai per sedermici sopra, il tavolino si alzò leggermente sulle due gambe anteriori e poi si stabilizzò. Ero seduta con le gambe divaricate e lo guardavo mentre mi si avvicinava, fu in quel momento che gli proposi lo “scambio”. Lo sguardo gli si illuminò e sono sicura non fu l’unica sua reazione. Allora afferrai il bordo della gonna fino al mento e lo strinsi tra i denti, poi con una mano, mentre l’ altra si reggeva al tavolo, mi tirai giù prima da una parte e poi dall’altra le mutande di cotone celesti di cui andavo molto fiera. Sentii il contatto fresco con la superficie del legno verniciato, che sensazione strana, quasi di libertà. Lui non sembrava più lui, lo sguardo fisso sulla mia cosa, era rosso in viso e sembrava non respirare. Ora però toccava lui, io lo avevo fatto e lui l’aveva vista, era il suo di turno. Chissà come poteva essere quello di un vecchio di quarant’anni, forse tutto penzoloni, rugoso come il suo viso. Si avvicinò, forse, pensai, aveva letto il mio pensiero, io infatti volevo vederlo da vicino. I suoi movimenti non erano decisi come i miei, era molto lento mentre si slacciava la cintura, mentre apriva il bottone dei pantaloni e la cerniera faticava a scendere, stava spostando qualcosa sotto, perché? Si calò i pantaloni e poi le mutande ed io rimasi a bocca aperta, era più grande della mia mano, almeno a prima vista, e non era penzoloni, ma rivolto verso l’alto, grosso e viola all’estremità. Dio, volevo toccarlo. Nuovamente pensai mi leggesse il pensiero perché si avvicinò a sufficienza da poterlo raggiungere con la mia mano. Mi sporsi verso di lui, ma non volle preferì invece che fossi io ad allontanarmi, così appoggiai la schiena al muro, alzai le gambe e appoggiai i tacchi delle scarpe al bordo del tavolo, in quel momento mi scappava la pipì, mi sentivo bagnata, forse un goccio mi era scappato allora glielo dissi, dovevo andare al bagno. Lui allora si distese sul pavimento, sbottonò la camicia e se la tolse, mi invitò a scendere dal tavolino, mi disse di sedermi cavalcioni sul suo ventre e di non trattenere oltre la mia pipì perché lui desiderava essere il mio servitore ed io di lui potevo fare ciò che volevo, così la feci sopra di lui, e quando mi voltai per cercare qualcosa per asciugarmi vidi appoggiato allo stipite della porta non più chiusa un altro vecchio di quarant’anni con il suo coso in mano andare su e giù.

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