Carl Richard Jacobi

Era una squallida, desolata costruzione giu in Harbor Street. Una vecchia ' a recitava "Giovanni Larla-Antiquario" e un vetro sporco rivelava una vetrina nascosta dalla polvere. Nel momento in cui varcai la soglia in cupo pomeriggio di settembre, spinto da un'improvvisa raffica di pioggia me da una certa attrazione per tutte le antichità , la tetraggine mi avvolsecome un sudario. Nella semioscurità dell'interno, c'erano scatole ammonticchiate e un'orribile tappezzeria logora che lasciava vedere l 'ordito nei punti consumati. Una credenza del Rinascimento italiano giaceva tristemente ' angolo, e sembrò fissarmi accigliata al mio passaggio. <> Sbirciai nell'ombra la tozza figura del proprietario italiano ed esitai <>, dissi scrutando il guazzabuglio di oggetti intorno a me. <> La faccia untuosa dell'uomo si aprì in un sorriso, sebbene dovesse aver già sentito mille volte quella frase. Sospirò e rimase per un attimo pensieroso, mentre la pioggia tamburellava e scorreva sulla vetrina. Poi si avvicinò molto cautamente agli scaffali e li scorse in lungo e in largo con lo sguardo, meditando. Infine tirò fuori un oggetto che mi sembro un calice dipinto. Un autentico Tandart del XVI° secolo>>, mormorò. <> scossi la testa. <>, dissi. <>. Si accigliò lentamente, <>, rispose, <> Niente, mi accorsi, poteva mettere fretta a quell'uomo. Passò un quarto durante il quale mi toccò vedere una spilla con cammeo di Glicona, una sedia intagliata di qualche indeterminato stile e periodo, e un mucchio di statuette ingiallite, piccoli dipinti a olio e uno o due orribili vasi di Portland. Più volte guardai con impazienza I'orologio, chiedendomi come avrei potuto sottrarmi a quell'italiano e al suo tetro negozio. Il fascino della sua polvere e della sua penombra aveva già cominciato a dissolversi, ed ero ansioso di uscire in strada. Ma quando l'uomo mi condusse nel retrobottega, qualcosa attirò la mia attenzione. Fu allora che tirai giù dallo scaffale il primo libro dell'orrore. Se avessi saputo quali eventi ne sarebbero seguiti, se solo avessi avuto preveggenza del futuro in quel giorno di settembre, giuro che avrei evitato quel libro come una cosa infetta, e che avrei rifuggito quel triste negozio di anticaglie la stessa strada su cui sorgeva come luoghi maledetti. Mille volte ho gia desiderato che i miei occhi non si fossero mai posati su quella copertina Quanti patemi d'animo, quanto terrore, quanta inquietudine, quanta follia mi sarebbero stati risparmiati! Ma, senza immaginare nemmeno lontanamente i segreti delle sue pagine, me lo rigirai distrattamente tra le mani e commentai:<> Larla diede un'occhiata e si accigliò. <>, disse con calma, <>. Il volume che avevo tra le mani era effettivamente di aspetto assai insolito. Misurava appena quattro pollici per cinque di larghezza, era ricoperto di velluto nero e ogni angolo esterno era protetto da un triangolino di avorio: era il più bell' esempio di rilegatura che avessi mai visto. Al centro della copertina era montato un minuscolo pezzo di avorio con un complesso intaglio a forma di teschio. Ma fu il titolo del libro ad eccitare il mio interesse. Stampigliato in lettere d' oro il frontespizio recitava: "Cinque unicorni e una perla>>. Guardai Larla. <>, domandai, mettendo mano al portafoglio. Scosse la testa. <> <> Larla non rispose ma rimase a fissare il libro, probabilmente con la mente assorta in pensieri profondi. Trascorse un lungo istante di silenzio, C'era una strana luce nei suoi occhi quando finalmente parlò. E mi sembrò di vedere le sue dita tremare leggermente.<> disse lentamente, <> Si passò una mano sugli occhi e trattenne bruscamente il respiro.

<>, domandai. <> Lo guardai con curiosita, impressionato dal suo turbamento <j> Larla le mani che si aprivano e si serravano gli occhi sbarrati non appariva in pieno possesso deIle sue facolta. << E poi... oh, se solo potessi dimenticare ! Fu una cosa orribile: il povero Alessandro tornò a casa gridando, singhiozzando, Era...era completamente impazzito, furioso ! Lo portarono all' Istituto per le Malattie Mentali e dissero che aveva bisogno di assoluti riposo, che doveva aver subito qualche pesante trauma psichico. Mio fratello morì tre settimane dopo con il crocifisso sulle labbra>> Rimasi per un attimo in silenzio, guardando la pioggia che cadeva di fuori. Poi dissi <> Larla annuì distrattamente. <> rispose <> Il mio desiderio di leggere quelle poche pagine risultò moltiplicato per mille non appena seppi che non erano disponibili. Ho sempre nutrito un certo interesse per la psicologia patologica e ho letto una quantita di libri sull'argomento. E avevo lì a portata di mano l'opera di un uomo rinchiuso in manicomio. La testimonianza integrale di una mente colta finita nell'abisso della follia. E, se l'intuito non mi tradiva, la traccia di un fitto mistero. Avevo deciso. Dovevo averlo. Mi rivolsi a Larla e scelsi le parole con cura. <>, dissi,<> L'italiano esitava e giocherellò indeciso con la pesante catena d'oro del suo orologio. <> <> Larla fissò la punta delle proprie scarpe. <> Quella notte, nella quiete del mio appartamento, aprii il libro. Subito la mia attenzione fu attirata da tre righe vergate con calligrafia femminile sulla faccia interna della copertina e scritte con un liquido rosso pallido che sembrava piu sangue che inchiostro. Dicevano: Rivelazioni intese a nuocermi riescono solo a creare invisibili legami. Leggi, o folle, ed entra nel mio giardino, che a questo luogo siamo incatenati. E sia su Larla la mia maledizione! Rimuginai un pezzo su quelle parole indecifrabili senza venire a capo del loro significato. Infine voltai la prima pagina e cominciai a leggere 1'ultima opera di Alessandro Larla, la storia piu strana che mi sia capitato di leggere in tanti anni trascorsi a sfogliare vecchi libri. La sera del quindici ottobre ho camminato nel freddo fino a sentirmi stanco. II fragore del presente era distante quando sono giunto alle ventisei ghiandaie che contemplano in silenzio Ie rovine. Passando in mezzo a loro, ho vagato tra gli scheletri degli alberi e mi sono seduto dove potevo vedere ammiccare il pesce. Un bimbo si genufletteva. II vetro mi rilanciava la luna. L'erba cantava una litania ai miei piedi. E I'ombra acuminata si spostava lentamente a sinistra. Ho camminato sulla ghiaia argentata e ha visto'cinque unicorni galoppare in riva alle acque del passato. E qui ho trovato una perla, una perla magnifica, una perla bellissima, ma nera. Come un fiore spandeva un intenso profumo, e io pensai che il profumo non fosse che una maschera, ma perchè una così perfetta creatura dovrebbe aver bisogno di una maschera? Mi sono seduto fra il pesce sorridente e gli unicorni al galoppo, e mi sono innamorato follemente della perla. Il passato si e dissolto in vacuita e... Posai il libro e rimasi seduto a guardare gli anelli di fumo della mia pipa fluttuare verso il soffitto. Lo scritto proseguiva, ma non riuscivo ad attribuirgli il minimo significato. Era tutto in quello stile strano e assolutamente incomprensibile. Eppure avevo 1'impressione che quello scritto fosse qualcosa di più dei vaneggiamenti di un folle. Dietro di esso sembrava nascondersi una narrazione camuffata dai simbolismi. Qualcosa in quelle poche frasi aveva fatto cadere su di me un immediato senso di depressione. Quelle righe enigmatiche pesavano sui miei pensieri, e poco a poco mi sentii in preda a un profondo disagio. L'aria della stanza si era fatta greve e opprimente. La finestra dischiusa e 1'aria aperta sembravano reclamarmi. Mi avvicinai alla finestra, scostai la tenda e rimasi li, fumando convulsamente. Devo dire che abitudini regolari hanno sempre fatto parte della mia natura. Non sono dedito a vagabondaggi notturni o a tortuosi itinerari destinati a ingannare 1'insonnia; ma, in quel momento, abbastanza stranamente, con le pagine del libro ancora in mente, sperimentai d'improvviso un'indefinihile smania di lasciare il mio apparta- mento e di camminare per le strade buic. Misuravo nervosamente la stanza. L'orologio sulla mensola del camino emetteva il suo lento, incalzante -ticchettio nella quiete dell'appartamento. Alla fine gettai la pipa sul tavolo, presi cappello e soprabito e infilai la porta. Per quanto possa sembrare assurdo, appena sceso in strada mi accorsi che quel vago impulso si era trasformato in una precisa attrazione. Sentivo che in nessun modo avrei potuto prendere una direzione diversa dal Nord e, seb- bene da quella parte ci fosse solo un quartiere a me praticamente scono- sciuto, mi ritrovai in un istante e senza sapere perche a incamminarmi, scegliendo accuratamente le strade, verso i sobborghi della citta. Era una limpida notte di luna settembrina e nell'aria c'era gia il profumo dell'erba bagnata di brina. Le campane sulla torre del Campidoglio battevano la mezzanotte, e gli edifici e i negozi, come anche le case d'abitazione, erano immersi nel buio e nel silenzio al mio passaggio. Per quanto tentassi di cancellare dalla memoria il bizzarro libro che avevo appena letto, il mistero delle sue pagine mi tormentava, eccitando la mia curiosita. <> Cosa significava? Mi rendevo conto ogni momento di piu, mentre proseguivo, che un potere estraneo a11a mia volonta stava guidando i iniei passi. E, quando tentai di fermarmi per un attimo, quell'attrazione percorse ogni mia fibra come la brama di una droga. Fu dopo aver percorso un buon tratto di Easterly Street che mi trovai davanti un alto muro di pietra che correva lungo il marciapiede. Oltre la sua sommita si vedeva 1'ombra di una buia costruzione che sorgeva in fondo a un parco. Un cancello,di ferro battuto si apriya su una scena di selvaggio abban- dono e squallore, So'tto la luce della luna si stendeva un antico giardino dis- seminato di fontane e sedili di pietra, invaso da ogni tipo di erbacce e vegetazione incolta. Le finestre dell'edificio, che un tempo era stato evidentemente una casa privata, erano state tutte sbarrate con assi, eccetto quelle di una piccola torre o cupola che sorgeva sulla facciata della casa. I vetri captavano i raggi della luna e li riflettevano nell'oscurita. Davanti al cancello, i miei piedi si bloccarono come privi di vita. Il potere telepatico che mi aveva dominato fino a quel momento era diventato una realtà tangibile. Emanava direttamente dal cortile, attirandomi verso di esso con un'intensità che soffocava ogni resistenza. Stranamente, il cancello non era chiuso a chiave; come in trance, lo feci ruotare sui cardini cigolanti: ed entrai, aprendomi la via lungo un viale invaso dalle erbacce fino a uno dei sedili. Mi sembro che, una volta entrato nel giarchno i suom lontani della citta si spcgnessero del tutto lasciando il posto a un profondo silenzio rotto solo dal vento che faceva stormire 1'erba alta e ormai secca. La casa si ergeva davanti a me con le sue ali immerse nel buio: pronto ad avventarsi. C'erano diverse fontane, consumate,dalle intemperie e ornate da strane figure alle quali in un primo momento dedicai solo un'occhiata distratta. Piu avanti, seminascosta dalla vegetazione incolta, c'era la statua a grandezza naturale di un bimbo inginocchiato in atteggiamento di preghiera. L'erosione ne aveva sfigorato il volto e, nella semioscurita, i lineamenti scolpiti mostra- vano--un'espressione singolarmente grottesca e repellente. Non so per quanto tempo rimasi seduto li in silenzio. La scena che,mi circondava alla luce della luna si fondeva armoniosamente con il mio stato d'animo. Ma, piu che altro, mi sembrava di essere fisicamente incapace di riscuotermi e andare via. Fu con una subitaneita che mi fece scattare in piedi elettrizzato, che mi resi conto del significato degli oggetti che mi circondavano. Rimasi li come paralizzato, guardando febbrilmente qua e la, in preda all'incredulita. Stavo sognando, di certo. Esisteranno pure manifestazioni sovrannaturali, ma tutto cio... tutto cio era assolutamente, impossibile. Eppure... Fu la fontana accanto a me ad attrarre per prima la mia attenzione. Sul- I'orlo della vasca c'erano cinque unicorni di pietra, tutti scolpiti allo stesso modo, e ognuno sembrava seguire I'altro in una galoppante processione. Guardando ancora, spinto adesso da un ricordo che tornava irragionevol- mente a galla, vidi che la cupola che svettava alta sulla casa, colpita dai raggi della luna, proiettava una lunga ombra affusolata sul terreno alla mia sinistra. L'altra fontana, un po' piu lontano, era ornata da un pesce di pietra, un pesce le cui occhiaie vuote ammiccavano proprio nella mia direzione. E il colmo di tutto: il muro! A intervalli di tre piedi sull'estremita lungo la strada si ergevano sagome di uccelli scolpiti in pietra grezza. E nel contarli mi accorsi che erano ventisei ghiandaie. Incontestabilmente per quanto sconcertante e impossibile potesse apparire mi trovavo nello stesso luogo descritto nel libro di LarIa! Fu una rivelazione sconvolgente, e la mia mente vacillò a quel pensiero. Era troppo strano, troppo inaudito che fossi andato a finire in una zona della citta che non conoscevo e mi fossi ritrovato nel bel mezzo di un racconto scritto quasi un anno prima! Mi accorgevo in quel momento che Alessandro Larla, rinchiuso nell'Istituto per malati di mente, aveva fissato nel suo scritto alcuni dettagli, ma aveva trascurato di spiegarli Era un pioblema di psichiatria la folle, simbolica, incredibile storia del defunto italiano. Ne ero disorientato e meditavo in cerca di una risposta. Come a voler placare la mia inquietudine, un lieve sentore di profumo si insinuò nel cortile. Tocco piacevolmente le mie narici e sembro fondersi col chiaro di luna. Lo aspirai profondamente mentre stavo in piedi accanto alla fontana. Ma, pian piano, quell'odore divenne piu percettibile, piu forte, un profumo dolciastro che comincio a insinuarmisi nei polmoni come fumo, Eliotropio. L'aroma mielato ricopriva il giardino, riempiva 1'aria. E qui arrivo la seconda sorpresa della serata. Guardandomi intorno per scoprire la fonte del profumo, vidi di fronte a me, seduta su un alto sedile di pietra, una donna. Era vestita completamente di nero, e il suo volto era nascosto da un velo. Sembrava non accorgersi della mia presenza. Teneva la testa leggermente china e tutta la sua persona suggeriva uno stato di profonda contemplazione. Vidi anche la cosa accucciata al suo fianco. Era un cane, una bestia gigantesca dalla testa stranamente sproporzionata e dagli occhi grandi come cucchiai. Per qualche istante rimasi a guardare i due. Sebbene 1'aria fosse.piuttosto fredda, la donna non indossava soprabito, solo l'abito nero ravvivato unicamente dal candore del suo collo. Con un sospiro di rammarico nel vedere cosi disturbata la mia piacevole solitudine, attraversai il giardino finche non le giunsi al fianco. Anche allora non diede alcun segno di accorgersi della mia presenza così, schiarendomi la gola, dissi esitante: <>. Non mi diede alcuna risposta, e anche il cane si limitò a fissarmi in un ottuso silenzio. Nessuna graziosa espressione di garbato congedo mi venne alle labbra, e mi avviai furtivamente verso il cancello. <>, disse lei all'improvviso sollevando lo sguardo. <> Si spostò a un'estremita del sedile e mi fece segno di sedermi accanto a lei. Il cane continuava a scrutarmi con i suoi grandi occhi. Se fosse la vicinanza di quel profumo di eliotropio, la subitaneità con cui tutto era accaduto o forse il chiaro di luna, non lo sapevo, ma alle sue parole un fremito di piacere mi percorse, e accettai il sedile che mi veniva offerto. Segui un intervallo di silenzio, durante il quale mi sforzai di trovare il modo di iniziare una conversazione. Ma, all'improwiso, lei si rivolse al cane e disse in tedesco: <>. Ubbidiente, il cane si alzo e scivolò lentamente ne11'ombra. Lo osservai per un momento finche non scomparve in direzione della casa. Poi la donna, in un inglese un po' ricercato e marcato da un lieve accento straniero, disse: <>. Per qualche motivo, sentii il mio cuore accelerare i battiti mentre lo di ceva. <>, risposi. Per un attimo non rispose e io cominciai a temere di aver preso troppo alla lettera il suo suggerimento. Poi comincio lentamente: <>; La voce le si affievoli, e rimase seduta in silenzio a fissare le erbacce ingiallite. Quando si riprese, la sua voce era fievole e tremante. <> Le lanciai uno sguardo. <> . <>, , risposi. <> Mi diede una strana risposta, una risposta che si discostava dal filo logico della conversazione, e che mi sembro uno sfogo sfuggitole involontariamente. <>, disse, <> Colse il mio sguardo perplesso a quella frase e aggiunse frettolosamente: <>. Per un istante non risposi. Pensavo al suo profumo di eliotropio che, per una donna della sua apparente educazione, era applicato in quantita decisamente eccessiva per denotare buon gusto. Si insinuò in me l'impressione che quel profumo nascondesse un segreto, e che quando questo fosse stato rimosso avrei scoperto... ma cosa? Le ore passavano, e tuttavia restavamo li seduti a parlare, godendo della reciproca compagnia. Lei non si tolse mai il velo e, sebbene ardessi dal desiderio di vedere il suo viso, non osai chiederle di farlo. Uno strano nervosismo si era lentamente impadronito di me. La donna era una conversatrice affascinante, ma c'era in lei un che di indefinibile che produceva in me una profonda sensazione di disagio. Mancavano, credo, appena pochi istanti alle prime luci dell'alba, quando accadde. Se ci ripenso adesso, benchè circondato da oggetti e pensieiri della vita di tutti i giorni, non èdifficile capire il significato di quella visione. Ma in quel momento la mia mente era troppo confusa per poter comprendere. Una vaga ombra che si muoveva attraverso il giardino attrasse ancora una volta il mio sguardo nella notte che mi circondava. Alzai gli occhi verso la sommita della casa abbandonata e mi sentii come investire da una folata di vento, Per un momento pensai di aver visfo una strana nuvola che si abbas sava proprio verso di me, una nuvola nera e minacciosa con due strane estremità a forma di ala che ricordavano un mostruoso pipistrello in volo. Serrai forte gli occhi e guardai di nuovo. <>, esclamai, <<®quella strana nuvola!... Avete visto...>> Mi interruppi e restai a guardare stupefatto. , Il sedile accanto a me era vuoto. La donna era scomparsa. Durante il giorno successivo, allo studio legale, assolsi i miei doveri professionali con interesse assai scarso, e più di una volta il mio socio mi guardò in modo strano dopo avermi sorpreso a mormorare tra me. Gli avvenimenti della notte prima mi occupavano la mente. Interrogativi senza risposta mi ossessionavano, Il fatto che mi fossi imbattuto proprio nei particolari descritti dal folle Larla nel suo bizzarro libro, il pesce che ammiccava, il bimbo in preghiera, le ventisei ghiandaie, 1'ombra appuntita della cupola, era inesplicabile; era pazzesco. <> Gli unicorni erano le sculture di pietra che ornavano l'antica fontana, d'accordo: ma la perla? Con un sobbalzo mi sovvenni all'improvviso del nome della donna: Perla von Mauren. Cosa significava tutto questo? Quella sera non mi andava di cenare. Nel pomeriggio mi ero recato dall'antiquario e gli avevo chiesto di prestarmi il seguito, il secondo volume scritto da suo fratello Alessandro. Quando rifiutò, obiettando che non gli avevo restituito il primo libro, mi sentii i nervi a fior di pelle. Mi sentivo come un uomo schiavo degli stupefacenti di fronte alla consapevolezza di non potersi procurare 1'agognata droga., In preda alla disperazione, pur intuendone a malapena il motivo, offrii all'uomo altro denaro, finchè non la spuntai, grazie ai miei poteri di persuasione e alla capacità del mio portafoglio. II secondo volume era identico al primo nell'aspetto esterno, salvo che non aveva alcun titolo. Se mi aspettavo un qualche chiarimento di tutti quei simboli, fui condannato a una completa delusione. Vago come lo era stato quello di "Cinque unicorni e una perla", il testo del seguito era ancor piu delirante ed era evidentemente costituito soltanto dalle farneticazioni di un cervello sconvolto dalla pazzia. Studiando attentamente quelle frasi, riuscii a evincerne che Alessandro Larla aveva compiuto una seconda visita in quel suo giardino delle ventisei ghiandaie e li aveva incontrato di nuovo la sua "perla", L'uItimo paragrafo mi colpì. Diceva: Può davvero essere? Prego che ciò non sia. Eppure 1'ho visto e ho udito il suo ringhio. Oh, la ripugnante creatura! Non voglio, non voglio crederci! Chiusi il libro e cercai di deviare altrove la mia attenzione pulendo accuratamente gli obiettivi della mia nuovissinia macchina fotografica portatile. Ma, ancora una volta, come la notte precedente, si insinuo in me la stessa smania, lo stesso desiderio di visitare il giardino. Confesso che avevo contato le ore in attesa di poter rivedere la signora in nero; per strano che possa sembrare, nonostante la sua fuga improvvisa la notte prima, non dubitavo minimamente che sarebbe stata lì ad aspettarmi. Volevo che sollevasse il suo velo. Volevo parlare con lei. Volevo precipitarmi ancora una volta nella trama del libro di Larla. Ma il tutto mi sembrava assurdo, e combattevo quella sensazione con ogni oncia di volonta di cui la mia mente era capace. Poi mi resi conto all'improvviso di come sarebbe stata bella l'immagine di lei seduta sul sedile di pietra, con il suo vestito nero e lo sfondo classico dell'antico giardino. Se solo avessi potuto fermare la scena sulla pellicola... Smisi di strofinare 1'obiettivo e riflettei un momento. Con un flash a batterie di nuovo tipo, quella maneggevole invenzione che ha soppiantato il vecchio e rudimentale lampo di magnesio, avrei potuto facilmente illuminare il giardino e scattare la fotografia. E se il risultato fosse stato soddisfacente, avrebbe potuto costituire un degno contributo al Concorso Internazionale di Fotografia a Ginevra il mese successivo. L'idea mi convinse e, dopo aver messo insieme l'attrezzatura necessaria, mi infilai un giaccone (era una notte fredda e umida) e sgusciai fuori dal mio appartamento diretto a Nord. Pazzo, folle sciagurato che non ero altro! Se solo avessi desistito immediatamente, se avessi riportato i libri all'antiquario e avessi chiuso 1'incidente! Ma ormai quella strana, irrefrenabile attrazione, mi aveva preso del tutto, e mi precipitai a capofitto nell'orrore. Una fitta pioggia tamburellava sul selciato, e le strade erano deserte. Ma, verso Est la fitta cappa di nuvole ardeva di un delicato splendore la dove la luna tentava di farsi largo, e un forte vento da Sud prometteva di ripulire il cielo in breve tempo. Con il collo del soprabito ben sollevato intorno alla gola, passai di nuovo per la parte più vecchia della citta e lungo la desolata Easterly Street. Trovai il cancello aperto come la prima volta, e il giardino rorido e immerso nell'oscurita. La donna non era là Ma era ancora presto, e io non dubitai nemmeno per un istante che sarebbe apparsa piu tardi. In preda all'entusiasmo per il mio piano, sistemai con cura la camera sulla fontana di pietra, e puntai con tutta la precisione possibile 1'obiettivo verso il sedile su cui ci eravamo seduti la sera precedente. Tenni il flash a portata di mano. Avevo appena terminato i miei preparativi, quando uno scalpiccio sulla ghiaia del viale mi fece voltare. Lei camminava verso il sedile di pietra, velata come I'altra volta e con indosso lo stesso solenne vestito nero. <>, disse mentre mi sedevo accanto a lei. <>, risposi. <> Quella notte la nostra conversazione finì a poco a poco per avere come soggetto il fratello morto, anche se varie volte ebbi 1'impressione che la donna tentasse di evitare 1'argomento... Questi era stato, a quanto sembrava, la pecora nera della famiglia, aveva condotto una vita più o meno dissoluta, ed era stato espulso dall'Universita di Vienna non solo per la sua mancanza di riguardo nei confronti degli insegnanti delle varie discipline, ma anche a causa di alcune sue bizzarre e poco ortodosse tesi filosofiche. Le sue sofferenze in quel campo di prigionia durante la guerra dovevano essere state intense. Fu con una specie di perverso piacere che la donna si dilungò sulle sue orribili esperienze nel plotone addetto ai servizi mortuari, che le erano state riferite dal suo commilitone. Ma di come avesse trovato la morte non volle dire assolutamente niente. L'odore dolciastro di eliotropio era ancor piu forte della notte precedente. E di nuovo, quando i suoi fumi mi si insinuarono disgustosamente nei polmoni, sopraggiunse quello stesso stato di nervosismo, quella stessa sensazione che il profumo nascondesse qualcosa che dovevo sapere. II desiderio di vedere sotto il velo era diventato a quel punto esasperante, ma mi manco ancora il coraggio di chiederle di sollevarlo. Verso mezzanotte, il cielo si rischiarò e la luna in alto brillò con un magnifico contrasto. Era il momento adatto per la mia fotografia. <>, dissi. <> Mentre mi avvicinavo alla fontana, impugnai il flash, lo alzai per un istante, e posai i1 dito sulla leva dell'otturatore della camera. L'inquadratura era perfetta. Uno scatto, e un bianco lampo abbagliante avvolse il, giardino intorno a noi. Per un breve istante lei si stag1iò in primo piano sullo sfondo del vecchio muro. Poi ritorno la luce azzurrina della luna, e allora sorrisi soddisfatto. <>, dissi. Lei scatto in piedi. <>, gridò con voce roca. <> Anche se il velo le copriva ancora il viso, ebbi subito I'impressione, che i suoi occhi mi fissassero lampeggianti di odio. La guardai incuriosito mentre si ergeva dritta, la testa rovesciata all'indietro, iI corpo apparentemente rigido come una sbarra, e un lento brivido mi striscio lungo la spina dorsale. Poi, senza dire nient'altro, la donna sollevo 1'orlo del vestito e corse lungo il viale verso la casa abbandonata. Un attimo dopo era scomparsa da qualche parte nel folto dei giganteschi cespugli. Rimasi li presso la fontana, e la guardai allontanarsi sconcertato. D'im- provviso, dall'ombra proiettata dalla facciata della casa si levo il sordo ringhio di un animale. E, prima che riuscissi a muovermi, un'enorme sagoma scura si avvento dritta contro di me a grandi balzi, facendo frusciare 1'erba alta. Era il cane della donna, lo stesso che avevo visto la sera prima. Ma non era più quella bestia mansueta e silenziosa. Il muso era distorto da una furia diabolica e le sue fauci stillavano bava. In quell'attimo di terrore in cui restai paralizzato di fronte al bruto, la vista di quelle narici bianche e dei neri occhi trasparenti mi si stampo nella mente, per non essere mai più dimenticata. Poi mi fu addosso con un balzo. Ebbi appena il tempo di proteggermi il volto levando in alto il flash e di gettarmi di lato. Il braccio mi rimbalzò indietro. La lampadina esplose e potei vedere i denti serrarsi sull'impugnatura. Caddi sulla schiena, mentre un grido soffocato mi saliva alle labbra e un peso immane si abbatteva sul mio corpo. Reagii con la forza della disperazione, picchiando i pugni su quel muso ringhiante. Le mie dita cercarono alla cieca la gola della belva, e affondarono nella carne ispida. Adesso potevo sentire il suo alito mescolarsi al mio, ma resistetti con tutte le mie energie. La pressione delle mie mani sortì l'effetto desiderato. Il cane si ritrasse ansimando. Approfittai del momento: mi rialzai faticosamente, scattai in avanti e sferrai alla bestia un terribile calcio in pieno corpo. <>, gridai, memore dell'ordine che la donna gli aveva Balzò indietro e per un istante mi fisso immobile, le zanne scoperte. Poi all'improvviso si giro e sgusciò via nell'erba. Debole e tremante, radunai tutte le rnie forze, raccolsi la macchina fotografica e varcai il cancello diretto a casa. Passarono tre giorni, e io trascorsi queIle ore senza fine chiuso nel mio appartamento, soffrendo le pene dell' inferno. Il giorno successivo alla mia terribile esperienza notturna con il cane, mi resi conto che non ero in condizioni di andare al lavoro. Bevvi due tazze di forte caffè nero e mi costrinsi a restare tranquillo in poltrona, con la speranza chc il mio nervosismo si placasse. Ma la vista della macchina fotografica lì sul tavolo mi incitava all'azione. Cinque minuti piu tardi ero già neila camera oscura improvvisata nel mio studio a sviluppare la fotografia che avevo scattato quella notte. Lavoravo febbrilmente, spinto dal pensiero che essa avrebbe costituito un contributo davvero originale al concorso amatoriale del mese successivo a Ginevra, se il risultato fosse stato positivo. Un'esclamazione mi sfuggi daile labbra non appena osservai la stampa ancora bagnata. Si vedeva il vecchio giardino, chiaro e nitido con i suoi ce- spugli, la statua del bimbo, la fontana e il muro sullo sfondo, ma il sedile... il sedile di pietra, era vuoto. Non c'era traccia alcuna della signora in nero, neimmeno un'ombra. Agitai il negativo in una soluzione satura di cloruro di mercurio in acqua, poi lo trattai con ossalato di ferro. Ma anche dopo questo processo intensificante la seconda stampa risultò come la prima: a fuoco in ogni dettaglio, con il sedile che si stagliava in primo piano in netto rilievo, ma senza segno alcuno della donna. Eppure era in campo quando avevo fatto scattare l'otturatore. Di questo ero certo. Ed mio apparecchio funzionava perfettamente. Cosa c'era allora che non andava? Fino a quando non ebbi scrutato la stampa alla luce del sole, non volli credere ai miei occhi. Nessuna spiegazione si offriva, assolutamente nessuna e alla fine confuso tornai a letto e piombai in un sonno profondo Dormii per tutto d giorno. Qualche ora dopo mi sembrò di essermi risvegliato da un incubo nebuloso, e non trovai la forza di alzarmi dal letto. Una grande debolezza fisica mi aveva sopraffatto. Le mie braccia, le mie gambe, giacevano come oggetti inanimati. Il cuore pulsava debolmente. Tutto era così quieto, cosi silenzioso, che potevo sentire 1'orologio sul mio comodino marcare distintamente ogni secondo. La tenda si gonfiava nella brezza notturna, sebbene fossi certo di aver chiuso la finestra quando ero entrato nella stanza. Poi all'improvviso rovesciai indietro la testa e gridai. Lentamente, inesorabilmente, mi si stava insinuando nei polmoni quel terribile profumo di eliotropio! Venne il mattino, e mi accorsi che non si era trattato di un sogno, La testa mi ronzava, le mani mi tremavano, ed ero così debole che a malapena potevo reggermi in piedi. Il medico che avevo chiamato assunse un'espressione grave mentre mi auscultava. <>, disse. <> Mi portai le dita alla gola e le ritirai macchiate di sangue. <> , balbettai. Si diede da fare con le sue medicine, e pochi minuti dopo si era gia infilato il cappello. <>, disse, <> Ma, quando se ne andò, pensai di aver visto un'espressione perplessa sul suo volto. Le successive ore di ozio diedero via libera a tutte le mie buone intenizioni. Giurai a me stesso che avrei dimenticato tutto, che sarei tornato al mio. lavoro e non avrei mai più neanche guardato quei libri. Ma sapevo che non ci sarei riuscito. L'immagine della signora in nero mi occupava la mente, e ogni minuto trascorso lontano da lei diventava una tortura. Ma, ancor di più, se avevo provato un'Intensa brama di leggere d secondo libro, il desideno di poter vedere il terzo, l' ultimo della trilogia stava lentamente trasformandosi in un'ossessione. Alla fine non potei resistere e la mattina del terzo giorno presi un tram fino, al negozio dell antiquario e tentai di persuadere Larla a darmi di terzo scritto di suo fratello. Ma l'italiano era irremovibile. Avevo già preso due libri, nessuno dei quali avevo ancora restituito. Fin quando non glieli avessi riportati non mi avrebbe dato ascolto. Invano tentai di spiegargli che uno solo non aveva alcun valore senza gli altri due e che volevo leggere l'intero resoconto tutto di seguito. Si limitò a scrollare le spalle. Un sudore gelido mi imperlò la fronte quando vidi inesaudito il,mio desiderio. Discussi. Implorai. Ma senza risultato, Infine, non appena Larla si giro da un'altra parte, presi il terzo libro, che avevo visto sullo scaffale, me lo feci scivolare in tasca e me ne andai furtivamente. Non cerco scuse per la mia azione. Alla luce di quanto accadde più tardi, la si può considerare una tentazione indotta, poichè la mia volontà in

quel momento era del tutto domata, offuscata da quella bizzarra ossessione. Di ritorno nel mio appartaniento, mi lasciai cadere in una poltrona e aprii freneticamente la copertina di velluto, Ecco 1'ultima testimonianza della strana serie di eventi che negli ultimi cinque giorni erano entrati a far parte integrante delIa mia vita. Avrei trovato la spiegazione di ogni cosa in quelle pagine? E in tal caso quali segreti mi sarebbero stati rivelati? Con la luce di una lampada che pioveva dritta da dietro le mie spalle, aprii il libro e lo sfogliai adagio, ammirando ancora una volta la squisita stampa a mano. E, mentre sedevo, mi sembrò che una quasi palpabile nuvola di quiete mi circondasse e attutisse i rumori lontani della strada. Qualcosa di indefinibile sembrò impedirmi di leggere oltre. Ma la curiosita, quella smania bizzarra, mi ordino di andare avanti. Lentamente cominciai a girare le pagine, una alla volta, da cima a fondo. Ancora simbolismi. Nebulosi deliri senza alcun significato logico. Ma, all'improvviso, le mie dita si bloccarono! Il mio sguardo era caduto sull'ultimo paragrafo dell'ultima pagina, 1'estrema testimonianza di Alessandro Larla. Lessi, rilessi e poi lessi ancora quelle parole blasfeme. Seguii con il dito ogni riga alla luce della lampada, adagio, minuziosamente, lettera per lettera. Infine 1'orrore che vi era contenuto proruppe dentro di me. In inchiostro rosso sangue stava scritto: Cosa posso fare? Lei ha prosciugato il mio sangue e corrotto la mia anima. La mia perla è nera come il Male stesso. Che sia maledetto suo fratello, perchè e stato lui a renderla così. Prego che la verità di queste pagine li distrugga per l'eternita. Che il cielo mi assista, Perla von Mauren e suo fratello, Johann, sono dei Vampiri! Balzai in piedi. <> Mi aggrappai al bordo del tavolo e restai li barcollante. Vampiri! Orribili creature avide di sangue umano, capaci di assumere le sembianze di esseri umani, di pipistrelli, di cani. Gli avvenimenti dei giorni precedenti mi apparvero allora in tutto il loro orrore, e riuscii a scorgere il sinistro significato di ogni particolare. Il fratello, Johann, era diventato un Vampiro durante la guerra. E quando, anni dopo, 1a donna lo aveva rintracciato, aveva condannato anche lei a quella orribile esistenza. Con il giardino come covo, i due avevano imprigionato nelle loro spire velenose il povero Alessandro Larla, un anno prima. Questi aveva amato la donna, 1'aveva venerata. E mfine aveva scoperto la terribile verità che lo aveva fatto ritornare a casa in delirio, in preda alla follia. Folle, sì, ma non abbastanza da non riuscire a descrivere i fatti nei suoi tre libri ricoperti di velluto nero. Aveva sperato che le sue rivelazioni condannassero per sempre la donna e suo fratello. Ma non era abbastanza. Afferrai sul tavolo il primo libro e lo aprii. E vi lessi di nuovo quelle tre righe vergate in fretta che in un primo momento non avevano avuto per me il minimo significato. Rivelazioni intese a nuocermi riescono solo a creare invisibili legami. Leggi, o folle, ed entra nel mio giardino, che a questo luogo siamo incatenati. E sia su Larla la mia maledizione! Le aveva scritte Perla von Mauren. I tre libri non avevano messo fine alle malefiche attivita sue e di suo fratello. No, solo una cosa al mondo poteva farlo. Ma quella testimonianza non era stata scritta invano. Restava perche la vedessero gli uomini a venire. Quei libri avevano confinato i due Vampiri Johann e Perla von Mauren, nel loro giardino, avevano loro impedito di aggirarsi ogni notte per le strade

in cerca di vittime. Solo chi aveva varcato almeno una volta ii cancello del giardino poteva subire la persecuzione e gli attacchi dei due mostri. Era l'eterna legge metafisica: il-Male che batte in ritirata di fronte alla Verità. Ma se il libro aveva posto un limite ai loro poteri, aveva aperto una nuova strada alle loro razzie. Una volta immerso nelIe pagine della trilogia, il lettore cadeva irrimediabilmente tra i loro artigli. Quelle righe erano diventate le propaggini esterne delle loro trame. Erano una trappola nel cui interno si annidava il potere dei Vampiri. Era questo il motivo per cui la mia vita si era cosi incredibilmente fusa con la storia di Larla. Nel momento stesso in cui avevo posato lo sguardo sul paragrafo iniziale, ero caduto nelle loro spire, preda dello stesso destino che un anno prima aveva portato alla perdizione Larla. Ero stato attirato implacabilmente tra i tentacoli della signora in nero. Una volta passato il cancello, l'influsso del Iibro spariva, e i due erano liberi di perseguitarmi, di... Mi colse una sensazione di smarrimento. Adesso capivo perchè il medico era rimasto perplesso. Adesso capivo la ragione della mia debolezza fisica. Lei si era... nutrita del mio sangue! Ma se Larla ignorava il modo di liberarsi di una simile creatura, io lo conoscevo; Non avevo viaggiato nell'Europa del Sud senza imparare qualcosa riguardo a quelle antiche piaghe. Cercai freneticamente nella stanza. Una sedia, un tavolo, una delle mie macchine fotografiche sul suo lungo treppiedi. Afferrai una delle aste di legno del treppiedi e la spezzai su un ginocchio. Poi, impugnando i due frammenti appuntiti e irti di schegge, mi precipitai in strada senza cappello. Un attimo piu tardi ero su un taxi che correva a Nord, verso Easterly Street. <>, gridai all'autista quando vidi il sole abbassarsi verso 1'ovest. <> Sfrecciammo lungo gli incroci, per i vecchi quartieri, verso i sobborghi della citta. Fremevo di impazienza a ogni intoppo nel traffico. Ma infine ci fermammo davanti al muro del giardino. Spinsi il cancello di ferro battuto e con i frammenti del treppiedi ancora sotto il braccio, mi precipitai all'interno. Il giardino aveva un aspetto più reale alla luce del giorno, ma il muro sgretolato e 1'erba incolta erano come sempre immersi nel silenzio. Mi diressi senza esitazioni verso la casa, arrampi- candomi sugli scalini fradici dell'ingresso. La porta era inchiodata e chiusa a chiave. Tornai sui miei passi e presi a costeggiare la parete sud dell'edificio. Avevo visto la donna prendere quella direzione quando era fuggita dopo il mio tentativo di scattarle una fotografia. Proprio sul retro della costruzione mi trovai davanti una porta semiaperta che conduceva nel sotterraneo. Dentro, immerso nell'oscurita, uno stretto corridoio si stendeva ai miei piedi. Il suolo era cosparso di pietre e calcinacci, e nel sotterraneo si intrecciavano mille ragnatele. Camminai a tentoni, mentre i miei occhi si abituavano rapidamente alla mezza luce proveniente dai finestrini quasi opachi. In fondo al corridoio una seconda porta mi sbarrò il passo. La spalancai con una spallata... e rimasi paralizzato sulla soglia non appena guardai dentro. Avevo davanti una piccola stanza, larga appena dieci piedi, e con un soffitto dalla travatura bassa. E nella luce che proveniva dalla porta aperta, vidi fianco a fianco al centro del pavimento... due bare di legno bianco. Non ricordo per quanto tempo rimasi li appoggiandomi debolmente al

muro di pietra. Un odore caratteristico si spandeva nella stanza. Eliotropio! Ma eliotropio corrotto dal tanfo di putrefazione di un'antica sepoltura. Finalmente balzai verso la bara piu vicina, afferrai il coperchio e la aprii. Voglia il cielo aiutarmi a dimenticare la visione che si presento ai miei occhi. Nella bara giaceva la signora in nero senza velo. Il suo volto era di una bellezza divina, i capelli di un nero lucente, le guance di un palIore classico. Ma le labbra! ... mi colse una nausea iinprovvisa quando osservai le labbra. Erano vermiglie... e imbrattate di sangue umano. Brandii una delle assi del treppiede, raccolsi da terra una lastra di pietra e, dopo aver poggiato 1'estremita appuntita del legno in corrispondenza del cuore della donna, vibrai un colpo terribile. II paletto affondo nella carne. Una violenta convulsione scosse la bara. Un dolciastro, nauseante odore di putrefazione mi salì alle narici. Mi voltai e spalancai il coperchio della bara del fratello. Dopo un solo sguardo al giovane e virile volto dai tratti teutonici, levai in alto 1'altro paletto e glielo affondai nel petto con tutta la forza del mio braccio destro. Nelle bare, adesso, c'erano due grigi scheletri semi-polverizzati che mi fissavano con le occhiaie vuote. Il resto non e che un sogno confuso.Ricordo solo di essere corso fuori, sul sentiero fino al cancello e poi lungo Easterly Street, lontano dal giardino maledetto delle ghiandaie. Finalmente, allo stremo delle forze, raggiunsi il mio appartamento. Lo spettacolo familiare che mi si presento agli occhi fu per me come un balsamo. Ma d'un tratto il mio sguardo si posò su tre oggetti che giacevano lì dove li avevo lasciati: i tre libri di Larla. Mi avvicinai al caminetto dall'altra parte della stanza e li gettai tutti e tre tra i carboni ancora ardenti. Si udì un rapido sibilo, e una fiamma gialla guizzo verso 1'alto e cominciò ad attaccare la rilegatura di velluto. Le fiamme crebbero... crebbero, poi si abbassarono lentamente. E quando anche 1'ultima ardente favilla ando a morire su un mucchio di cenere annerita, un meraviglioso senso di quiete e di sollievo scese su di me.

 

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Vampire's Crypt

 

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