Carl Richard Jacobi



Era una squallida, desolata costruzione giu in
Harbor Street. Una vecchia ' a recitava "Giovanni
Larla-Antiquario" e un vetro sporco rivelava una vetrina
nascosta dalla polvere. Nel momento in cui varcai la soglia in
cupo pomeriggio di settembre, spinto da un'improvvisa raffica di
pioggia me da una certa attrazione per tutte le antichità , la
tetraggine mi avvolsecome un sudario. Nella semioscurità
dell'interno, c'erano scatole ammonticchiate e un'orribile
tappezzeria logora che lasciava vedere l 'ordito nei punti
consumati. Una credenza del Rinascimento italiano giaceva
tristemente ' angolo, e sembrò fissarmi accigliata al mio
passaggio. <> Sbirciai nell'ombra la tozza figura del
proprietario italiano ed esitai <>, dissi scrutando il guazzabuglio di oggetti
intorno a me. <>
La faccia untuosa dell'uomo si aprì in un sorriso, sebbene
dovesse aver già sentito mille volte quella frase. Sospirò e
rimase per un attimo pensieroso, mentre la pioggia tamburellava e
scorreva sulla vetrina. Poi si avvicinò molto cautamente agli
scaffali e li scorse in lungo e in largo con lo sguardo,
meditando. Infine tirò fuori un oggetto che mi sembro un calice
dipinto. Un autentico Tandart del XVI° secolo>>, mormorò.
<> scossi la testa. <>, dissi. <>. Si accigliò lentamente, <>, rispose, <> Niente, mi accorsi, poteva mettere
fretta a quell'uomo. Passò un quarto durante il quale mi toccò
vedere una spilla con cammeo di Glicona, una sedia intagliata di
qualche indeterminato stile e periodo, e un mucchio di statuette
ingiallite, piccoli dipinti a olio e uno o due orribili vasi di
Portland. Più volte guardai con impazienza I'orologio,
chiedendomi come avrei potuto sottrarmi a quell'italiano e al suo
tetro negozio. Il fascino della sua polvere e della sua penombra
aveva già cominciato a dissolversi, ed ero ansioso di uscire in
strada. Ma quando l'uomo mi condusse nel retrobottega, qualcosa
attirò la mia attenzione. Fu allora che tirai giù dallo
scaffale il primo libro dell'orrore. Se avessi saputo quali
eventi ne sarebbero seguiti, se solo avessi avuto preveggenza del
futuro in quel giorno di settembre, giuro che avrei evitato quel
libro come una cosa infetta, e che avrei rifuggito quel triste
negozio di anticaglie la stessa strada su cui sorgeva come luoghi
maledetti. Mille volte ho gia desiderato che i miei occhi non si
fossero mai posati su quella copertina Quanti patemi d'animo,
quanto terrore, quanta inquietudine, quanta follia mi sarebbero
stati risparmiati! Ma, senza immaginare nemmeno lontanamente i
segreti delle sue pagine, me lo rigirai distrattamente tra le
mani e commentai:<>
Larla diede un'occhiata e si accigliò. <>, disse con calma, <>. Il volume che avevo tra le mani era
effettivamente di aspetto assai insolito. Misurava appena quattro
pollici per cinque di larghezza, era ricoperto di velluto nero e
ogni angolo esterno era protetto da un triangolino di avorio: era
il più bell' esempio di rilegatura che avessi mai visto. Al
centro della copertina era montato un minuscolo pezzo di avorio
con un complesso intaglio a forma di teschio. Ma fu il titolo del
libro ad eccitare il mio interesse. Stampigliato in lettere d'
oro il frontespizio recitava: "Cinque unicorni e una
perla>>. Guardai Larla. <>, domandai,
mettendo mano al portafoglio. Scosse la testa. <>
<> Larla non rispose ma rimase a
fissare il libro, probabilmente con la mente assorta in pensieri
profondi. Trascorse un lungo istante di silenzio, C'era una
strana luce nei suoi occhi quando finalmente parlò. E mi sembrò
di vedere le sue dita tremare leggermente.<> disse lentamente, <> Si passò una mano sugli occhi e trattenne
bruscamente il respiro.
<>, domandai.
<> Lo guardai con curiosita, impressionato dal suo
turbamento <j> Larla le mani che si aprivano
e si serravano gli occhi sbarrati non appariva in pieno possesso
deIle sue facolta. << E poi... oh, se solo potessi
dimenticare ! Fu una cosa orribile: il povero Alessandro tornò a
casa gridando, singhiozzando, Era...era completamente impazzito,
furioso ! Lo portarono all' Istituto per le Malattie Mentali e
dissero che aveva bisogno di assoluti riposo, che doveva aver
subito qualche pesante trauma psichico. Mio fratello morì tre
settimane dopo con il crocifisso sulle labbra>> Rimasi per
un attimo in silenzio, guardando la pioggia che cadeva di fuori.
Poi dissi <> Larla annuì distrattamente.
<> rispose <> Il mio desiderio di leggere quelle poche pagine
risultò moltiplicato per mille non appena seppi che non erano
disponibili. Ho sempre nutrito un certo interesse per la
psicologia patologica e ho letto una quantita di libri
sull'argomento. E avevo lì a portata di mano l'opera di un uomo
rinchiuso in manicomio. La testimonianza integrale di una mente
colta finita nell'abisso della follia. E, se l'intuito non mi
tradiva, la traccia di un fitto mistero. Avevo deciso. Dovevo
averlo. Mi rivolsi a Larla e scelsi le parole con cura.
<>, dissi,<> L'italiano esitava e giocherellò indeciso
con la pesante catena d'oro del suo orologio. <> <> Larla fissò la punta delle proprie
scarpe. <> Quella notte, nella quiete del mio
appartamento, aprii il libro. Subito la mia attenzione fu
attirata da tre righe vergate con calligrafia femminile sulla
faccia interna della copertina e scritte con un liquido rosso
pallido che sembrava piu sangue che inchiostro. Dicevano: Rivelazioni
intese a nuocermi riescono solo a creare invisibili legami.
Leggi, o folle, ed entra nel mio giardino, che a questo luogo
siamo incatenati. E sia su Larla la mia maledizione!
Rimuginai un pezzo su quelle parole indecifrabili senza venire a
capo del loro significato. Infine voltai la prima pagina e
cominciai a leggere 1'ultima opera di Alessandro Larla, la storia
piu strana che mi sia capitato di leggere in tanti anni trascorsi
a sfogliare vecchi libri. La sera del quindici ottobre ho
camminato nel freddo fino a sentirmi stanco. II fragore del
presente era distante quando sono giunto alle ventisei ghiandaie
che contemplano in silenzio Ie rovine. Passando in mezzo a loro,
ho vagato tra gli scheletri degli alberi e mi sono seduto dove
potevo vedere ammiccare il pesce. Un bimbo si genufletteva. II
vetro mi rilanciava la luna. L'erba cantava una litania ai miei
piedi. E I'ombra acuminata si spostava lentamente a sinistra. Ho
camminato sulla ghiaia argentata e ha visto'cinque unicorni
galoppare in riva alle acque del passato. E qui ho trovato una
perla, una perla magnifica, una perla bellissima, ma nera. Come
un fiore spandeva un intenso profumo, e io pensai che il profumo
non fosse che una maschera, ma perchè una così perfetta
creatura dovrebbe aver bisogno di una maschera? Mi sono seduto
fra il pesce sorridente e gli unicorni al galoppo, e mi sono
innamorato follemente della perla. Il passato si e dissolto in
vacuita e... Posai il libro e rimasi seduto a guardare gli
anelli di fumo della mia pipa fluttuare verso il soffitto. Lo
scritto proseguiva, ma non riuscivo ad attribuirgli il minimo
significato. Era tutto in quello stile strano e assolutamente
incomprensibile. Eppure avevo 1'impressione che quello scritto
fosse qualcosa di più dei vaneggiamenti di un folle. Dietro di
esso sembrava nascondersi una narrazione camuffata dai
simbolismi. Qualcosa in quelle poche frasi aveva fatto cadere su
di me un immediato senso di depressione. Quelle righe enigmatiche
pesavano sui miei pensieri, e poco a poco mi sentii in preda a un
profondo disagio. L'aria della stanza si era fatta greve e
opprimente. La finestra dischiusa e 1'aria aperta sembravano
reclamarmi. Mi avvicinai alla finestra, scostai la tenda e rimasi
li, fumando convulsamente. Devo dire che abitudini regolari hanno
sempre fatto parte della mia natura. Non sono dedito a
vagabondaggi notturni o a tortuosi itinerari destinati a
ingannare 1'insonnia; ma, in quel momento, abbastanza
stranamente, con le pagine del libro ancora in mente, sperimentai
d'improvviso un'indefinihile smania di lasciare il mio apparta-
mento e di camminare per le strade buic. Misuravo nervosamente la
stanza. L'orologio sulla mensola del camino emetteva il suo
lento, incalzante -ticchettio nella quiete dell'appartamento.
Alla fine gettai la pipa sul tavolo, presi cappello e soprabito e
infilai la porta. Per quanto possa sembrare assurdo, appena sceso
in strada mi accorsi che quel vago impulso si era trasformato in
una precisa attrazione. Sentivo che in nessun modo avrei potuto
prendere una direzione diversa dal Nord e, seb- bene da quella
parte ci fosse solo un quartiere a me praticamente scono- sciuto,
mi ritrovai in un istante e senza sapere perche a incamminarmi,
scegliendo accuratamente le strade, verso i sobborghi della
citta. Era una limpida notte di luna settembrina e nell'aria
c'era gia il profumo dell'erba bagnata di brina. Le campane sulla
torre del Campidoglio battevano la mezzanotte, e gli edifici e i
negozi, come anche le case d'abitazione, erano immersi nel buio e
nel silenzio al mio passaggio. Per quanto tentassi di cancellare
dalla memoria il bizzarro libro che avevo appena letto, il
mistero delle sue pagine mi tormentava, eccitando la mia
curiosita. <> Cosa
significava? Mi rendevo conto ogni momento di piu, mentre
proseguivo, che un potere estraneo a11a mia volonta stava
guidando i iniei passi. E, quando tentai di fermarmi per un
attimo, quell'attrazione percorse ogni mia fibra come la brama di
una droga. Fu dopo aver percorso un buon tratto di Easterly
Street che mi trovai davanti un alto muro di pietra che correva
lungo il marciapiede. Oltre la sua sommita si vedeva 1'ombra di
una buia costruzione che sorgeva in fondo a un parco. Un
cancello,di ferro battuto si apriya su una scena di selvaggio
abban- dono e squallore, So'tto la luce della luna si stendeva un
antico giardino dis- seminato di fontane e sedili di pietra,
invaso da ogni tipo di erbacce e vegetazione incolta. Le finestre
dell'edificio, che un tempo era stato evidentemente una casa
privata, erano state tutte sbarrate con assi, eccetto quelle di
una piccola torre o cupola che sorgeva sulla facciata della casa.
I vetri captavano i raggi della luna e li riflettevano
nell'oscurita. Davanti al cancello, i miei piedi si bloccarono
come privi di vita. Il potere telepatico che mi aveva dominato
fino a quel momento era diventato una realtà tangibile. Emanava
direttamente dal cortile, attirandomi verso di esso con
un'intensità che soffocava ogni resistenza. Stranamente, il
cancello non era chiuso a chiave; come in trance, lo feci ruotare
sui cardini cigolanti: ed entrai, aprendomi la via lungo un viale
invaso dalle erbacce fino a uno dei sedili. Mi sembro che, una
volta entrato nel giarchno i suom lontani della citta si
spcgnessero del tutto lasciando il posto a un profondo silenzio
rotto solo dal vento che faceva stormire 1'erba alta e ormai
secca. La casa si ergeva davanti a me con le sue ali immerse nel
buio: pronto ad avventarsi. C'erano diverse fontane,
consumate,dalle intemperie e ornate da strane figure alle quali
in un primo momento dedicai solo un'occhiata distratta. Piu
avanti, seminascosta dalla vegetazione incolta, c'era la statua a
grandezza naturale di un bimbo inginocchiato in atteggiamento di
preghiera. L'erosione ne aveva sfigorato il volto e, nella
semioscurita, i lineamenti scolpiti mostra- vano--un'espressione
singolarmente grottesca e repellente. Non so per quanto tempo
rimasi seduto li in silenzio. La scena che,mi circondava alla
luce della luna si fondeva armoniosamente con il mio stato
d'animo. Ma, piu che altro, mi sembrava di essere fisicamente
incapace di riscuotermi e andare via. Fu con una subitaneita che
mi fece scattare in piedi elettrizzato, che mi resi conto del
significato degli oggetti che mi circondavano. Rimasi li come
paralizzato, guardando febbrilmente qua e la, in preda
all'incredulita. Stavo sognando, di certo. Esisteranno pure
manifestazioni sovrannaturali, ma tutto cio... tutto cio era
assolutamente, impossibile. Eppure... Fu la fontana accanto a me
ad attrarre per prima la mia attenzione. Sul- I'orlo della vasca
c'erano cinque unicorni di pietra, tutti scolpiti allo stesso
modo, e ognuno sembrava seguire I'altro in una galoppante
processione. Guardando ancora, spinto adesso da un ricordo che
tornava irragionevol- mente a galla, vidi che la cupola che
svettava alta sulla casa, colpita dai raggi della luna,
proiettava una lunga ombra affusolata sul terreno alla mia
sinistra. L'altra fontana, un po' piu lontano, era ornata da un
pesce di pietra, un pesce le cui occhiaie vuote ammiccavano
proprio nella mia direzione. E il colmo di tutto: il muro! A
intervalli di tre piedi sull'estremita lungo la strada si
ergevano sagome di uccelli scolpiti in pietra grezza. E nel
contarli mi accorsi che erano ventisei ghiandaie.
Incontestabilmente per quanto sconcertante e impossibile potesse
apparire mi trovavo nello stesso luogo descritto nel libro di
LarIa! Fu una rivelazione sconvolgente, e la mia mente vacillò a
quel pensiero. Era troppo strano, troppo inaudito che fossi
andato a finire in una zona della citta che non conoscevo e mi
fossi ritrovato nel bel mezzo di un racconto scritto quasi un
anno prima! Mi accorgevo in quel momento che Alessandro Larla,
rinchiuso nell'Istituto per malati di mente, aveva fissato nel
suo scritto alcuni dettagli, ma aveva trascurato di spiegarli Era
un pioblema di psichiatria la folle, simbolica, incredibile
storia del defunto italiano. Ne ero disorientato e meditavo in
cerca di una risposta. Come a voler placare la mia inquietudine,
un lieve sentore di profumo si insinuò nel cortile. Tocco
piacevolmente le mie narici e sembro fondersi col chiaro di luna.
Lo aspirai profondamente mentre stavo in piedi accanto alla
fontana. Ma, pian piano, quell'odore divenne piu percettibile,
piu forte, un profumo dolciastro che comincio a insinuarmisi nei
polmoni come fumo, Eliotropio. L'aroma mielato ricopriva il
giardino, riempiva 1'aria. E qui arrivo la seconda sorpresa della
serata. Guardandomi intorno per scoprire la fonte del profumo,
vidi di fronte a me, seduta su un alto sedile di pietra, una
donna. Era vestita completamente di nero, e il suo volto era nascosto
da un velo. Sembrava non accorgersi della mia presenza. Teneva la
testa leggermente china e tutta la sua persona suggeriva uno
stato di profonda contemplazione. Vidi anche la cosa accucciata
al suo fianco. Era un cane, una bestia gigantesca dalla testa
stranamente sproporzionata e dagli occhi grandi come cucchiai.
Per qualche istante rimasi a guardare i due. Sebbene 1'aria
fosse.piuttosto fredda, la donna non indossava soprabito, solo l'abito
nero ravvivato unicamente dal candore del suo collo. Con un
sospiro di rammarico nel vedere cosi disturbata la mia piacevole
solitudine, attraversai il giardino finche non le giunsi al
fianco. Anche allora non diede alcun segno di accorgersi della
mia presenza così, schiarendomi la gola, dissi esitante:
<>. Non mi diede alcuna risposta, e anche il cane
si limitò a fissarmi in un ottuso silenzio. Nessuna graziosa
espressione di garbato congedo mi venne alle labbra, e mi avviai
furtivamente verso il cancello. <>, disse lei all'improvviso sollevando lo sguardo.
<>
Si spostò a un'estremita del sedile e mi fece segno di sedermi
accanto a lei. Il cane continuava a scrutarmi con i suoi grandi
occhi. Se fosse la vicinanza di quel profumo di eliotropio, la
subitaneità con cui tutto era accaduto o forse il chiaro di
luna, non lo sapevo, ma alle sue parole un fremito di piacere mi
percorse, e accettai il sedile che mi veniva offerto. Segui un
intervallo di silenzio, durante il quale mi sforzai di trovare il
modo di iniziare una conversazione. Ma, all'improwiso, lei si
rivolse al cane e disse in tedesco: <>. Ubbidiente, il cane si alzo e scivolò lentamente
ne11'ombra. Lo osservai per un momento finche non scomparve in
direzione della casa. Poi la donna, in un inglese un po'
ricercato e marcato da un lieve accento straniero, disse:
<>. Per qualche
motivo, sentii il mio cuore accelerare i battiti mentre lo di
ceva. <>, risposi. Per
un attimo non rispose e io cominciai a temere di aver preso
troppo alla lettera il suo suggerimento. Poi comincio lentamente:
<>; La voce le si affievoli, e rimase seduta in silenzio
a fissare le erbacce ingiallite. Quando si riprese, la sua voce
era fievole e tremante. <>
Le lanciai uno sguardo. <> . <>, , risposi.
<>
Mi diede una strana risposta, una risposta che si discostava dal
filo logico della conversazione, e che mi sembro uno sfogo
sfuggitole involontariamente. <>, disse,
<> Colse il mio sguardo perplesso a
quella frase e aggiunse frettolosamente: <>. Per un istante non
risposi. Pensavo al suo profumo di eliotropio che, per una donna
della sua apparente educazione, era applicato in quantita
decisamente eccessiva per denotare buon gusto. Si insinuò in me
l'impressione che quel profumo nascondesse un segreto, e che
quando questo fosse stato rimosso avrei scoperto... ma cosa? Le
ore passavano, e tuttavia restavamo li seduti a parlare, godendo
della reciproca compagnia. Lei non si tolse mai il velo e,
sebbene ardessi dal desiderio di vedere il suo viso, non osai
chiederle di farlo. Uno strano nervosismo si era lentamente
impadronito di me. La donna era una conversatrice affascinante,
ma c'era in lei un che di indefinibile che produceva in me una
profonda sensazione di disagio. Mancavano, credo, appena pochi
istanti alle prime luci dell'alba, quando accadde. Se ci ripenso
adesso, benchè circondato da oggetti e pensieiri della vita di
tutti i giorni, non èdifficile capire il significato di quella
visione. Ma in quel momento la mia mente era troppo confusa per
poter comprendere. Una vaga ombra che si muoveva attraverso il
giardino attrasse ancora una volta il mio sguardo nella notte che
mi circondava. Alzai gli occhi verso la sommita della casa
abbandonata e mi sentii come investire da una folata di vento,
Per un momento pensai di aver visfo una strana nuvola che si
abbas sava proprio verso di me, una nuvola nera e minacciosa con
due strane estremità a forma di ala che ricordavano un mostruoso
pipistrello in volo. Serrai forte gli occhi e guardai di nuovo.
<>, esclamai, <<®quella strana
nuvola!... Avete visto...>> Mi interruppi e restai a
guardare stupefatto. , Il sedile accanto a me era vuoto. La donna
era scomparsa. Durante il giorno successivo, allo studio legale,
assolsi i miei doveri professionali con interesse assai scarso, e
più di una volta il mio socio mi guardò in modo strano dopo
avermi sorpreso a mormorare tra me. Gli avvenimenti della notte
prima mi occupavano la mente. Interrogativi senza risposta mi
ossessionavano, Il fatto che mi fossi imbattuto proprio nei
particolari descritti dal folle Larla nel suo bizzarro libro, il
pesce che ammiccava, il bimbo in preghiera, le ventisei
ghiandaie, 1'ombra appuntita della cupola, era inesplicabile; era
pazzesco. <> Gli
unicorni erano le sculture di pietra che ornavano l'antica
fontana, d'accordo: ma la perla? Con un sobbalzo mi sovvenni
all'improvviso del nome della donna: Perla von Mauren. Cosa
significava tutto questo? Quella sera non mi andava di cenare.
Nel pomeriggio mi ero recato dall'antiquario e gli avevo chiesto
di prestarmi il seguito, il secondo volume scritto da suo
fratello Alessandro. Quando rifiutò, obiettando che non gli
avevo restituito il primo libro, mi sentii i nervi a fior di
pelle. Mi sentivo come un uomo schiavo degli stupefacenti di
fronte alla consapevolezza di non potersi procurare 1'agognata
droga., In preda alla disperazione, pur intuendone a malapena il
motivo, offrii all'uomo altro denaro, finchè non la spuntai,
grazie ai miei poteri di persuasione e alla capacità del mio
portafoglio. II secondo volume era identico al primo nell'aspetto
esterno, salvo che non aveva alcun titolo. Se mi aspettavo un
qualche chiarimento di tutti quei simboli, fui condannato a una
completa delusione. Vago come lo era stato quello di "Cinque
unicorni e una perla", il testo del seguito era ancor piu
delirante ed era evidentemente costituito soltanto dalle
farneticazioni di un cervello sconvolto dalla pazzia. Studiando
attentamente quelle frasi, riuscii a evincerne che Alessandro
Larla aveva compiuto una seconda visita in quel suo giardino
delle ventisei ghiandaie e li aveva incontrato di nuovo la sua
"perla", L'uItimo paragrafo mi colpì. Diceva: Può
davvero essere? Prego che ciò non sia. Eppure 1'ho visto e ho
udito il suo ringhio. Oh, la ripugnante creatura! Non voglio, non
voglio crederci! Chiusi il libro e cercai di deviare altrove la
mia attenzione pulendo accuratamente gli obiettivi della mia
nuovissinia macchina fotografica portatile. Ma, ancora una volta,
come la notte precedente, si insinuo in me la stessa smania, lo
stesso desiderio di visitare il giardino. Confesso che avevo
contato le ore in attesa di poter rivedere la signora in nero;
per strano che possa sembrare, nonostante la sua fuga improvvisa
la notte prima, non dubitavo minimamente che sarebbe stata lì ad
aspettarmi. Volevo che sollevasse il suo velo. Volevo parlare con
lei. Volevo precipitarmi ancora una volta nella trama del libro
di Larla. Ma il tutto mi sembrava assurdo, e combattevo quella
sensazione con ogni oncia di volonta di cui la mia mente era
capace. Poi mi resi conto all'improvviso di come sarebbe stata
bella l'immagine di lei seduta sul sedile di pietra, con il suo
vestito nero e lo sfondo classico dell'antico giardino. Se solo
avessi potuto fermare la scena sulla pellicola... Smisi di
strofinare 1'obiettivo e riflettei un momento. Con un flash a
batterie di nuovo tipo, quella maneggevole invenzione che ha
soppiantato il vecchio e rudimentale lampo di magnesio, avrei
potuto facilmente illuminare il giardino e scattare la
fotografia. E se il risultato fosse stato soddisfacente, avrebbe
potuto costituire un degno contributo al Concorso Internazionale
di Fotografia a Ginevra il mese successivo. L'idea mi convinse e,
dopo aver messo insieme l'attrezzatura necessaria, mi infilai un
giaccone (era una notte fredda e umida) e sgusciai fuori dal mio
appartamento diretto a Nord. Pazzo, folle sciagurato che non ero
altro! Se solo avessi desistito immediatamente, se avessi
riportato i libri all'antiquario e avessi chiuso 1'incidente! Ma
ormai quella strana, irrefrenabile attrazione, mi aveva preso del
tutto, e mi precipitai a capofitto nell'orrore. Una fitta pioggia
tamburellava sul selciato, e le strade erano deserte. Ma, verso
Est la fitta cappa di nuvole ardeva di un delicato splendore la
dove la luna tentava di farsi largo, e un forte vento da Sud
prometteva di ripulire il cielo in breve tempo. Con il collo del
soprabito ben sollevato intorno alla gola, passai di nuovo per la
parte più vecchia della citta e lungo la desolata Easterly
Street. Trovai il cancello aperto come la prima volta, e il
giardino rorido e immerso nell'oscurita. La donna non era là Ma
era ancora presto, e io non dubitai nemmeno per un istante che
sarebbe apparsa piu tardi. In preda all'entusiasmo per il mio
piano, sistemai con cura la camera sulla fontana di pietra, e
puntai con tutta la precisione possibile 1'obiettivo verso il
sedile su cui ci eravamo seduti la sera precedente. Tenni il
flash a portata di mano. Avevo appena terminato i miei
preparativi, quando uno scalpiccio sulla ghiaia del viale mi fece
voltare. Lei camminava verso il sedile di pietra, velata come
I'altra volta e con indosso lo stesso solenne vestito nero.
<>, disse mentre mi sedevo accanto a
lei. <>, risposi. <> Quella notte la nostra conversazione finì a
poco a poco per avere come soggetto il fratello morto, anche se
varie volte ebbi 1'impressione che la donna tentasse di evitare
1'argomento... Questi era stato, a quanto sembrava, la pecora
nera della famiglia, aveva condotto una vita più o meno
dissoluta, ed era stato espulso dall'Universita di Vienna non
solo per la sua mancanza di riguardo nei confronti degli
insegnanti delle varie discipline, ma anche a causa di alcune sue
bizzarre e poco ortodosse tesi filosofiche. Le sue sofferenze in
quel campo di prigionia durante la guerra dovevano essere state
intense. Fu con una specie di perverso piacere che la donna si
dilungò sulle sue orribili esperienze nel plotone addetto ai
servizi mortuari, che le erano state riferite dal suo
commilitone. Ma di come avesse trovato la morte non volle dire
assolutamente niente. L'odore dolciastro di eliotropio era ancor
piu forte della notte precedente. E di nuovo, quando i suoi fumi
mi si insinuarono disgustosamente nei polmoni, sopraggiunse
quello stesso stato di nervosismo, quella stessa sensazione che
il profumo nascondesse qualcosa che dovevo sapere. II desiderio
di vedere sotto il velo era diventato a quel punto esasperante,
ma mi manco ancora il coraggio di chiederle di sollevarlo. Verso
mezzanotte, il cielo si rischiarò e la luna in alto brillò con
un magnifico contrasto. Era il momento adatto per la mia
fotografia. <>, dissi.
<> Mentre mi avvicinavo
alla fontana, impugnai il flash, lo alzai per un istante, e posai
i1 dito sulla leva dell'otturatore della camera. L'inquadratura
era perfetta. Uno scatto, e un bianco lampo abbagliante avvolse
il, giardino intorno a noi. Per un breve istante lei si stag1iò
in primo piano sullo sfondo del vecchio muro. Poi ritorno la luce
azzurrina della luna, e allora sorrisi soddisfatto.
<>, dissi. Lei
scatto in piedi. <>, gridò con voce roca.
<> Anche se il
velo le copriva ancora il viso, ebbi subito I'impressione, che i
suoi occhi mi fissassero lampeggianti di odio. La guardai
incuriosito mentre si ergeva dritta, la testa rovesciata
all'indietro, iI corpo apparentemente rigido come una sbarra, e
un lento brivido mi striscio lungo la spina dorsale. Poi, senza
dire nient'altro, la donna sollevo 1'orlo del vestito e corse
lungo il viale verso la casa abbandonata. Un attimo dopo era
scomparsa da qualche parte nel folto dei giganteschi cespugli.
Rimasi li presso la fontana, e la guardai allontanarsi
sconcertato. D'im- provviso, dall'ombra proiettata dalla facciata
della casa si levo il sordo ringhio di un animale. E, prima che
riuscissi a muovermi, un'enorme sagoma scura si avvento dritta
contro di me a grandi balzi, facendo frusciare 1'erba alta. Era
il cane della donna, lo stesso che avevo visto la sera prima. Ma
non era più quella bestia mansueta e silenziosa. Il muso era
distorto da una furia diabolica e le sue fauci stillavano bava.
In quell'attimo di terrore in cui restai paralizzato di fronte al
bruto, la vista di quelle narici bianche e dei neri occhi
trasparenti mi si stampo nella mente, per non essere mai più
dimenticata. Poi mi fu addosso con un balzo. Ebbi appena il tempo
di proteggermi il volto levando in alto il flash e di gettarmi di
lato. Il braccio mi rimbalzò indietro. La lampadina esplose e
potei vedere i denti serrarsi sull'impugnatura. Caddi sulla schiena,
mentre un grido soffocato mi saliva alle labbra e un peso immane
si abbatteva sul mio corpo. Reagii con la forza della
disperazione, picchiando i pugni su quel muso ringhiante. Le mie
dita cercarono alla cieca la gola della belva, e affondarono
nella carne ispida. Adesso potevo sentire il suo alito mescolarsi
al mio, ma resistetti con tutte le mie energie. La pressione
delle mie mani sortì l'effetto desiderato. Il cane si ritrasse
ansimando. Approfittai del momento: mi rialzai faticosamente,
scattai in avanti e sferrai alla bestia un terribile calcio in
pieno corpo. <>, gridai,
memore dell'ordine che la donna gli aveva Balzò indietro e per
un istante mi fisso immobile, le zanne scoperte. Poi
all'improvviso si giro e sgusciò via nell'erba. Debole e
tremante, radunai tutte le rnie forze, raccolsi la macchina
fotografica e varcai il cancello diretto a casa. Passarono tre
giorni, e io trascorsi queIle ore senza fine chiuso nel mio
appartamento, soffrendo le pene dell' inferno. Il giorno
successivo alla mia terribile esperienza notturna con il cane, mi
resi conto che non ero in condizioni di andare al lavoro. Bevvi
due tazze di forte caffè nero e mi costrinsi a restare
tranquillo in poltrona, con la speranza chc il mio nervosismo si
placasse. Ma la vista della macchina fotografica lì sul tavolo
mi incitava all'azione. Cinque minuti piu tardi ero già neila
camera oscura improvvisata nel mio studio a sviluppare la
fotografia che avevo scattato quella notte. Lavoravo
febbrilmente, spinto dal pensiero che essa avrebbe costituito un
contributo davvero originale al concorso amatoriale del mese
successivo a Ginevra, se il risultato fosse stato positivo.
Un'esclamazione mi sfuggi daile labbra non appena osservai la
stampa ancora bagnata. Si vedeva il vecchio giardino, chiaro e
nitido con i suoi ce- spugli, la statua del bimbo, la fontana e
il muro sullo sfondo, ma il sedile... il sedile di pietra, era
vuoto. Non c'era traccia alcuna della signora in nero, neimmeno
un'ombra. Agitai il negativo in una soluzione satura di cloruro
di mercurio in acqua, poi lo trattai con ossalato di ferro. Ma
anche dopo questo processo intensificante la seconda stampa
risultò come la prima: a fuoco in ogni dettaglio, con il sedile
che si stagliava in primo piano in netto rilievo, ma senza segno
alcuno della donna. Eppure era in campo quando avevo fatto
scattare l'otturatore. Di questo ero certo. Ed mio apparecchio
funzionava perfettamente. Cosa c'era allora che non andava? Fino
a quando non ebbi scrutato la stampa alla luce del sole, non
volli credere ai miei occhi. Nessuna spiegazione si offriva,
assolutamente nessuna e alla fine confuso tornai a letto e
piombai in un sonno profondo Dormii per tutto d giorno. Qualche
ora dopo mi sembrò di essermi risvegliato da un incubo nebuloso,
e non trovai la forza di alzarmi dal letto. Una grande debolezza
fisica mi aveva sopraffatto. Le mie braccia, le mie gambe,
giacevano come oggetti inanimati. Il cuore pulsava debolmente.
Tutto era così quieto, cosi silenzioso, che potevo sentire
1'orologio sul mio comodino marcare distintamente ogni secondo.
La tenda si gonfiava nella brezza notturna, sebbene fossi certo
di aver chiuso la finestra quando ero entrato nella stanza. Poi
all'improvviso rovesciai indietro la testa e gridai. Lentamente,
inesorabilmente, mi si stava insinuando nei polmoni quel
terribile profumo di eliotropio! Venne il mattino, e mi accorsi
che non si era trattato di un sogno, La testa mi ronzava, le mani
mi tremavano, ed ero così debole che a malapena potevo reggermi
in piedi. Il medico che avevo chiamato assunse un'espressione
grave mentre mi auscultava. <>, disse. <>
Mi portai le dita alla gola e le ritirai macchiate di sangue.
<> , balbettai. Si diede da fare
con le sue medicine, e pochi minuti dopo si era gia infilato il
cappello. <>, disse, <> Ma,
quando se ne andò, pensai di aver visto un'espressione perplessa
sul suo volto. Le successive ore di ozio diedero via libera a
tutte le mie buone intenizioni. Giurai a me stesso che avrei
dimenticato tutto, che sarei tornato al mio. lavoro e non avrei
mai più neanche guardato quei libri. Ma sapevo che non ci sarei
riuscito. L'immagine della signora in nero mi occupava la mente,
e ogni minuto trascorso lontano da lei diventava una tortura. Ma,
ancor di più, se avevo provato un'Intensa brama di leggere d
secondo libro, il desideno di poter vedere il terzo, l' ultimo
della trilogia stava lentamente trasformandosi in un'ossessione.
Alla fine non potei resistere e la mattina del terzo giorno presi
un tram fino, al negozio dell antiquario e tentai di persuadere
Larla a darmi di terzo scritto di suo fratello. Ma l'italiano era
irremovibile. Avevo già preso due libri, nessuno dei quali avevo
ancora restituito. Fin quando non glieli avessi riportati non mi
avrebbe dato ascolto. Invano tentai di spiegargli che uno solo
non aveva alcun valore senza gli altri due e che volevo leggere l'intero
resoconto tutto di seguito. Si limitò a scrollare le spalle. Un
sudore gelido mi imperlò la fronte quando vidi inesaudito il,mio
desiderio. Discussi. Implorai. Ma senza risultato, Infine, non
appena Larla si giro da un'altra parte, presi il terzo libro, che
avevo visto sullo scaffale, me lo feci scivolare in tasca e me ne
andai furtivamente. Non cerco scuse per la mia azione. Alla luce
di quanto accadde più tardi, la si può considerare una
tentazione indotta, poichè la mia volontà in
quel momento era del tutto domata, offuscata da
quella bizzarra ossessione. Di ritorno nel mio appartaniento, mi
lasciai cadere in una poltrona e aprii freneticamente la
copertina di velluto, Ecco 1'ultima testimonianza della strana
serie di eventi che negli ultimi cinque giorni erano entrati a
far parte integrante delIa mia vita. Avrei trovato la spiegazione
di ogni cosa in quelle pagine? E in tal caso quali segreti mi
sarebbero stati rivelati? Con la luce di una lampada che pioveva
dritta da dietro le mie spalle, aprii il libro e lo sfogliai
adagio, ammirando ancora una volta la squisita stampa a mano. E,
mentre sedevo, mi sembrò che una quasi palpabile nuvola di
quiete mi circondasse e attutisse i rumori lontani della strada.
Qualcosa di indefinibile sembrò impedirmi di leggere oltre. Ma
la curiosita, quella smania bizzarra, mi ordino di andare avanti.
Lentamente cominciai a girare le pagine, una alla volta, da cima
a fondo. Ancora simbolismi. Nebulosi deliri senza alcun
significato logico. Ma, all'improvviso, le mie dita si
bloccarono! Il mio sguardo era caduto sull'ultimo paragrafo
dell'ultima pagina, 1'estrema testimonianza di Alessandro Larla.
Lessi, rilessi e poi lessi ancora quelle parole blasfeme. Seguii
con il dito ogni riga alla luce della lampada, adagio,
minuziosamente, lettera per lettera. Infine 1'orrore che vi era
contenuto proruppe dentro di me. In inchiostro rosso sangue stava
scritto: Cosa posso fare? Lei ha prosciugato il mio sangue e
corrotto la mia anima. La mia perla è nera come il Male stesso.
Che sia maledetto suo fratello, perchè e stato lui a renderla
così. Prego che la verità di queste pagine li distrugga per l'eternita.
Che il cielo mi assista, Perla von Mauren e suo fratello, Johann,
sono dei Vampiri! Balzai in piedi. <>
Mi aggrappai al bordo del tavolo e restai li barcollante.
Vampiri! Orribili creature avide di sangue umano, capaci di
assumere le sembianze di esseri umani, di pipistrelli, di cani.
Gli avvenimenti dei giorni precedenti mi apparvero allora in
tutto il loro orrore, e riuscii a scorgere il sinistro
significato di ogni particolare. Il fratello, Johann, era
diventato un Vampiro durante la guerra. E quando, anni dopo, 1a
donna lo aveva rintracciato, aveva condannato anche lei a quella
orribile esistenza. Con il giardino come covo, i due avevano
imprigionato nelle loro spire velenose il povero Alessandro
Larla, un anno prima. Questi aveva amato la donna, 1'aveva
venerata. E mfine aveva scoperto la terribile verità che lo
aveva fatto ritornare a casa in delirio, in preda alla follia.
Folle, sì, ma non abbastanza da non riuscire a descrivere i
fatti nei suoi tre libri ricoperti di velluto nero. Aveva sperato
che le sue rivelazioni condannassero per sempre la donna e suo
fratello. Ma non era abbastanza. Afferrai sul tavolo il primo
libro e lo aprii. E vi lessi di nuovo quelle tre righe vergate in
fretta che in un primo momento non avevano avuto per me il minimo
significato. Rivelazioni intese a nuocermi riescono solo a creare
invisibili legami. Leggi, o folle, ed entra nel mio giardino, che
a questo luogo siamo incatenati. E sia su Larla la mia
maledizione! Le aveva scritte Perla von Mauren. I tre libri non
avevano messo fine alle malefiche attivita sue e di suo fratello.
No, solo una cosa al mondo poteva farlo. Ma quella testimonianza
non era stata scritta invano. Restava perche la vedessero gli
uomini a venire. Quei libri avevano confinato i due Vampiri
Johann e Perla von Mauren, nel loro giardino, avevano loro
impedito di aggirarsi ogni notte per le strade
in cerca di vittime. Solo chi aveva varcato
almeno una volta ii cancello del giardino poteva subire la
persecuzione e gli attacchi dei due mostri. Era l'eterna legge
metafisica: il-Male che batte in ritirata di fronte alla Verità.
Ma se il libro aveva posto un limite ai loro poteri, aveva aperto
una nuova strada alle loro razzie. Una volta immerso nelIe pagine
della trilogia, il lettore cadeva irrimediabilmente tra i loro
artigli. Quelle righe erano diventate le propaggini esterne delle
loro trame. Erano una trappola nel cui interno si annidava il
potere dei Vampiri. Era questo il motivo per cui la mia vita si
era cosi incredibilmente fusa con la storia di Larla. Nel momento
stesso in cui avevo posato lo sguardo sul paragrafo iniziale, ero
caduto nelle loro spire, preda dello stesso destino che un anno
prima aveva portato alla perdizione Larla. Ero stato attirato
implacabilmente tra i tentacoli della signora in nero. Una volta
passato il cancello, l'influsso del Iibro spariva, e i due erano
liberi di perseguitarmi, di... Mi colse una sensazione di
smarrimento. Adesso capivo perchè il medico era rimasto
perplesso. Adesso capivo la ragione della mia debolezza fisica.
Lei si era... nutrita del mio sangue! Ma se Larla ignorava il
modo di liberarsi di una simile creatura, io lo conoscevo; Non
avevo viaggiato nell'Europa del Sud senza imparare qualcosa
riguardo a quelle antiche piaghe. Cercai freneticamente nella
stanza. Una sedia, un tavolo, una delle mie macchine fotografiche
sul suo lungo treppiedi. Afferrai una delle aste di legno del
treppiedi e la spezzai su un ginocchio. Poi, impugnando i due
frammenti appuntiti e irti di schegge, mi precipitai in strada
senza cappello. Un attimo piu tardi ero su un taxi che correva a
Nord, verso Easterly Street. <>,
gridai all'autista quando vidi il sole abbassarsi verso 1'ovest.
<> Sfrecciammo lungo gli
incroci, per i vecchi quartieri, verso i sobborghi della citta.
Fremevo di impazienza a ogni intoppo nel traffico. Ma infine ci
fermammo davanti al muro del giardino. Spinsi il cancello di
ferro battuto e con i frammenti del treppiedi ancora sotto il
braccio, mi precipitai all'interno. Il giardino aveva un aspetto
più reale alla luce del giorno, ma il muro sgretolato e 1'erba
incolta erano come sempre immersi nel silenzio. Mi diressi senza
esitazioni verso la casa, arrampi- candomi sugli scalini fradici
dell'ingresso. La porta era inchiodata e chiusa a chiave. Tornai
sui miei passi e presi a costeggiare la parete sud dell'edificio.
Avevo visto la donna prendere quella direzione quando era fuggita
dopo il mio tentativo di scattarle una fotografia. Proprio sul
retro della costruzione mi trovai davanti una porta semiaperta
che conduceva nel sotterraneo. Dentro, immerso nell'oscurita, uno
stretto corridoio si stendeva ai miei piedi. Il suolo era
cosparso di pietre e calcinacci, e nel sotterraneo si
intrecciavano mille ragnatele. Camminai a tentoni, mentre i miei
occhi si abituavano rapidamente alla mezza luce proveniente dai
finestrini quasi opachi. In fondo al corridoio una seconda porta
mi sbarrò il passo. La spalancai con una spallata... e rimasi
paralizzato sulla soglia non appena guardai dentro. Avevo davanti
una piccola stanza, larga appena dieci piedi, e con un soffitto
dalla travatura bassa. E nella luce che proveniva dalla porta
aperta, vidi fianco a fianco al centro del pavimento... due bare
di legno bianco. Non ricordo per quanto tempo rimasi li
appoggiandomi debolmente al
muro di pietra. Un odore caratteristico si
spandeva nella stanza. Eliotropio! Ma eliotropio corrotto dal
tanfo di putrefazione di un'antica sepoltura. Finalmente balzai
verso la bara piu vicina, afferrai il coperchio e la aprii.
Voglia il cielo aiutarmi a dimenticare la visione che si presento
ai miei occhi. Nella bara giaceva la signora in nero senza velo.
Il suo volto era di una bellezza divina, i capelli di un nero
lucente, le guance di un palIore classico. Ma le labbra! ... mi
colse una nausea iinprovvisa quando osservai le labbra. Erano
vermiglie... e imbrattate di sangue umano. Brandii una delle assi
del treppiede, raccolsi da terra una lastra di pietra e, dopo
aver poggiato 1'estremita appuntita del legno in corrispondenza
del cuore della donna, vibrai un colpo terribile. II paletto
affondo nella carne. Una violenta convulsione scosse la bara. Un
dolciastro, nauseante odore di putrefazione mi salì alle narici.
Mi voltai e spalancai il coperchio della bara del fratello. Dopo
un solo sguardo al giovane e virile volto dai tratti teutonici,
levai in alto 1'altro paletto e glielo affondai nel petto con
tutta la forza del mio braccio destro. Nelle bare, adesso,
c'erano due grigi scheletri semi-polverizzati che mi fissavano
con le occhiaie vuote. Il resto non e che un sogno
confuso.Ricordo solo di essere corso fuori, sul sentiero fino al
cancello e poi lungo Easterly Street, lontano dal giardino
maledetto delle ghiandaie. Finalmente, allo stremo delle forze,
raggiunsi il mio appartamento. Lo spettacolo familiare che mi si
presento agli occhi fu per me come un balsamo. Ma d'un tratto il
mio sguardo si posò su tre oggetti che giacevano lì dove li
avevo lasciati: i tre libri di Larla. Mi avvicinai al caminetto
dall'altra parte della stanza e li gettai tutti e tre tra i
carboni ancora ardenti. Si udì un rapido sibilo, e una fiamma
gialla guizzo verso 1'alto e cominciò ad attaccare la rilegatura
di velluto. Le fiamme crebbero... crebbero, poi si abbassarono
lentamente. E quando anche 1'ultima ardente favilla ando a morire
su un mucchio di cenere annerita, un meraviglioso senso di quiete
e di sollievo scese su di me.

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