Charles Horn

tephen spulciò a lungo fra i libri, frugando freneticamente. Finalmenteincontrò il nome di Calmet sopra due grossi volumi in pessime condizioni,stampati a Parigi nel 1751. Aprì subito il primo e vi lesse, in francese: Trat-tato sulle Apparizioni degli Spiriti e sui Vampiri,o gli Spettri dell'Ungheria e dellaMoravia di Don Augustin Calmet.

Dopo una ventina di minuti spesi a scorrere pagina dopo pagina, trovò infine ciò che cercava. Con grande eccitazione,1esse:

Verso la fine del 1617, una vera epidemia di vampirismo imperversò nella regione transilvanadi Gheorgheni. I1 Prefetto di Klausemberg durante un'indagine scoprì essere Vampiro unaragazza che era stata al servizio di Sigismund Bathory, nel castello sull'isola, prima di morire.Tale Vampiro aveva diffuso il suo veleno in un ampio raggio. Nel giro di due settimane,1e cronache locali riportano che in vari villaggi nei dintorni del lago furono avvistate strane figureaggirarsi nei cimiteri, introdursi nelle abitazioni, e succhiare il sangue delle loro vittime spro- fondate in un'inspiegabile catalessi. Nel villaggio di Gheorgheni vennero aperte due tombe,quella di un uomo a nome Ditmar Holla,e quello di una fanciulla, Stanoske. I loro corpi risulta-rono gonfi e ben nutriti con il colorito di chi è in piena salute. Due paletti acuminati furonoinfissi nei loro cuori,1e loro teste vennero mozzate e i corpi bruciati dentro le bare. Altri casisimili furono trattati nella stessa identica maniera, e 1'epidemia fu sgominata entro la primavera dell'anno seguente. II Vampiro considerato causa di quel contagio tornò alla sua dimora sull'i-sola, dove si racconta che il Conte stesso 1'abbia ucciso distruggendone il cadavere. Ai paesani,però, fu impedito l'accesso al castello (per ragioni di difesa, poiché il dominio del Conte eratirannico e crudele, ed egli temeva per la propria vita), così nessuno effettivamente potè vedereil paletto nel cuore del mostro. Si incominciò a ritenere che il Conte avesse invece risparmiato ilVampiro, e il timore che potesse servirsene in qualche orrendo modo fu la molla che indusse ilpopolo a stringere d'assedio l'isola bloccando qualunque via di comunicazione con la terra- ferma. Ciò non rappresentò un grosso problema ,perchè sull'isola cresceva cibo sufficiente per tutti.Tale singolanssima quarantena, come testimoniano i viaggiatori che si sono spinti in quella regione,, è tutt'oggi in vigore.

Un'intensa emozione assalì Stephen quando terminò la lettura. Dunque,lei era lì! Da qualche parte, sull'isola... forse proprio sotto i suoi piedi, inquel momento, giaceva il corpo di una donna un tempo ritenuta un Vampiro!Ora la storia per la sua tesi era pronta: avrebbe trattato quel caso dalle ori·gini fino alle attuali condizioni della famiglia. I1 perfetto ritratto di una ttragedia causata da un'allucinazione collettiva! Ma il suo lavoro sarebbe statcmolto più completo, se avesse potuto arricchirlo con una fotografia del cadavere (magari ancora con un paletto nel cuore!) della donna che stava all'origine di quella superstizione.

Di primo acchito, gli parve impossibile procurarsela. Aveva una macchina fotografica con sé, ma riuscire a trovare una tomba, senz'altro priva di indicazioni...Eppure .. gradualmente, si accorse di non riuscire più a pensare adaltro.

Se si fosse fermato e avesse analizzato razionalmente i progressivi muta-menti del proprio comportamento, si sarebbe accorto che quanto era natocome una semplice e divertita curiosità si era tramutato in una vera e propriaossessione. Rakoszy si rese conto del suo mutamento, e gli fece notare diaver trascurato gli studi di Eva.

"I1 vostro continuo vagare attorno al castello e all'isola insieme a Eva.. " lo rimproverò. "Non è certo questo il compito di un tutore. Mi domando se..."

"È il metodo di insegnamento di Aristotele, dei Peripatetici dell'anticaGrecia", replicò Stephen un po' irritato. "Inoltre vogliamo approfittare del bel tempo, finché ci è concesso. Non è salutare restarsene sempre al chiuso."

"Lasciate che sia io a giudicare", scattò Rakoszy. "Ieri, per esempio, vi hoosservati entrambi dalla mia finestra, e vi ho visto scavare con una certafrenesia. Una lezione di archeologia, per caso?"

Stephen si infuriò, all'idea di essere stato spiato. "D'accordo, lo ammetto"sbottò aspramente. "Eva è una carissima ragazza, e io deploro le sue condi-zioni... Ma sono annoiato... annoiato... annoiato!... Non può certo dirsi un'al-lieva stimolante! E come potrebbe esserlo? Vive in un mondo di fantasiatutto suo, e continuerà a farlo finché non potrà andarsene da qui. Voi stesso mi avete detto di sperare che io potessi risvegliare in lei un qualsivoglia inte-resse verso 1 esterno. Ci ho provato, davvero. Ho trascorso ore e ore a leg-gerle delle grandi città come Londra e Parigi, dei treni, degli aerei, delmondo in generale, ma nulla ha mosso in lei il benché minimo entusiasmo.Quelle sono cose immaginarie, per lei. È prigioniera di se stessa, come i suoiuccelli in gabbia!"

Rakoszy adesso stava annuendo, sconsolato. "Lo so", ammise infine. "Non ho i1 diritto di biasimarvi. Forse ho sperato in un miracolo."

"Santo Cielo, amico, ma perché mai non la portate via di qua adesso?Perché attendere che raggiunga 1'età per ereditare?"

"È una complicata questione legale", rispose Rakoszy. "Lo Stato rumeno ha il diritto di entrare in possesso della proprietà, a meno che essa non siaoccupata in maniera continuativa da almeno un membro della famiglia."

"E la proprietà consiste solo nel castello e nell'isola?"domandò Stephen,incredulo.

"Già, e potrebbe essere venduta per una fortuna, quando Eva avrà la maggiore età", spiegò Rakoszy. "Credetemi, conosco i nostri interessi. E devocomunque insistere perché queste vostre scorrerie sull'isola vengano inter-rOtte."

: Stephen non protestò. Aveva già in tasca la chiave del mistero...

Era accaduto il giorno in cui Rakoszy lo aveva visto scavare. Alcune notti prima aveva osato avventurarsi tutto solo nelle prigioni sotterranee del castello. Non rimase troppo sorpreso o deluso nel trovarle completamente svuotate di ogni suppellettile. I funzionari del museo erano stati davvero scrupololosi. Ma, con sua grande meraviglia, aveva notato che contro la parete di fondo dell'ultima cella vi era una cavità murata, come se vi fosse un altro locale al di là di essa.

Il giorno successivo, studiando la struttura del castello dall'esterno, aveva concluso che non avrebbero potuto esserci altri ambienti, sotto, oltre un certo limite. Avrebbe significato un'estensione sotterranea dell'edificio a1 di là deLle mura perimetrali, e nessuno di quegli antichi manieri, a quanto gli risultava, era mai stato costruito in tal modo. Ma poi, scavando nel terreno sabbioso in cerca di lumache insieme a Eva, il giorno seguente aveva incon- con la vanga della solida roccia.

Aveva continuato a scavare con curiosità (mentre Rakoszy lo stava spiando), e aveva scoperto di trovarsi sopra i muri di un locale sotterraneo. Curandosi di dissimulare la propria agitazione davanti all'allieva, I'aveva quindi riaccompagnata nelle sue stanze. Si era poi procurato un piccone, un badile e una lanterna nel magazzino di Andor, ed era tornato nelle prigioni. Avrebbe cominciato subito il lavoro, tanto nessun rumore avrebbe potuto udirsi da quel profondo budello. Temendo però che Andor si accorgesse degli attrezzi mancanti e che potesse scendere a curiosare, attese finché il vecchio non si fu tranquillamente ritirato.

Verso 1'alba, aveva quasi completamente aperto un varco attraverso lo spesso muro, ma preferì interrompere. Avrebbe terminato quella notte...

Ma 1'ultimo colpo di piccone spaccò un enorme blocco di pietra, e il suo cuore prese a martellare per lo sforzo e 1 emozione. avvicinò la lampada al' varco che aveva creato. Sbirciò all interno, appena in tempo! Un vecchio cro- cifisso in legno appeso contro la parete di fondo di quella che pareva una piccola cripta si sbriciolò di colpo sotto i suoi occhi. Quel legno secco, per la prima volta a contatto con 1'arta dopo secoli, si era tramutato in un muc- chietto di polvere brunastra.

Stephen orientò la lampada altrove. I1 suo cuore impazzì. Eccolo! Un grande sarcofago in pietra sul quale era stata collocata una dozzina di grossi mattoni. Non era certo il modo in cui si inumava una persona normale! Prima ancora di rendersene conto, aveva afferrato il piccone e stava col- pendo il muro per allargare il buco.

In pochi minuti, il passaggio era abbastanza largo per potercisi intrufolare. Aiutandosi con mani e ginocchia, Stephen penetrò nella camera segreta, tre- mando per 1'emozione. Spinse da parte i detriti con la frenesia di un pazzo, deprecando il fatto di non avere con sé la propria macchina fotografica. Ma 1'ambiente era troppo buio, e neppure con il lampo al magnesio avrebbe ot- tenuto risultati decenti. Non se ne preoccupò, comunque, più di tanto. Per- vaso improvvisamente dalla forza dI dieci uomini, scaraventò al suolo i mat- toni e spinse di lato il coperchio di pietra del sarcofago, ritrovandosi a con- templare una bara di legno ammuffito.

Una zaffata di vapori mefitici si sollevò, accecandolo per qualche istante. Si tirò di scatto indietro, annaspando e scuotendo vigorosamente il capo per riprendersi dall'improwisa nausea che lo aveva colto. Poi, facendosi animo riprese il suo lavoro, trafficando sopra le assi marce del coperchio con un cacciavite.

Quando ebbe terminato, sistemò la lampada sul bordo del sarcofago, in modo che la luce potesse illuminare appieno la scena che si accingeva a rive- lare. Lentamente, gustandosi ogni secondo, cominciò a far scorrere.il coper- chio della bara....

Udì distintamente un rumore simile a quello prodotto dalla lacerazione di un tessuto e una nube di lezzo putrescente lo investì con violenza inaspet- tata colpendolo allo stomaco e costringendolo a indietreggiare. La lampada si spense. Stephen rimase immobile, nell'oscurità più impenetrabile, aspet- tandosi di udire qualche movimento dall'interno della bara... Ma natural- mente non udì nulla. C'era solo il silenzio.

Con dita tremanti riuscì a riaccendere la lampada, poi la sollevò e scrutò con circospezione all'interno della bara. I1 cadavere mezzo mummificato di una donna stava disteso là dentro, velato in un lacero sudario ammuffito. Due cose lo colpirono immediatamente: una maschera di metallo copriva il volto di quel corpo scheletrico, e non vi era alcun paletto conficcato cuore, contorto e rinsecchito, visibile attraverso la devastata cassa toracica.

Stephen tentò di schiarirsi la mente. I vapori pestilenziali ancora gravavano nell'aria, risultato di secoli di lenta putrefazione. Si sentiva vagamentestordito, incapace di seguire coi propri pensieri un percorso logico. Un'idea,comunque, prese a farsi strada in lui, furtivamente. Doveva togliere quella maschera. Doveva verificare quali fossero le condizioni del volto. E, se pos-sibile, fotografarlo.

Un rapido esame rivelò che quella maschera era stata sigillata, ma ormai quel metallo avrebbe ceduto facilmente. Forzandone la serratura con il cac-ciavite, in pochi minuti il meccanismo interno che teneva bloccato il tutto si disintegrò in uno sbuffo di polvere e ruggine. Sollevare la maschera, però,non fu altrettanto semplice. Il cacciavite scivolò di lato nel tentativo di fareda leva, provocando un taglio in un dito di Stephen. Quell'incidente, però, fu' prowidenziale, perché involontariamente venne rimossa la linguetta metal-' che ancora impediva il sollevamento della maschera, la quale ora poté essere agevolmente rimossa. La prima cosa che colpì Stephen fu la serie dienormi chiodi nella faccia interna della maschera. Quei chiodi dovevano averperforato il volto e il cranio della donna! Rabbrividì d'orrore al solo pen-siero...

Sotto la maschera, non vi era altro che un teschio. In quel momento, Stephen si rese conto con disappunto che un sottile rivolo del propriosangue, sgorgato dal taglietto nel dito, era scivolato lungo la superficie della maschera finendo per gocciolare dentro le orbite cieche del cranio. E all'im-prowiso; sotto i suoi occhi increduli e terrorizzati, viscidi brandelli dï carne cominciarono a materializzarsi sopra quelle ossa rinsecchite.

Stephen indietreggiò, barcollando. Si stropicciò le palpebre con le nocche incapace di accettare ciò cui stava assistendo. Nel mentre, quella carne inna-turale prese a strisciare sopra il teschio, rendendo più saldo il suo legame coltronco. E ben presto tendini, cartilagine, muscoli e pelle, giunsero a rico- prire il volto di una donna, un tempo probabilmente molto bella, ma ora devastata dai grossi fori provocati dai chiodi. Due scorpioni neri fuggirono averso le orbite prima che due lucidi bulbi oculari si materializzassero otturando le cavità, per conficcare su Stephen uno sguardo terribile e amma- liante.

Poi, quell'orrore parlò. In principio Stephen ebbe solo I'impressione di udire echeggiare la voce di una donna, anche se le labbra di quel cadavererestavano serrate; entro pochi secondi quella vaga sensazione si tramutò in serie di pulsazioni all'interno del suo cervello, e poté quindi percepire con chiarezza la voce scandire queste parole:

"Vieni, baciami: raggiungerai la beatitudine immortale. Diverremo un esseresolo. Morirai, ma la tua morte ci unirà per sempre".

Nessun muscolo del suo corpo poté sottrarsi a quell'imperioso richiamo, e Stephen cominciò a muoversi come un automa verso la donna distesa nella bara. Avrebbe voluto urlare, spaccare quella testa orrenda con una pietra, fuggire, morire, qualsiasi cosa pur di non sentire premere contro la sua bocca quelle labbra morte; comunque non poté lottare in alcun modo, neppure quando le due scarne braccia si sollevarono dal sarcofago, lo afferrarono e lo strinsero in un fetido abbraccio.

E'strano, pensò. Di certo sto sognando. Presto mi sveglierò. È colpa di questi vapori,di questi miasmi putrescenti. Intanto le labbra della donna si awicinavano alle sue, e sollevandosi un poco misero in luce due candidi, affilati incisivi.Stephen li fissò estasiato. No, non sta accadendo realmente. In questa Cripta non c'è aria... La mia vista, Ie mie percezioni sono falsate... Devo uscire...respirare...

Ed ecco le labbra della donna pressarsi contro le sue. In fondo, continuò a pensare, non è così male. È piacevole, come se fosse un bacio vero...

D'improwiso la sua bocca fu invasa da un salmastro, ferroso sapore. Era sangue! Stava sgorgando dalle sue labbra, colando lungo le macere carni di quell'orrido cadavere. Lei stava bevendo il suo sangue! Quelle zanne gli lace- ravano le labbra, frugando dolorosamente per suggerne la linfa scarlatta. Poté percepire un suono, simile a quello di un animale che lappa per dis- setarsi. Provò a divincolarsi, con un ultimo immane sforzo di volontà, ma non vi fu niente da fare. L'abbraccio era inesorabile.

Quella scena incredibile e spaventosa sembrò protrarsi per ore. Di quando in quando la donna scostava il capo, interrompendo per alcuni istanti il suo osceno pasto, e ogni volta il suo aspetto pareva modificato. I1 pallore del viso prese a sfumare in un'ombra rosata, riducendo il contrasto con la lucida macchia rossa attorno alla bocca. Venature sanguigne presero a tingerle le guance. È il mio sangue, pensò Stephen, che sta scorrendo nelle sue vene! E ogni volta che quella creatura si fermava, Stephen poteva sentire che si era fatta più forte, e quegli occhi bramosi emanavano una luce sempre più in- tensa a ogni sorso del suo sangue...

Durante quell'interminabile supplizio, la voce della donna vibrò ancora una volta nella sua mente: "Ora, siamo una persona sola. Farai tutto ciò che ti ordinerò di fare, e mi seguirai ovunque ti condurrò, fosse anche alla tomba. Allora avrà inizio la tua vera vita, al di là della morte!...".

E quello strazio ebbe finalmente termine. La donna rilasciò il proprio corpo contro il fondo della cassa, e abbassò le palpebre sopra quei terrbili occhi. Le braccia allentarono la presa e, non appena Stephen si ritrasse, esse si incrociarono mollemente sul petto, e la donna giacque silenziosa e immo- bile come se fosse appena morta.

Stephen non perse tempo. Corse freneticamente verso il varco che aveva aperto, gli sembrò, secoli addietro; si precipitò come un folle attraverso 1'o- scurità dei sotterranei, mettendo in fuga i topi e calpestando insetti immondi nella sua corsa; raggiunse le scale, e salendo come un disperato due gradini alla volta riusci a guadagnare 1'esterno del castello. Si guardò attorno trafe- lato. Non c'era ancora nessuno. Una luce grigiastra cadeva su di lui. Era 1'alba. Ecco cosa lo aveva salvato da quella mostruosità! Come tutti i Vam- piri, lei avrebbe giaciuto inerte, dall'alba al tramonto, ogni giorno.

Nella sua camera, Stephen rimase seduto sul letto per ore, in preda a un tremito convulso, incapace di muoversi o di pensare. A un tratto udì la voce di Andor oltre la porta: voleva sapere se il signore stava bene, e ricordargli che Eva lo stava aspettando per le lezioni. Stephen rispose che non si sentiva molto bene, e che sarebbe sceso più tardi. No, non aveva bisogno di niente, solo di essere lasciato in pace, per favore! Dopo aver ascoltato i passi del· servitore allontanarsi lungo il corridoio, Stephen chiuse la porta a doppia mandata, si distese sul letto e cadde in un sonno febbrile infestato da sogni ; funesti.

Fu svegliato da un colpo alla porta.

"Desiderate la cena, signore?" Era ancora Andor.

"No, vi prego, andatevene", fu la risposta di Stephen. Si sedette sul bordo del letto, e guardò subito oltre la finestra. Era quasi sera. Accese la luce, si portò davanti allo specchio, e stringendo i pugni rimase per qualche istante immobile, a occhi chiusi, col timore di guardarsi... Infine sollevò le palpebre e con meraviglia si accorse di non avere assolutamente nulla: né macchie· sangue, né ferite! Non notò proprio niente di diverso dal solito. Appariva solo un po' stanco, ma a parte quello era perfettamente presentabile.

Tornò a sedersi sulla sponda del letto con un sospiro di sollievo. Forse,allora, si era trattato solo di un incubo. Quest'idea si radicò immediata-mente, con soddisfazione, nel suo cervello. Naturalmente, non poteva cheessersi trattato di un brutto sogno. Dopotutto, lui era una persona civile,istruita, degna di vivere nel xx secolo. La scienza aveva da tempo dimostratoche la credenza negli eventi soprannaturali altro non è se non una larvata forma di demenza. No, si era trattato di un'esperienza totalmente assurda. Siportò allo scrittoio e alla carta da lettera, intenzionato a trascrivere quell'in-cubo, e magari poterlo poi inviare a Reggie. Stanotte non uscirò da que-sta camera, pensò cominciando a scrivere...

Accadde di colpo, bruscamente. Un istante prima Stephen stava seduto alproprio scrittoio, e all'improwiso si ritrovò a strisciare su mani e ginocchiaattraverso quel nero varco nel muro, ad addentrarsi con la lanterna fra le impenetrabili ombre della cripta, ad avvicinarsi al sarcofago di pietra. Lei eralà, distesa, e gli rivolgeva un sorriso beffardo sotto due occhi accesi da unaluce selvaggia. Le sue braccia, ora ricoperte da un lurido strato di carne epelle, si protesero lentamente verso di lui. Quando quell'essere parlò, lelabbra questa volta si mossero.

"Ora posso parlarti con la mia vera voce, mio amato", disse, sollevandosileggermente dal fondo della bara. "E ti voglio ringraziare, per questo. Awici-nati. Lascia che il mio abbraccio possa esprimerti tutta la gratitudine chesento nel cuore..."

Non appena ebbe pronunciato quelle parole, una delle sue magre mani ad artiglio scattò e gli graffiò una guancia. Stephen gemette, per lo spavento eil dolore. La donna sorrise, lasciando baluginare quei mostruosi incisivi, e si awicinò con decisione al fiotto di sangue che scorreva ora lungo la suafaccia.

I1 giorno seguente, a pranzo, Rakoszy chiese: "Come procede il vostrotrattato sul vampirismo, Mr. Young?".

"Come?", si scosse Stephen, che non aveva ancora cessato di annuirefissando la propria minestra da quando Rakoszy aveva cominciato a tartas-sarlo con un'interminabile sequela di chiacchiere a proposito di cavilli legali nella Transilvania del xviii secolo. "Oh, beh, ultimamente non..."

"Non mi sembra che vi sentiate molto bene", intervenne Eva, posandocompassionevolmente una mano sulla sua. "Povero Stephen, che estatenoiosa è questa, per voi..."

"No, no, il fatto è...", borbottò Stephen, tentando di dare forma e ordine flusso dei pensieri. Perché non raccontare tutto? si disse. Avrebbe dovuto loro ogni cosa, chiedere il loro aiuto, accompagnarli in quella cripta ed esibire quel cadavere. Forse, con un paletto, avrebbero potuto... Si schiarì la gola, e dopo essersi inumidito le labbra si alzò in piedi e cominciò: "Hoqualcosa da dirvi!".

Andor gli lanciò un'occhiata dal suo tavolo, come si guarda chi stia per dare una cattiva notizia. Stephen si sforzò per continuare, ma le parole sem- bravano non poter uscire dalla sua bocca. Riuscì solamente a dire: "Penso che dovremmo andarcene tutti, da qui...".

"Non è un problema", intervenne Rakoszy con un sorriso. "Andor; pren- deremo il tè in giardino."

Più tardi, quel pomeriggio, frugando fra gli attrezzi di Andor, Stephen trovò un palo, uno di quelli usati per gli spostamenti dei mobili troppo pesanti. Con l' ausilio di una sega e di una pialla, fu così in grado di ricavarne un tozzo bastone dalla punta acuminata. Ecco cos'avrebbe fatto... In fin dei conti, un paletto di legno è pur sempre un paletto di legno!... Si domandò perché non ne fosse stato conficcato uno nel cuore di quella Vampira all'e- poca della sua uccisione. Come mai avevano deciso di usare una maschera metallica chiodata? II crocifisso in legno che stava appeso nella cripta sa- rebbe servito ottimamente allo scopo, ma forse avevano previsto che con il, tempo il legno si sarebbe sbriciolato...`

Armato quindi di paletto e di un grosso martello, anch'esso in legno, Stephen si costrinse a tornare là sotto, awicinandosi con la lanterna al sarco- fago maledetto. I1 cadavere era sempre là, muto, pallido, immobile come do- vrebbe esserlo una persona morta da secoli. Sollevò quindi il paletto, esatta- mente al di sopra di quel cuore immondo... Ma non poté proseguire. Sarebbe stato come uccidere una parte di sé. I1 proprio sangue scorreva dentro quelle" vene. No, non poteva farlo. Rimase così, immobile, considerando con di- sperazione il fatto di essere suo prigioniero per 1'eternità. Fissò il volto di quella donna con un misto di odio e amore. E fu solo allora che si accorse di un cilindretto metallico parzialmente nascosto dietro quel corpo. Lo afferrò, rendendosi conto che per la prima volta aveva, se non` altro,1'opportunità di esaminare la bara senza interferenze.

Dopo alcuni minuti di sforzi riuscì ad aprire il tappo di quel contenitore, scoprendovi all'interno un manoscritto di circa sei pagine, su pelle di capra. Lo srotolò, riconoscendo immediatamente in esso un documento ufficiale vergato in latino, e attestante la distruzione di un Vampiro. Aveva letto sui libri a proposito di tali documenti, chiamati currilae, ma sapeva che venivano conservati e archiviati dalle autorità competenti, e non certo sepolti assieme al cadavere.

Quel manoscritto era corredato da crude illustrazioni riguardanti le vicis- situdini di quella Vampira dopo la cattura, processo compreso. Stephen si ac- comodò sul bordo inferiore del sarcofago, e alla luce della lampada studiò quelle pagine più da vicino.

Dictus praedecessor ublens, ne inquisitionis officium exercere, cominciava il manoscritto, annunciando poi che tutte le disposizioni riguardanti quella donna (il cui nome, data la grafia frettolosa, poteva essere Magda Kovec) erano testimoniate da un Ufficiale dell'Inquisizione ungherese e da Otto, il Prefetto di HIausenberg (del quale Stephen aveva già letto sui libri del Calmet).

Incaricato ufficiale di tutta la procedura era il Conte Sigismund Bathory, di cui quella donna condannata era stata serva, in vita.

Mentre il corpo della Vampira giaceva inerme, si dispose affinché un pa- letto di legno le fosse conficcato nel cuore, ma proprio all'ultimo momento il Conte interruppe la procedura, e pretese che si seguisse invece il suo metodo personale. Seguì un'animata discussione fra I'Ufficiale dell'Inquisizione, il Prefetto e il Conte.0rmai era pomeriggio inoltrato. I1 litigio si protrasse fino a che, calata la sera,1a Vampira aprì gli occhi e si sollevò a sedere. Fu subíto immobilizzata dalle guardie di Bathory, incatenata al muro tramite uncini conficcati nel petto, e frustata senza pietà mentre la discussione fra i tre riprendeva.

Stephen rabbrividì a quella lenta, penosa lettura del resoconto latino.

II Conte pretendeva per il mostro una morte molto più atroce del classico paletto nel cuore, e alla fine riuscì a stuzzicare il morboso appetito dell'In· quisitore (il quale era il famoso Hugo Eckert, reduce dall'aver mandato sul rogo, in Moravia, circa seicento persone, fra presunte streghe ed eretici). Anche il Prefetto, seppure con riluttanza, finì con 1'accettare 1'uccisione tramite maschera chiodata, a patto che questa venisse sigillata contro la facciadella Vampira: se un giorno avesse dovuto tornare disgraziatamente in vita,così ragionò Otto, almeno le sarebbe stato fisicamente impossibile bere ilangue delle sue vittime.

Cominciò così per Magda una serie di ulteriori torture. Venne scorticatacon una frusta spinata, immersa in un calderone di olio bollente (fasi, queste,tutte raffigurate sul documento, con una sgradevole dovizia di particolari), eal culmine dell'agonia, infine, quella maschera diabolica le venne premutacontro il viso, togliendole definitivamente la vita. L'illustrazione successivaraffigurava alcune persone intente a trasportare il cadavere nella cripta.Però... arrivavano da destra, e non da sinistra! Stephen trasalì. C'era forseun'altra stanza, oltre uno di quei muri?

Si alzò, accingendosi a investigare in proposito, quando percepì qualcosadi soffice e strisciante sfiorargli il collo. Sopprimendo un grido di spavento lanciò un'occhiata sopra la propria spalla, aspettandosi di trovare un topo o qualche altro animaletto. Ma non poté invece trattenere 1'urlo di orrore eisperazione che si gonfiò improwiso nella sua gola, quando riconobbe le putride mani della donna! Si era sollevata dalla bara, afferrandosi ai bordi del sarcofago, e ora stava sorridendo crudelmente, fissandolo negli occhi.

Stephen capì di essere perduto. Le ombre della sera erano calate mentrelui era immerso nella lettura dell'antico manoscritto, completamente dimentico del trascorrere del tempo.

"Vedo che sei ansioso di affrettare la tua morte", gli stava dicendo. "Nonho neppure avuto bisogno di chiamarti, questa volta."

Poi, gli occhi le caddero sulle pagine che Stephen ancora stringeva nelpugno. "Forse è giunto il momento di rivelarti ciò che comunque avresti sa-puto, dopo morto. Non c'è scritto tutto, su quel documento. Il mio nome èElizabeth Bathory, e avevo trent'anni quando cominciai a praticare il sata-nismo. La vanità e i primi sintomi della caducità della mia bellezza risveglia-rono, nella mia natura, desideri sfrenati e selvaggi. Su un antichissimo papiro egizio era scritto che il sangue di giovani vergini può restituire la giovinezza a chiunque lo beva, e io arrivai a uccidere sistematicamente più di un migliaio fanciulle, traendo dai loro corpi la mia rossa linfa vitale..."

Stephen non riusciva a seguire quelle deliranti parole. Solo il nome cheella aveva pronunciato contmuava a martellargli nelle orecchie. ElizabethBathory,1'infame Strega Rossa d'Ungheria! Ma come poteva essere? Trovòquindi la forza per domandare: "Ma il tuo nome non è Magda, o qualcosa disimile? È scritto qui!".

Lo sguardo infuocato della donna lo costrinse a tacere, ed ella continuò:"Fui imprigionata dalle autorità di Cluj e, dopo infinite torture e sofferenzefinalmente morii. II Conte Sigismund (creduto pazzo da molti, ma in realtà un satanista molto scaltro, oltre che uno spietato despota) decise di salvare ilmio cuore dal paletto, per ragioni di cui allora ero all'oscuro. Si recò quindi aCluj in compagnia di una servetta, Magda Kovec, e chiese alle autorità dipoter restare solo nella cella ove era riposto il mio corpo, per pregare. Cor-rotti com'erano, gli ufficiali si lasciarono comperare da alcune monete d'oroe glielo consentirono. Sigismund e Magda ebbero libero accesso al luogo incui giacevo, resa impotente da un crocifisso appeso alla parete. Non appena la porta fu chiusa alle sue spalle, egli non esitò un solo istante a uccidere la ragazza, pugnalandola ripetutamente, sfigurandola fino a renderla irricono-bile e trapassandole il cuore con un paletto aguzzo che aveva tenuto ce-lato sotto il mantello. Poi staccò il crocifisso dal muro e lo infranse contro ilvimento, e allora io tornai a reggermi sulle mie gambe, avendo Sigismund pianificato scrupolosamente affinché tutto ciò awenisse pochi minuti dopo il calar del sole. Dopodiché mi collocò sul capo e sulle spalle lo scialle di Magda.

Poi, chiamò le guardie e raccontò loro di essere stato costretto a uccidermi siccome, mentre stava pregando, il crocifisso si era staccato dal muro e io mi ero risvegliata attaccando la ragazza. Ora la sua serva era ferita, mentì, al- zando protettivamente le mani verso di me, e disse che dovevano correre da un dottore. Così riuscimmo a guadagnare 1'uscita fino alla sua carrozza, e ci recammo presso 1'abitazione di un altro satanista, dove si trovava un bara costruita per me. Annunciò poi alle autorità di Cluj che la fanciulla era dece- duta a causa delle ferite riportate, così poté procedere col suo piano. Con 1'aiuto di un crocifisso, Sigismund mi imprigionò nella bara, caricandomi poi nuovamente sulla carrozza e portandomi qui, al castello.

Rimasi qui dentro per due anni, prima che Sigismund si decidesse a farmi uscire, lasciandomi libera di vagare per la regione. Lui stesso mi accompa- gnava la sera sulla terraferma, per poi riportarmi qua al sicuro durante il giorno. I1 suo intento era quello di terrorizzare i suoi sudditi, e di stringere ancor di più 1'artiglio del suo dominio su di loro. Io non conoscevo ancora le sue intenzioni, finché un giorno inscenò la mia cattura, mi condusse ufficial- mente al castello, e diffuse la notizia di avermi uccisa definitivamente. Ma non andò così. I1 mio cuore è stato risparmiato, e il mio corpo non è stato bruciato. Fui solamente rinchiusa qui, asservendo involontariamente agli scopi di Sigismund, il quale voleva usarmi come deterrente e ricatto contro eventuali disordini, disubbidienze o rivolte fra il popolo. Ma quell'ingegnoso piano, invece, si ritorse contro di lui. I1 Prefetto di Klausenberg, infatti, ritor- nando dall'isola, rivelò il modo inadeguato con cui il Conte aveva adempiuto al suo dovere di eliminarmi per sempre. I popolani, sconvolti dalla notizia, decisero di risolvere la questione a modo loro, così posero 1'isola e tutti i suoi abitanti sotto quarantena e .

La voce della donna si interruppe bruscamente. Stephen seguì il suo sguardo... I1 paletto di legno e il martello! Oh, Dio, li aveva dimenticati sul pavimento nella penombra.

"Dunque, sei venuto per tentare ciò che molti altri hanno tentato,fallendo sempre miseramente", ringhiò Elizabeth, con una furia animalesca nella voce che Stephen non aveva mai udito prima. "Sono stata troppo dolce con te, mio amato, ma ora il tuo sangue mi ha dato nuova forza. Adesso che sai chi sono, affronta la mia ira! Quando ero in vita, ho messo in fuga uomini molto migliori di te! "

Così dicendo, uscì dal sarcofago. Stephen sentì il pugno della nausea col- pirlo allo stomaco, scoprendo che la metà inferiore del corpo della donna ancora non era ricoperto di pelle, rivelando un groviglio di tendini e muscoli awiluppati alle ossa. Lei notò il suo disgusto, e rise.

"I1 tuo sangue mi ridarà tutta la bellezza che, come vedi, ancora mi manca! "

Dopodiché sollevò un dito indicando il muro di fondo della cripta, e or- dinò a Stephen di premere in un certo punto. Con uno stridente clangore di metallo e pietra, allora, qualche antico meccanismo fece aprire una porta segreta.

"Prendi la lanterna, ed entra!", comandò la donna.

Stephen obbedì e, colto dalla sgradevole sensazione di essere già stato in quel luogo, si guardò attorno con sgomento. Ovunque stavano strumenti di tortura sepolti nella polvere, gli stessi che erano stati riprodotti tanto metico· losamente sul currilae. Vi era di tutto: fruste ammuffite, flagelli in filo spina-to, morsetti per le dita, ruote dentate, uncini, un calderone in rame destinatodi certo a contenere olio bollente, e un intricato sistema di cavi e puleggeatto a facilitare gli spostamenti delle vittime da un orrore all'altro.

D'improwiso, la donna gli afferrò entrambi i polsi e lo incatenò a ungancio fatto calare dall'alto. Stephen comprese in un lampo quali fossero lesue intenzioni; si sentì completamente impotente, incapace di reagire, comese i suoi arti si fossero tramutati in piambo. Si riscosse solamente al primocolpo di frusta. La sua camicia fu lacerata, provocandogli nel contempo untaglio lungo il bicipite sinistro. Il secondo colpo infierì su quella ferita mentre il terzo lo privò completamente della camicia. I1 colpo successivo fu ilpiù atroce, poiché si abbatté ora sulla carne viva: quella donna; da diabolicaed esperta torturatrice qual era, riusciva a calare lo scudiscio sempre sullostesso punto. Dopo un po' si interruppe, e awicinandosi a Stephen gli slacciòla cintura dei pantaloni. Agonizzante per 1'immenso dolore,1'uomo provòanche I'umiliazione di sentirsi completamente spogliato; dopodiché, la Vam- pira riprese il suo spietato lavoro con rinnovato vigore. La frusta calava sullecarni, martoriando adesso 1'intera superficie del suo corpo.

Fino a quel momento Stephen aveva solo rantolato per la sofferenza, maquando lei accelerò il ritmo delle sferzate non poté trattenere un grido be-stiale.

La donna rise. "Stai imparando, mio caro!", esclamò. "Continua a cantare per me!"

I1 sangue sgorgava ora copioso da una dozzina di differenti ferite, e la frusta non accennava a placarsi. Stephen cominciò a scivolare nell'inco-scienza, quando improwisamente si rese conto che la sua aguzzina aveva' cessato di tormentarlo. Sentì le sue mani fredde su di sé, e immediatamente dopo provò la calda sensazione di una bocca premuta contro il proprio corpo. La vampira stava ora leccando le sue ferite, bevendo il sangue che ne colava, mugolando per la soddisfazione...

E quello pareva essere solamente 1'inizio dell'orrore. Notte dopo notte lei lo avrebbe frustato, inventando sempre nuovi supplizi per lui, e nutrendosi del sangue che gli avrebbe spillato.

Quando le labbra della donna si staccarono dalle sue ferite, Stephen si` accorse cón meraviglia che, nonostante il dolore non scemasse, i segni esterni delle torture subite erano scomparsi.

A dispetto del fatto che non vi fossero segni sul suo corpo, Stephen co- minciò a diventare sempre più debole, pallido e ricurvo, con i lineamenti del volto costantemente distorti dal dolore.

Una notte lei gli disse: "Tutto questo non durerà ancora a lungo, mio amato. Presto il tuo sangue non sarà più sufficiente a tenerti in vita, e mo- rirai. Allora dovrai unirti a me per cercare nuovo sangue, e saremo insieme per 1'eternità. Anche tu, come me, non vedi 1'ora che quel giorno arrivi vero?".

Sì. Ormai non vedeva 1'ora. Desiderava solo morire, porre fine a quell'in- sostenibile tormento.

Si oppose a tutti gli sforzi di Rakoszy ed Eva per convincerlo a farsi visi- tare da un medico.

"No, non è niente", ripeté un mattino, dopo la colazione, quando i suoi commensali riaffrontarono 1'argomento. "Dev'essere il clima, ad avere effetti deleteri su di me. L'eccessiva umidità, la nebbia..."

"Quand'è così dovete andarvene, mio caro ragazzo, e subito", disse Ra- koszy sfilandosi il tovagliolo dal collo. "Non voglio sentirmi responsabile di questo vostro malessere. Prepara la lancia, Andor. E voi, Mr. Young, comin- ; ciate a raccogliere..."

"Oh, zio, no!", gemette all'improwiso Eva con un'espressione addolorata. "Morirei, se se ne andasse!"Così dicendo si alzò di tavola e corse in giar- dino.

Stephen e Rakoszy si scambiarono un'occhiata stupita. "Cosa significa? Si è comportata come se fosse innamorata di voi", osservò Rakoszy secca- mente, ma era evidente che la cosa non lo contrariava affatto.

In quanto a Stephen, rimase immobile per qualche istante, perso nel caos dei suoi pensieri. Poi, all'improwiso, un barlume di speranza accese i suoi occhi: stava pensando a quali avrebbero potuto essere le conseguenze se Eva fosse stata innamorata di lui, e se Rakoszy non si fosse opposto a un matri- monio fra loro...

Di colpo abbandonò la tavola, eccitato. "Scusate un istante!",esclamò, e si precipitò nella vecchia libreria di famiglia. Era sicuro di avere letto qualcosa in proposito, qualcosa che avrebbe potuto rivelarsi decisivo. Ma dove I aveva letto? Dove? Ma certo, nel libro di Calmet, ricordò all'improwiso. Lo estras- se dallo scaffale, e con dita tremanti prese a scorrerne le pagine. Sì ecco! Cominciò subito a tradurre quel francese del xviii secolo, rileggendo senza posa riga dopo riga, per essere certo di non travisare il senso di quelle pa- role. Una condizione del vampirismo e della licantropia, riportata per la prima volta dal poeta greco Esiodo e in seguito confermata da innumerevoli casi, è che tali creature non possono esercitare il loro potere su chi sia legato a loro da consanguineità o affinità parentelare; rien- trano in questa categoria sia i cugini di primo grado, sia chi abbia instaurato un rapporto matri- moniale con un loro consanguineo.

"Sono salvo!", gridò Stephen, colto da una felicità quasi delirante. "Salvo!" Grazie al Cielo, il Vampiro di cui era vittima si era rivelato essere Elizabeth Bathory, e non Magda Kovec, la serva. Che fortuna insperata!

Corse immediatamente in giardino, sfrecciando davanti allo sguardo atto- nito di Rakosky ed esternò le proprie intenzioni a Eva. Lacrime di gioia irrorarono le gote della fanciulla. "Oh, Stephen! Mi avete resa così felice!" singhiozzò. "Non ho mai osato sperare che mi poteste prendere in considera- zione. Sono così noiosa, e stupida. Ma migliorerò, ve lo giuro, e potremo andarcene..." Stephen la zittì con un bacio.`

Alla notizia, il volto di Rakoszy fu illuminato da un gran sorriso. "Bene, bene", ridacchiò. "Devo ammettere che fin dal principio mi sono augurato che ciò accadesse. L'avervi condotto qui in veste di tutore, dopotutto, è stata un po' una scusa, anche se le lezioni non le hanno certo fatto male! Vedete, sapevo che Eva non avrebbe mai potuto incontrare alcun uomo in altre cir- costanze. E questa mi è parsa la sola maniera. Un bel giovanotto di Cam- bridge..."

"Non vorrei apparirvi impaziente, signore", lo interruppe Stephen. "Ma sarebbe per me una gioia immensa se io ed Eva potessimo sposarci oggi stesso! "

Rakoszy parve sorpreso, ma poi disse: "Beh, non vedo perché non si possa fare. Anzi, pensandoci, mi sembra un'idea eccellente. Andor, quel giovane sacerdote, quello che venne quando il Conte morì: vallo a prendere! È 1'u- nica persona in tutta la regione che non ha paura del castello. Non ha mai prestato orecchio a tutte quelle sciocche superstizioni".

Quando scese dalla lancia, circa un ora dopo, il sacerdote apparve inveceun po' nervoso. Il rito venne celebrato nel luminoso soggiorno. Fu semplice,e breve. A1 termine, quando la lancia se ne fu andata per riaccompagnare ilsacerdote - che sembrava sinceramente impaurito - Rakoszy tossicchiò conimbarazzo e disse:

"Non so come dirvelo, ma forse la cosa non vi infastidirà troppo. Credoche per il momento dovrete accontentarvi di una luna di miele molto breve.Vedete", continuò, conducendo con discrezione Stephen in un angolo"questa è la prima occasione che mi si presenta per far uscire Eva dall'isola e farla vedere da un dottore a Bucarest. Come potete immaginare, il cambia-mento farà miracoli. Sarà questione di un paio di giorni, credo. Poi sarà vo-stra per tutta la vita".

"Capisco perfettamente", rispose Stephen. "E sono del tutto d'accordocon voi. Ciò di cui Eva ha più bisogno, ora, è dell'attenzione di un medico."

"E nel frattempo, la vostra permanenza al castello eviterà la confisca daparte del Governo", aggiunse Rakoszy. "Ora anche voi siete un Bathory, permatrimonio!"

E non immaginate quanto sia contento di esserlo, pensò Stephen con gratitudine.

"Andor avrà cura di voi", continuò Rakoszy. "E ora forza, ragazzi. Gode-tevi queste poche ore a vostra disposizione!" "Sì, cara, andiamo!", esclamò Stephen, lanciando un'occhiata ansiosa allaragazza. Rakoszy sorrise, comprensivo.

Più tardi, il segretario convocò Stephen nel suo studio. "Io ed Eva partiremo non appena Andor sarà tornato" gli disse. "Voglio prendere 1'autobus notturno per Bucarest. È 1'ultimo, perché ho saputo che è stata soppressa la corsa fino a Gheorgheni." Estrasse alcune carte da un cassetto. "Questi sono documenti riguardanti Eva, la proprietà, eccetera. Sono sicuro che vorrete tenerli voi."

Stephen prese il certificato di nascita della moglie, che stava in cima agli altri fogli, e lo osservò oziosamente. D'improwiso, si sentì gelare. "E questo cosa significa?", gemette, leggendo: "Eva Balek, nata a Bucarest 19 maggio 1913!". "Già. E una figlia adottiva", spiegò Rakoszy con noncuranza, continuando a frugare nel cassetto. "II Conte non poteva avere figli, quindi mi incaricò di occuparmi di un' adozione." "Che cosa?!" urlò Stephen scattando in piedi. "Intendete dire che Eva non ha alcun legame di sangue con i Bathory?" Rakoszy alzò gli occhi verso di lui, sorpreso e irritato da quella scenata. "MA che differenza fa?", domandò. "Se siete preoccupato per 1'eredità, vi assicuro che non c'è il minimo problema!" Si alzò. "Ecco, sta tornando la lancia", disse, dando un'occhiata all'orologio. "Sono le 17,30. Dobbiamo affrettarci, o perderemo I'autobus. Ma Stephen non lo ascoltava più. Accompagnò lui ed Eva sulla riva del lago, muovendosi come in trance, e prese la cartolina che Andor aveva ritirato alla locanda, indirizzata a lui. Sempre in quello stato quasi catatonico baciò Eva; non ebbe neppure la forza di sollevare una mano in segno di saluto mentre la lancia si allontanava dalla sponda scomparendo nella nebbia. Rimase là finché il motore dell'imbarcazione non era più udibile, poi si voltò e tornò ad attraversare la piccola spiaggia verso il castello. L'oscuritàstava calando rapidamente. Già i primi pipistrelli volteggiavano fra gli alberisempre più neri. Solamente quando aprì il portale che conduceva ai sotterranei, Stephen siaccorse di tenere ancora in mano la cartolina. La osservò ottusamente. Eradi Reggie. "Caro Stephen", c'era scritto. "Mi ha fatto piacere sentire che ti stai fa-cendo una cultura sul vampirismo, ma non mi aspetto di ritrovarti in classe,asettembre. Mi raccomando, vecchio amico: non cadere tra le grinfie di qualche Vampiro!" La cartolina scivolò fra le dita senza vita di Stephen. Lentamente, mecca-nicamente, come un sonnambulo, prese a scendere le scale verso i sotter-ranei. Camminava, ma sembrava ormai morto. La sua selvaggia, isterica risata fu la sola testimonianza del fatto che fosse ancora vivo.

 

Questo racconto è preso dal sito "Le Ali Della Notte".

Grazie Vera.

 

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