Randall Garrett
SOLO
UN'ALTRA STORIA DI VAMPIRI
Avete mai incontrato un vampiro ubriaco'? Voglio dire, sul serio!
Bene: lasciate che vi racconti. Io non gli ho creduto, capite,
nemmeno per un attimo. Ma lasciate che vi racconti. E stato un
paio di settimane fa. Un giovedi notte. Mi sentivo solo, sapete?
Così decisi di andare giù al «Fiamma», che e un
bar molto carino qui a San Francisco, se vi piace quel tipo di
bar, ì decisi di andare come piace a me; quel giovedi notte non
c'era molta gente, e per questo fui molto contento. La folla mi
rende nervoso. Ad ogni modo stavo solo facendo un giro, dando uno
sguardo, sapete... vedere chi c'era. Vidi solo due persone che
conoscevo, George ed Harry, che stavano in un séparé a
guardarsi 1'un 1'altro e certo non volevo intromettermi in questa
storia. E poi vidi lui. Era un giovane assolutamente bello, con
capelli molto ondulati, che portava lunghi, ed i lineamenti
pallidi, che mi facevano venire in mente un giovane Lord Byron,
se capite cosa intendo. Portava un colletto di tartaruga nero,
una giacca nera e calzoni neri larghi. Non di cuoio, capite;
questi ragazzi vestiti di cuoio non sono proprio il mio tipo. Ad
ogni modo se ne stava tutto solo, con un bicchiere quasi vuoto
davanti a se, in uno dei séparé laterali. Non sembrava nè
arcigno nè meschino, come lo sono molti uomini; aveva un bel
sorriso vago sulle labbra forse un po' troppo rosse (mi chiesi
per un attimo se usasse rossetto. Sperai di no; sarebbe stato
troppo). Guardai per un po' il suo sorriso vago e sperai che non
fosse stordito da qualcosa di più
forte dell'alcool.
Non mi importa che qualcuno si faccia una fumata ogni tanto, ma
sono assolutamente contro chiunque usi la roba pesante. Mi stavo
chiedendo se meritasse tanta attenzione da parte mia, quando i
suoi occhi incontrarono i miei e il suo sorriso si fece un po'
più largo. Non mi toglieva gli occhi di dosso, e questo era un
invito se mai ne avevo visto uno. Camminai verso il posto dove
sedeva. «Salve,» dissi, «il mio nome e Dan. Posso offrirti da
bere? «Con piacere, grazie.» La sua voce era bassa e quasi rauca. Una bella
voce, pensai. «Io mi chiamo Boris.» Aveva un accento che non
riuscivo quasi a localizzare. Era russo? Troppo vago a dirsi.
Feci segno a Mickey, che e uno dei camerieri, ed egli venne a
prendere i nostri ordini. Boris ordino un doppio whisky con
ghiaccio. «E io prenderò una vodka doppia, con dell'acqua a
parte, Mickey,dissi io. Mickey sa che io non bevo, così mi porta
sempre acqua in entrambi i bicchieri, ma siccome pago come se
fossero realmente vodka, lui non ci fa caso. Mi piace essere
socievole, vedete, e ho scoperto anni fa che continuare la
routine dell'alcolizzato pentito può essere un peso terribile.
Alcuni figli di buona donna provano a convincerti a prendere un
drink. Decisi dopo averlo guardato attentamente che non portava
rossetto; era solo il colore naturale delle sue labbra. Anche i
suoi occhi erano affascinanti: cosi scuri da essere quasi neri,
ed era difficile dire dove finiva la pupilla e dove cominciava
1'iride. Aveva lunghe ciglia scure che una persona poteva quasi
pensare fossero false, ma a questa distanza non potevo dire che
lo fossero. Non ricordo di cosa parlammo all'inizio. Cose
insignificanti, solo chiacchiere. Sapete? Il tipo di discorsi che
si fanno quando ci si sente estranei. Dopo circa un'ora, decisi
che ci conoscevamo abbastanza bene. «Boris,» dissi, «che ne
pensi di salire su da me? Ho
dell'ottimo "Jack Daniels" ed è molto meglio che stare
seduti in questo postaccio. « Hai detto che ti piace Vivaldi? Ho
dei dischi che ti piacerebbe molto ascoltare.»
Lui mi guardò. I suoi occhi erano ancora
vivi, ma aveva qualche leggero problema a metterli a fuoco.
«Danny, ragazzo mio, te ne sei scolato parecchio.» Ci demmo da
fare per prendere un taxi, anche se non era facile trovarlo a
quell'ora di notte. Mentre raggiungevamo il mio appartamento, lui
si riprese un po', ma non troppo. Aprii la porta, lo feci
entrare, ed, accesi le luci. Lui si guardo attorno, barcollando
un po'.
«Be-e-neee! Questo posto va proprio bene!».
Fui davvero contento che lo avesse apprezzato. Ci avevo impiegato
un bel po' di lavoro duro per renderlo piacevole e bello.
«Grazie,» dissi. «Io lo trovo accogliente. Gli alcolici sono
la in quell'armadietto cinese: serviti pure.» Lo fece,
abbondantemente. «Hai un po' di ghiaccio? Non mi piace il whisky
caldo.» «Sicuro,» risposi. Andai al frigorifero e cominciai a
riempire una coppetta. Gli volgevo le spalle quando disse: «Dan,
quanti anni hai?» «Ventotto» - mentii
senza voltarmi. Fece uno strano risolino mentre mettevo altri
cubetti di ghiaccio nella coppetta. «Quanti anni mi
daresti?» - «Oh!...
diciannove...venti,» - dissi,
mentre chiudevo la porta del frigorifero.
«Che faresti se ti dicessi ,» - disse con una strana voce - «che sono nato nel 1757 ?» - Mi voltai a guardarlo, con la coppetta di ghiaccio in mano - «Vuoi dire 1957.» - «Settecentocinquantasette» - «Oh, via, Boris, nessuno è così vecchio !» - «Io lo sono», disse con quella stessa espressione strana. Il timbro della sua voce era cambiato; era più ferma, in qualche modo, anche se la pronuncia confusa provocato dal whisky era rimasta. «Vedi, io sono un vampiro.»
Bene, lo fissai. Mi chiedevo a che razza di stupido gioco stesse giocando. Stava pensando di sbranarmi o picchiarmi? Stava cercando di spaventarmi con la sua storia ? O stava solo facendo un piccolo scherzo ? Non sembrava pericoloso o minaccioso. Decisi che potevo giocare per vedere fino a che punto poteva arrivare.
«Vuoi dire che tu... tu ti trasformi in un pipistrello ? Cose di questo tipo ? » Sorrise debolmente. «E' sciocco, dan. Proprio sciocco. E' contro le leggi della fisica. Per non parlare della biologia. Posso avere un po' di quel ghiaccio ?» - Stava seduto nel mezzo della poltrona bianca, sapete: uno di quei sacchi di polietilene pieni di pezzetti di polistirolo. E' difficile uscirne fuori, e non immaginavo che avrebbe provato ad assalirmi.
«Sicuro!,» dissi. Presi
le pinze per il ghiaccio e mi avviai là dove teneva il suo
bicchiere. Mentre lasciavo cadere i cubetti disse: «Non stai parlando troppo.» «Beh, voglio dire... veramente... voglio dire: non
capita tutti i giorni che qualcuno ti dice di essere un vampiro !» Fece uno dei suoi deboli sorrisi e sorseggiò
dal bicchiere . «No, suppongo di no. Non sembri molto spaventato,
tuttavia. Non mi credi ? » «Beh, non so. Che mi farai,
mi morderai il collo, o cosa?» Mi guardò. «No, ma potrei.» Poi sorrise, un vero
sorriso questa volta. E vidi quei due canini. Erano come non ne
avevo mai visti in un essere umano; Indietreggiai senza staccare
gli occhi da lui. Questo lo fece solo ridere di più. Posai la
coppetta del ghiaccio con cura sull'armadietto cinese. «Stai
davvero cercando di dirmi che sei uno dei "Non morti?
"» «Oh, no,» scosse la testa solennemente. «Quelle sono
tutte superstizioni. Io sono vivo come te. Forse di più. Sono
solo diverso, ecco tutto.» «Si suppone che i veri vampiri
abbiano paura dei crocefissi. Ne ho uno nell'altra stanza. Lo
prendo?» «Fallo pure, Dan, se questo ti fa più piacere. E una
superstizione anche questa.» Fini il suo drink. «Posso averne
ancora?» «Serviti. pure.» Mi spostai dal mobiletto cinese.
«Si suppone che i veri vampiri non siano capaci di bere
nient'altro all'infuori del sangue», continuai. Ancora quel
risolino soprannaturale mentre si alzava a riempire il bicchiere.
Barcollò debolmente, poi avanzò verso il mobiletto cinese. «Un'altra
superstizione,» disse. «Solo un'altra evidente superstizione.
Oh noi beviamo sangue, certo... molto sangue.» Mi guardo
goffamente, perché aveva rovesciato la bottiglia di "Jack
Daniels". «Lo so a cosa stai pensando: quella frase del
film! No, grazie, non bevo mai... vino.» Mise più ghiaccio nel
suo bicchiere. «Bene, sono tutte sciocchezze. Un po' d'alcool
non ha mai fatto male a nessuno, nemmeno a un vampiro.» Tornò indietro e si lasciò cadere di nuovo nella poltrona a sacco. «Si
suppone che i veri vampiri,» dissi attentamente, «siano capaci
di trasformare altre persone in vampiri.» «Ridicolo! 0 sei un
vampiro, o non lo sei. Sai che cosa è un vampiro?» «Pensavo di
sì.» «Bene, non lo sai. Te lo dico io che cosa è.» Bevve ancora del whisky. «Lo sai che ci
sono altri sistemi planetari oltre a questo insignificante
sistema solare? Bene ci sono. Sissignore, ci sono.» Ondeggiò la mano verso la finestra e verso il cielo.
«E da lì che veniamo. La nave e andata perduta, cadde qui sette
- ottocento anni fa. Non siamo rimasti in molti. Sopravvivemmo in
trentadue. Ventiquattro maschi e otto femmine. Non era affatto un
buon equilibrio. Ci riproduciamo molto lentamente, noi
vampiri...» Tacque per quella che sembro un'eternità, guardando
fisso con aria da ebete il suo bicchiere. Mi schiarii la voce:
«Anche così, in ottocento anni...»
«Pensi che ne siamo di più? Sbagli!» Mi guardo attraverso la
stanza. «Le malattie terrestri sono molte. La nascita dei
bambini ha ucciso le donne.» Una lacrima sincera scese giù
lungo la sua guancia. «Mia madre è morta quando sono nato io.»
«Si suppone che i veri vampiri siano immortali.» «Sciocchezze.
La nostra vita non e che una spanna. Dodici, forse quindici
centinaia di anni. Se non ci capita niente di fatale.»
«Come per esempio non stare nella bara tra 1'alba e il
tramonto?», chiesi cautamente. «Non devi stare in una bara.»
C'era del disprezzo nella sua voce. «Devi stare in un qualsiasi
posto dove i raggi ultravioletti del sole non possono
raggiungerti. Il nostro sole originario era molto più rosso di
questo. Non c'erano molti raggi ultravioletti. Cinque secondi
possono procurare ad un vampiro una scottatura mortale. Ma una
bara? Ah! Una volta ho passato un'intera giornata a girare nella
metropolitana di New York.» «I veri vampiri,» insistei, «Si suppone che siano immuni a coltelli e
pallottole. Sippongo che anche questa sia una superstizione, no ?» - Sogghignò come u lupo. «Oh, ti sbagli di nuovo, Danny caro. A questo
punto te lo dimostrerò. Ce l' hai un coltello? Dammi un coltello
o una pistola. »«Non ho una pistola» dissi. «Ti darò un
coltello.» Andai in cucina e presi un piccolo coltello
tagliente. Non credevo che sarebbe stato troppo pericoloso dargli
il mio coltello d'acciaio danese da chef. «Prendi,» dissi e
glielo lanciai. Provò ad afferrarlo, ma quello
approdo inoffensivamente sul suo grembo. «Ti mostrerò, mio
scettico amico,» disse lui. Prendendo il coltello con la mano
destra, conficcò la lama nel palmo della
sinistra... fino all'impugnatura, di modo che la lama uscisse
dal1'altra parte. Si teneva il braccio sinistro come uno scolaro
che prova ad attirare 1'attenzione del maestro. Non c'era sangue.
Strizzò un occhio in maniera esageratamente ammiccante. «Ora
viene il difficile. Guarda. Guarda.» e tiro fuori la lama
lentamente. Poi asciugò il sangue. C'era solo una sottile
striscia rossa, che sparì presto. «L'unico modo in cui puoi
uccidere un vampiro è tirare fuori tutto il sangue dal suo
corpo,» disse «il buon vecchio paletto nel cuore non
funziona.» Ora io non credevo che fosse un vampiro vero, nemmeno
per un istante ci ho creduto, ma quello era un trucco piuttosto
d'effetto. Eppure avevo letto che poteva essere ottenuto con
1'ipnosi o qualcosa del genere. O poteva essere anche un certo
tipo di isteria, me ne ero dimenticato, a causare quell'effetto
in un essere umano. E' raro, credo, ma... Ma io sapevo che stava
mentendo. Quei denti potevano essere falsi, una protesi speciale,
forse. E quella storia delle stelle proprio non mi suonava
credibile. Forse sono all'antica, ma non ci credo a tutte quelle
sciocchezze. Stavo semplicemente lì a guardarlo, cercando di
pensare. Che stava facendo? Era solo uno scherzo, o stava
veramente provando a spaventarmi? «I veri vampiri...» la mia
gola era secca. Inghiottii e cominciai di nuovo. «I veri vampiri
si suppone che siano infinitamente forti.» Barcollò. Non mi piaceva 1'espressione del suo viso.
«Oh, siamo forti, è vero. Te lo dimostrerò.» Non mi piacque
affatto il modo in cui lo disse. Si diresse verso di me, che
stavo proprio lì a guardarlo. La mia schiena
era già contro il muro, cosicché non potevo scappare via da
quella parte. «Siamo immensamente più forti di ogni essere
umano. Immensamente più forti,» disse. Poi improvvisamente
saltò su ed afferro i miei polsi. In quel momento credetti alla
sua storia. Era molto più forte di quanto fosse possibile
esserlo per ogni altro essere umano. Liberai con uno strattone i
miei polsi dalla sua stretta, mossi le mani, e afferrai i suoi
polsi. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa ed il
terrore. Provo a liberarsi, ma lo tenevo fermamente. Poi
sogghignai, e lui era veramente terrorizzato. «Quei denti», urlò. «Ma in nome di Dio che cosa sei?»
«Semplicemente un vampiro,>> dissi «uno vero !»
(Just Another Vampire Story)
Sezione Racconti
Vampire's Crypt