La cucina delle campagne e dell'appennino modenesi
Molte ricette tradizionali sono nate dalla miseria e dalla disponibilita' di pochi generi di base, prodotti in una economia agricola chiusa e autosufficiente per necessita'. Rimaste nella tradizione, queste ricette sono state riscoperte e rilanciate in molti locali della provincia e della montagna, sull'onda del 'ritorno all'autentico' che ha caratterizzato la cultura gastronomica a partire dagli anni '60.
Le ricette tipiche del modenese a base di farina sono nettamente diverse tra loro per il metodo di cottura con o senza grassi: nella piu' ricca pianura prevale il primo; nella montagna, piu' allenata ad una secolare lotta contro la miseria, e' piu' diffuso il secondo.
Il gnocco fritto (non inorridiscano i puristi! ogni modenese riderebbe di gusto a sentirsi chiedere, secondo grammatica, 'lo' gnocco) e' fatto di farina, sale, acqua: il tocco di 'ricchezza' sta nella cottura, a base di strutto (il grasso di maiale, che i contadini avevano in casa per produzione domestica).
L'impasto viene tirato con il matterello fino a formare una sfoglia piuttosto spessa, che poi e' tagliata in piccoli rombi; questi, gettati nello strutto fuso e bollente, si gonfiano per divenire bocconi croccanti, da mangiare preferibilmente con i
salumi, con i formaggi (molto adatto il formaggio grana), pinzimoni di verdure (ottimi i cipollotti novelli), oppure uva, ma la sua morte è con il "savoor" (termine dialettale indicante una marmellata ottenuta dalla bollitura di mele, prugne e tante altre cose sulle quali mia madre continua a sollevare un muro di omertà). Rigoroso l'abbinamento con il lambrusco (possibilmente
grasparossa servito fresco).
Le colline e le montagne modenesi sono l'area di origine della tigella o crescenta ; l'impasto e' molto simile a quello del gnocco, ma diversissima e' la cottura:
la pasta si divide in tante piccole porzioni che sono schiacciate tra due puliti sassi piatti di fiume o tra testi di terracotta (spesso decorati con il motivo tipico della rosa o stella a sei punte), che sono poi messi accanto alle braci.
Attualmente questo metodo originario e' poco usato ed e'
stato sostituito da doppie piastre di ghisa, contenenti sei o più stampi per tigelle, che si possono mettere sul fuoco a gas. La tigella di solito si taglia a meta', poi si imbottisce o con
salume affettato o con un impasto speciale a base di lardo macinato, rosmarino, aglio e formaggio "grana".
Molto diffusa in tutta la montagna e' la polenta di farina di mais, servita nel
piatto con condimento di funghi o formaggi o ragu' di carne, oppure tagliata a fette e fritta, come accompagnamento per altre portate. Sempre montanari, ma tipici di un'area piu' ristretta, identificabile in quella della valle del Panaro, sono i borlenghi: una pasta sottilissima, aromatizzata con aglio e arricchita con formaggio grana, ottenuta dalla cottura su piastra di un impasto semiliquido di acqua e farina.
Altra specialita' della montagna sono i ciacci: la farina base questa volta non e' piu' ne' di grano ne' di mais, ma quella di castagne. Si tratta di un impasto molto liquido, cotto su piastra, con cui si produce un disco sottile, che si riempie di ricotta e zucchero e poi si avvolge. Sempre a base di farina di castagne e' il castagnaccio, una torta cotta in forno, aromatizzata con scorza di limone e arricchita (solo nella versione moderna) di cacao in polvere.