Il UAI Festival - missione
Proponiamo storie che ci riguardano, che parlano di noi oggi,  scritte da autori viventi, per lo più giovani.
La missione del Festival si articola su diversi livelli.
Il livello basilare comune a tutti i partecipanti attivi e la loro motivazione principale è quello dell'opportunità.
Opportunità di accentrate l'attenzione verso il proprio lavoro artistico.
Attraverso la riunione di più spettacoli in un unico evento - il Festival - si riescono a raggiungere più persone di quante non si riescano ad attivare con le sole proprie forze. Un primo valore è quindi la cooperazione degli artisti partecipanti.
Un altro livello riguarda il rinnovamento della relazione spettatore-spettacolo, attraverso la scelta degli Atti Unici e la direzione artistica del Festival. Non è un Festival che sposa la ricerca o la sperimentazione perché in mezz'ora gli autori devono aver costruito delle storie che devono essere capite dal pubblico.
Nel caso di molto teatro contemporaneo l'uscita dagli schemi drammaturgici tradizionali è affidata o alla performance - in senso stretto - che avviene sul palco, o alle soluzioni visuali  - d'empio stupore e meraviglia - che la macchina spettacolare architetta e fa scorrere nel tempo scenico della durata dello spettacolo.
Al UAIi è richiesto espressamente che il pubblico capisca, senza che  sia "preparato teatralmente" come uno spettatore suddito, avvezzo a interrogarsi sul significato o a rassegnarsi all'assenza di significato.
Un valore di cui tener conto per valutare i risultati del Festival è la comprensione di ciò che avviene sul palco. Uno spettacolo è tanto meglio riuscito tanto meglio è stato messo in scena per essere capito dal pubblico.
Gli spettacoli "visuali" spesso fuggono da questo valore, rinunciano al Logos, alla parola perché hanno presupposti ideologici o artistici o d'altro genere, i quali legittimano gli artisti a bypassare il valore della comprensione. Questa è una debolezza, e questa è la ragione principale per cui oggi il teatro di ricerca è debole, stantio, incomprensibile, spesso brutto, di solito marcio nella sua rinunciataria e abissale mancanza di comunicazione a livello di logos. Non c'è tempo per affrontare questo tema, e andare a trovare le radici storiche nelle quali questo è potuto succedere, è però chiaro che questa è un'attitudine vecchia e  non al passo con la vita contemporanea e con un livello di democrazia occidentale.
Anche spettacoli che hanno aspetti pregevoli, dopo circa 10 minuti iniziano ad annoiare, oppure altri che "reggono" alla loro stessa durata, sono costretti a passare da una trovata alla successiva per  tenere l'attenzione dello spettatore. Un modo di procedere vecchio, collegato agli anni '70, ormai vecchissimo.
Al contrario la performance è viva innovativa, brillante spesso incarnata da un solo grande "animale da palco" od orchestrata fantasticamente come "Le cirque du Soleil". Ma lo spettatore che posto ha?
Lo spettatore è ridotto all'essere pagante di un Circo di attrazione. E' un suddito che deve andare a vedere cosa l'artista  propone, l'ultimo effetto speciale creato a misura per superare l'effetto dello spettacolo andato in scena l'anno precedente. La stessa macchina spettacolare che oggi propone salti acrobatici e luci al laser, fuochi elaborati e giravolte di superiore abilità ha lo stesso rapporto con lo spettatore che un'altra macchina in altri luoghi e tempi era la ghigliottina sulla Piazza Francese, o la decapitazione degli ostaggi in Iraq venduta sulle bancarelle del mercato di Bagadad. E' un rapporto di Status - quello tra palco e spettatore - profondamente antico, vetero, direi quasi da paese non civilizzato. Ammissibile certamente ma non proponibile come paradigma per tutti. Lo stesso rapporto che cercava D'Annunzio e che quasi mai riuscì a trovare per sua stessa incapacità. Una ricerca del fasto antico. Una ricerca di relazione spettacolo/spettatore basata su concetti di civiltà non democratiche e laiche come quelle attuali.
Questo Festival invece propone una rapporto borghese, limitato, semplice, senza status alto/basso da società arretrata.
Fu D'annunzio che iniziò a spegnere la luce in sala. Fu lui a voler zittire gli spettatori affinché potessero ammirare l'opera d'arte. Ed è scioccante conoscere  quante persone nell'Italia odierna condividano un concetto d'Arte che fu proprio dei nazisti, profondamento e intimamente anti-democratico, senza nemmeno averne coscienza e conoscenza. Le stesse persone che POI LO RIVERSANO SUL TEATRO INCONSAPEVOLMENTE - proprio nell'arte nata nella più antica democrazia che conosciamo, quella greca del V secolo a.c..Queste persone schiave della loro ignoranza, della loro sudditanza psicologia, e prive di autonomia di pensiero, sono le stesse che stanno zitte a teatro anche di fronte alle più grosse cazzate.
D'altronde Pirandello viene ancora proposto oggi, senza nessuna considerazione del fatto che fu un grandissimo autore durante il regime Fascista . Tuttavia oggi non c'è il regime fascista e si può scrivere più liberamente di quando non abbia fatto  lui.
Il nostro Festival chiede al pubblico di godere lo spettacolo, di giudicare il lavoro, ne più ne meno come va al cinema. Cerca di togliere quello status e quell'aura che fa tanto la fortuna della lirica.
Qui miriamo ad un rapporto più consuetudinario. Noi facciamo gli spettacoli e il pubblico ci guarda e ci giudica. Finito lo spettacolo possiamo trovarci entrambi nella stessa pizzeria senza problemi di status.
Vorrei che chi  non apprezza ciò che va in scena, potesse uscire dalla sala durante lo spettacolo senza sentirsi osservato.
Per fortuna noi offriamo 3 spettacoli al prezzo di uno e speriamo che almeno uno spettacolo venga gradito per ogni serata.
Vorremmo un tipo di rapporto sano, sia dalla parte del teatrante che da quello dello spettatore. Ad esempio Robert Lepage, grande artista internazionale, fa degli spettacoli che sono performance, visivi altamente colti,  ma non rinuncia mai al Logos, alla storia da raccontare.
Proponiamo storie che ci riguardano, che parlano di noi oggi,  scritte da autori viventi, per lo più giovani.
E' il livello più difficile da raggiungere con una sola edizione e che raggiungeremo nel corso delle edizioni e in parte abbiamo già raggiunto.
Non cerchiamo di fare un Festival di compagnie professionali. Oppure un Festival di compagnie amatoriali.
E' un festival dove si mettono in scena le idee degli autori, così come sono da loro proposte nei loro scritti.
Per farlo ci avaliamo di una struttura semi-professionale.
Il concetto stesso di compagnia non appartiene a questo Festival. Qui siamo in una comunità teatrale e i registi sono chiamati a realizzare le idee degli autori, prima di tutto scegliendo gli attori adatti al ruolo che il copione richiede.
Al contrario quello che spesso accade in ambito amatoriale è di fare comunque lo spettacolo con gli attori della propria compagnia indipendentemente dal testo. Questo perché le compagnia amatoriali lavorano con autori morti.
Gli autori vivi invece sono al vertice della ns. struttura semiprofessionale.
Nello stesso tempo gli autori non possono essere registi o attori dei loro stessi testi, perché vogliamo far crescere chi partecipa al UAI.
La Direzione Artistica