Notizie dalla lotta di classe

Gennaio 2000

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Unire quello che il capitalismo divide.

 

05 Gennaio 2000

PORTI: SCIOPERO E SOLIDARIETA'

Hanno scioperato per otto ore i marittimi che lavorano sui rimorchiatori della Contug, una società attiva nel porto di Gioia Tauro. Una delle rivendicazioni è la riduzione dell'orario di lavoro, attestato sulle 48 ore settimanali. "Mentre in Francia - dice un comunicato di solidarietà del sindaco - si tratta per la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali per favorire la piena occupazione e in Italia si delinea già una politica sulle 35 ore, a Gioia Tauro si fanno 48 ore a discapito della occupazione". Intanto l'intera amministrazione comunale ha chiesto alla Contug di aprire immediatamente una trattativa con le organizzazioni sindacali che rappresentano i lavoratori in sciopero.

 
08 Gennaio 2000

OMICIDI BIANCHI: In un giorno cinque morti sul lavoro

Cinque morti sul lavoro ed un ferito, questo il pesante bilancio di una sola giornata. L'incidente più grave si è verificato a Milazzo in un cantiere all'interno della raffineria. L'improvviso distacco del braccio di una gru ha ucciso Francesco Giorgianni di 54 anni e ferito Roberto Alioto di 48, entrambi dipendenti di una ditta milanese che ha in appalto la ristrutturazione dei serbatoi. Un'altra vittima e' una donna, una bracciante agricola salentina. Ornella Maria Cavalera di 45 anni è morta stritolata: il suo vestito si è impigliato negli ingranaggi di una macchina per la raccolta delle olive. In una conceria di Fucecchio un elettricista, Azelio Sassetti di 59 anni, è morto mentre stava riparando il quadro elettrico dell'azienda. In un cantiere edile ad Osimo, in provincia di Ancona, è rimasto ucciso Bruno Giampieri di 52 anni, incastrato sotto un escavatore che si è rovesciato. L'ultima vittima si conta in Piemonte dove Domenico Rosso, 73 anni agricoltore astigiano, ha perso la vita investito dal trattore che si è ribaltato per uno smottamento del terreno.

 

09 Gennaio 2000

MOLESTIE SUL LAVORO: denunce da parte delle operaie di una ditta del tarantino

Giorno lavorativo: sabato 20-11-99, poche operaie sono andate a lavorare. Una operaia è andata al bagno. "Il figlio di Natale, Ignazio, le è andato dietro e si è abbassato i pantaloni. Ha uscito l'organo genitale masturbandosi e avvicinandosi alla ragazza". Martina Franca, provincia di Taranto, anno 1999. Natale è il nome di uno dei titolari della ditta tessile "Sanarica" dove, alla totale indifferenza per i diritti acquisiti di lavoratori e lavoratrici (700/800 mila lire al mese anche per 10 ore di lavoro al giorno), si sono aggiunte violenze e molestie sessuali. Poche righe, dati circostanziati, elenco completo dei nomi dei titolari: una lettera rigorosamente anonima, inviata anche alla magistratura oltre che allo Slai Cobas.

Una lettera che torna sinistramente d'attualità - nonostante il mese trascorso dall'episodio - anche alla luce di un'altra lettera anonima, quella che i lavoratori dell'Ilva hanno l'altro giorno spedito al presidente della Repubblica e a molti giornali: si trattava, in questo caso, di straordinari estorti con la minaccia e mai pagati.

Ora la denuncia delle lavoratrici dell'industria tessile "Sanarica" è oggetto di un esposto, da parte dello Slai Cobas, alla procura della Repubblica; ma le lavoratrici non parlano, hanno paura, "molte di noi sono sposate" raccontano. E quelle che, magari, avrebbero voglia di raccontare tacciono: a che serve se, nonostante l'indagine avviata, nulla sembra essere cambiato? se financo gli ispettori del lavoro, invitati a visitare la fabbrica, non vi avrebbero rilevato grosse irregolarità?

Finisce male, a Taranto e nella sua provincia, il secolo delle vittorie operaie. Finisce malissimo il secolo delle donne, delle rivendicazioni, dei diritti e dell'uguaglianza. Nascono invece le differenze salariali. Diffusasi ormai sul territorio, la grande fabbrica esporta solo i suoi peggiori vizi e a casa lascia ogni residuo antagonismo. Così a "Sanarica": contratti part-time fatti firmare come condizione per l'assunzione, o - nel caso di contratti "regolari" - accordi di gradualità che consentono retribuzioni al 75%. Per tacere delle minacce che le lavoratrici subiscono prima di essere assunte: licenziamento in tronco in caso di matrimonio o gravidanza.
E non si tratta di casi isolati. Costringere uomini o donne a parlare non si può, ma chi sa deve esprimersi, costruire contatti, organizzare la solidarietà dei lavoratori più forti verso i più deboli.

Unire quello che il capitalismo divide.

 

11 Gennaio 2000

SCIOPERI A MALPENSA E NELLE FERROVIE

Per 4 ore si sono fermati gli addetti alla manutenzione degli aeroporti di Milano e Malpensa. Per altre 4 ore hanno incrociato invece le braccia i macchinisti di metropolitane e ferrovie in concessione, organizzati nel Comu. Si tratta di una frazione non enorme del trasporto su rotaia, ma importante per centinaia di migliaia di pendolari che se ne servono quotidianamente. Lo sciopero ha interessato Milano e la Lombardia (con la rete nord), la Circunvesuviana di Napoli, la ferrovia sud-est di Bari, le ferrovie Apulo-Lucane, le ferrovie sarde, alcune tratte nel genovese e nel perugino, le ferrovie venete e la Ferrara-Suzzara. I bilanci di queste aziende non sono ovviamente in pareggio, ma questa è la situazione di tutte le imprese del settore, siano esse private, pubbliche o in concessione; sia su rotaia che su gomma. Come dire che il trasporto pubblico può esistere solo grazie a un intervento statale (gestione diretta o finanziamenti a fondo perduto). L'idea del "piano d'impresa" delle Fs, di arrivare a un pareggio di bilancio spremendo all'inverosimile il costo del lavoro, è, alla luce di questa constatazione, solo un'illusione.
Sul grado di partecipazione dei macchinisti all'agitazione mancano completamente dati "ufficiali" da parte delle ferrovie. Il Comu, per bocca di Savio Galvani, parla di "un successo al di là delle previsioni". Che non sia propaganda l'hanno dimostrato, ad esempio, i milanesi ieri mattina. Ben sapendo, evidentemente, di quale seguito disponga il Comu tra i macchinisti, molti pendolari hanno fatto ricorso all'auto privata e intasato la rete viaria anche in una giornata di "chiusura al traffico" per smog.
Ma quali sono le ragioni di uno sciopero in questo comparto particolare? E' in corso ormai da tempo il rinnovo contrattuale per le ferrovie in concessione. Ma alla trattativa, nonostante sia tra i firmatari del "patto di Natale", non è mai stato chiamato il Comu. "Ci chiedono di rispettare le regole sottoscritte e poi sono loro i primi a passarci sopra", spiega sempre Savio Galvani. Ma la questione di metodo ne cela una di sostanza: "stanno discutendo un contratto peggiorativo delle condizioni dei lavoratori". Una riprova? Molte delle società in questione avevano firmato contatti aziendali che prevedevano le 36 ore settimanali; ora stanno disdettandoli per aderire al contratto nazionale o per aumentare comunque l'orario di lavoro (minimo 38-39 h). Più che di una piattaforma sindacale "si tratta di una piattaforma aziendale", dice Galvani per sottolineare il rovesciamento ormai imperante al tavolo delle trattative. E' l'azienda a chiedere modifiche al contratto, e il sindacato a "cedere" sulla riduzione del costo del lavoro.

 

11 Gennaio 2000

Braccianti agricoli in rivolta a Paternò

Braccia incrociate e strade presidiate sin da notte fonda. Cassonetti al centro delle carreggiate delle vie di accesso al paese, copertoni incendiati per impedire il transito, automobili e camion davanti i cancelli di magazzini e aziende. E' "guerra contro lo sfruttamento" ripetono all'unisono gli uomini (giubbotto impermeabile, scarponi e jeans) che invadono le strade.
Paternò domenica notte è stata off-limits. I blocchi delle strade sono scattati intorno alle 3, poche ore prima che aprissero i magazzini degli agrumi e sono stati rimossi solo sette ore dopo. "E si ripeterà - giurano i braccianti agricoli che hanno dato vita alla protesta - se non verranno rispettate le regole". Quali regole? Innanzitutto l'applicazione del contratto di lavoro. Qui, in quest'area della Sicilia, la principale fonte di guadagno è costituita dalle arance. Da dicembre a maggio (ma ultimamente la stagione si è accorciata di qualche settimana per il cambiamento delle condizioni climatiche e la crisi galoppante che investe il settore esportazioni) migliaia di uomini e donne (solo a Paternò sono 4200, ma con i vicini comuni di Adrano e Biancavilla sono 10.000 e costituiscono il 25% della forza lavoro del settore di tutta la provincia catanese) vengono ingaggiati per la raccolta. Datori di lavoro sono commercianti che comprano dai piccoli proprietari della zona il frutto ancora sulla pianta. Poi lo esportano o lo trasformano. Il settore è in crisi. Quest'anno si prevedono incassi inferiori anche del 30% rispetto all'anno precedente. Ma le agevolazioni statali non mancano. Comprese defiscalizazioni per consentire, entro tre anni, l'uscita dal lavoro nero e la regolarizzazione graduale dei braccianti impiegati.
Dopo il presidio notturno, e nonostante la pioggia incessante, circa 1000 braccianti hanno realizzato sette presidi nei punti nevralgici del paese. Una delegazione si è incontrata a Catania con il prefetto Tommaso Blonda ed ha ottenuto, per oggi, un incontro a Paternò tra le parti in causa (commercianti compresi) alla presenza del prefetto.
"Qui - afferma Concetta Raia - i braccianti lavorano otto, nove ore al giorno. Alcuni, in alcuni casi, arrivano anche a 12 ore. Contro le sei ore e quaranta minuti previste dal contratto. E di pagare lo straordinario non se ne deve parlare. Il tutto per una paga di 65 mila lire al giorno contro le 98 mila lire fissate a livello nazionale - prosegue la sindacalista -. Dilaga ancora il lavoro nero e nella quasi totalità dei casi, poi, le buste paga presentano cifre di retribuzioni superiori anche del 40% rispetto a quelle effettivamente versate. Ed il lavoratore firma. Il ricatto di restare senza lavoro è ancora troppo pesante".

 

12 Gennaio 2000

GOODYEAR: I lavoratori di Cisterna a palazzo Chigi

Da 49 giorni gli operai e gli impiegati della fabbrica di pneumatici presidiano gli impianti, in cerca di una sponda istituzionale. 1000 posti di lavoro (tanti se ne perderanno nella zona, se non ci saranno ripensamenti dell'azienda o interventi esterni) non sono davvero uno scherzo per l'economia dell'agro pontino, soprattutto se si considerano le inevitabili ricadute sull'indotto. Ieri una delegazione dei lavoratori, accompagnata dal sindaco di Cisterna, Mauro Corturano, è stata ricevuta a palazzo Chigi dal consigliere economico della presidenza del consiglio, Nicola Rossi.

 

NEL 1999 GLI INFORTUNI SONO AUMENTATI DEL 2,2%

Quattro morti. E' il quotidiano "bollettino di guerra" degli incidenti sul lavoro, che dai primi giorni dell'anno si sta allungando spaventosamente. La punta di un iceberg, il tragico bilancio di ieri, visto che le ultime statistiche riportate dall'Associazione invalidi e mutilati sul lavoro denunciano un aumento nel '99 del 2,2% degli infortuni sui luoghi di lavoro: 820.460 incidenti nel periodo gennaio-novembre 1999 contro gli 802.833 registrati nello stesso periodo del '98.
Le vittime della giornata campale di ieri sono tutti operai, alcuni giovanissimi. Alfonso Federico, un ragazzo di 27 anni, è morto travolto da una cascata di legno, cemento fuso e terra mentre lavorava alla costruzione delle fondamenta di due palazzine. Accanto a lui c'era un altro operaio, Alessandro Del Giudice, di soli 22 anni, sopravvissuto perché non completamente sotterrato dalla valanga.
Incidenti sul lavoro, li chiamano, ma ieri è arrivata dura la denuncia del segretario della Fillea-Cgil di Napoli, Ciro Crescentini. "Lo scorso anno sono stati 32 i morti nel settore dell'edilizia, considerando la sola provincia di Napoli - spiega - viviamo in una condizione che definirei di fine '800". La Edilvera, la ditta in cui lavoravano i due giovani operai, non risulta iscritta alla Cassa edile il che lascia presupporre che si servisse di manodopera irregolare; sembra che lo stesso Del Giudice abbia dichiarato alla polizia di non avere un contratto. "Non sarà un caso - prosegue il sindacalista - che gli agenti intervenuti abbiano trovato il cantiere vuoto".
E nel giro di poche ore sono arrivate notizie di altri incidenti mortali avvenuti sui luoghi di lavoro. A Vertova, in provincia di Bergamo, è morto Bellarmino Fornoni, 57 anni, operaio della ditta tessile Vertifil, tranciato da una fesatrice. A poca distanza, ad Almenno San Salvatore, è morto Duilio Gervasoni, di 47 anni, operaio della ditta "Algra", specializzata in meccanica di precisione. A Fossacesia, in provincia di Chieti, è morto invece Rino Candelloro, 25 anni, schiacciato da un tubo di cemento mentre lavorava alla messa a punto di una rete fognaria. A Roma, infine, un pasticcere ha perso le cinque dita della mano destra: la macchina pressatrice, che l'uomo stava pulendo, è partita accidentalmente.

 

SCIOPERO ALLA BIBLIOTECA NAZIONALE

Troppi precari, poca progettualità, molta privatizzazione, scarsa agibilità. Per questo venerdì dalle 11.15 alle 15.15 le Rsu della Biblioteca nazionale centrale di Roma sciopereranno, e terranno un sit-in nel piazzale di via Castro Pretorio 105, davanti alla biblioteca. I lavoratori chiedono un progetto chiaro, riqualificazione e pianta organica, ampliamento del servizio al pubblico.

 

La campagna antiproletaria si arricchisce delle nuove fanterie radicali, che vengono a sopperire alla, secondo i padroni, troppo timida legislazione del governo borghese contro i diritti dei lavoratori.

La risposta operaia è stata la prima, come sempre. Mentre ancora il sindacalismo di base "riflette" su con chi fare eventualmente i "comitati per il no", il proletariato, laddove è ancora organizzato "di fatto" nella fabbrica (non a caso si vuole ridurre questo tipo di organizzazione del lavoro, non a caso ci vogliono far credere che gli operai non esistono più) si sente toccato nei propri diritti acquisiti con dure lotte e si mobilita spontaneamente.

Se a qualcuno fa schifo che dietro queste mobilitazioni ci siano delegati dei sindacati confederali, farebbe bene a chiedersi come mai, laddove si vorrebbe essere presente un'altra forma di sindacalismo, dal basso - come sosteniamo -, non si verifica altrettanto rapidamente la mobilitazione.

Crediamo, pertanto, che occorra togliersi la "puzza sotto il naso" e comprendere appieno dove sia la forza, imbrigliata dai sindacati confederali, del proletariato, dei lavoratori organizzati, dei salariati di tutti i tipi - e atipi! - e schierarsi con essa per sottrarla all'influenza nefasta dei riformisti di ogni genere.

 

13 Gennaio 2000

SARNO: Accordo fatto per la Cirio

Con la firma dell'accordo al ministero del lavoro si chiude la lunga vertenza della Star di Sarno. L'azienda viene ceduta al gruppo agroalimentare "La Doria" di Angri che promette di investire nel rilancio della fabbrica 60 miliardi. L'accordo, firmato dal sindacato e ratificato da un'assemblea dei lavoratori dove non sono mancati dissensi ed emozioni (molti lavoratori questa fabbrica l'hanno costruita, come si suol dire, con le loro mani), prevede un investimento triennale in cui si dovrebbe tornare al prodotto vegetale d'origine (pomodoro, frutta) dopo aver abbandonato il settore del tonno in scatola.
La società campana si è impegnata ad assorbire gran parte delle 137 unità lavorative entro il 2002. Sessanta lavoratori verrebbero assunti a tempo indeterminato e venti nel tempo determinato dal part-time. Degli altri 57, 12 passeranno ad incarichi in altri settori della Star e 45 dovrebbero andare in pensione.
Il risultato è, dunque, una riduzione del lavoro stabile: nuovi punti in percentuale andranno a figurare nella progressiva erosione delle garanzie lavorative, tramite forme di lavoro a tempo.

 

14 Gennaio 2000

LE FABBRICHE IN SCIOPERO

Non appena la Confindustria ha preso posizione pubblica e politica per i referendum radical padronali sono scattate le prese di posizione e soprattutto le mobilitazioni nelle fabbriche: ci sono stati scioperi e fermate a Milano, Bergamo, Brescia, altri sono indetti per oggi e i giorni prossimi, mentre si costituiscono i comitati per il No: a Torino l'han già costituito Fim, Fiom, Uilm.
Chiarisce bene come la mossa di Giorgio Fossa, leader dei padroni, abbia surriscaldato il clima, la Rsu di Infostrada di Ivrea con un pizzico di ironia: "Chi avesse ancora avuto dei dubbi sul carattere antisociale dei referendum radicali, dal 12 gennaio con la scelta di Confindustria ne ha la certezza". Ma a leggere le parole di molti comunicati non sfugge che gli attacchi ai padroni, la reazione ai referendum, parlano anche ad altri: il passato che si vorrebbe imporre come futuro, "questa è la 'modernità'", l'azione di donne e uomini di decenni che ha portato "la "libertà e i diritti che oggi si vogliono cancellare", "le generazioni passate che hanno lottato per conquistarli", dicono i delegati torinesi, non sembrano avere molto a che vedere né con le parole di Veltroni ("un lavoro flessibile per i giovani è meglio di nessun lavoro") nè del ministro Cesare Salvi che ricorda alla Confindustria: "le incentivazioni al part time, il lavoro interinale, l'apertura del collocamento anche ai privati sono stati realizzati in questi anni dai governi di centrosinistra". Eppure anche Veltroni e Salvi oggi si dicono contrari ai "referendum sociali": solo un problema di forma? non per referendum ma sì per legge, e per concerto?
A Fim, Fiom, Uilm, e alle confederazioni Cgil, Cisl, Uil, i messaggi dalle fabbriche del nord chiedono in tutte le articolazioni possibili "iniziative", "mobilitazioni dei lavoratori le più ampie", "a livello provinciale, nazionale e generale", e intanto hanno incominciato ad agire delegati e dirigenti sindacali provinciali e regionali.
A Brescia 10mila metalmeccanici si sono fermati ieri e scioperano oggi: all'Alfa acciai, Beretta, Iveco mezzi speciali, Palazzoli, Fonderia S. Zeno, Marzoli, Mollificio Sidegarda, Estral, Sk Wellman, per nominare solo alcune delle fabbriche coinvolte in un occasione in cui vi si scorge la vita e attività di quelli che ci lavorano dentro, mentre spesso ormai le aziende compaiono per nome grazie alla Borsa, o alle ristrutturazioni e "quelli che ci sono dentro" come "esuberi". La Om Iveco sciopera lunedì con un'ora e mezza di assemblea, programma analogo alla Ocean. La Fiom di Brescia, contenta del buon inizio delle mobilitazioni, si augura "un impegno crescente di tutti per fermare il disegno eversivo di Confindustria".
In tutta la provincia di Bergamo già ieri si sono fermati all'unisono, mezz'ora, nelle fabbriche meccaniche come Vamatex, Corali, Somaschini; un'ora di sciopero con assemblea è stata riservata al presidente della Federmeccanica di Bergamo nella sua fabbrica, la Frattini; un'ora di sciopero anche alla Bonney, alla Merate, assemblea di un'ora alla Meccanotecnica di Torre de Roveri. Documento alla Mazzucconi, Zanussi, Somet, sciopero già indetto per domani alla Brmbo di Curno.

 

15 Gennaio 2000

NELLE FABBRICHE: "Mobilitazione generale"

"La maschera è caduta", "si vuole una società barbara", e ancora, nei comunicati e prese di posizione che piovono dalle fabbriche alle sedi dei sindacati piemontesi, le parole battono e ribattono la critica alle pretese "forme di modernità: sono un ritorno al passato, nessuno può ingannarsi", insistono da Ivrea i delegati della Oci. Scrivono le rsu di Fiat auto, Fiat avio, le rsu delle carrozzerie Fiat Mirafiori, delle Presse, di Tnt, Comau service, Magneti Marelli, avvertono della "drammatizzazione dei rapporti sociali" di cui è responsabile "l'atto politico grave di Confindustria".
Novara è in sciopero, con fermate nelle principali aziende metalmeccaniche, e in particolare alla Meritor, Stella, S. Andrea, Gmv Martini, Mecaer, Villarbotto, Ego, Imit, Camis e molte altre.
I comitati di Torino
Moltissimi comitati per il No ai referendum sociali sono già all'opera contro i referendum nella zona ovest di Torino, Collegno-Orbassano-Vallesusa: alla Sandretto, Federal Mogul, in due stabilimenti Magneti Marelli, alla Lear, Siderurgica Ferrero. Sono comitati cui partecipano sia delegati che singoli lavoratori e lavoratrici, operai e impiegati, iscritti o no a sindacati. Un comitato per il no si è subito costituito alla Pininfarina di Grugliasco, 1200 addetti, la fabbrica del presidente della Federmeccanica Andrea Pininfarina.
La rsu dell'Idrosapiens di Leinì chiede ai sindacati metalmeccanici e Cgil, Cisl, Uil provinciali iniziative contro gli "atteggiamenti ostili e subdoli" che intandono "far regredire i diritti individuali e collettivi di lavoratori, pensionati e liberi cittadini". E ancora messaggi, comitati, inviti, da Moncalieri, dalla Tekford di Avigliana.
Scioperi a Milano
Scioperi, assemblee, prese di posizione in città e nell'hinterland alla Abb, Loro, Parisini, all'Ansaldo, Pavan Torresani, Alcan, Laben, all'Om Fiat di Rozzano, Microfusione, Itw Fastex, alla Italtel di Castelletto, alla Faema e alla Comarme dove anche qui i delegati chiedono ai sindacati contro i referendum precisamente "mobilitazione massiccia in tutte le province del paese", "nazionale, generale". Fim, Fiom, Uilm di Milano dicono: "non ci sottrarremo alle necessarie lotte per confermare regole e rapporti di lavoro degne di questo nome".

DATI ISTAT: il lavoro è poco regolare

Seguita a crescere il numero dei lavoratori irregolari: erano 3,137 milioni nel 1992, sono saliti a 3,428 milioni nel 1997, con un incremento del 9,3 per cento. Negli stessi anni, invece, è diminuito del 5,9 per cento il numero dei lavoratori regolari: sono scesi dai 20,320 milioni del '92 a 19,130 milioni nel '97. Il risultato di questo andamento contrapposto della componente regolare e di quella non regolare dell'occupazione ha determinato nel periodo un incremento del tasso di regolarità, passato dal 13,4% del 1992 al 15,2% nel '97. Insomma, ogni 6 lavoratori sfruttati seconde le norme di legge, ce n'è uno super sfruttato al di fuori della legge. Infatti, quando l'Istat parla di unità di lavoro irregolari, non si riferisce ai lavoratori atipici, al popolo del 12 per cento (le collaborazioni coordinate continuative) e più in generale ai precari, ma ai lavoratori che creano ricchezza operando nel nero più profondo.
La caduta dell'occupazione regolare è stata drammatica nel triennio '93-'95. Soprattutto nel 1993, quando in concomitanza di una flessione del Pil dello 0,9 per cento, l'occupazione regolare è scesa del 3,5 per cento. Poi nel '94, a fronte di una crescita economica del 2,2 per cento, per i lavoratori regolari è arrivata una nuova flessione: meno uno per cento. Non è andata meglio nel '95: mentre la ripresa si consolidava, l'occupazione rimaneva stabile. Solo dal '96 l'occupazione regolare ha ricominciato a crescere, ma con percentuali ridicole (+0,1%) che sono salite solo negli ultimi due anni.
L'esplosione del lavoro non regolare ha riguardato soprattutto il lavoro dipendente che nel periodo analizzato ha visto crescere gli addetti del 10,2 per cento, mentre i regolari diminuivano del 5,2 per cento. Il rapporto tra regolari e irregolari è così salito dal 15,9% del '92 al 18,1% nel 1997.
I settori nei quali è più cresciuta la partecipazione degli irregolari risulta l'agricoltura con un rapporto salito nel periodo dal 25,5 al 29,2 per cento. E questo nonostante la diminuzione del numero assoluto degli irregolari, abbondantemente bilanciata da una riduzione ancora più massiccia dei lavoratori regolari (-27,5%).
Mentre nell'industria in senso stretto, il rapporto regolari/irregolari risulta abbastanza costante, è nell'edilizia che la dinamica contrapposta risulta più evidente: a fronte di una crescita del 6,5% degli irregolari sta una diminuzione del 12,5 delle unità regolari.

 

16 Gennaio 2000

ENICHEM: 400 POSTI A RISCHIO

Esce l'Enichem da Gela e tramonta definitivamente il sogno dell'industrializzazione pesante siciliana iniziato negli anni 50. A rischio sono 400 posti di lavoro, gli ultimi rimasti. Dopo la chiusura dell'impianto "Ossido di etilene" decretata con la fine del '99, infatti, nel giro di due anni scomparirà anche il settore dell'acrilonitrile, cioè la materia base per le fibre acriliche. A Gela l'Enichem manterrà solo la titolarità dell'impianto per la produzione dell'etilene che serve per produrre polietilene. E' stato subito proclamato lo stato di agitazione e 24 ore di sciopero per mercoledì e giovedì prossimi.
La Fulc, la federazione unitaria dei lavoratori chimici, accusa l'azienda di "comportamento coloniale", di "assoluta mancanza di una valida strategia industriale" sottolineando come la stessa azienda, comunicatogli la proclamata astensione dal lavoro in sede di accordo di sicurezza, si è rifiutata di concordare il personale nella giornata di sciopero. Il sindacato, a questo punto, ha avvertito gli organi locali, provinciali e regionali declinando ogni responsabilità nel caso di incidenti che dovessero verificarsi nel corso dello sciopero. Solo dieci anni fa Gela erano impiegati 7000 lavoratori, tra dipendenti diretti del petrolchimico ed indotto.

LA SYLEA LICENZIA

C'è una grande retorica dietro contratti d'area e patti territoriali che dovrebbero risollevare le sorti del Sud e della disoccupazione meridionale. Il caso Irpinia, identificato da molti come un territorio meridionale dove può avvenire un cambiamento strutturale grazie a questi strumenti, è un esempio del vecchio adagio gattopardesco del cambiare tutto perché tutto resti come prima. E così, mentre si è in attesa dei frutti (cioè l'aumento dell'occupazione in una provincia dove si marcia verso i sessantamila disoccupati) di questi "miracolosi" strumenti, fioccano i licenziamenti in molte fabbriche.
Tutto questo è venuto fuori, con chiarezza, nell'assemblea che gli operai della Sylea, multinazionale che produce cablaggio di fili elettrici per le auto e che lavora come indotto Fiat (per la Fma di Avellino, la Sata di Melfi, Pomigliano, eccetera), hanno tenuto prima di uno spontaneo sciopero e conseguente manifestazione di protesta. L'assemblea è stata convocata perché, come un fulmine a ciel sereno, l'azienda ha comunicato il taglio di 140 operai (sono in tutto 320). E non perché vi sia carenza di commesse ma "semplicemente" perché la direzione della Sylea preferisce servirsi del lavoro, a prezzi di competizione del 62% sul salario, di aziende in Tunisia, Marocco e soprattutto Polonia. Le multinazionali prendono tutti i contributi possibili e immaginabili dalle leggi di un paese, ma poi corrono a investire dove capita e dove c'è più possibilità di spremere al meglio le persone.  

Uno studio di Ares 2000 sottolinea non solo i limiti costituzionali dei quesiti referendari, ma rivela anche i pesanti costi economici che comporterebbe una loro vittoria. Tutto questo non è però frutto solo dei Referendum radicali: il governo di centro sinistra, il migliore esecutore dei compiti affidati all'esecutivo dal padronato, ha già determinato in larga parte condizioni di peggioramento economico e sociale della maggior parte dei lavoratori salariati, dei disoccupati e dei pensionati.

Non si tratta solo di respingere i referendum, e pensare così di metterci al riparo. Come prima molti hanno lottato contro la politica antipopolare di questo governo, così dopo si dovra lottare per impedire l'applicazione della flessibilità, dell'aumento dei carichi di lavoro, della deregolamentazione già prevista dalle leggi attuali, della limitazione dei diritti sindacali e di sciopero.

 

"18 gennaio 2000"

In sintesi le cifre del costo sociale ed economico per l'intera classe proletaria della definitiva e totale deregolamentazione dell'uso della forza lavoro.

- Con l'abrogazione dell'art. 18 dello statuto dei Lavoratori, sulla giusta causa per il licenziamento, sono stati calcolati 10.000 licenziamenti annui. Teoricamente dovrebbero essere riequilibrati da altrettante riassunzioni, ma con minori garanzie contrattuali, interinali, precarie ecc.

- Con la deregolamentazione dei contratti a termine, 1 milione e 400 mila lavoratori perderanno 5000 miliardi

- Con la liberalizzazione del collocamento, i disoccupati spenderanno 300 miliardi, a causa dell'iscrizione a carico loro alle agenzie private.

- La mancanza complessiva di sicurezza del lavoro provocherebbe una spesa sanitaria aggiuntiva per patologie legate alla precarietà del lavoro di circa 1000 miliardi.

- 2 milioni di lavoratori sono a rischio, con la perdita della copertura assicurativa antinfortunistica INAIL

- Il referendum pensionistico farebbe scattare come prima reazione 20 - 30 mila richieste aggiuntive di pensionamento come effetto psicologico, con immediato aumento del carico INPS.

- Con l'adozione del modello assicurativo privato o misto ci sarebbe un 40-50% in più di spesa sanitaria.

A questo si aggiungano: da 25mila a 40mila mld di fatturato aggiuntivo per le assicurazioni private; un sensibile risparmio per le imprese a causa della deregolamentazione del contratto di lavoro.

SICILIA: SCIOPERI

Due settimane di sciopero generale a scaglioni indetto dalla Cisl nelle centrali Enel della Sicilia, stato di agitazione al petrolchimico di Gela per l'annunciata "fuga" dell'Enimont che costerà - compreso l'indotto - 800 posti di lavoro.
Ed ora anche la protesta dei lavoratori della Ferrofir, l'azienda che sta realizzando la galleria di Villafranca Tirrena nel collegamento in doppio binario ferroviario tra Palermo e Messina. Sono 120 e 50 di loro hanno già ricevuto la lettera di licenziamento. Gli altri la attendono nelle prossime settimane. Tanto basta a tutti - licenziati e non - per iniziare uno sciopero generale a tempo indeterminato con assemblea permanente in cantiere. Da giugno il consorzio di imprese che si è unito nella Ferrofir liquiderà tutti e tutto e le Ferrovie dovranno procedere a nuovi appalti, se non vogliono che la galleria dei Peloritani non resti una delle tante incompiute. Gli esponenti delle Fs, d'accordo con i rappresentanti dei lavoratori, stabilirono di inserire nel capitolato d'appalto del cantiere più importante, Venetico-Pace del Mela, un codicillo che imponeva all'impresa vincitrice di assorbire il personale che già aveva partecipato al traforo dei Peloritani. Ma questa tratta, la più importante della linea e già finanziata, non è stata mandata ancora in appalto, e non si capisce perché.

 

19 Gennaio 2000

GOODYEAR 549 POSTI A RISCHIO

Sul cancello della fabbrica c'è un cartello double-face. Entrando si legge "Oggi cosa farai per assicurare il futuro alla nostra fabbrica?"; e uscendo "Oggi cosa hai fatto per assicurare il futuro alla nostra fabbrica?". Filosofia aziendale post-fordista, quella che al lavoratore richiede non soltanto lo svolgimento della mansione "meccanica", ma anche un forte coinvolgimento in vista di obiettivi "comuni": la crescita dell'azienda, nell'"interesse di tutti".
Ora gli operai della Goodyear di Cisterna, 549 persone a rischio di licenziamento, vogliono cambiare quel cartello. Dopo anni vogliono dare una risposta: "Noi abbiamo dato il sangue, la Goodyear ce l'ha tolto". La famosa multinazionale, leader nel settore della gomma, ha infatti deciso di chiudere l'unico stabilimento italiano, quello di Cisterna appunto. Gravi le conseguenze sull'occupazione: considerando anche il lavoro indotto, è stato calcolato che la dipartita della Goodyear brucerà 1000 posti di lavoro. Gli operai della fabbrica non ci stanno, e da più di 50 giorni sono in presidio. Sulla strada è stato allestito un tendone; lo sovrasta un enorme striscione: "Cara direzione, le menzogne non pagano". Il picchetto si svolge a turno, compatibilmente con quelli della fabbrica: nessuno, infatti, è sceso in sciopero. "Il lavoro ci serve davvero - spiegano - a questa fabbrica ci teniamo". L'impegno agguerrito degli operai non è dettato soltanto dallo spettro della disoccupazione: il discorso va ben più in là: "C'è il rischio di creare un precedente pericoloso - dice Patrizio Sorrentino, delegato sindacale della Filcea-Cgil - la fabbrica funziona, anche grazie ai molti aiuti statali che l'azienda ha ricevuto. Se può chiudere uno stabilimento così, senza alcuna tutela per i lavoratori, dove andremo a finire?". Domanda legittima, perché la Goodyear in Italia non è affatto in crisi. Vende più di 4 milioni di pezzi all'anno, Cisterna ne produce 2 milioni; il resto viene importato dall'est, Slovenia e Polonia in primis. Tant'è che, se lo stabilimento chiuderà, verrà comunque mantenuta la direzione commerciale.
L'opinione dei lavoratori è che l'Italia sia un "paese usa e getta". La Goodyear è stata un'azienda molto "coccolata" dal nostro paese. Fino al '92, sorgendo nell'agro pontino, ha usufruito dei contributi del mezzogiorno (circa 100 miliardi di lire). Sei miliardi li ha beccati grazie alle agevolazioni sui contratti di formazione (i 250 giovani così assunti nel '95, allo scadere del termine sono stati tutti licenziati). Su 50 miliardi di capitale investito, ha ottenuto 15 miliardi di finanziamenti a fondo perduto e 20 a tasso agevolato. Infine 25 miliardi sono stati racimolati grazie ai contratti di solidarietà e alle procedure di mobilità. Ora, fatti quattro conti, la direzione ha deciso di togliere le tende dall'isola felice.
I lavoratori della Goodyear di Cisterna sono probabilmente il prototipo dell'operaio ideale per la fabbrica moderna: hanno accettato di tutto, dalla flessibilità ai contratti di solidarietà. Molti di loro hanno partecipato ai gruppi di lavoro voluti dalla direzione per elaborare nuovi modelli di organizzazione del lavoro; hanno addirittura apportato dei miglioramenti alle macchine senza chiedere una lira. Poi le ha esportate all'estero.

CIRIO CHIUDE DUE STABILIMENTI NEL SUD

La chiusura degli stabilimenti di Sezze Romano e di Pagani (Salerno) è fissata per il 31 gennaio. Lo ha comunicato la Cirio al ministero dell'industria e ai sindacali. Il piano di ristrutturazione, oltre alla dismissione delle stabilimento francese di Ciradour, prevede che il mercato europeo del gruppo venga servito da due soli poli produttivi di San Polo di Podenzano e di Caivano.

MOBILITAZIONE GENERALE CONTRO ENICHEM

Tutti contro. L'Enichem con la sua scelta di abbandonare Gela ricompatta istituzioni regionali, enti locali, forze sociali e politiche. Allo sciopero di 24 ore di oggi, indetto dai sindacati, a cui hanno già aderito altre aziende del petrolchimico, arrivano centinaia di adesioni e si annunciano interventi romani per scongiurare la chiusura degli stabilimenti chimici, cioè la perdita di circa 400 nuovi posti di lavoro.

 

20 Gennaio 2000

ACERRA IERI LA TUMULTUOSA ASSEMBLEA DEGLI ISCRITTI CGIL

La direzione della Montefibre di Acerra, che con i suoi 800 dipendenti (di cui la metà in cassa integrazione a zero ore da aprile) è il più grande stabilimento chimico del Mezzogiorno, sta provando a raggiungere un risultato non da poco. Ha messo infatti a segno, con il benestare dei sindacati confederali e dell'Ugl, un colpo durissimo alle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti. Solo che i conti sono stati fatti senza l'oste.
Le segreterie sindacali territoriali e le Rsu di fabbrica (eccettuati tre esponenti di Alternativa Sindacale) hanno firmato un accordo il 12 scorso che è una vera e propria deroga al contratto nazionale. Alla direzione aziendale che pretendeva una riduzione del salario del 14% e l'eliminazione delle quattordicesime, si è risposto con un'intesa che alcuni dirigenti regionali Cgil si ostinano a definire di male minore. In realtà si tratta di un apripista verso la riduzione del salario per i lavoratori del mezzogiorno. Il tutto alla vigilia dello scontro sui referendum radicali.L'intesa prevede 4 punti: 1) l'eliminazione del premio di partecipazione per tutti i dipendenti Montefibre. 2) L'eliminazione dell'indennità di disagio prevista dal contratto dei chimici. 3) L'eliminazione del premio di produzione per i nuovi assunti. 4) Lo slittamento degli aumenti previsti da contratto dal gennaio di quest'anno a quello del 2001 e quelli del 2001 al gennaio del 2002.
Nell'assemblea convocata giovedì 13 per discutere dell'accordo, però scoppia il putiferio. I tre delegati della Cgil, Giovanni Mininni, Domenico Beneduce e Francesco Laudato bocciano l'accordo: "Non abbiamo firmato questa cosa assurda" dichiarano, infiammando un'assemblea di 300 persone. La contestazione verso chi ha firmato è forte e volano parole grosse. Intanto i tre delegati cominciano a raccogliere le firme contro l'intesa davanti ai cancelli della fabbrica. E' anche il momento della solidarietà dei metalmeccanici (un indotto forte di 500 operai per la Montefibre). Il segretario di zona della Fiom Cgil di Pomigliano, Ulmici Nuzzi, attacca: "E' un'intesa scellerata, un patto che sancirà l'avvio delle gabbie salariali in tutti i luoghi di lavoro del Mezzogiorno. A questo punto è necessario mobilitarsi a tutti i livelli".
La stragrande maggioranza dei duecento iscritti presenti si è pronunciata contro l'accordo, e, cosa più interessante, questa volta i delegati (solo due hanno difeso l'accordo) intervenuti sono scesi nel merito delle questioni pur senza peraltro dimenticarne l'aspetto politico.

SFRUTTAMENTO: LE SCARPE DI GIOVINAZZO

La più grande ha 29 anni. Diverse sono minorenni. In tutto sono diciotto operaie che, dopo anni di ricatti, hanno il coraggio di denunciare il datore di lavoro per sfruttamento.
Assemblavano tomaie per scarpe in uno scantinato di Giovinazzo, un paese a 15 chilometri da Bari, dove lavoravano anche 12 ore al giorno ricevendo un salario di circa 400mila lire al mese. Le giovani operaie, originarie di Molfetta e Giovinazzo, hanno tutte molti anni di lavoro alle spalle, alcune sin dalla fine della scuola dell'obbligo. Sei di loro erano state anche assunte ma la loro busta veniva puntualmente falsata, le altre dodici non avevano alcun contratto di lavoro.
A fine anno è scattata la molla che poi ha portato alla denuncia del datore di lavoro e al sequestro del laboratorio. C'è la tredicesima da riscuotere, ma solo sulla carta. Sì, perché le donne dovevano firmare di averla percepita senza ricevere nulla in cambio. Ai primi timidi tentennamenti, è seguito un netto rifiuto da parte delle ragazze. "E io chiudo tutto e vendo i macchinari" avrebbe risposto il padroncino, Antonio Tedicato, 31 anni di Barletta.
Le operaie discutono animatamente con lo sfruttatore tanto da richiamare l'attenzione degli abitanti della zona. Da questi parte una segnalazione anonima ai carabinieri di Giovinazzo che giungono subito sul posto. Le ragazze sul momento non se la sentono di esporre motivazioni della loro protesta ai militari, che infatti vanno via. Ma dopo qualche giorno, le giovani operaie si recano, tutte insieme alla stazione dei carabinieri e denunciano il datore di lavoro.

Ma quale sarà ora il futuro del gruppo di donne? "Sappiamo già che non troveremo alcun tipo di lavoro - dicono -. Al Sud se qualcuno si ribella, subisce una sorta di schedatura, è come se avesse la fedina penale sporca".

 

22 Gennaio 2000

REFERENDUM: SCIOPERI NELLE FABBRICHE

Si sciopera per il No. Capita, quando la politica interviene per cancellare accordi sottoscritti da imprese e sindacati al termine di decenni di contrattazione. Succede nelle fabbriche e negli uffici della penisola con adesioni sempre più numerose ai diversi comitati per il No che spuntano qua e là per bocciare i referendum sociali di Pannella. E capita anche che lo sciopero referendario si sovrapponga a quello per il contratto integrativo perché nello scontro radicale tutto si tiene: che differenza c'è tra la campagna politica contro il part-time selvaggio e la lotta sindacale per un contratto integrativo che pretende assunzioni a tempo indeterminato? In Piemonte gli scioperi contro i referendum hanno coinvolto in pochi giorni migliaia di lavoratori. Soprattutto lavoratori metalmeccanici, proprio quelli che in questi mesi, a partire dalla Fiat, stanno per rinnovare i contratti aziendali. Ieri, per fare un esempio, hanno scioperato contro Pannella i 1500 dipendenti della Marelli di Venaria.
In fabbrica c'è in generale la richiesta di difendersi da quello che viene vissuto come un attacco della politica a diritti conquistati sul campo. Mesi di sciopero, anni di contrattazione per spuntare questa o quella garanzia potrebbero finire in fumo una domenica di giugno, sommersi dalle schede elettorali.
Alla Pinifarina - l'azienda del leader degli industriali metalmeccanici, uno dei falchi di Confindustria - le adesioni al comitato per il No sono massiccie.
Combattendo la sua battaglia contro la flessibilità totale proposta da Confindustria e radicali, la Fiom piemontese ha condotto ieri uno studio sulle offerte di lavoro interinale proposte giovedì scorso dalle pagine locali di un quotidiano torinese. "Abbiamo calcolato - spiega Cremaschi - che oltre il 60% delle offerte di lavoro è per mansioni molto basse, in genere operai di linea al secondo livello. Sarebbero queste le nuove prospettive di impiego che si aprono con la flessibilità?".

500 MILA BAMBINI AL LAVORO

Il lavoro minorile coinvolge in Italia 509 mila ragazzini, 326 mila dei quali occupati a tempo pieno e ogni anno evadono la scuola dell'obbligo 130 mila studenti. Sono i dati di un'inchiesta diffusi oggi dalla Cgil, che ha avviato una campagna contro lo sfruttamento dei minori, contenuti in una videocassetta e in un libro, dal titolo "I bambini a studiare, i grandi a lavorare", che sarà distribuito per ora in 1.360 scuole elementari e medie inferiori.

 
25 Gennaio 1999

I COBAS OCCUPANO LO STUDIO DI BERLINGUER

Una trentina di docenti e non docenti dei Cobas della scuola hanno occupato l'ufficio del ministro Berlinguer. Nel salone delle trattative, al secondo piano del ministero della pubblica istruzione, hanno sorpreso i sindacalisti confederali che se ne sono andati alla svelta. I militanti della Confederazione Cobas si sono incatenati e sono rimasti fino a sera.
Contemporaneamente un altro gruppo di sindacalisti di base si attestava sulle scalinate d'ingresso del palazzo di viale Trastevere, aprendo striscioni con slogan contro il ministro, il "concorso-lotteria" che dovrebbe portare a una differenziazione salariale tra i docenti (6 milioni l'anno in più per il 20% di "promossi"), la soppressione di fatto del diritto di convocare assemblee per i sindacati di base. Dal secondo piano altri striscioni venivano calati dalle finestre del ministro. Sul "quizzone" diversi sindacati hanno lanciato corsi di preparazione a pagamento, scatenando il sospetto che "passeranno" quei docenti che li avranno frequentati e l'ostilità diffusa in una categoria che difficilmente può ammettere che una carriera possa essere giudicata - e diversamente retribuita - su questa assai fragile base di valutazione.
Verso le quattro, c'è stato un primo tentativo della polizia di fare irruzione nelle stanze dove i Cobas si sono barricati. Il tentativo viene fermato facendo salire sui cornicioni quattro degli occupanti. Intervengono anche il senatore Giovanni Russo Spena (Prc) e Paolo Cento (Verdi), che provano a mettere in comunicazione le parti e evitare una conclusione traumatica dell'occupazione.Il ministro Berlinguer, che si rifiutava di sentirli finché era in corso l'occupazione, è sembrato allora più disponibile. I Cobas vogliono incontrarlo, ma l'unico contatto - prima escluso - avviene per telefono. Il ministro si dichiara disposto a riprendere il filo del dialogo anche con questa parte del sindacalismo, ma insiste sull'inaccettabilità "di principio" del trattare a occupazione in corso (esistono, e gli vengono ricordati, numerosi precedenti in cui si è trattato senza problemi - come due anni fa al ministero della funzione pubblica, con Bassanini). I Cobas insistono perché quel filo di dialogo sia messo per iscritto, in un comunicato o una circolare.Verso le 20,30, infine, un grosso gruppo di poliziotti è entrato delle sale del secondo piano e fermato gli occupanti. Sono stati fatti salire sui furgoni della polizia, portati in questura per l'identificazione e la denuncia di rito. Il prossimo appuntamento della protesta è già fissato: uno sciopero generale della scuola il 17 febbraio, con manifestazione nazionale a Roma.

E' ATIPICO UN LAVORO SU QUATTRO

Un lavoratore su quattro in Italia è stato assunto con un contratto atipico: part-time , interinale, a tempo determinato o con collaborazione subordinata. La forma contrattuale atipica che ha registrato il maggior "successo" è l'interinale (considerando soltanto quello legale...), che tra il '98 e il '99 ha conosciuto una crescita del 382,3%. Le prime agenzie interinali in Italia hanno cominciato a lavorare con il varo del cosiddetto "pacchetto Treu" del '96. Il lavoro parasubordinato si attesta, invece, sul +18,2%; il lavoro temporaneo sul +17,3%; il part-time sul +8,3%. Complessivamente si tratta di 4 milioni 954 mila lavoratori, pari al 23,975 del totale degli occupati in Italia. La conseguenza più immediata è ovviamente il riflesso sul tasso di occupazione. Le statistiche danno, infatti, la disoccupazione nazionale in calo, con una diminuzione del 9,7% tra il '98 e il '99. In termini assoluti, a fronte dei 20 milioni 618 occupati, 1 milione 676 mila ha un lavoro parasubordinato (8,10% del totale); 1 milione 631mila lavora part-time (7,90%); 1 milione 447mila ha un lavoro temporaneo (7%) e 200mila persone si appoggiano sui contratti interinali (0,97%).

IL FMI COMANDA ANCHE IN ITALIA

Un giudizio duro sulla situazione economica italiana, dal punto di vista naturalmente del Fondo e del capitalismo, conclude una analisi dell'organismo plenipotenziario dei padroni, ricordando che quel che conta è che "...il prodotto interno lordo (pil) si è incrementato in termini reali solo dell'1,4 per cento" e "...la domanda interna si è fatta più debole verso la fine dell'anno, poiché gl'investimenti si sono ridotti e i consumi delle famiglie ristagnano". Ossia, il profitto ristagna, o cala, perchè le famiglie non acquistano. Naturalmente nessun riferimento ai salari delle famiglie in questione, ossia dei lavoratori dipendenti e degli operai in particolare. Infatti, la cura che viene dettata prevede "una rapida riduzione del debito pubblico", la "riforma dei sistemi pensionistici e di welfare", i quali ultimi sarebbero "costosi e inefficienti", e la "rimozione delle rigidità strutturali sui mercati del lavoro e delle merci". Si chiedono "significativi ulteriori tagli nel pubblico impiego", una "migliorata efficienza nella spesa sociale", una "riduzione dei sussidi, specialmente nel settore del trasporto pubblico". Il Fmi sottolinea l'importanza di "utilizzare le procedure di privatizzazione per ridurre il rapporto fra debito pubblico e pil".
In altre parole, il rafforzamento della politica del governo borghese contro le condizioni di vita dei lavoratori e dei disoccupati.
Apprezzando questa politica, il FMI ne sollecita un rapido compimento: infatti, sul fronte "strutturale" il fondo ha "notato la persistenza di rigidità"; pur essendo "benvenute le iniziative nei campi delle privatizzazioni e della deregulation" si esprime il parere che "ulteriori privatizzazioni nel settore dell'energia e la rapida deregulation del mercato del gas sarebbero particolarmente utili nel favorire la concorrenza". Quanto al sistema del credito, il Fondo "richiama al rapido compimento del disinvestimento dello stato e a un ulteriore rafforzamento delle restrizioni sugli interessi di controllo delle fondazioni bancarie", in modo da consentire il "consolidamento del settore su basi di mercato, con l'intervento pubblico limitato a rafforzare regole prudenziali e di trasparenza". Il fondo sottolinea quindi "la necessità di una maggiore differenziazione salariale, specialmente al livello di entrata nel mercato del lavoro" e segnala che "stanno cominciando a dare frutti" le iniziative intraprese dal governo "per accrescere la flessibilità", realizzate attraverso il "part time e l'impiego a tempo determinato". Il Fmi richiama tuttavia sulla necessità di una "più ampia riforma, specialmente per quanto concerne i costi di fine lavoro". La chiusa esprime "preoccupazione" circa "l'impatto potenzialmente negativo" delle 35 ore, insieme alla richiesta di "assicurazioni" che non "si vada avanti con la programmata legislazione".

 
26 gennaio 2000

MONTEFIBRE: SCIOPERI OPERAI E RIUNIONI INCROCIATE PER FERMARE L'ACCORDO

Si fa più acuto lo scontro alla Montefibre di Acerra: sabato e domenica gli operai di tutti e tre i turni hanno scioperato con successo contro i sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Ugl) e la maggioranza delle Rsu che hanno firmato uno sciagurato accordo con l'azienda. L'accordo di fatto è una deroga al contratto nazionale prevedendo, tra l'altro, la cancellazione del premio di produzione per i nuovi assunti e lo slittamento di un anno degli aumenti contrattuali.
Lo sciopero spontaneo e simbolico (di mezz'ora) era, però, diretto esplicitamente contro un comunicato dei firmatari dell'intesa considerato falso. In esso veniva nascosto, dentro un'informazione paludata e formalista, il vero dato della contestazione massiccia dell'accordo da parte degli operai di Montefibre. Intanto Montefibre non sta certo con le mani in mano: siamo in una fabbrica con molti operai in cassa integrazione e l'arma della divisione è quella più vecchia del mondo.
Paolo Belloni, della segreteria nazionale della Filcea è preoccupato del clima che si può innescare: "Quando si cominciano a dire falsità, e mi riferisco anche a posizioni di vertici del sindacato campano, la cosa diventa gravissima. Bisogna sapere che i delegati che hanno firmato contro l'intesa, a parte il consenso ottenuto dai lavoratori, sono pienamente nella linea nazionale della Filcea che respinge qualsiasi deroga al contratto nazionale".

 
27 gennaio 1999

ONDATA DI LICENZIAMENTI NELLE MULTINAZIONALI

Goodyear, Nissan, Moulinex e Coca Cola in crisi. Per le multinazionali è l'ora dei "tagli". Se si dovessero assumere come indicative le decisioni annunciate negli ultimi giorni dai quattro colossi industriali e del consumo nessuno parlerebbe oggi di economia mondiale in crescita e di "locomotiva americana". In particolare, quella della Coca Cola è una ristrutturazione epocale: la multinazionale delle bollicine ha annunciato il taglio di 6mila posti di lavoro (3.300 negli Stati Uniti e 2.700 nel resto del mondo), pari al 20 per cento degli organici. È la più grande riorganizzazione della sua storia ultracentenaria.
I lavoratori pagano i pesanti contraccolpi sulle vendite provocati l'anno scorso dai casi di intossicazione verificatisi in Francia e Belgio e il mancato ritorno degli investimenti realizzati in Russia e in Giappone. Più che di fatturato, tuttavia, la crisi della Coca Cola è di redditività: nel '99 il gruppo ha infatti aumentato le vendite da 18,8 a 19,8 miliardi di dollari (38.200 miliardi di lire), mentre gli utili sono calati a 2,4 milioni di dollari dai 3,5 milioni del '98. La via dei licenziamenti è una delle prime decisioni del nuovo presidente del gruppo di Atlanta, Doug Daft, il quale è convinto - in questo modo - di arrivare a un risparmio sui costi pari a 300 milioni di dollari all'anno (580 miliardi di lire). A Tokyo i lavoratori della Nissan hanno proclamato ieri uno sciopero senza precedenti contro il piano di ristrutturazione dell'azienda automobilistica, che prevede la soppressione di 21mila posti di lavoro e, in particolare, la chiusura dello stabilimento di Murayana, dove lavorano 3.100 dipendenti. Migliaia di lavoratori hanno marciato per le vie della capitale scandendo slogan contro il responsabile operativo della Nissan, Carlos Ghosn, insediato alla vicepresidenza dalla Renault, che detiene il 37 per cento della società nipponica: "Ghosn tornatene in Francia", hanno gridato i lavoratori contro l'emissario della casa francese, incaricato di tagliare costi per 18mila miliardi di lire.
Un'altra decisione che viene dall'altro capo del mondo e che colpisce lontano è quella della Goodyear: la multinazionale americana ieri ha confermato la sua decisione di chiudere lo stabilimento italiano di Cisterna di Latina (1.000 lavoratori tra diretti e indotto). Per il momento, dunque, la sospensione dei finanziamenti pubblici promessi (sei miliardi) e la minaccia di chiedere la restituzione dei vecchi aiuti da parte del ministro dell'Industria, Enrico Letta, non ha sortito alcun effetto.
Dall'ondata di distruzione occupazionale non si salva neppure la Francia. La Moulinex ha deciso di "frullare" altri 1.500- 2.000 posti. Il nuovo piano di ristrutturazione fa seguito a quello di quattro anni orsono, quando ai fini della "riconquista della performance" la multinazionale francese aveva "tagliato" 2.400 posti di lavoro. Siccome la prima cura non ha dato i risultato sperati, il numero uno della società, Pierre Blayau, ha deciso di ripetersi, mettendo a punto una trasformazione radicale dell'organizzazione industriale, che comporterà la chiusura delle linee di produzione dei forni a micro-onde.

I nostri compiti e i Referendum

Giorgio Fossa, da un convegno nelle Marche, ci tiene a sottolineare che, dei referendum, "gli industriali condividono gli obiettivi di quelli riguardanti il lavoro". E poi rilancia l'esca, ripete il ricatto: "ribadiamo però la nostra disponibilità ad aprire il tavolo della discussione fin da domani". Per chi è disposto ad accordarsi su quei contenuti, strada spianata dai padroni: "sol che le controparti vogliano", e che "il governo, in particolare, porti poi la discussione in parlamento".

Questo è il problema che tutti i lavoratori che oggi si stanno mobilitando con ore di sciopero e domani si mobiliteranno ancora per il No ai referendum, devono aver presente: il No, pur necessaria arma di difesa, non debella il pericolo, già in corso da alcuni anni, di nuovi attacchi alle condizioni, ai diritti del lavoro contro il capitale, armi di difesa conquistate da lotte passate.

E' realistico credere che qualcuno opererà per far vincere il No e stabilire poi delle condizioni concertative per ottenere in forma più subdola lo stesso risultato. Un caso per tutti: è più di un anno che Giugni, a nome del governo D'Alema, sta procedendo ad una modifica dello statuto dei lavoratori proprio sull'art. 18, ovvero vuole facilitare il licenziamento!

D'altra parte ecco cosa pensa D'Alema del referendum radicale: ci vede un aspetto "grave" e "controproducente". Quale? "Scoraggiano la flessibilità".

 

27 Gennaio 2000

Assemblee all'Alfa, comitati e scioperi

Ma contro i referendum antisociali, e i loro contenuti, "comunque raggiunti", si muovono non solo le fabbriche, e la rete dell'associazionismo già parte attiva ad esempio dentro il Comitato milanese, ma anche i Sindacati di base che si sono riuniti a Jesi e hanno costituito un Comitato regionale delle Marche per il "No ai referendum sociali". Vi aderiscono coordinamenti Sin Cobas di diverse province, l'Unicobas-scuola di pesaro, e delegati Cgil, o delle rappresentanze di base di Rsu di varie aziende. La loro denuncia - nel comunicato nel quale si promuove anche la costituzione di un Coordinamento che colleghi "tutte le lotte sindacali di base" - riprende i temi già comuni ai delegati delle fabbriche del nord, con una accentuazione sulla condizione di disoccupati e precari, minacciati anch'essi dai referendum.Dopo Fim, Fiom, Uilm, che avevano invitato al blocco degli straordinari in tutte le aziende della regione lo sciopero generale nel Trentino, per tutta l'industria, di un'ora ad ogni turno di lavoro, è stato deciso come "prima iniziativa di mobilitazione" da Cgil, Cisl, Uil regionali per l'11 febbraio. Le confederazioni avevano invitato l'Associazione industriali a dissociarsi dall'appoggio ai referendum della Confindustria. Risposta: no. Reazione: sciopero.
Nella provincia di Como sciopero il 1 febbraio: lo indicono Cgil, Cisl, Uil, dopo l'ultimo morto sul lavoro, Ezio Beretta, il quarto in 15 giorni. "I lavoratori comaschi non sono più disposti a mettere a rischio la propria vita e incolumità fisica" - che giusto uno dei referendum radicali minaccia ancor più pesantemente.

 

ACERRA VITTORIA DEI DELEGATI "RIBELLI"

Strano ma vero: la lotta, come si diceva una volta, qualche volta paga. La gran parte degli operai e la minoranza dei delegati "ribelli" delle Rsu della Montefibre di Acerra cominciano infatti a raccogliere i primi frutti di una battaglia difficile. Lo scontro con i sindacati confederali regionali, l'Ugl e la maggioranza dei rappresentanti delle Rsu che avevano sottoscritto la sciagurata ipotesi di accordo che faceva slittare di un anno gli aumenti contrattuali, vede questi ultimi sconfitti. La riunione della Fulc nazionale in cui i segretari generali dei chimici di Cgil, Cisl e Uil hanno raggiunto una posizione unitaria su un punto decisivo. In pratica invitano i sindacati locali di categoria a ritirare il punto numero 2 dell'ipotesi di accordo (slittamento degli aumenti di un anno) e ad andare con la nuova piattaforma al referendum dei lavoratori. I sindacati locali, a loro volta, ingoiano il rospo e spediscono frettolosamente una lettera a Montefibre in si comunica che quell'ipotesi di accordo era solo un'ipotesi. Sul fronte aziendale la faccenda è stata accolta con grande nervosismo venato di comicità. Pare fossero già stampate le nuove buste paga senza gli aumenti quando gli operai sono andati a richiederle nel giorno abituale (il 26). E' stato detto loro di tornare il giorno dopo: "si sono verificati alcuni errori tecnici". Ma a parte questo episodio risibile, va detto che un sonoro schiaffo, anche se la questione non è terminata, Montefibre l'ha preso. E' evidente a tutti, ancora di più oggi dopo la cancellazione del punto sugli aumenti, che l'azienda recupererebbe, in 4 anni, all'incirca due miliardi a fronte di investimenti futuri annunciati per circa 700 miliardi: praticamente la prova più tangibile che i problemi di Montefibre in questo accordo erano bel altri.

 

28 Gennaio 2000

PARMALAT: SCIOPERO

Più di 1000 licenziamenti e la chiusura di 8 stabilimenti (due in Emilia Romagna). Era questo, in sintesi, il piano industriale presentato a novembre scorso dal Gruppo Parmalat in seguito alle indicazioni dell'Antitrust che chiedevano di "dismettere o collocare sul mercato" 6 marchi e 4 stabilimenti. "Quella dei tagli e della finanziarizzazione è una strada comoda e redditizia, ma non è l'unico modo possibile di rispondere alle indicazioni dell'Autorità sulla libera concorrenza" era stato il giudizio, già allora, di Giordano Giovannini, segretario generale della Flai-Cgil Emilia Romagna. Da novembre ad oggi, però, la posizione del gruppo Parmalat non è mai cambiata e il progetto rimane quello di chiudere lo stabilimento Giglio di Reggio Emilia ed Ala di Copparo, di proprietà del gruppo Parmalat, che occupano 400 dipendenti. Contro questa scelta le Rsu delle tre aziende (Giglio, Ala e Parmalat) insieme a Fat-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil hanno indetto per oggi uno sciopero di 8 ore con manifestazione regionale alle 10.00 davanti alla sede della direzione del Gruppo Parmalat di Collecchio. A febbraio ci sarà una manifestazione nazionale. L'obiettivo dei sindacati è di coinvolgere nel dibattito anche il gruppo Granarolo che potrebbe essere l'acquirente ideale degli stabilimenti a rischio di chiusura.

CIRIO: CRAGNOTTI CHIUDE PAGANI E SEZZE

Quella dello stabilimento Cirio di Pagani, è una storia emblematica dello stato dei rapporti Nord-Sud, dell'incapacità produttiva di certi imprenditori, delle belle parole "meridionaliste" del governo. Sergio Cragnotti, che ha rilevato la Cirio dalla Fisvi 5 anni fa, è risoluto nel voler chiudere dal 31 gennaio gli stabilimenti di Pagani e Sezze Romano (Latina) mettendo sul lastrico 135 lavoratori fissi oltre ad altrettanti stagionali.

Dei 4 stabilimenti del gruppo ne resterebbero in piedi 2, quello di Caivano (Napoli) e quello di S. Polo (Piacenza), spostando verso quest'ultimo la centralità di direzione e sviluppo dell'intero settore. Contraddicendo innanzitutto gli accordi presi col governo che prevedevano investimenti sostanziali nel Sud, punto forte dell'industria alimentare. "Nel piano illustrato dalla Cirio - dice Franco D'Angelo, segretario della Flai Cgil Campania - non vi è alcun tentativo di rilancio e valorizzazione dei prodotti agricoli campani e meridionali in genere. Non vi sono riferimenti al made in Italia, di cui il settore conserviero è parte rilevante, vantando il primato assoluto tra i comparti della trasformazione alimentare italiana". I prodotti mediterranei (come pasta, conserve vegetali, olio, vino), in pratica, centro dell'economia alimentare italiana, vengono in gran parte ignorati o contraddetti dal piano dei tagli della Cirio.

 

29 Gennaio 2000

ISTAT: SALGONO I PREZZI RALLENTANO I SALARI

Le anticipazioni di giovedì sui prezzi al consumo in gennaio sono state confermate dalla seconda tornata di città campione: nel mese l'inflazione segna una crescita dello 0,2% che fa salire al 2,2% la variazione tendenziale (2,1% in dicembre). L'Istat ieri ha anche diffuso i dati sulle retribuzioni orarie contrattuali: in dicembre sono salite (si fa per dire) dello 0,1%, mentre la variazione tendenziale è del 2%. Su base annua, l'incremento è, invece, dell' 1,8%. Le stesse variazioni percentuali sono state indicate dall'Istituto di statistica anche per quanto riguarda le retribuzioni contrattuali per dipendente. Una conferma che ai salari non può essere addebitata alcuna responsabilità per la leggera ripresa della crescita dei prezzi al consumo. Quello che emerge dai dati Istat, infatti, dimostra che i prezzi al consumo hanno ripreso a salire (non solo in Italia, ma in tutta Europa, visto che in gennaio il tendenziale tedesco è attorno al 2%) per cause esogene legate alla crescita rapida del prezzo del petrolio che traina l'aumento delle spese per trasporto, riscaldamento, elettricità e via dicendo. Depurato della componente energetica, infatti, l'incremento dei prezzi è nettamente inferiore. Anche se, approfittando del "fumo" petrolifero, gli aumenti si stanno estendendo anche a altri settori e in particolare ai servizi.