Notizie dalla lotta di classe

Giugno 2000

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Unire quello che il capitalismo divide.

 

01 Giugno 2000

 

LA RELAZIONE DI CIAMPI

Nel corso degli anni '90 l'incremento della produttività del lavoro nell'industria manifatturiera è stato in media in Italia del 2,1% all'anno. Nello stesso decennio l'aumento è stato del 3,4% l'anno negli Stati uniti. In Germania la produttività del lavoro nell'industria è cresciuta annualmente del 3%; in Francia del 3,7%. Se si considera solo il periodo 1995-99 vediamo che l'aumento annuo medio è sceso in Italia allo 0.7%, mentre negli altri grandi paesi industrializzati è stato dell'ordine del 4%.

Nell'ultimo decennio l'incremento delle retribuzioni unitarie lorde dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati, è stato del 42%, pressoché uguale a quello dei prezzi al consumo. L'incremento in termini reali è stato sostanzialmente nullo. Si può stimare che, per effetto della maggiore incidenza dell'imposta sul reddito, le retribuzioni nette abbiamo perso mediamente, nel decennio, il 5% circa del potere d'acquisto. Tale dato, confrontato con quello sulla produttività indica comunque una diminuizione del costo del lavoro (+2,1% produttività - 5% salario reale). Il prodotto lordo per persona occupata, in termini reali, è aumentato del 2,6%. Fazio non parla di posti di lavoro perduti, ma di "occupazione", che in Italia è passata da 20 milioni e 26.000 persone nel 1995 a 20 milioni e 692.000 nel 1999, con un incremento nel quadriennio del 3,3%. Negli altri dieci paesi dell'area euro tra il 1995 e il 1999 l'occupazione è aumentata del 5,3% e il prodotto per persona occupata del 4%. E' cambiata in Italia negli anni 90 la struttura dell'occupazione. Il numero dei dipendenti occupati a tempo pieno e con contratto di lavoro di durata indefinita era diminuito tra il 1993 e il 1995 di circa 627.000. E' rimasto intorno a 12.600.000 fino alla primavera dello scorso anno; è risalito di circa 120.000 fino ai primi mesi dell'anno in corso. L'aumento dell'occupazione dipendente si è concentrato nel settore dei servizi e ha assunto pressoché esclusivamente la forma di impiego a tempo parziale o a termine. Il numero degli occupati con nuovo forme contrattuali, partendo da un livello di 1.600.000 nel 1995, ha raggiunto 2.200.000 alla fine del 1999.

 

OPERAI FIAT SFIDANO "CARONTE"

Agli operai della Fiat Rivalta non è piaciuto il progetto "Caronte". Ieri i 300 lavoratori delle linee montaggio della Lybra, Kappa e Alfa 166 hanno effettuato 1 ora di sciopero e formato un corteo che ha attraversato tutti i reparti dell'azienda torinese per protestare contro il trasferimento ai rappresentanti dell'azienda dei compiti e delle funzioni svolte finora dall'ufficio del personale. L'iniziativa promossa dalle Rsu è stata decisa anche come prima iniziativa di protesta per la scelta della Fiat di prendere provvedimenti disciplinari contro gli operai con lo scopo di limitarne i diritti sindacali.

 

2 giugno 2000

 

ARGENTINA: SCIOPERO CONTRO LA PARITA' PESO/DOLLARO

Lo sciopero generale ci sarà, il 9 giugno. La terza, durissima manovra economica promossa dal governo di centrosinistra presieduto da Fernando De la Rua è riuscita nel miracolo di far tornare unite almeno per un giorno le due fazioni del sindacato peronista Cgt, la principale centrale sindacale argentina, che dal febbraio scorso erano in guerra tra loro senza esclusione di colpi. Per "ricevere" come meritava una delegazione del Fondo monetario internazionale venuta a Buenos Aires per discutere di un nuovo, grosso prestito all'Argentina L Cgt "ufficiale" è scesa in piazza con l'ala ribelle guidata dal "camionero" Hugo Moyano. Ventimila persone (tra cui alcuni deputati della maggioranza) hanno sfilato davanti al palazzo del governo con slogan contro De la Rua e il Fmi, concordando alla fine la data dello sciopero generale, il primo diretto contro il pallido centrosinistra argentino.
L'ultima manovra prevede il taglio della spesa pubblica di quasi un miliardo di dollari, ottenuti attraverso la riduzione dei salari di tutti i dipendenti pubblici (circa 150mila) che guadagnano più di mille pesos al mese, riduzione variabile dal 12 al 15 per cento. Il taglio è stato espressamente richiesto dal Fmi per la concessione di 7,2 miliardi di dollari. Il ministro delle finanze Machinea, padre della manovra, ha ribadito ieri nell'incontro con la delegazione del Fmi che l'Argentina "non farà un passo indietro sulla strada della convertibilità", cioè della dollarizzazione creata dalla legge che impone la parità fissa tra peso e dollaro.

 

3 giugno 2000

 

NEI GRANDI GRUPPI METALMECCANICI I CONTRATTI AZIENDALI SONO BLOCCATI

Scioperi in vista di fronte al blocco delle contrattazioni aziendali. Prese di posizione contro la politica delle mani libere perseguita da Confindustria nonostante lo schiaffo referendario. C'è tutto questo nell'assemblea nazionale dei delegati Fiom dei grandi gruppi metalmeccanici. Ma ci sono anche le parole dei lavoratori. Francesco Ottembrini dell'Alenia di Torino, Ciro Spartano dell'Ilva di Taranto, Walter Zuccolà della Zanussi di Pordenone. Voci e racconti di contrattazioni ferme da dodici anni, di una sicurezza sul lavoro sempre più abbandonata a se stessa, di meccanismi di assunzione come il "job on call" che portano a forme definite "di sciacallaggio sociale". E se pure qualche oasi rimane - alla Perini di Lucca l'accordo è pronto per l'approvazione - nel complesso prevale il pessimismo. Tanto da far dire al concertativo Riccardo Nencini che "ci sono le condizioni per il conflitto".
"E' dal 1988 che noi non facciamo più contrattazione aziendale - spiega Francesco Ottembrini - perché l'azienda non doveva più esistere. Solo che oggi ci lavorano 1800 addetti, e l'azienda non riesce neanche unilateralmene a gestire l'organizzazione del lavoro. In questa situazione, abbiamo deciso di fare la piattaforma. Il nostro obiettivo è quello di dare più diritti e tutele a chi entra con contratti atipici, perché alla fine riescano ad avere quello a tempo indeterminato"
Da Torino a Taranto. "Il gruppo Riva - racconta Ciro Spartano -ha portato innovazioni tecnologiche. Ma anche ad una 'massimizzazione' degli impianti con la 'minimizzazione' degli addetti. Ora il mercato tira, i profitti ci sono. Così abbiamo chiesto di avere un organico compatibile agli standard di produzione, e un orario di lavoro che ci permetta un minimo di vita sociale fuori dalla fabbrica". Poi Spartano parla di sicurezza: "Il 25 maggio scorso è morto in fabbrica un giovane in formazione lavoro. E' anche a loro che dobbiamo pensare con la contrattazione integrativa, perché tragedie del genere non accadano più". Dalla Zanussi, Walter Zuccolà avverte: "La nostra trattativa per l'integrativo non lascia presagire niente di buono. Eppure il gruppo esce da una ristrutturazione che lo ha portato ad essere competitivo, conquistando nuove fette di mercato. Ma l'azienda ci chiede di istituire un contratto che è di completo 'sventramento' delle vecchie regole. Si chiama 'job on call', ed è utlizzato solo in Olanda, dove però ci sono ben diversi ammortizzatori sociali. E' un contratto a chiamata, stabile ma con una previsione di 300 ore lavorative ogni anno. L'azienda vorrebbe farne lo strumento principe per gli accordi all'interno del gruppo, ma nei fatti porterebbe solo ad una sorta di sciacallaggio sociale".
Dalla Fiat di Melfi arriva Giorgia Calamida, che racconta di come nel gruppo ci siano due piattaforme diverse: una per loro, e l'altra per le restanti aziende. "E' andata a finire che dopo sei mesi siamo sempre a discutere". Il riassunto è presto fatto: le piattaforme magari ci sono, ma di accordi se ne vedono ben pochi. E anche quando arrivano, come nel caso del gruppo elvetico-svedese "Abb", poi viene chiuso a sorpresa lo stabilimento di Pomezia, con 195 lavoratori che si trovani in mobilità da un giorno all'altro. "E' prevedibile che dovremo ricorrere allo sciopero se bloccano le contrattazioni aziendali -conclude Claudio Sabattini - e al momento queste sono praticamente bloccate dalla pregiudiziale della moratoria sull'anno 2000".

 

04 Giugno 2000

 

MIRAFIORI: 500 GIOVANI IN AFFITTO DOVRANNO LASCIARE LA FIAT

"Lavora tanto e bene, fai il bravo e vedrai che, alla fine, ti assumiamo": i 500 operai in affitto di cui la Fiat si libererà a partire dal 23 giugno, si sono sentiti ripetere spesso questa frase. Che oggi sembra una burla, perché a Mirafiori e Rivalta non c'è più spazio per questi giovani ingaggiati attraverso tre agenzie di lavoro interinale (Adecco, Ali, Quandoccorre), ora che la Fiat denuncia un esubero di personale. Gli affitti cadono e per quei ragazzi l'annuncio è sembrato una beffa rispetto alle promesse fatte, è stato una grande delusione rispetto alle aspettative. Sì, perché nonostante quanto dica la vulgata corrente, un "lavoro fisso" è ancora l'aspirazione dei più e per quanto affermi la propaganda ufficiale le mansioni operaie sono quelle più richieste nel mondo dell'interinale (lo conferma la stessa Adecco: il 69% delle richieste sono per operai generici, il 27,6% per operai specializzati, alla faccia delle "nuove professionalità" promesse dalla legge che ha istituito l'affitto delle persone).
Niente di anomalo. Come è formalmente normale che una persona venga affittata per quattro volte di seguito dalla stessa impresa, lasciata per qualche giorno a casa per poi riprendere la sequela degli affitti. Per la legge è ineccepibile: ma è giusto? Ha senso affermare che l'interinale usato così corrisponda alla logica del far fronte ai picchi produttivi o non sia piuttosto un modo per sostituire lavoratori che non ci sono, per affrontare una carenza di personale di tipo strutturale?

Come hanno reagito all'espulsione questi giovani? La Fiom di fabbrica e il sindacato Nidil hanno convocato le assemblee degli interinali per raccogliere le loro impressioni e per invitarli a non accettare la logica dell'inevitabilità. Ma il clima generale era un misto di rassegnazione e disperazione. "Ci rottamano", "siamo carne da macello" erano le frasi ricorrenti, e più di qualcuno piangeva, un po' per la delusione, un po' per l'umiliazione. A questi ragazzi hanno insegnato a essere disponibili a tutto, a lasciar perdere qualunque concetto di diritto, promettendo un generico futuro migliore. C'è chi andava al lavoro con la febbre, pur di "costruirsi" una riconferma. Ma la delusione di fronte alla realtà è poi fortissima. Il pericolo più grande è quello della rassegnazione che si accompagna alla dispersione.

Ora l'obiettivo di Nidil e della Fiat è rendere visibile ciò che è offuscato dall'ideologia delle occasioni della flessibilità. E' un modo per ribaltare la logica corrente - anche a sinistra - dell'individualizzazione del rapporto di lavoro. E poi chiederanno alla Fiat, insieme al sindacato di fabbrica, di stilare una "lista di priorità" che raccolga i 500 espulsi e diventi il bacino da cui cogliere i prossimi ingaggi. Perché la Fiat ha usato questi lavoratori per sopperire alla carenza di personale e quindi questi ragazzi devono essere in qualche modo considerati dei "dipendenti Fiat".

Queste però sono solo palliativi di chi - i sindacati - pretendono in qualche modo di gestire ciò che hanno voluto - o dovuto - accettare senza lottare: la precarietà del lavoro è una condizione che il sindacato non ha respinto con forza, e oggi si ritrova a mettere delle toppe.

 

06 Giugno 2000

 

BRINDISI: LA POLIZIA CARICA GLI OPERAI DELL'ENEL

Un'aggressione grave e violenta. Così i lavoratori della centrale elettrica di Costa Morena definiscono l'iniziativa della polizia, che ieri ha interrotto per due volte successive il sit-in degli operai in lotta. Botte e manganellate contro una pacifica azione per la salvaguardia degli oltre 300 posti di lavoro a rischio nella centrale di Brindisi nord. La vertenza energetica, cui si è aggiunto lo sciopero della fame da parte di una decina di lavoratori, è ora uscita allo scoperto. Domani a Roma al ministero dell'Industria è convocata la conferenza dei servizi per discutere dei siti produttivi ed energetici nel brindisino; ieri sindaco della città ed presidente della provincia hanno incontrato una delegazione di lavoratori in lotta. "L'Enel si è scorporata in più gruppi, costituendo la società Eurogen - dice un sindacalista - cui sarebbero destinati circa 300 operai. Col decreto D'Alema e la scelta della liberalizzazione del mercato, hanno inserito la centrale di Brindisi in questo progetto, che non offre garanzie occupazionali".
Non solo. Il trasferimento della proprietà della centrale di Costa Morena avverrebbe con una trasformazione dei cicli produttivi. "A ciclo combinato - precisa Roberto Aprile dei Cobas - si realizza un'occupazione di 70, 80 unità. Chiediamo che l'Enel rispetti gli impegni assunti e tuteli i livelli occupazionali, per esempio spostando le sue scelte verso altri siti produttivi, insieme ad un serio piano di investimenti sul territorio". Insomma, coniugare livelli occupazionali con difesa dell'ambiente. Le attese sono tutte riposte nell'incontro ministeriale di domani e agli scenari che si potrebbero aprire. I 300 operai, da parte loro, assicurano di non avere alcuna intenzione di stare a guardare.

 

07 Giugno 2000

 

PENSIONI SOTTO LA SOGLIA DELLA POVERTA'

Tante pensioni, ma di importo spesso miserabile, al limite della sopravvivenza, soprattutto nel settore privato: questa la foto del sistema pensionistico italiano presentata ieri dall'Istat. Il primo dato che colpisce è il numero totale delle pensioni erogate: a fine '99 erano 21.589.000 con un costo complessivo di oltre 320 mila miliardi e un importo medio di 14,8 milioni annui. Il che significa una media di circa 1 milione 50 mila lire mensili per tredici mensilità.
In rapporto al Pil, la spesa per le pensioni nel '99 è risultata pari al 15,05%, in leggerissimo aumento dal 14,94% del '98 e in leggerissima riduzione dal 15,09% del '97. Enrico Giovannini, direttore generale dell'Istat, ha sottolineato che anche per il futuro sarà la crescita del Pil a condizionare l'andamento della spesa: se sarà inferiore all'1,5% saranno dolori, ma se il reddito salirà più del 2% l'anno, il rapporto spesa/Pil si manterrà costante sugli a ttuali livelli.
Le pensioni erogate nel settore privato sono 18,4 milioni; 3,18 milioni quelle nel settore pubblico. Quasi un rapporto di sei a uno, ma la spesa complessiva e l'importo medio non sono nella stessa proporzione: 239 mila miliardi è l'importo per le prestazioni nel settore privato; 81.206 miliardi per quelle pubbliche. La disparità del trattamento risulta ancora più evidente dal confronto dell'importo medio annuale: 12,987 milioni le private; 25,536 milioni le pubbliche. La disparità del trattamento viene esaltata dalle pensioni Ivs (pensioni dirette di invalidità, vecchiaia e superstiti) perchè la forbice si allarga ulteriormente: 13,977 milioni per le private; 29,421 milioni per le pubbliche.
Dei quasi 21,6 milioni di pensioni, solo 17,77 milioni sono trattamenti Ivs, conseguenti all'attività lavorativa svolta (in questo gruppone sono comprese le pensioni di anzianità). Circa 3,8 milioni di prestazioni sono, invece, prestazioni anomale: pensioni indennitarie (rendite per infortuni sul lavoro e malattie professionali o pensioni di guerra) e pensioni assistenziali. Un pezzo di stato sociale che non può essere toccato (semmai aumentato) e che complessivamente assorbe oltre 30 mila miliardi.
Il problema pensioni, insomma, è meno drammatico di quanto si vorrebbe far credere e se dalle vere e proprie prestazioni si sottraessero i costi dello stato sociale il risultato sarebbe un rapporto rispetto al Pil decisamente più basso e in linea con gli altri paesi europei. Da sottolineare, infine, che l'importo medio delle pensioni rispetto al Pil per abitante è di appena il 35,18% per quelle del settore privato e del 69,18% per quelle pubbliche. In totale, l'importo medio delle pensioni è pari al 40,19% del Pil per abitante. Insomma, non c'è da scialare.

 

07 Giugno 2000

 

MACCHINISTA DI NOTTE: MORTE IN VISTA

Tre inchieste aperte (ministero dei trasporti, ferrovie dello stato, procura della repubblica); un'interrogazione parlamentare (di Ugo Boghetta, responsabile trasporti del Prc). L'incidente di Solignano, in cui cinque macchinisti hanno perso la vita e uno è ancora in prognosi riservata, getta una luce di evidenza sulle condizioni di lavoro nel trasporto ferroviario.
"Errore umano" è la parola d'ordine ufficiale. Come se fosse una spiegazione, in un settore dove l'automazione è spinta e i sistemi di controllo automatico non mancano davvero (basta installarli e controllarne l'efficienza, ovvero investire in sicurezza e manutenzione). "Errore umano", come se costringere a lavorare fino allo sfinimento non fosse un'aggravante - invece che una scusa - per un'azienda che fa del modernismo di facciata la sua "nuova" carta d'identità. Racconta Giulio Moretti, macchinista, tra i principali esponenti del Comu e dell'Orsa, come sono andate le cose.

"Le Fs ci hanno comunicato gli orari di lavoro che avevano tenuto i colleghi morti nello scontro. Sono orari folli, fuori di ogni logica e impegno contrattuale. Due dei macchinisti avevano fatto anche la notte precedente. 12 ore di turno, con 12 ore di riposo per uno e 19 per l'altro. Poi avevano ripreso servizio ed erano al lavoro da 10-11 ore. Così si creano le condizioni perché questo tipo di incidenti avvenga.

Si possono fare due turni di notte consecutivi. Ma di sette ore la prima notte, seguita da 22 ore di riposo. Nella seconda, in ogni caso, la parte notturna dell'orario - tra mezzanotte e le sei - non deve superare l'ora e mezzo. In gergo diciamo una notte "pesante" e una "leggera". In questo caso c'era una turnazione straordinaria. E' evidente che in queste condizioni l'attenzione, ad un certo punto, cade.

Lo straordinario viene accettato perché l'azienda butta una barca di soldi sul queste prestazioni. In pratica, e ce l'hanno anche spiegato, hanno un budget di 700.000 lire pro capite per gli straordinari.

I nostri stipendi vengono considerati da "privilegiati". Ma è chiaro che se uno ha famiglia deve stare bene attento a come spende. L'azienda fa leva sulle necessità del personale per incentivare un uso massiccio degli straordinari. E' chiaro che non tutti accettano di farli; e quindi per altri c'è la possibilità di accumulare una quantità di ore straordinarie ancora superiore, perché magari un milione in più in casa fa comodo.

Con la divisionalizzazione (lo smembramento delle Ferrovie dello stato in quattro diverse società in via di privatizzazione) le cose sono peggiorate. La Cargo Si, ovvero la divisione che gestisce il trasporto merci, ha concentrato la maggior parte della sua attività in orario notturno. In questo modo anche gli straordinari si vanno a concentrare in quel settore. In pratica l'80% degli stanziamenti aziendali per gli straordinari sono a disposizione per un quarto dei macchinisti. Che si trovano così a dover scegliere tra guagnare molto rischiando sempre, o accontentarsi dello stipendio. Prima c'era una distribuzione maggiore del lavoro straordinario, e anche dello stress relativo".

 

09 Giugno 2000

 

ALFA DI ARESE


All'Alfa di Arese la prossima settimana si eleggeranno le Rsu. Vediamo che fine ha fatto questa grande fabbrica. I numeri parlano da soli: 23 mila addetti ai tempi d'oro, sommando Arese e Portello; 17 mila nell'87, quando arrivò la Fiat; oggi sono 3.025 i dipendenti in senso stretto di Fiat auto (carrozzerie, meccaniche, enti centrali) chiamati a eleggere 24 delegati (più i 12 della quota "garantita" per Fim, Fiom e Uilm). Una platea dove i colletti bianchi hanno superato quelli blu. Altri 3 delegati saranno eletti dai 160 impiegati della Fiat Gesco (amministrazione e contabilità). Per arrivare a quota 4 mila, fissata dall'accordo del '94 che segnò la resa, bisogna aggiungere gli addetti ai servizi terziarizzati a società del gruppo Fiat: oltre alla Gesco, Sepin, Sava, Sirio, Fenice, Its, Telexis, Targa service. Dalla vigilanza alla vendita a rate, dai pompieri al call center. Quest'ultimo è l'unico "reparto" in crescita. Fanno capo qui i numeri verdi Fiat per l'assistenza post-vendita e il soccorso stradale. Nessun sindacalista ha saputo dirci esattamente quanta gente ci lavori. Quasi 500, per l'azienda.
Da un pezzo Arese è una fabbrica cacciavite e dal primo settembre, con la chiusura della verniciatura, lo sarà ancor di più. Giornalmente si assemblano 23 spider e coupé e 44 Multiple. Dopo le ferie cesserà la produzione delle sportive e saliranno a 140 le Multiple ecologiche, alimentate anche a Gpl. L'auto elettrica - che avrebbe dovuto essere il futuro di Arese - resta una bizzarria, la Marea bi-power (auto ibrida a metano e a benzina) costa troppo e non trova una sufficiente domanda pubblica, il Vamia (Vetture a minimo impatto ambientale) è un settore di nicchia. A ottobre sono state pattuite quantità e condizioni dell'ultimo esodo: per 650 mobilità di accompagnamento alla pensione, incentivata e su base volontaria. I volontari hanno superato l'offerta: un'aggiunta all'accordo ne "sistemerà" altri 160. Se ne sono andati gran parte dei delegati storici e, senza nuove leve, si stenta a fare le liste.

 

10 Giugno 2000

 

SCIOPERO NELLA SCUOLA SOTTO GARANZIA

Il blocco degli scrutini ci sarà, ma durerà solo due giorni invece dei cinque proclamati inizialmente dai sindacati di base. E' quanto ha deciso la commissione di garanzia per il diritto di sciopero, secondo cui la protesta degli insegnanti non è conforme a quanto prevede la legge sulle agitazioni sindacali nei servizi pubblici. Così gli insegnanti bloccheranno gli scrutini non dal 12 al 16 giugno ma dal 12 al 13.
"Si tratta di un voltafaccia. Fino a due giorni fa la commissione non aveva eccepito nulla sulle modalità del blocco", accusano le sigle sindacali che ieri sera sono state ricevute dal governo.
La commissione ha revocato l'autorizzazione allo sciopero - a quanto pare repentinamente - dopo averne per giorni confermato la piena legittimità. Il blocco degli scrutini è consentito in quanto non interrompe l'attività didattica, avrebbe detto ai sindacati il ministero della pubblica istruzione. Anche la commissione di garanzia avrebbe nei giorni scorsi dato il suo assenso. E le adesioni allo sciopero stavano andando a gonfie vele, secondo i Cobas, quando ieri è arrivata la brusca virata del ministero. "Il ministero - sostengono i sindacati autonomi - dopo aver ritenuto per anni legittimo lo sciopero indetto per cinque giorni ha esercitato fortissime pressioni sulla commissione di garanzia per farlo dichiarare illegittimo".
Altro cambiamento di rotta sugli accordi presi tra il ministero e i sindacati riguarda la ritenuta sul salario in caso di sciopero. "Ci avevano assicurato - spiega il portavoce dei Cobas, Piero Bernocchi - che la ritenuta sarebbe stata di un'ora. Oggi veniamo a sapere che ci tratterranno dallo stipendio una giornata intera di lavoro". Il blocco infatti si svolgerà attraverso turni di docenti che uno alla volta sciopererà per un'ora. Ma il consiglio di classe per poter operare deve essere completo. Ecco la motivazione della commissione: un solo docente che manca, anche solo per un'ora, fa venir meno il requisito per poter effettuare gli scrutini, quindi tutta la giornata va in fumo.
Il blocco degli scrutini, che non riguarderà gli studenti dell'ultimo anno, è l'ultima delle tante manifestazioni di disagio messe in atto quest'anno nei confronti della linea politica che il governo ha adottato sulla scuola. I Cobas della scuola, ma non solo loro, protestano contro quella che definiscono la continuazione della "linea berlingueriana" portata avanti dal neoministro dell'istruzione Tullio De Mauro. La riforma voluta dall'ex ministro Luigi Berlinguer, e secondo i sindacati di base accettata in blocco da De Mauro, è infatti al centro delle polemiche fin dai tempi della sua creazione.

RESISTENZA ALLA BELLELI

Ultime battute per la vertenza del gruppo Belleli. La Boi, cioè la cordata di multinazionali che aveva preso in fitto gli impianti della mantovana Belleli, ha dato forfait annullando il programma della "Marine Shuttle", la costruzione di un mega impianto per lo smantellamento e la manutenzione delle piattaforme petrolifere per l'estrazione di gas a grandi profondità marine, dislocate in giro per il mondo. I 1.850 tecnici dell'ex-Belleli annunciano per lunedì un'assemblea generale negli stabilimenti e agguerrite iniziative di lotta.
Stentano a prendere corpo ipotesi di riconversione industriale, persino quelle che archivierebbero know-how e professionalità, abbandonando il segmento di mercato rappresentato dall'off-shore, ove il gruppo Belleli ha vantato posizioni di prestigio internazionale. I tiepidi interessi, mostrati verso gli stabilimenti tarantini dai gruppi Marcegaglia e Fantuzzi, pare che non vadano oltre il salvataggio di circa 500 lavoratori I 1.850 operai restano in cassa integrazione fino al 31 dicembre, poi finiranno nel baratro della mobilità. L'unico blocco di dipendenti assunti dalla Boi - che con l'accordo del 5 maggio scorso, disatteso clamorosamente, s'era impegnata ad assumerne più di 1.000 - rischia di entrare subito in mobilità, se l'incontro con il sottosegretario Raffaele Morese, non produrrà risultati. E allora quei cinquanta, che solo una settimana fa avevano occupato gli stabilimenti, verranno licenziati e gli impianti passeranno nelle mani del curatore fallimentare.
"Una rivolta in città?", grida un tecnico,"Penso proprio di sì. Se l'azienda chiude dovremo ricominciare a lottare, ma non come abbiamo fatto altre volte". Due anni di incertezze, di promesse, di accordi saltati e ora poco più di 1 milione fino a fine anno. E tuttavia l'attesa e i tanti accordi disattesi non sembrano aver fiaccato la voglia di lottare dei lavoratori: "La Belleli è questione nazionale. Daremo il sangue perché l'azienda non chiuda". La decisione sarà presa lunedì in fabbrica.

 

11 Giugno 2000

PER BANKITALIA GLI SCIOPERI SONO TROPPI

Bankitalia registra appena sei milioni di ore, in pratica 20 minuti a testa di sciopero. Niente. E infatti si resta "ai minimi dell'ultimo trentennio". Ma neppure questo basta, pare. Quei miseri 20 minuti a testa sembrano a qualcuno comunque troppi, perché superiori ai minuti del '98. Colpa di una serie di contratti nazionali venuti a scadenza per categorie numerose, come i metalmeccanici e i bancari. Ai solerti scrutatori di istogrammi statistici balza agli occhi quel timido risollevarsi della curva, laggiù, in fondo alla linea più prossima allo "sciopero zero": il sogno di ogni padrone o governante. Di qui l'"allarme" padronale: potrebbe trattarsi di un'"inversione di tendenza", visto che quest'anno ci sono molti importanti accordi da rinnovare e l'inflazione "programmata" guarda sempre più da lontano quella reale. Il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita porteranno sempre più verso la lotta. Il nostro problema, di lavoratori e di avanguardie di lotta, è far fruttare queste lotte, superando la diffidenza e la disillusione generate dai sindacati istituzionali.

 

13 giugno 2000

 

ZANUSSI DI NUOVO MODELLO DI SFRUTTAMENTO

"Chissà se il padrone oggi mi chiama a lavorare?". La domanda, che ai vecchi braccianti agricoli ricorderà il caporalato, potrebbe diventare l'ossessione degli operai della Zanussi. Almeno di una parte di essi, se nel nuovo contratto aziendale passerà il progetto del "job on call", l'ultima trovata del fantasioso signor Castro, deus ex machina della gestione del personale nella fabbrica di elettrodomestici.
La proposta, che sta dividendo verticalmente i sindacati, consiste nel lavoro "su chiamata" di operai assunti a tempo indeterminato ma lasciati a casa "in aspettativa" (e senza stipendio) in attesa di essere convocati - con 48 ore di preavviso - per periodi di lavoro più o meno brevi in relazione ai picchi produttivi che l'azienda si trova ad affrontare. E', in sostanza, il massimo di flessibilità immaginabile, la disponibilità di tutto il tempo di vita alla speranza di lavoro.
La proposta di Castro, inizialmente, non prevedeva alcuna soglia minima di ore lavorative annue garantite per ciascun addetto; poi con una successiva correzione, la Zanussi ha tentato di rendere più accattivante l'ipotesi stabilendo un minimum di 300 ore annue (che corrisponderebbero a un salario lordo annuo di cinque milioni) sulle 1.200 circa dei lavoratori a tempo pieno. Nelle ultime ore è arrivata una nuova correzione che ha innalzato il minimo a 500 ore con l'aggiunta di altre 180 di formazione retribuita su un arco di tre anni. Resta però la sostanza di una proposta che subordina completamente la vita delle persone ai bisogni di mercato - praticamente in "presa diretta" - e che viola ogni logica contrattuale, creando un nuovo istituto. Per non parlare degli ampi margini di discrezionalità - discriminatori in relazione alla fedeltà dimostrata - che questa nuova forma contrattuale permetterebbe all'impresa nella scelta dei "privilegiati" da convocare. E sarebbe, anche, un nuovo meccanismo selettivo in mano all'azienda.
I sindacati confederali si sono divisi, con Fim e Uilm subito disponibili a firmare, mentre la Fiom ha risposto "no". "La proposta aziendale - dice Andrea Castagna, segretario Fiom del Veneto - non è accettabile, nonostante le ultime modifiche apportate. Secondo questa logica il lavoratore dovrebbe restare a casa in attesa di essere convocato e questa è una flessibilità che va oltre il rispondere alle esigenze di produzioni a carattere stagionale. Piuttosto si prenda in esame la possibilità di un part-time ciclico". La Fiom, comunque, non intende abbandonare il tavolo del confronto contrattuale e ieri i sindacalisti delle tre organizzazioni metalmeccaniche hanno passato il pomeriggio alla ricerca di una difficile unità. In pratica, Fiom comunque intende trattare l'infame richiesta padronale. Ora di fronte al padrone ci sono solo i rappresentanti eletti dalla base, le RSU, e i lavoratori stessi che con l'assemblea del 23 giugno dovrebbero poter dire la loro. Allora, gli svenditori sindacali, che alla Zanussi negli ultimi anni hanno fatto grandi danni, firmeranno lo stesso?

 

15 Giugno 2000

 

DALLA OPEL ALLA FIAT

2000 operai dell'Opel di Bochum hanno scioperato contro l'accordo Gm-Fiat, che mette a rischio numerosi posti di lavoro nello stabilimento tedesco. A Torino si terrà una manifestazione di protesta di fronte al Lingotto, contro l'uso che la multinazionale dell'auto sta facendo dei lavoratori in affitto. L'iniziativa è promossa dalla Fiom, dal Nidil-Cgil e dalla Camera del lavoro di Torino: a fine mese inizieranno le espulsioni di 500 giovani lavoratori in affitto, impropriamente ingaggiati per rimpiazzare vuoti d'organico. I sindacati vogliono tenere aperta la vicenda - un programma di reinserimento in fabbrica degli espulsi - e denunciare il carattere sempre più precario del lavoro in affitto.

Lo sciopero delle tute blu tedesche alla Opel segnala la preoccupazione di chi teme di diventare la vittima sacrificale dell'accordo tra la casamadre americana (Gm) e la multinazionale italiana. Checché se ne dica, la flessibilità in Italia è maggiore che in Germania, dove i lavoratori si sentono più tutelati sia da un punto di vista salariale che normativo. Gli operai della Opel, in particolare, sanno che alcuni impianti italiani delle meccaniche lavorano giorno e notte su tre turni (Termoli e Pratola Serra) e i rimanenti potrebbero fare la stessa cosa. In Germania non se ne parla, con il risultato che produrre motori in Italia - con una maggiore saturazione degli impianti - potrebbe essere più competitivo. Perché l'operaio del vicino è sempre più flessibile e risparmioso, vale per gli italiani rispetto ai croati o ai rumeni, vale per i tedeschi rispetto agli italiani.
Questa preoccupazione dei lavoratori tedeschi non va vista in chiave neo-corporativa, perché non sono privilegi ma diritti quelli che gli iscritti alla Ig-Metal cercano di difendere.
Secondo il segretario della Fiom piemontese, Giorgio Cremaschi, "il problema non è tanto il dumping sociale quanto la paura per l'occupazione, messa a rischio da un accordo basato sul risparmio e la riduzione dei costi". Insomma, il problema riguarda le sinergie, e il modo per realizzarle. Al di là del fatto che il lavoro costi più in Germania o in Italia, "l'occupazione dev'essere garantita per tutti".
Ma i motori, alla fine, si costruiranno in Germania, in Italia, o in tutti e due i paesi? Sia Gm che Fiat promettono che gli operai cambieranno colore della tuta, ma alla fine il numero delle tute non diminuirà. Saranno 10 mila gli operai delle meccaniche Fiat a cambiare casacca, e sono quelli impiegati negli stabilimenti di Torino, Termoli, Arese, Verrone, Pratola Serra, più i lavoratori della progettazione (Torino e Arese). Finiranno in un nuovo ramo d'azienda ("Direzione Meccaniche") che sarà mangiato da una delle due joint-venture previste dall'accordo. Sono 500 invece i dipendenti Fiat che subiranno lo stesso slalom per confluire nella seconda joint-venture, quella relativa agli acquisti (componenti e subcomponenti acquistati in grandi numeri, sempre per ridurre i costi generali). A un percorso analogo saranno sottoposti i lavoratori tedeschi della Opel.

 

INTERINALI FIAT

"Siamo gente usa e getta": scrivono la loro "piena solidarietà", ma meglio si potrebbe dire che esprimono la condivisione di una condizione comune, i lavoratori interinali di Torino verso gli oltre 500 ragazzi e ragazze messi al lavoro in affitto dalla Fiat auto, che ora ha deciso di buttarli fuori.

Davanti al Salone dell'auto al Lingotto c'è la manifestazione promossa dalla Fiom, dalla Camera del lavoro di Torino, e dal Nidil-Cgil contro la decisione di non rinnovare i contratti a termine dei ragazzi interinali Fiat.
Una decisione che ha smosso i lavoratori di Mirafiori, portato a assemblee e discussioni. "Prima - racconta Claudio Stacchini, segretario della V Lega - l'atteggiamento verso questi ragazzi era duplice: c'era magari il delegato o il lavoratore anziano che gli parlava perché, poverini, erano spremuti come limoni; e c'erano altri che si chiedevano con rabbia 'ma perché abbassano la testa di fronte a ogni abuso?'". Quando si è saputo che "li mettevano fuori", è scattata la reazione. Molti ragazzi sono rimasti in fabbrica una decina di mesi e più, fianco a fianco con gli altri operai, sicchè "improvvisamente, molti si vedono portar via il compagno di lavoro, e non gli va giù". Da qui sono nate le assemblee e l'embrione di un sentire comune, nonché le critiche al sindacato per una condizione che si sta facendo sempre più pesante e incerta per tutti.
Ma c'è anche l'improvviso annuncio dato dalla dirigenza Fiat durante la trattativa con i sindacati, mercoledì: "sarà prolungata la cassa integrazione alle meccaniche". La notizia è arrivata veloce in fabbrica, nel pomeriggio, ed è iniziato lo sciopero, battistrada 300 lavoratori, sfociato in un corteo interno per tutte le meccaniche.
Dopo sei assemblee con i lavoratori interinali, racconta Ornella Banti, dirigente del Nidil-Cgil di Torino: "ci siamo trovati di fronte alla loro angoscia e insieme alla rassegnazione con cui si proiettavano in un eterno presente di 'gente usa e getta'".

Secondo il sindacato si deve aprire una trattative con le agenzie, per una flessibilità 'regolata', ancora il gioco di arretramento rispetto ai diritti e poi il tentativo di difendere la posizione più arretrata in cui si è scivolati!

 

17 Giugno 2000

SUSSIDI, REDDITI SOCIALI E DIRITTI... l'EUROPA DEI PADRONI

Svolta all'inglese nel sistema sociale francese: dopo cento giorni di trattative, il padronato (Medef) ha strappato l'accordo di tre sindacati (Cfdt, Cdt e Cgc) su cinque (decisamente contrari Cgt e Fo) per la nuova organizzazione del sussidio di disoccupazione. Per Cgt e Fo è "la fine di un'epoca: il vecchio diritto al sussidio di disoccupazione, istituito nel '58, sarebbe morto, sostituito dal PARE (Piano di aiuto a ritrovare un impiego), che non è più un diritto ma un contratto. Difatti, il lavoratore disoccupato sarà chiamato a sottoscrivere un impegno: in cambio del sussidio, ogni disoccupato dovrà firmare un contratto personale, molto dettagliato, che prevede precise misure di accompagnamento per ritrovare un lavoro. Se, dopo sei mesi, il disoccupato non avrà dimostrato di essersi impegnato "in modo attivo" a cercare un lavoro e se avrà rifiutato le offerte fattegli nell'ambito del Pare, sarà punito: prima una lettera di ammonizione, poi la soppressione progressiva, per tranches del 20% dell'ammontare della cifra, del sussidio di disoccupazione. La controffensiva del Medef è molto forte in Francia in questo periodo; si è trasformato nella sola opposizione al governo Jospin e ieri ha ottenuto una importante vittoria. Per misurare l'ampiezza della controffensiva padronale basti pensare che il Medef nell'ultimo mese si è persino messo a corteggiare gli intellettuali, con inviti a cena e tavole rotonde. Un ex militante della Gauche proletarienne, allievo di Foucault, collabora attivamente con l'ideologo del Medef, il vice-presidente Denis Kessler, per costruire ideologicamente la "rifondazione sociale" all'inglese.

In Italia il pesante e previsto attacco contro i diritti dei lavoratori arriva dai DS, ossia dal governo, dopo che il tentativo referendario è stato respinto. Il responsabile economico dei DS, Morando, insiste: la ricetta sul part time è buona. Il tentativo di giustificare fa più chiarezza sulle intenzioni dei Ds di abolire lo Statuto dei lavoratori "per le imprese sotto i 15 dipendenti che intendono crescere". Una uscita clamorosa, a nemmeno un mese dai referendum, nei quali i Ds si sono impegnati per il No al quesito radicale sui licenziamenti che intendeva manomettere proprio lo Statuto. E' chiaro che quel No aveva solo valore demagogico e doveva servire a gettare fumo negli occhi della classe operaia.

Morando specifica così: se le piccole imprese per ingrandirsi assumono lavoratori part time, questi lavoratori non saranno "contati" nel numero dei dipendenti, permettendo così alle suddette aziende di figurare sempre "entro i 15", e dunque di non applicare lo Statuto dei lavoratori. L'approdo della proposta, da presentarsi al governo, sarebbe l'inserimento veloce nel Documento di programmazione economica.
Così, per eludere lo Statuto, si potrebbero mettere in piedi anche aziende piccolissime (il 90% delle aziende italiane è già sotto i 9 addetti), con magari due dipendenti e 300 lavoratori part time. Quanto ai padroni, sorridono, e ai Ds rispondono: bravini, sì, ma dovete sforzarvi di più. "Qualcosa si muove, ma è ancora troppo poco", commenta il presidente della Confindustria D'Amato. E i padroni delle piccole imprese Confapi: "E' una boccata d'ossigeno, ma insufficiente".

Tutto questo, dopo che l'Inghilterra aveva già abolito ogni sussidio e la Germania lo ha pesantemente ritoccato, indica che la strada che anche da noi alcuni vorrebbero proporre di sussidi, redditi di cittadinanza e salari minimi, mal si adatta al percorso del capitale. E' una strategia difensiva che non tiene conto dei rapporti di forza - il capitale e la borghesia al potere - e delle condizioni economiche - la crisi capitalistica sempre più accentuata - e quindi può solo essere una dichiarazione di intenti. Non si tratta, però, di respingere certe tesi solo perchè "riformiste", in nome di più puri programmi rivoluzionari, che in questo momento scarseggiano. Si tratta di fare una critica politica ed economica a tesi che fanno deviare l'attenzione delle masse proletarie verso obiettivi "non compatibili" con l'attuale fase capitalistica, e nello stesso tempo però inquadrati in questa società, non quindi frutto di una rottura e trasformazione. In sostanza, gli stessi padroni che in Francia attaccano quei diritti sociali che qui in Italia i loro omologhi negano; gli stessi centrosinistri che da noi attaccano i diritti dei lavoratori dovrebbero, in base a non ben definite ragioni economiche - a loro chiaramente sfavorevoli! - acconsentire ad una ridistribuzione del profitto in forma di reddito garantito (nelle varie forme). Non è forse evidente a tutti che non è questa l'intenzione della borghesia? E con quali forze, allora, gli estensori di proposte tanto "appetibili" intendono far valere queste richieste? Sono domande che ormai da anni restano senza risposte da parte dei favorevoli a queste riforme del capitalismo!

 

20 Giugno 2000

BASI USA, CGIL FUORI LEGGE

Sono trascorsi più di 50 anni dalla fine della 2 guerra mondiale e dall'inizio della guerra fredda, 11 anni dalla caduta del muro di Berlino. Nel frattempo, un ex comunista divenuto presidente del consiglio ha dato prova di fedeltà atlantica. Degna dei democristiani del tempo che furono, a sostegno della grande mistificazione finto-umanitaria consumatasi tra bombe e bombardieri nella ex Jugoslavia. Ma c'è un punto sul quale l'orgolio della storia si è fermato: il diritto per i lavoratori italiani dipendenti diretti dell'amministrazione Usa e impiegati nelle attività non strettamente militari delle basi in Italia alla libertà d'associazione. Permane per noi il divieto - assurdo, anacronistico, lesivo dei più elementari principi di libertà - d'iscrizione alla Cgil, mentre nelle basi avanzano giganteschi processi di ristrutturazione, fatti d'esternalizzazione, appalti, precarizzazione, esuberi non tutti tutelati dalla legge che ne prevede il passaggio all'amministrazione pubblica italiana. Cisl e Uil, le uniche Oo.Ss. riconosciute, sguazzano in questo monopolio in una logica cogestiva e subalterna e niente fanno per affermare un principio fondamentale di libertà e pluralismo. La stessa Cgil, che pure ha assunto nella persona del suo segretario generale l'impegno a battersi per rimuovere la discriminazione, continua a balbettare e non dispiega tutta la sua forza per denunciare, sensibilizzare opinione pubblica e forze politiche e assumere iniziative di conflitto con le autorità Usa. Lanciamo un appello al governo, alle forze politiche e sociali democratiche, al movimento sindacale, all'opinione pubblica per la creazione di un grande movimento a difesa di un principio elementare di libertà riconosciuto a tutti i lavoratori che vivono in qualsiasi paese libero e democratico: la libertà d'associazione sindacale e di organizzazione delle iniziative a tutela delle condizioni di vita e di lavoro.
Lavoratori Us Navy, Napoli

 

21 Giugno 2000

 

TRAFFICO DI MANODOPERA A LUCCA

Inutile cercare il numero sull'elenco del telefono: era l'unico ufficio di collocamento che non aveva bisogno di pubblicità, gli imprenditori edili lo conoscevano bene. Chiamavano ogni volta che avevano bisogno di manodopera qualificata, disponibile a lavorare in nero e senza assicurazione. Anche in gruppo. La richiesta veniva girata agli interessati, e l'affare era fatto. L'ufficio era nel centro di Lucca. I finanzieri hanno scoperto una "anagrafe", con oltre 5.500 nomi di prestatori d'opera di diverse regioni italiane, specialmente del sud: muratori, elettricisti, impiantisti, manutentori. Operai specializzati "dismessi" dalle grandi aziende del sud.
L'evasione accertata si aggira per il momento sui 22 miliardi, ma sono stati controllati solo un migliaio dei 5.500 nomi nell'elenco.
I risultati di una inchiesta del ministero del lavoro in Toscana sono stati i seguenti: su 140 aziende operanti nel settore edile, 129 sono state trovate non in regola sul fronte delle leggi antinfortunistiche e contrattuali. Su 654 lavoratori contattati dagli ispettori, solo il 58% è risultato regolarmente assunto, mentre i restanti 274 operai lavoravano senza contratto. E a lavorare in nero non sono solo gli stranieri.
Nello specifico settore edile, l'incidenza di imprese irregolari è stata dell'86%, pari a 50 casi su 58 ispezioni complessive. Un dato che ha superato anche le già negative rilevazioni fatte in precedenza dai sindacati. Su quindici giovani al di sotto dei 18 anni, soltanto in due casi c'era un'assunzione regolare.

 

24 Giugno 2000

 

LA GM ANNUNCIA ESUBERI ALLA FIAT E ALLA OPEL

Questa volta, mister Richard Wagoner non ha usato mezze parole: "Non ci sarà una riduzione drammatica del numero dei dipendenti, né alla Fiat né alla Opel". Dal punto di vista del numero uno della General Motors, intervistato dal quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung, questa affermazione dovrebbe essere rassicurante per i lavoratori italiani e tedeschi oggetto dell'accordo Fiat-Gm. Al contrario, per la prima volta dalla festa di fidanzamento, i massimi livelli di responsabilità cominciano ad ammettere che un effetto dell'accordo sarà la riduzione dell'organico. Joint-venture (sono due quelle previste e che saranno rese pubbliche ufficialmente a metà luglio) vuol dire sinergie, sinergie uguale risparmi. E dove volete che pensino di risparmiare, General Motors e Fiat? Solo sulle spese, grazie agli acquisti in comune di componenti? O sulla produzione di scala di motori e cambi? O anche sulla forza lavoro? Wagoner sembra determinato, con le dichiarazioni, a tagliare da tutte le parti. Naturalmente, in modo "non drammatico".
Il secondo aspetto "preoccupante" delle dichiarazioni di Wagoner riguarda proprio i motori: "I volumi dei motori diesel sono molto più bassi di quelli a benzina, e l'eventuale aumento della produzione dei primi non compenserà certamente la riduzione della produzione di motori a benzina. Sicuramente a breve termine sentiremo parlare di esuberi, a meno di chissà quale, altamente improbabile, boom del mercato dell'auto".
Come risponde la direzione Fiat, dopo aver sostenuto fin dal primo giorno che l'accordo non avrebbe sortito effetti negativi sull'occupazione? "Confermiamo, l'accordo non determina riduzioni dell'organico. L'obiettivo è aumentare le vendite e dunque la produzione. Per dirlo in termini matematici, vorremmo che 2+2 facesse 4,5, e non 3,5. E attenzione alle traduzioni", dall'inglese al tedesco e dal tedesco all'italiano delle parole di Wagoner, suggeriscono ai piani alti del Lingotto. E dei motori, cosa dice la Fiat? Che nulla è ancora determinato, che "non è detto che a fare i motori a benzina saranno solo i tedeschi, così come è difficile che i tedeschi si faranno portar via la produzione dei diesel".
Morale, i prossimi mesi faranno pulizia di ogni interpretazione. Certo è che le parole del numero uno della General Motors pesano come piombo.

 

ZANUSSI, UN NUOVO NETTO NO AL LAVORO A CHIAMATA

Dopo il voto delle Rsu (che ha visto i delegati dividersi tra una proposta emendataria e un'altra di rifiuto netto delle proposte aziendali, con il prevalere dei primi sui secondi, 80 a 58), la Fiom ribadisce la sua posizione sulla vertenza aziendale Zanussi e chiede la riapertura a tutto campo del confronto con l'azienda. I metalmeccanici della Cgil hanno riunito il loro comitato centrale proprio sul caso Zanussi, su quel "lavoro a chiamata" che li ha visti dividersi nettamente dalle posizioni di Fim e Uilm, disponibili a firmare l'intesa. Il documento conclusivo dell'organismo dirigente della Fiom non lascia dubbi quando, condividendo il comportamento della propria delegazione al tavolo di trattativa, ricorda che "il contratto nazionale ha definito con chiarezza le materie che si riferiscono ai rapporti di lavoro, alle caratteristiche dei premi di risultato, a quelle della flessibilità stagionale, a quelle della banca ore. (...) Ciò significa che tali istituti non possono essere manipolati, né tantomeno destrutturati, in questo senso non sono disponibili nella contrattazione aziendale". In altre parole la Fiom ribadisce di non essere disponibile a firmare accordi aziendali che prevedano la deregolamentazione del rapporto di lavoro e che gli stessi emendamenti proposti da una parte delle Rsu Zanussi non sono sufficienti a giustificare la propria firma a un testo che interviene proprio su tutti gli istituti regolamentati dal contratto nazionale. Per questo la trattativa con l'azienda va ripresa praticamente dall'inizio - dalla piattaforma sindacale unitaria approvata dall'80% dei lavoratori; e per questo il referendum finale tra tutti i dipendenti Zanussi sarà comunque dirimente. Ora la parola passa all'azienda che dovrà chiarire la sua disponibilità a ridiscutere tutto; in caso contrario rimane ancora in piedi il rischio di un accordo separato.
In questi giorni si stanno svolgendo le assemblee di stabilimento.

ILVA: INCRIMINATO IL RESPONSABILE DEL PERSONALE

L'inchiesta, nata su esposto dello slai cobas Nuova Siet - Ilva, e sviluppata nel corso di questi mesi all'interno di una continua mobilitazione del cobas, con presidi alla Direzione Ilva, manifestazioni al Tribunale, assemblee, ecc., ha inquisito, venerdì 16 giugno, uno dei massimi dirigenti dell'ILVA di Riva, Biagiotti; sono stati sequestrati i documenti dalla polizia giudiziaria. Il reato é 'estorsione' ai danni di 319 operai. E' la prima volta che uno dei più alti vertici dell'Ilva viene incriminato, e questo è stato possibile solo per la presenza dello slai cobas. Si dimostra che Riva non è quel gigante intoccabile che gli stessi sindacati confederali hanno contribuito a costruire. Se si lotta coerentemente, se si sta con il cobas, il "gigante" può essere con i piedi d'argilla.
Ma lo slai cobas non si ferma certo qui, vogliamo sul banco degli imputati i segretari provinciali e i delgati rsu di FIM/FIOM/UILM scandalosi complici di questa sporca vicenda ai danni dei lavoratori, per questo i lavoratori stanno firmando in massa un nuovo esposto che consegneremo a luglio in tribunale. Pubblichiamo di seguito stralci dell'esposto che ha dato avvio all'inchiesta e stralci del nuovo esposto contro i vertici sindacali.
"...Il 28 febbraio del 1999 sono cessati i contratti con l'Ilva anche alla NUOVA SIET, e di conseguenza il personale (319 dipendenti) sono stati tutti licenziati in applicazione della Legge 223/91 art. 4 e 24. Ma in realtà il lavoro svolto prima dalla Nuova Siet non è cessato! L'ILVA è subentrata nelle attività produttive gestite fino al 28/2/99 dalla NUOVA SIET nello stabilimento siderurgico, acquistando tutte le attrezzature, i mezzi e l'intero sistema produttivo della Nuova Siet, il tutto in maniera occulta e non trasparente, senza che venissero assunti a pari condizioni e a tempo indeterminato i lavoratori della Nuova Siet. In questo modo si sono voluti aggirare in maniera evidente leggi, l'art. 2112 del codice civile sulla 'cessione d'azienda', precedenti contratti e accordi sindacali garantisti, compreso accordi aziendali come quello del giugno '97 in cui i lavoratori avevano subito un accordo salariale riduttivo in cambio del mantenimento occupazionale, con un'operazione dannosa per lo Stato, la società e i lavoratori. Questa operazione è stata avallata da organi istituzionali di controllo, e dalle OO.SS. Confederali in forme così eclatanti, da configurare un'attitudine di collusione per interessi privati. Mai fino alla vicenda Nuova Siet si erano viste le segreterie sindacali affrontare un licenziamento di ben 319 lavoratori con solo poche ore di sciopero, mai si erano viste così impegnate a dissuadere i lavoratori a fare iniziative di lotta a sostegno della trattativa, mai così impegnate a mandare a casa i lavoratori prima che si concludesse un qualsiasi accordo, ad accettare che in mancanza di accordo l'Ilva procedesse a chiamare i lavoratori al lavoro alle sue condizioni. PER QUESTO LA VICENDA NUOVA SIET COSTITUISCE UN PERICOLOSO PRECEDENTE PER TUTTE LE DITTE. L'ILVA, d'altra parte, da un lato, ha cominciato ad assumere parte dei lavoratori ex Nuova Siet in mobilità, con contratti a tempo determinato, e inquadrando al 2° liv.operai fino ad allora inquadrati nel 5° e nel 6° liv., cancellando così d'un colpo diritti ormai acquisiti dopo 30 anni di duro lavoro, e soprattutto in palese violazione delle disposizioni della Legge 223/91; dall'altro lato, dopo aver sentito le rappresentanze sindacali e con queste aver concordato un nuovo disegno, oscuro e nebuloso, ha convocato nei giorni scorsi i dipendenti ex Nuova Siet presso la Direzione Ilva, e, ben cosciente di aver portato allo stremo economico, fisico, psicologico tali operai, in violazione di norme non solo giuridiche, ma umane e civili, ha imposto in un clima di ricatto/costrizione ai limiti dell'estorsione e del terrorismo psicologico, cercando di "prendere per fame" i lavoratori, di accettare l'"offerta" di £.650000, comprensiva del passaggio al 3° liv., ma permanendo per tutta la durata della mobilità a tempo determinato, in cambio di una firma transattiva e liberatoria, che svincola l'Ilva da eventuali giudizi della Magistratura in merito. Dicendo che solo a condizione di tale rinuncia si viene richiamati al lavoro, altrimenti si resta in mobilità o si viene definitivamente scartati..."
Tutto ciò avvenuto in violazione della legge ha di fatto provocato danni ai lavoratori nel loro insieme e alla collettività in generale e può configurarsi come reato.

SLAI COBAS ILVA - TARANTO
per il sindacato di classe
telefax 099/4792086
e-mail: cobasta@yahoo.com

 

27 giugno 2000

 

ALCUNI DATI SUL LAVORO

Secondo i dati trimestrali Istat riferiti allo scorso aprile, in Italia continuano a crescere gli occupati (+0,6% rispetto allo scorso gennaio) mentre, parallelamente, diminuisce il tasso di disoccupazione (dall'11,1% di gennaio, all'attuale 10,7). Il risultato è dovuto però in buona parte ai lavori cosiddetti "atipici", ovvero di carattere temporaneo e part time. Rallenta sempre di più, invece, la crescita dei posti a tempo indeterminato e full time. L'aumento degli occupati dello 0,6% rispetto al gennaio scorso, corrisponde a 133 mila unità in più. La crescita si è registrata soprattutto nel terziario (+1,2%) e, in misura minore, nelle costruzioni (+0,3%). Agricoltura e industria, invece, registrano dei dati negativi: -1,1% e -0,3% rispetto a gennaio, e -2% e -1% rispetto all'aprile dello scorso anno. Secondo Eurostat l'Italia nel settore industriale è in netta controtendenza rispetto alla media europea: registrano (rilevamenti aprile 2000, sul mese precedente) un +0,6% e un +0,7%, rispettivamente, la produzione industriale dei 15 paesi Ue e degli 11 dell'area euro, mentre per il nostro paese risulta un -0,9%.
Cresce quindi il settore del nuovo precariato, ovvero il popolo dei contratti a termine e part time. Un aumento a ritmo sostenuto, con 202 mila posti in più, al netto delle sovrapposizioni, nel raffronto tendenziale con l'aprile '99. Crescono, invece, più lentamente i lavori dipendenti a tempo indeterminato full time: soltanto 50 mila posti in più, con la timida crescita di un +0,4%. All'interno dei lavori atipici, il mercato favorisce il part time rispetto al contratto a termine. L'incidenza del lavoro temporaneo tra gli occupati dipendenti è infatti passata dal 9,8% dell'aprile '99, al 10,1% attuale, guadagnando solo 0,3 punti. Il part time invece vola alto, e guadagna un punto, passando da un'incidenza dell'8,2% (aprile '99) a quella attuale, del 9,2%.
L'occupazione femminile ha mostrato in aprile un incremento su base annua del 2,8% (pari a +209 mila unità), mentre quella maschile ha registrato un +0,8%. Cala anche la disoccupazione giovanile, che passa dal 32,9% dell'aprile '99, a un (altrettanto alto) 31,5%. Le zone favorite, il centro e il sud. La disoccupazione, in un anno, è scesa nel nord-ovest dal 6,2% al 5,5%; nel nord-est dal 4,8% al 4,2%; nel centro dal 10% all'8,8%; nel mezzogiorno c'è stato un calo di quasi un punto: dal 21,9% al 21.
Naturalmente il governo definisce "eccezionali" i dati dell'Istat. I lavori atipici crescono ed è ciò su cui noi puntano padroni e governo. A dare man forte a Salvi è intervenuto il ministro del tesoro Visco, che ha previsto "entro una decina d'anni la piena occupazione, che significa risolvere il problema sud". La piena occupazione, ha spiegato, include un tasso "fisiologico" di disoccupati intorno al 4-5%. Il leader ds, Walter Veltroni, afferma che "da quando il centrosinistra ha preso in mano le redini del governo, nell'aprile'96, l'occupazione è aumentata di 850 mila unità". A premere sul pedale dell'acceleratore della precarizzazione del lavoro è il capo-economista dell'Ocse, Ignazio Visco: "i lavoratori italiani sono troppo protetti". La sua ricetta è quella di velocizzare i meccanismi di apertura e chiusura delle aziende, quando "le condizioni di costo si fanno complicate". Insomma, non dobbiamo abbassare la guardia e soprattutto occorre schierarsi sempre più decisamente contro governo padroni e sindacati di regime che sostengono il depauperamento materiale e ideologico del proletariato.

 

SCENDE IN ITALIA L'OCCUPAZIONE NELLE GRANDI INDUSTRIE

L'occupazione nelle grandi imprese è in calo. Le cifre parlano chiaro: le imprese industriali con più di 500 dipendenti perdono, in termini di occupazione, 0,1 punti a marzo (esclusi i lavoratori in cassa integrazione), mentre nell'anno la perdita arriva a un -1,6%. Lasciando perdere per un attimo le percentuali quei numeri vogliono dire 16 mila posti di lavoro in meno.
Gli occupati in meno risultano 17.100, se si tiene conto del calo, più contenuto, che si è avuto nelle grandi imprese di servizi. Nell'anno perdono uno 0,1%, ovvero "soltanto" 1100 posti di lavoro, una situazione che è comunque meno grave rispetto a quella di febbraio e gennaio 2000, quando la perdita fu di 4400 unità. Nei servizi l'occupazione diminuisce soprattutto nel settore dei trasporti, del magazzinaggio e delle comunicazioni (-2,8%), mentre guadagna sostanziosamente negli alberghi e ristoranti (+10,3%). Tra i settori che hanno totalizzato le maggiori perdite occupazionali, c'è quello della produzione di energia elettrica, gas e acqua, che a marzo chiudono con un -6,5%, e quello delle imprese alimentari, delle bevande e del tabacco (-3,7%).
Secondo Visco "le grandi imprese ovviamente riducono perché si sta ristrutturando l'economia. E' del tutto ovvio".
Per finire, l'Istat getta uno sguardo alle retribuzioni lorde medie, che nell'industria sono in aumento del 2,3% su base annua. Un dato che risulta più basso dell'aumento dei prezzi al consumo, che in marzo registravano un +2,5%. Contemporaneamente, il costo del lavoro è aumentato del 3%. Nel settore dei servizi, le retribuzioni a marzo sono cresciute del 2,8%, mentre il costo del lavoro del 2,4%.

 

 

28 Giugno 2000

 

LA TELECOM LICENZIA ALLA BORDONI 150 RICERCATORI, TECNICI E AMMINISTRATIVI

Il CdA della Fondazione Bordoni si è riunito ieri pomeriggio per una seduta che si immaginava lunga ma che è stata addirittura aggiornata al 18 luglio per eccesso di argomenti in discussione. Colpa dei rappresentanti di Telecom che, avendo perso il lodo arbitrale nella vertenza che l'opponeva alla fondazione (con relativa condanna a versare 18 miliardi nelle sue casse), apriva la riunione chiedendo al presidente Amoruso di farsi promotore di una proposta di accomodamento al ribasso. Una provocazione, ma indicativa del clima. A fine riunione, però, era comunque chiaro che la fondazione così com'è non sopravviverà. Il contrasto del risultato del lodo porterà meno soldi in cassa, e anche la prospettiva di "resistenza" diventa così più breve. Partiranno dunque numerosi licenziamenti e la "Nuova Bordoni", se nascerà, potrà contare su convenzioni per circa 6 milardi annui; 30-40 dipendenti, cioè.
La vertenza va avanti ormai da quattro mesi. 150 tra ricercatori e personale amministrativo di uno degli istituti di ricerca più prestigiosi e indipendenti del paese sono a un passo dal licenziamento. La fondazione, finora, è stata un'organizzazione "senza fini di lucro", istituita nel '52 per promuovere la "ricerca scientifica teorica e applicata nel campo delle telecomunicazioni, dell'informatica e dell'elettronica". Fin qui il ministero delle Comunicazioni è stato tutore della fondazione, che veniva finanziata con l'1 per 1000 del fatturato della fonia Telecom; dallo stato, insomma. La Bordoni si è così conquistata una solida fama di istituto "super partes", per imparzialità nella ricerca.
Telecom, però, non è più un'azienda a partecipazione statale, bensì una "privatizzata" tra le più aggressive protagoniste del mercato delle tlc. E una fondazione, autorevole ma indipendente, non le serve proprio. E così ha denunciato unilateralmente la convenzione con la Bordoni, annullando i 25-30 miliardi che era tenuta a versare annualmente. Ne voleva addirittura indietro qualcuno, ma nel lodo arbitrale ha avuto torto.
Per scongiurare la chiusura dell'istituto è stata portata avanti una trattativa col ministro delle Comunicazioni, Salvatore Cardinale da Mussomeli. Da cui però sono stati esclusi i dipendenti della fondazione e la Rsu che li rappresenta. Ne è uscita fuori un proposta di trasformazione che equivale allo smantellamento. Sei società entrerebbero come soci con contributi volontari: il contributo statale, che pure dovrebbe esserci, non è indicato né quantificato da nessuna parte. Uno dei punti del nuovo statuto prevede che la fondazione possa essere impegnata in ricerche a favore dei soci, per un importo massimo del 40% del contributo versato. Un passaggio che riduce la prestigiosa fondazione "super partes" a commissionaria per conto dei "controllori", con ovvia perdita di credito. Nel più completo silenzio di quelli che dovrebbero essere i diretti interessati (Cgil, Cisl e Uil dal lato sindacale; il ministero della Ricerca scientifica, su quello della salvaguardia di un patrimonio scientifico in settori tecnologici d'avanguardia) si va disegnando l'ennesimo sconcio sull'altare delle "privatizzazioni".

CAMBOGIA: La polizia spara agli operai

Le proteste di migliaia di lavoratori cambogiani dell'abbigliamento sono state interrotte dalla violenza delle forze di polizia e a causa della mancanza di viveri. Gli operai stavano manifestando dalla scorsa settimana per ottenere dai padroni delle aziende un salario di 70 dollari al mese: attualmente il loro stipendio medio si aggira intorno ai 40. Si erano mossi da oltre 20 fabbriche per convincere i colleghi a manifestare con loro. Ma la polizia ha sparato sulla folla. Per ora si ha notizia di una lavoratrice ferita. Il capo di uno dei sindacati, Chea Vichea, ha detto che gli operai non si sono arresi e che torneranno comunque a scioperare, dato che i padroni sarebbero disposti a concedere un aumento di soli 6 dollari al mese. Tra il '96 e il '97, secondo Vichea, i lavoratori stavano per ottenere uno stipendio di 60 dollari, ma un accordo segreto col governo avrebbe disposto che nelle tasche degli operai arrivassero solo 40 dollari, destinando gli altri 20 allo stesso governo.

 

29 Giugno 2000

 

LAVORO AL TELEFONO

Una navata lunghissima e luminosa con 160 postazioni: grandi tavoli su cui sono disposti un telefono con cuffia e un computer con monitor a 21 pollici, buona insonorizzazione, colori riposanti nella gamma dei verdi, poltrone che sostengono con morbidezza, distributore gratuito di bibite, temperatura giusta, non un pezzetto di carta per terra. Il call center milanese di Infostrada - siamo nella Torre C del complesso ex Olivetti, in fondo a via Lorenteggio - tradisce le attese. Non è la bolgia vociante che immaginavamo. Le cose cambiano in fretta nelle tlc e siamo arrivati in ritardo: il grosso delle richieste dei clienti "domestici", che usano il numero verde 155, ormai vengono smistate ai call center di Ivrea e Pozzuoli. A Milano è rimasto il 156, l'area business di chi si abbona a Infostrada per lavorare. Gli operatori, che a Milano un anno fa erano più di 500, sono scesi a 200. Prima lezione: nulla è più facilmente traslocabile di un call center.
Ogni operatore risponde mediamente a una decina di chiamate all'ora. Ma molti, nel corso della nostra visita, restano in attesa di chiamate, senza poter far niente. "Non si può navigare e neppure sbirciare il giornale". La noia è l'altra faccia di un lavoro che prima, invece, era spasmodico, "una telefonata via l'altra". C'è chi qualche volta tira fuori il libro per studiare, "dipende da come gli gira al team leader", il "capo" che interviene a dare "assistenza" quando il cliente pone problemi che l'operatore non riesce a risolvere. E assistendo, ovviamente, controlla e valuta rendimento e capacità degli operatori. Controlli proditori, ascoltando di nascosto le telefonate, non ne facciamo, garantisce Campagnola. "Gira voce, ma non si è mai capito se è vera, che l'azienda faccia finte telefonate, per verificare come risponde l'operatore".
Gli operatori che fanno 8 ore al giorno per 5 giorni la settimana guadagnano sul milione e 600 mila al mese; quelli che lavorano 5 ore (una minoranza, attualmente) prendono un milione e 200 mila. Diversamente dagli altri call center che sono attivi 24 ore su 24, quello di Milano funziona dalle 8 alla 23 e riposa di domenica. Ogni due ore l'operatore ha diritto a 15 minuti di pausa, mezzora per la mensa. Per chi lavora 5 ore e non può andare in mensa è stata allestita una cucinetta, con il forno a micro-onde.

I&T: UN INFERNO PER 60 GIOVANI

La new economy fa lavorare la gente in cantina: almeno alla I&T (Internet and Telecommunications) in via Ariberto 3 a Milano. Il Comitato contro la precarizzazione di via dei Transiti ha fatto un presidio di protesta.
La I&T - di Virgilio De Giovanni, noto come "il Berlusconi dei poveri" - è una casa editrice (pubblica il mensile Millionaire Intraprendere e il settimanale Borsa & Finanza) e una rete di marketing multilevel. Trattasi, in parole povere, di un'organizzazione piramidale. Il venditore (advisor) comincia comprando per sé prodotti e servizi distribuiti dalla I&T, quindi aggancia amici e conoscenti che a loro volta ne agganceranno altri. Chi sta sopra alla piramide intasca provvigioni a scalare su quelli che stanno sotto. Gli advisor sono circa 30 mila, i loro pittoreschi meeting attorno al carismatico De Giovanni sono finiti sui giornali. I primissimi advisor si mettono in tasca anche 200 milioni al mese, gli ultimissimi magari neppure una lira. Cosa vende I&T? Abbonamenti a Infostrada, un servizio di home banking della Banca popolare di Milano, il Web decoder Freedomland (una consolle che si attacca alla tv e permette di collegarsi con Internet). Freedomland è della I&T ed è quotata in borsa.
La cantina è in auge dal '98. Quanto al ricorso al lavoro interinale e alle cooperative, la giustificazione è quella di tutte le aziende. "Quando ci sono picchi d'attività dobbiamo gestirli appoggiandoci alle cooperative, non possiamo permetterci di assumere in pianta stabile queste persone". Le cifre non tornano. Secondo I&T, lo scantinato è di 250 metri quadri e ci stanno una quarantina di persone; al presidio dicono che i metri sono 120 e i lavoratori una sessantina. Passa un advisor, la spilletta I&T all'occhiello, si informa su quel che succede e se ne va beato perché la cosa non intacca i suoi dividendi.

 

30 Giugno 2000

 

DUMPING CONTRATTUALE PER I TELEFONICI

Firmato il contratto di settore per la new economy da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil. Riguarda - per ora in teoria - i 300 mila addetti delle aziende della telefonia fissa e mobile e del net-working. E' sicuramente un passo avanti mettere in un unico contenitore lavoratori fin qui coperti da contratti di categoria diversi o privi di contratto. E' un passo indietro se si confrontano le condizioni pattuite con quelle vigenti in alcune aziende.
Il caso più macroscopico è quello della Telecom, che con i suoi 90 mila dipendenti costituisce un terzo del settore delle telecomunicazioni. I lavoratori Telecom già in servizio manterranno le condizioni di miglior favore, "nessuno ci rimetterà una lira", assicura Walter Cerfeda, che ha sottoscritto il contratto di settore per la Cgil. Ma i nuovi assunti non erediteranno nulla del passato Telecom. E questo spiega perché la Telecom, penalizzata dalla concorrenza delle nuove aziende nate con la fine del monopolio telefonico, premeva tanto per il contratto unico. "Così non si potrà più fare dumping sociale", afferma Cerfeda. Anche questo è vero, ma con una qualche riserva. Al dumping sociale potrebbe subentrare il dumping contrattuale. Valga l'esempio di Infostrada e Omnitel, aziende che fin qui hanno applicato il contratto dei metalmeccanici. All'Omnitel è in corso una trattativa sugli orari e l'azienda prima ancora che il contratto unico per le tlc fosse firmato l'ha usato per mettere i sindacati metalmeccanici con le spalle al muro.
Il contratto unico prevede un aumento salariale medio di 80 mila lire per il prossimo biennio, al quale va aggiunto il premio di risultato da contrattare a livello aziendale. Aumento rispetto a cosa? Rispetto al salario medio calcolato tra i vari minimi vigenti nel settore. La ciccia (per le aziende) del contratto è la flessibilità. Si introduce la flessibilità tempestiva (cambiamenti d'orario comunicati con sole 48 ore di preavviso, praticati anche senza accordo sindacale). I contratti atipici (a tempo determinato e interinali) potranno raggiungere il 31% degli addetti nelle aziende del Centro Nord e il 35% in quelle del Sud. Possibilità di part time anche solo serale e del 100% di straordinario per i lavoratori a part time. Secondo i Confederali "in queste aziende la flessibilità già c'è" quindi loro si sarebbero limitati a "regolarla"!

La flessibilità richiesta nel settore delle tlc, dell'e-commerce, di Internet è diversa da quella che occorre "per produrre un bullone". Questo contratto è "un abito nuovo, più aderente alle esigenze del settore, sia a quelle dei lavoratori che delle imprese". Non lo si può "comparare" con i contratti tradizionali, insiste Cerfeda, e non lo si può neppure "esportare".
Secondo Ferrara, segretario della Fiom nazionale non c'è "questo punto d'equilibrio, quindi il contratto del settore tlc è più vantaggioso per le aziende".
Confindustria da una parte e Cgil, Cisl e Uil dall'altra restano titolari del contratto delle tlc per quattro anni. Per "gestire" il contratto, Confindustria dovrà costituire una propria categoria datoriale; la Cgil già ce l'ha ed è la Slc, il sindacato dei lavoratori della comunicazione.