Notizie dalla lotta di classe

Giugno 2001

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Unire quello che il capitalismo divide.

 

 01 giugno ’01

 

ZANUSSI: VINCONO GLI OPERAI

A Rovigo, nello stabilimento della Zanussi, dopo circa 40 ore di sciopero consecutivo, l'azienda ha deciso di tornare indietro su tutte le sue ultime decisioni che erano state prese unilateralmente. In particolare è stato trovato un accordo che cancella la decisione aziendale di sospendere le ferie estive (posticipandole a fine ottobre-inizio di novembre) e quella di avviare il trasferimento forzato (a circa 250 chilometri di distanza) di un gruppo di lavoratori. E hanno parlato perfino di futuro e di nuove produzioni, dopo la minaccia della chiusura dello stabilimento. Il direttore per le Risorse umane, Maurizio Castro, che si era reso protagonista di un duro scontro con i sindacati e i lavoratori, ha ammesso la vittoria dei suoi avversari e ha perfino offerto pubblicamente i suoi complimenti. Castro ha detto che con lo sciopero di questi giorni i lavoratori Zanussi hanno battuto tutti i record aziendali dal lontano 1916.
Delegati, lavoratori della Zanussi-Electrolux e sindacalisti sono molto soddisfatti anche dei contenuti dell'accordo. L'azienda aveva deciso di cambiare l'organizzazione del lavoro senza sentire nessuno e aveva "manovrato" sui giorni di ferie solo in relazione alle esigenze produttive. Con lo sciopero e l'accordo di ieri si sancisce un elemento che potrebbe apparire ovvio: le ferie sono un diritto individuale. Le decisioni in questa materia e nelle materie che riguardano l'organizzazione del lavoro non si possono prendere unilateralmente.

PORTO MARGHERA

Lo sciopero per il contratto nazionale dei metalmeccanici è andato avanti dalle 9 fino alle 11.30. E' stato importante per il modo con cui i giovani hanno affrontato lo sciopero, sia per i livelli altissimi di adesione. I cantieri navali di Porto Marghera, il secondo cantiere italiano per importanza dove si costruiscono le grandi navi da crociera, si è completamente svuotato per due ore. Allo sciopero hanno partecipato tutti i 2000 dipendenti. E il successo non si è visto solo per il livello di adesione, quanto per la partecipazione ai cortei interni e al corteo esterno per le vie di Mestre. Per la prima volta hanno scioperato anche gli operai delle ditte appaltanti, gente che data la condizione di precarietà nei rapporti di lavoro, tende a tenersi lontana dalla protesta e dalla lotta sindacale.
Successo d'accoglienza anche in città: si vedeva gente applaudire, studenti affacciarsi alle finestre al momento del passaggio di un corteo sindacale. Ieri è successo proprio questo: quando gli operai sono usciti dai cantieri di Marghera sono stati accolti con entusiasmo dai cittadini di Mestre. L'altro elemento molto positivo che viene sottolineato da tutti i sindacalisti riguarda la presenza dei giovani operai nel corteo e in generale la loro presenza attiva nelle lotte per il rinnovo del contratto nazionale. Dato poi non secondario: i cantieri si sono ormai rinnovati completamente e attualmente i due terzi dei dipendenti sono giovani.

 

CANTIERI NAVALI DI SESTRI

Continuano gli scioperi dei metalmeccanici della Liguria. In particolare a Genova e a Sestri Ponente si stanno registrando in questi giorni episodi che fanno ben sperare per la prosecuzione positiva della difficile vertenza nazionale tra i sindacati dei metalmeccanici e il sistema delle imprese. Si è registrato uno sciopero per il rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici anche a Genova, e in particolare nel cantiere navale di Sestri Ponente. I sindacati avevano a disposizione ancora quattro ore del pacchetto di dieci ore complessive decise all'interno della vertenza nazionale. Le altre sei ore di sciopero erano già state attuate le scorse settimane. Ieri i cantieri genovesi hanno scioperato di nuovo per il contratto nazionale.
All'interno del pacchetto delle quattro ore di sciopero spicca in particolare la scelta di un reparto del cantiere di Sestri di utilizzare un'ora delle quattro di sciopero per organizzare un'assemblea interna. La scelta si è resa necessaria per il clima non certo idilliaco che si sta determinando in quel reparto dove lavorano molti giovani metalmeccanici assunti da poco dai cantieri o ancora in attesa di un'assunzione a tempo indeterminato. Sono le cosiddette nuove figure del lavoro nella cantieristica che stanno facendo la loro prima esperienza anche dal punto di vista sindacale. Questi giovani, che per la loro collocazione produttiva sono soggetti continuamente più di altri a possibili pressioni e a possibili ricatti da parte dell'azienda, sono in genere molto prudenti nell'esporsi e soprattutto nel decidere di scioperare. Ieri si è verificato un fatto importante perché molti giovani hanno scioperato in solidarietà con alcuni loro giovani compagni che pare abbiano avuto qualche momento di scontro con i capireparto. Niente di particolarmente preoccupante, precisano i sindacalisti, ma è comunque di un certo valore la decisione di scioperare compatti e di dedicare un'ora dello sciopero alla discussione in assemblea. La tensione tra capi e operai all'interno dei cantieri sembra quindi coinvolgere anche i più giovani.

 

3 giugno ’01

 

BELLELI

Dopo anni di promesse e accordi non rispettati, duemila lavoratori si ritrovano senza una prospettiva, dopo il definitivo abbandono del progetto di rilancio dello yard Belleli di Taranto, annunciato dal gruppo Fantuzzi lo scorso 1 giugno.
Nell'ultimo mese erano intervenuti il governo e il sindaco di Taranto per cercare di sbloccare la vertenza. Il gruppo Fantuzzi-Officine Reggiane chiedeva la concessione dei 360 mila metri quadrati dell'area portuale per impiantare una produzione di gru portuali. Un progetto che avrebbe dovuto dare lavoro a 950 dei 1700 cassaintegrati della storica Belleli, leader nella costruzione di piattaforme per l'estrazione del petrolio a grandi profondità marine.
La richiesta era precisa: avere tutta l'area portuale, e al prezzo della precedente concessione, quello applicato alla ex Belleli. L'autorità portuale ha deciso di non abbassare il canone fino ai livelli richiesti dal gruppo emiliano. Un braccio di ferro che si è protratto per vari mesi.
Dunque, il capitale dimostra a chi avesse dei dubbi come a maggiori profitti, ad una effettiva capacità e prospettiva di utilizzo degli impianti non fa seguito alcuna ripresa occupazionale, essendo gli operai sacrificabili sull'altare del profitto sempre e comunque.

 

05 giugno ’01

 

MORIRE DI LAVORO

Nel giorno in cui l'Inail ufficializza una diminuzione degli omicidi bianchi nei primi quattro mesi dell'anno, ci sono stati 4 altri morti. L'INAIL parla di "solo" 362 morti, a fronte dei 420 registrati tra il gennaio e l'aprile del 2000. Con un calo percentuale del 13,8%, che peraltro lascia intatta la possibilità di toccare anche quest'anno - per l'ennesima volta - la terribile quota delle mille tragedie sul lavoro nella penisola. Oltre alla diminuzione generale degli infortuni mortali, le statistiche dell'istituto registrano più in dettaglio che nel comparto industriale le vittime sul lavoro sono passate dalle 360 del 2000 alle 332 di quest'anno. Ancora più netta la diminuzione nel settore agricolo, dove quest'anno ci sono stati 30 incidenti mortali contro i 60 dello stesso periodo dello scorso anno. Andamento "positivo" anche per quanto riguarda gli infortuni complessivi, che sono stati 23.459 rispetto ai 25.982 registrati tra il gennaio e l'aprile del 2000, con una diminuzione percentuale del 9,7%. Su questo fronte comunque l'Inail fa notare la crescita degli incidenti nell'industria (+2,3%), un calo del 6,3% nel settore delle costruzioni, e segni negativi anche nei trasporti (-3,6%) e nel commercio (-4,1%), mentre crescono del 14,4% gli incidenti nella sanità.
La prima vittima all'alba, nello stabilimento conserviero di Olbia della "Tonno Palmera". Giovanni Maria Scoglia, 60 anni, operaio, stava recuperando degli oli residui della lavorazione quando è stato investito da una batteria di pesanti contenitori metallici. Uno di questi lo ha colpito alla testa, e lo ha ucciso all'istante. I compagni di lavoro hanno interrotto la produzione per l'intera giornata.
Tre ore dopo un altro morto, stavolta in lucchesia. Graziano Bonugli, 46 anni, è stato travolto sul piazzale della cartiera Imbalpaper di Borgo a Mozzano dal "muletto" con cui stava lavorando allo spostamento delle risme di carta. Era dipendente della cooperativa appaltatrice Castrello. L'operaio era sceso per aprire il portone dello stabilimento, quando a un certo punto il muletto si è rimesso in movimento a causa della pendenza del piazzale. Bonugli è riuscito a risalire, ma non ce l'ha fatta a bloccare il mezzo meccanico che si è ribaltato in una fossa forse non transennata. Anche alla Imbalpaper, dove il 14 maggio scorso un altro operaio era rimasto ferito in un incidente, il lavoro si è subito fermato. Sempre in Toscana il terzo morto, un immigrato di 40 anni che nel pomeriggio è stato schiacciato dal trattore con cui stava lavorando in un appezzamento di terreno a Rosignano Solvay, nel livornese. A Montoggio, in Liguria, il quarto decesso nella quotidiana guerra del lavoro: Antonio Paone, calabrese, è morto in cantiere in seguito allo sfondamento della scatola cranica.

 

06 giugno ’01

 

INCHIESTA PETROLCHIMICO

Il pubblico ministero Felice Casson ha ricordato un numero: 260. Sono le "parti offese" - 157 morti per tumore, i restanti ammalati - per le quali il pm ritiene d'aver raggiunto la prova del rapporto causa-effetto con l'esposizione al Cvm (cloruro di vinile monomero) e al Pvc (policloruro di vinile). Le parti civili, ha aggiunto, potranno portare altri casi all'attenzione del tribunale. Ma questi 157 operai morti, ha sottinteso, bastano e avanzano a reggere l'accusa di omicidio colposo plurimo. Una strage, colposa ma pur sempre strage.

La sua lista conteggia 260 parti offese. Ma tutti gli operai del petrolchimico - ed erano quasi 15 mila negli anni finiti sotto processo - vanno considerati parti lese per omissione di cautele da parte dei padroni del petrolchimico. Poco o nulla hanno fatto per proteggere i lavoratori dagli infortuni e da lavorazioni che sapevano per certo dannose alla salute. Il servizio sanitario interno al petrolchimico era insufficiente e inaffidabile. La sua "anima nera" era il professor Emilio Bartalini, che fino agli anni '80 ha retto da Milano il servizio sanitario che rispondeva alla direzione del personale. Nonostante le tante carenze e l'ossequio agli ordini superiori, i medici aziendali nelle visite di controllo non potevano non accorgersi della malattie già in atto. Segnalavano gli operai "non idonei", che non dovevano più essere tenuti a contatto con le sostante tossiche. Analoghe segnalazioni, nella seconda metà degli anni '70, le aveva fatte la Fulc sulla scorta della sua indagine a tappeto tra i lavoratori del petrolchimico. Ma la direzione del personale ignorava le segnalazioni, teneva gli operai ammalati nei reparti più a rischio. O li spostava, il che è quasi peggio, quando avevano i piedi nella fossa. Casson non ha risparmiato critiche all'ispettorato del lavoro e alle strutture pubbliche che avrebbero dovuto controllare e non l'hanno fatto. "Fino al '94 non è stato fatto niente, qualcosa si è mosso solo dopo l'apertura di questa inchiesta".
Il giorno successivo le richieste del PM. "Tutti colpevoli" della morte di 157 operai, l'accusa è di omicidio colposo plurimo. Chiesti 12 anni per l'ex presidente dell'Eni e della Montedison, Eugenio Cefis

Più alto il ruolo dirigenziale, più alta la richiesta di pena. Perché è ai vertici, dice il pubblico ministero Felice Casson, che "si puote ciò che si vuole". E dunque sono 12 anni per il trio che l'accusa considera i "maggiori responsabili" dei danni provocati dal petrolchimico di Porto Marghera: Eugenio Cefis, ex presidente sia dell'Eni che della Montedison, Alberto Grandi, ex amministratore delegato della Montedison ed ex vicepresidente di Montefibre, e il professor Emilio Bartalini, "l'anima nera" responsabile del servizio sanitario centrale della Montedison. Dieci anni di pena per Giorgio Gatti, Renato Calvi, Italo Trapasso e Giovanni D'arminio Monforte, dirigenti della Montedison, di sue divisioni o dello stabilimento di Marghera. Per Giorgio Porta, dirigente transitato dalla Montedison all'Enimont e all'Enichem, la pena richiesta è di 8 anni. Idem per Mario Lupo, Gianluigi Diaz e Giancarlo Reichenbach. Sei anni per Lorenzo Necci, ex presidente dell'Enimont e per tre mesi dell'Enichem. E giù fino ai 3 anni per i direttori del petrolchimico di Marghera.
In sintesi, pene per tutti i 28 imputati (all'inizio del processo erano 31, nel frattempo 3 sono deceduti), per un totale di 185 anni di carcere. L'accusa quasi per tutti è di omicidio colposo plurimo (157 gli operai morti per tumore causati dal cloruro di vinile monomero) e di disastro ambientale. Al secondo capo d'imputazione Casson ha dedicato la quinta e ultima giornata della sua requisitoria.
Anche ieri il pm ha riservato un trattamento speciale per l'"arrogante" Eugenio Cefis che in aula ha raccontato "fandonie". Ha sostenuto di non essersi mai occupato del Cvm ed è stato "clamorosamente smentito da testimoni e documenti. Lesinava i soldi per la sicurezza, ma spendeva e spandeva in pubblicità sui giornali". Una battuta salace anche per Necci. "Quando l'interrogai disse che alcune circostanze non le ricordava e che ci avrebbe pensato. Si vede che ha il pensiero lungo, perché stiamo ancora aspettando la sua risposta".

 

07 giugno ’01

 

ZANUSSI CEDE

Accordo alla Zanussi di Mel (Belluno) e Rovigo, e per una volta sono "contenti" sia l'azienda che Fiom. Mentre bofonchiano Fim e Uilm a livello nazionale (i rappresentanti locali hanno invece sottoscritto l'accordo). L'intesa arriva dopo 30 ore di sciopero che Maurizio Castro - responsabile del personale alla Zanussi - definisce "sproporzionata rispetto all'oggetto della controversia (limitatissime richieste di flessibilità per un numero esiguo di lavoratori)".
In realtà la richiesta era stata messa giù molto dura: o ci date la flessibilità che chiediamo (con il lavoro anche la sesta notte o la domenica) per far fronte all'incremento stagionale del mercato, oppure chiudiamo. Ragionando sulla situazione produttiva della fabbrica, la Fiom individuava una linea di montaggio - la 7 - ferma da tempo. La controproposta è diventata quindi l'assunzione con contratti a termine, l'apertura della linea ferma e l'integrazione del personale in quei reparti (corpi e alberi) dove la carenza di pianta organica era più forte.
Invece di un incremento di flessibilità dei lavoratori già assunti, insomma, si è puntato a farne assumere altri, sia pure a termine. Dopo 30 ore di scioperi questa linea è passata. Ed anche per i nuovi assunti non ci sarà la sesta notte o il lavoro domenicale. "Abbiamo voluto anche dire basta - precisano dalla Rsu di fabbrica - a una pratica, avallata spesso dal sindacato, di fare accordi che prevedono condizioni peggiori per i lavoratori che non sono ancora entrati in fabbrica". Anche perché quelle condizioni accettate per gli inconsapevoli "nuovi", una volta legittimate, si trasmettono in tempi rapidi anche ai "vecchi".
Oltre a 70 assunzioni (tra contratti a termine e interinali), saranno reintrodotte le figure dei "manutentori" di pronto intervento sulla linea. Insomma, conclude, "molto rumore per nulla. Hanno minacciato la chiusura della fabbrica" per ottenere un "aumento dei volumi che si può ottenere senza un'ora di flessibilità o di straordinario". Appunto! Queste lotte, per quanto contrappongano naturalmente operai e padroni, nella mediazione sindacale producono vittorie che, stando bene attenti, non sono altro l'ottenimento, da parte dei padroni, di quanto essi necessitano, seppure in forma più moderata. E' certamente una "vittoria" non accettare completamente la logica padronale, ma occorre anche mirare a stravolgere quella logica, e non rischiare di cadere nel gioco imposto. Indubbiamente in questa fase la lotta di resistenza passa per questo genere di vittorie, in cui il lavoratore difende il posto e il padrone finisce per ottenere comunque aumenti produttivi.

MESSICO: NIKE CONTRO OPERAI

La Nike alla fine molla se i contestatori (operai e attivisti) sono ben organizzati. E' il caso dei combattivi studenti statunitensi dell'United students against sweatshops (www.usasnet.org), una rete di universitari che si batte contro le "botteghe del sudore", le fabbriche dei paesi in via di sviluppo dove vengono prodotti, per paghe da fame, scarpe e abbigliamento sportivo per conto delle multinazionali. Questo episodio si svolge nella cittadina di Atlixco, nello stato di Puebla in Messico, nello stabilimento della Kuk Dong, un'azienda di proprietà coreana che produce abbigliamento sportivo a marchio Nike.
In Messico ci sono oggi oltre 3000 "maquilas", aziende dove vengono assemblati pezzi costruiti altrove, e da dove ripartono i prodotti finiti destinati a Usa, Canada e Europa. I "maquiladores", lavoratori di queste fabbriche, sono oltre un milione, e vengono pagati in media 0,54 centesimi di dollaro a ora, per un lavoro che si può spingere anche fino alle 75 ore settimanali. La Nike si rifornisce in centinaia di imprese di questo tipo, diffuse in 70 paesi del mondo e con circa 530 mila dipendenti. Dal Messico al Salvador, dall'Indonesia alla Cina, dalla Bulgaria fino al Pakistan, al Vietnam, alla Thailandia e alla Cambogia, la mappa del sudore versato per il baffo è vastissima. E i contestatori, dagli studenti statunitensi ai canadesi del Maquila solidarity network (www.maquilasolidarity.org), fino alla europea Clean clothes campaign (la cui sede italiana è a Milano, www.cleanclothes.org) continuano a battere soprattutto su una richiesta: che i lavoratori abbiano il diritto di creare sindacati indipendenti e possano contrattare paghe migliori, orari e condizioni più umane. Nelle Filippine, dove i sindacati hanno una certa forza e le paghe raggiungono già buoni livelli, la Nike sta sbaraccando, lasciando la gente senza lavoro. Molto allettante è invece la Cina, dove c'è un unico sindacato imposto dal regime e illegale è crearne di nuovi.
Alla Kukdong, nel corso dell'ultimo anno sono stati licenziati 5 attivisti sindacali che avevano tentato di creare un sindacato indipendente e obbligati alle dimissioni altri 20 lavoratori che protestavano per le paghe basse - 32 dollari per un lavoro settimanale di 50 ore - per il cibo scadente della mensa, per la mancata erogazione del bonus natalizio e perché l'azienda non permetteva loro di vedere il contratto collettivo aziendale. Contratto, peraltro, firmato dal Froc-Croc - il sindacato unico d'azienda, vicino al partito governativo del Pri - prima ancora dell'apertura dello stabilimento e dell'assunzione dei dipendenti. Gli 800 lavoratori della fabbrica, così, il 9 gennaio sono scesi in sciopero e 300 di loro hanno occupato lo stabilimento. La polizia ha "sgomberato" i locali con la mano pesante, tanto che 15 dipendenti sono rimasti feriti. A questo punto, è partita una raffica di centinaia di licenziamenti.
E' scattato quindi l'intervento del Workers rights consortium, istituto indipendente a cui aderiscono una settantina di università nordamericane che comprano felpe e abbigliamento sportivo dalla Nike. Ha verificato la violazione dei diritti sindacali e sollecitato la stessa Nike a fare un'ispezione, commissionata alla Fair labor association, vicina alla multinazionale. Ebbene, nell'ultimo mese molti lavoratori e qualcuno degli attivisti licenziati sono rientrati al lavoro.
Allo slogan "Sì, se puede" è nato il Sitekim, Sindicato independiente de trabajadores de la empresa Kukdong international de Mexico. Resta ancora molto da fare, però. Riuscire a far reintegrare tutti gli attivisti e, soprattutto, guadagnarsi la rappresentanza dei lavoratori attraverso le prossime elezioni.

 

08 giugno ’01

 

CONTRATTO METALMECCANICO

"La proposta di Federmeccanica non corrisponde alle richieste avanzate unitariamente dai metalmeccanici. Non garantisce il potere d'acquisto dei salari e altera i rapporti tra la politica dei redditi e la politica contrattuale. Non è condivisibile". Questo è quanto dice Sergio Cofferati. La proposta prevede 85 mila lire di recupero dell'inflazione programmata, 18 mila di anticipo (prestito) sul differenziale tra inflazione programmata e reale che comunque entrerebbe in tasca ai lavoratori con il Dpef e 12.000 lire di pregresso. Totale, 115.000 di cui una parte truccata, contro le 135.000 richieste.
Fim e Uilm ritengono la proposta di Federmeccanica un terreno utile per arrivare alla firma del contratto entro il mese di giugno. La Fiom, invece, non nasconde la sua contrarietà a un'ipotesi inconsistente dal punto di vista salariale e inaccettabile perché nega l'impianto stesso della piattaforma (del recupero salariale legato alla produttività neanche a parlarne).L'uscita di Cofferati è stata accolta dalla Cisl "con irritazione". Nessun comunicato ufficiale, solo impressioni a caldo: per l'organizzazione di Savino Pezzotta, la presa di posizione rischia di "svuotare di significato il momento di chiarimento di lunedì". Prima di lunedì si incontreranno i vertici di Cisl e Fim. Le parole di Cofferati sarebbero "un veto alla ripresa della trattativa". Prodigo in dichiarazioni, invece, il senatore Gianni Agnelli: quella di Cofferati non è una rottura ma "una posizione negoziale" e si sa che "tutte le posizioni negoziali trovano sempre una concordia alla fine. Tutti i litigi sindacali si sono messi a posto da che mondo è mondo e anche questo pur di continuare a trattare si metterà a posto". E se lo dice Agnelli, il rischio per i lavoratori è grande!

FIAT MELFI: ELEZIONI RSU SENZA LO SLAI

Le elezioni per le Rsu alla Fiat di Melfi si faranno il 19, 20, 21 e 22 giugno; le liste sindacali ammesse al voto dalla commissione elettorale sono le stesse che avevano passato l'esame alla prima tornata: Fim, Fiom, Uilm, Fismic (l'ex Sida, di obbedienza aziendale) e l'Ugl (la ex fascista Cisnal). L'ordinanza del giudice di Melfi - che, su ricorso dello Slai-Cobas, aveva imposto il rinvio delle elezioni e ordinato alla Fiat di consegnare alla commissione i tabulati con i dati necessari - non ha dunque sortito effetto. Lo Slai-Cobas, nel presentare i suoi candidati, aveva allegato 500 firme: nome e cognome. La Fiat aveva consegnato alla commissione elettorale soltanto una lista di numeri di matricola (quelli sul badge di ogni lavoratore); l'esclusione della lista era stata motivata - dalla commissione - con l'impossibilità di verificare se dietro ogni nome e cognome ci fosse davvero un dipendente della Fiat-Sata di Melfi. Una decisione che lo Slai-Cobas ovviamente contestava, rivolgendosi alla magistratura. L'ordinanza del giudice sembrava aver rimesso le cose a posto. Ma la Fiat, ricevuta la richiesta di ulteriori dati da parte della commissione elettorale, rispondeva sostanzialmente di aver "già dato" quanto poteva, trincerandosi dietro la normativa sulla privacy. La scusa è al limite dell'incredibile, tenendo conto che il "dato sensibile" sarebbe in questo caso costituito dal legame tra nome e numero di matricola (come tra i militari, no?).
La commissione ne ha tratto una conseguenza tanto formale quanto foriera di nuove polemiche e rotture: la lista Slai-Cobas resta fuori. Dal fronte Cobas parte subito l'aperta accusa di combine tra azienda e sindacati confederali (più Fismic e Ugl), che compongono sia la commissione elettorale che quella detta "dei garanti". Denunciano le pressioni esercitate da capi-squadra e capi-reparto sui firmatari della loro lista, con "minacce sul loro futuro lavorativo", estese a "parenti vicini e lontani". Dalla Fiom regionale confermano la volontà di andare al voto comunque entro i tempi previsti e senza lo Slai-Cobas. Su cui viene di fatto rigettata la responsabilità di aver fatto un po' di confusione al momento della presentazione delle liste.

POSTE IN RISTRUTTURAZIONE

In tutto, sono interessati 10 mila lavoratori, che, in varie forme, saranno posti in mobilità. Ovvero, trasferiti ad altri uffici o accompagnati in modo soft alla pensione.
A chiarire la posizione dell'azienda è l'amministratore delegato Corrado Passera, che ha spiegato il significato dei "10 mila esuberi" di cui si parla ormai da qualche giorno. "E' improprio parlare di esuberi. Fino a oggi - dice - le uscite non sono mai state traumatiche. Il lavoro con i sindacati deve continuare". Concordare, insomma, il riposizionamento di alcuni impiegati e l'avviamento alla pensione - volontario - di altri. Secondo le Poste, finita questa prima ristrutturazione, dal 2002 potrebbero ripartire anche le assunzioni.
I dipendenti delle Poste italiane sono circa 170 mila. In più, ci sono circa oltre 3000 contrattisti a termine. Almeno a quanto dice l'azienda, l'obiettivo è quello di ridurre il numero dei precari, frutto di una cattiva organizzazione piuttosto che di una scelta strutturale. Un postino che lavora per tre mesi, insomma, non può essere bravo quanto uno che è in servizio da venti anni. E rischia anzi di costare di più.
I sindacati, dal canto loro, vogliono vederci chiaro e il 12 giugno, data del prossimo incontro con l'azienda, chiederanno conto del nuovo piano di ristrutturazione. Per il Slp Cisl non ci sono eccedenze. Anzi, ci sono migliaia di precari. Hanno contratti a termine di tre mesi, con un turn-over molto alto. E non c'è disponibilità a scambiare i conti economici con l'occupazione.

 

09 giugno ’01

 

GIORNALISTI ANSA IN SCIOPERO

I giornalisti dell'Ansa hanno deciso per lo sciopero di due giorni, ieri e oggi. Bersagli della protesta sono il piano di ristrutturazione aziendale, che prevede il trasferimento coatto di 7 redattori, e il dilagare incontrollato del precariato.
Il vecchio piano prevedeva l'uscita di 40 lavoratori. Sette di loro, però, non hanno accettato il prepensionamento e hanno chiesto la cassa integrazione. L'azienda non la concede e anzi vuole costringerli a trasferirsi in altre sedi per coprire i buchi di organico. Che ammontano a oltre 50, se si contano anche i 18 che nell'ultimo anno e mezzo hanno lasciato volontariamente l'agenzia.
I lavoratori lamentano inoltre che 'azienda non informa sulle assunzioni a termine e sulle sostituzioni. A fronte di 380 giornalisti dipendenti, ci saranno almeno 150 contrattisti atipici. Bisogna sapere se sono garantiti o no. Problemi comuni a tutto il mondo giornalistico italiano, e che il recente rinnovo del contratto ha contribuito poco a risolvere. "Abbiamo regolato il lavoro dei collaboratori e degli autonomi - spiega Paolo Serventi Longhi, dell'Fnsi, il sindacato nazionale dei giornalisti - ma una grande quantità di lavoro sommerso e di ipersfruttamento non viene ancora a galla. Quasi 12 mila sono i giornalisti iscritti all'Inpgi, istituto di previdenza per i dipendenti tradizionali. All'Inpgi 2, l'istituto previsto per autonomi e atipici, ci sono già 11 mila iscritti. Ma i giornalisti che lavorano secondo le nuove modalità contrattuali, sommati agli irregolari, sono sicuramente almeno 30 mila. A breve presenteremo un Libro bianco, con storie di sfruttamento raccolte in tutta Italia, dai grandi quotidiani ai giornali di provincia".

 

10 giugno ’01

 

OPERAI IN PIAZZA A PARIGI

In testa c'erano gli operai di Lu-Danone, Dim, Aom-Air Liberté, Valeo, Pechiney, Motorola, Marke, Spencer, Moulinex, cioè di tutte le società che hanno annunciato grossi piani di licenziamento. E' molto forte anche la presenza di delegati Cgt, malgrado l'attiva freddezza della direzione, che non vede di buon occhio il ritorno in forze del Pcf sul piano sociale. Ma i rappresentanti dei partiti erano relegati, per una volta, nella coda del corteo (con l'eccezione della trotzkista Arlette Laguiller).
La manifestazione "contro i licenziamenti" è stata la prova di forza delle organizzazioni di base. Erano almeno 20mila a sfilare tra Republique e Nation a Parigi, per dire basta ai "licenziamenti di Borsa", ai licenziamenti decisi dagli azionisti che vogliono solo guadagnare di più, mentre per i lavoratori si tratta di una decisione che distrugge la vita. E' per denunciare la sproporzione che esiste tra gli interessi degli azionisti - oggi preminenti - in un mondo dominato dalla finanza, rispetto a quelli molto più fondamentali, ma trascurati, dei lavoratori, che ieri alcune decine di migliaia di persone hanno sfilato a Parigi. E questo anche se, nelle statistiche, in Francia la disoccupazione continua a diminuire.
Accanto ai licenziati di oggi, quelli di ieri. Nel corteo c'erano anche degli ex dipendenti della Renault di Vilvoorde, che sono stati protagonisti nel '97, dopo l'annuncio della chiusura di questo stabilimento belga, del primo euro-sciopero. "Continuano a chiudere le fabbriche ci sono sempre più disoccupati - racconta un operaio belga della Renault Vilvoorde - io sono sempre disoccupato, non ho trovato lavoro".
Sullo sfondo, c'è la polemica sulla votazione in Parlamento, rimandata di 15 giorni - al 13 giugno, su pressione del Pcf - del testo di legge di "modernizzazione sociale". Una legge controversa, dove il Pcf avrebbe voluto reintrodurre l'autorizzazione amministrativa ai licenziamenti. Tra i manifestanti, c'è scetticismo sulla legge: "mercoledì ci avranno già dimenticati", afferma un operaio della Lu-Danone. Più ottimista un altro dipendente di Delphi: "fanno 8miliardi di utili, ma licenziano lo stesso. I parlamentari possono votare una legge che impedisca ciò". Guà, ma i parlamentari non saranno forse anche azionisti?
Per il primo ministro Lionel Jospin "non si può mettere il veto ai licenziamenti". Ma anche i Verdi si sono uniti alla pressioni su Jospin perché ritocchi la legge in senso più favorevole ai lavoratori. "Non bisogna lasciare all'estrema sinistra il monopolio del basta così", ha affermato Daniel Cohn Bendit. Chiaramente gli ex- sono sempre i più moderati!

 

12 giugno ’01

 

ILVA DI CORNIGLIANO: CHIUSURA E SCONTRI

 

Tredici feriti tra operai e poliziotti. La lunga giornata dei mille delle acciaierie Ilva di Cornigliano inizia alle 8 e 30 con un’assemblea in fabbrica, prosegue con gli scontri di piazza e finisce in serata con una tregua finale di dieci giorni raggiunta dopo un lungo vertice in Prefettura che scongiura per ora la chiusura della cokeria. In attesa che, in questi dieci giorni, il governo si insedi appieno e prenda in esame il problema.
La direzione dell'Ilva di RIVA aveva annunciato che avrebbe avviato "immediatamente le procedure di licenziamento" all'arrivo della decisione di chiudere. La decisione dell'azienda suona più o meno così: mobilità collettiva. Riva non si limiterà a chiudere la cokeria come imposto dal giudice Vincenzo Papillo, ma chiuderà tutta l’area a caldo, lasciando a spasso 1200 persone.
Gli scontri sono avvenuti davanti alla Regione, responsabile secondo sindacati e Rsu di aver boicottato l’accordo di programma, quello che avrebbe portato a una graduale chiusura dell’altoforno, assicurando posti di lavoro e stipendi. Due i tentativi di sfondare lo schieramento di poliziotti, quattro i feriti dai manganelli. Alle 13,30, per esprimere loro solidarietà, un centinaio di manifestanti dei Centri sociali riuniti a Genova per un ‘pre G8’, hanno raggiunto gli operai dell’Ilva. "Siamo qua perché questo è il posto giusto dove stare – ha dichiarato Luca Canarini, leader dei centri sociali del Nord Est –. Il posto giusto perché è accanto alla povera gente che combatte per difendere il posto di lavoro".
Il vertice in prefettura è durato oltre tre ore. I sindacati hanno chiesto a Riva di non inviare le lettere di messa in mobilità una volta ricevuta la notifica dell'ordine della magistratura di chiudere la cokeria, ma lui non è disposto a cedere. Alla fine l'accordo: sospendere la chiusura per dieci giorni, per dare il tempo al Governo di ricevere la fiducia dalle Camere e di occuparsi del problema.

13 giugno ’01

 

CALTAGIRONE: MINORENNI SFRUTTATI

120 mila lire al mese per lavorare per sei ore al giorno, in un piccolo garage, privo di finestre e servizi igienici. Quattro i ragazzini di un'età compresa fra i 12 ed i 14 anni, che lavoravano in nero e sottopagati per un'impresa di Caltagirone, in provincia di Catania. Invece di andare a scuola e giocare, lavoravano per realizzare filettature di gocciolatoi.
Insieme ai quattro minorenni c'era anche il padre di uno di loro (che lavorava in nero come il figlio). Il laboratorio, in condizioni igieniche terrificanti, è stato posto sotto sequestro.
Una situazione assurda considerato che questi ragazzini non venivano mandati a scuola per le necessità economiche delle famiglie, che in realtà difficilmente potevano colmare considerato che guadagnavano appena 5 mila lire al giorno. Come se non bastasse, i minorenni erano anche tenuti d'occhio, mentre lavoravano, dall'affittuaria della rimessa, delegata dal titolare a vigilare sui magnifici interessi dell'azienda, per evitare che magari gli venisse voglia di comportarsi da bambini veri. La fabbrica funzionava a "pieno regime" da parecchio tempo.
In questo perfetto meccanismo, qualche cosa è andato storto. A fare scattare le indagini è stata la segnalazione degli insegnanti di uno dei "manovali" più piccoli, insospettiti dalle continue ed ingiustificate assenze. I carabinieri, fra mille difficoltà e reticenze sono, quindi, arrivati alla scoperta di questo laboratorio clandestino dove ogni piccolo lavoratore produceva mensilmente 1700 pezzi.

TASSARA HOLDING LICENZIA, GLI OPERAI SCIOPERANO

Uno sciopero di tre ore e tanta rabbia: questa mattina gli oltre 340 operai della ForniLeghe e della Metalcam si sono fermati, dopo avere lavorato per anni con l'idea che si poteva migliorare la storica e importantissima acciaieria della Valcamonica, in provincia di Brescia. Salvo sentirsi dire che entro il 31 agosto proprio la ForniLeghe si troverà con la spina staccata una volta per sempre. Ed è troppo anche vedere che i titolari della Tassara Holding, che controlla i forni bresciani, sono impegnati in enormi battaglie finanziarie, prima tra tutte la mezza scalata in atto di Montedison.
Sul ponte di comando di tutto questo c'è un nome noto per i mercati finanziari: il francese Romain Zaleski, salito più volte alle cronache per la battaglia che si è scatenata a Piazza Affari per il controllo della potente holding di piazzetta Bossi. "Ecco il punto, Zaleski taglia posti in fabbrica mentre i soldi li riutilizza per comprare azioni e guadagnare miliardi", commenta amaro un lavoratore dell'acciaieria.
Sciopero a Breno, dove hanno sede le due società dell'acciaio, divise quando la Tassara subentrò al controllo societario. I padroni dicono che saranno tagliati solo una sessantina di posti, addolcendo la pillola sostenendo che i licenziati potranno essere riassorbiti anche in altre aziende, ma la Fornileghe verrà comunque chiusa.
Ma se è la Fornileghe ad essere colpita neanche gli altri operai della Metalcam sono tranquilli. Da loro i conti sono a posto, è vero. Se chiudono i forni e non ci sono nuove idee per la Metalcam, diventa logico temere il peggio a breve anche per loro. Zaleski e soci hanno speculato e giocato in borsa proprio con società dell'energia che non venderebbero mai a questa azienda, che è loro, perché comunque ci guadagnerebbero molto meno che venderla ad altri.

 

14 giugno ’01

 

BELLELI: CASSINTEGRATI SENZA FUTURO

Per i 250 cassintegrati della Belleli sembra non esserci nessuna soluzione, almeno per il momento. In molti hanno presieduto l'ingresso della prefettura di Taranto mentre era in corso una riunione, dinanzi al prefetto. Il disimpegno dell'imprenditore Luciano Fantuzzi, confermato nei giorni scorsi con la rimozione e la vendita degli impianti che le officine reggiane da tempo avevano insediato a Taranto, sembra rappresentare una sconfitta per gli operai e per il sindacato. Si sono così rivelati inutili i lunghi anni di attesa e di estenuanti negoziati ministeriali. Alla riunione prefettizia sull'incerto futuro dei lavoratori della Belleli, erano presenti i segretari sindacali, gli amministratori locali e il presidente dell'autority portuale che non esclude richieste di acquisizione delle aree portuali da parte di altri gruppi industriali che potrebbero assumere parte dei lavoratori. Tornano in campo, infatti, i nomi di Marcegaglia e dell'Ansaldo, anche se per buona parte del sindacato una soluzione spetterebbe al gruppo Eni.

 

15 giugno ’01

 

METALMECCANICI: ROTTURA

I fax che arrivano a Roma dalle regioni padane e dall'Emilia contengono tutti lo stesso concetto: la piattaforma unitaria di Fim, Fiom e Uilm per il rinnovo del contratto nazionale va bene così com'è, le richieste economiche sono compatibili con gli utili dei padroni metalmeccanici, anzi sono decisamente moderate. Per difendere l'integrità della loro piattaforma, i firmatari dei fax sono pronti a sacrificare altro salario, e cioè a riprendere subito gli scioperi. I firmatari sono Rsu di importanti fabbriche del nord, in alcune delle quali gli scioperi sono già ripresi spontaneamente, appena si è capito che Fim e Uilm sono disponibili a trattare sulla base riduttiva e un po' imbroglionesca della nuova proposta di Federmeccanica. In quelle Rsu ci sono rappresentanti di tutte le organizzazioni dei metalmeccanici, a testimonianza del fatto che la Fiom sarà pure isolata al tavolo di trattativa con Federmeccanica, come l'incontro "informale" di ieri ha confermato, ma lo è decisamente meno nei posti di lavoro.
"Le Rsu e i lavoratori delle Ind. Pininfarina Spa, venuti a conoscienza dai giornali delle differenti posizioni in merito alla trattativa sul rinnovo del biennio economico del C.C.N.L. dei metalmeccanici, ribadiscono la volontà di continuare a lottare anche con ulteriori scioperi per sostenere e ottenere, nella sua integrità quantitativa e qualitativa, la piattaforma unitaria approvata dalle lavoratrici e dai lavoratori nelle assemblee e con il referendum". Questo è un esempio tra tanti (nell'area torinese, Comau Robotica, Util di Pianezza, Federal Mogul, Filtrauto, Ibs, Sandretto, Fatallumin e Fergat; a Bologna, Bonfiglioli, Minarelli, Sabiem, Bredamenarinibus, Acma, Galletti, Beghelli, Caterpillar Mec-Track; altre Rsu in Toscana e in Lombardia).
Nella riunione ristretta in cui Federmeccanica ha ribadito la sua proposta, chiedendo chi era disponibile ad assumerla come base di trattativa. Fim e Uilm hanno risposto sì, la Fiom ha risposto no.

RAPPORTO ISTAT

L'annuale rapporto dell'Istat va letto con attenzione per cogliere gli elementi più significativi nella gran massa di dati. L'analisi dell'Istituto di statistica prende in considerazione il 2000 e il primo trimestre di quest'anno. Illustra quindi una congiuntura economica ancora in forte espansione - nel continente europeo e in Italia - seppure con i forti segni di rallentamento che oggi sono pienamente visibili. La crescita del Pil è stata del 2,9% rispetto all'anno precedente, e resta la "performance migliore dal '95". Il 2001, salvo sorprese, punta verso un 2,3%. Grande la spinta ricevuta dall'industria (+3,5%), robusta quella fornita dai servizi (+3%). La crescita ha prodotto maggiore occupazione: 656.000 persone in più tra il primo gennaio 2000 e il 2001, quasi tutte nei servizi. Il tasso di disoccupazione è così sceso per la prima volta sotto il 10%. C'è poi la riduzione dell'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche, sceso allo 0,3% del Pil (anche grazie agli introiti della gara Umts), alla riduzione della pressione fiscale (dal 43 al 42,4%).
Le note che dovrebbero far pensare vengono però dalla "struttura e competitività delle imprese dei servizi". Escludendo banche e intermediazione finanziaria, operano ben 2 milioni e mezzo di imprese, con 7 milioni di addetti. "Dimensioni e grado di concentrazione" delle imprese italiane sono "inferiori alla media Ue". Persino nel commercio prevale la piccolissima impresa, visto che "la quota degli addetti alle grandi imprese è pari a un terzo della media comunitaria". Il terziario italiano, insomma, riproduce le caratteristiche - positive e negative - della piccolissima impresa, tanto "flessibile" quanto a elevata mortalità e bassa redditività. Le modificazioni del mercato del lavoro, però, sono quelle che rivelano gli strappi profondi verificatisi nella distribuzione della ricchezza prodotta. "La lieve crescita delle retribuzioni nominali e la riduzione degli oneri sociali hanno dato impulso a un processo di graduale attenuazione della dinamica del costo del lavoro: tra il '95 e il 2000 i redditi da lavoro dipendente pro capite sono aumentati mediamente del 2,8%". Nel sottile gioco dei decimali che separano inflazione programmata (come da accordo del '93), inflazione reale, aumenti nominali e potere d'acquisto reale, c'è sempre qualcosa che si perde nelle tasche del lavoratore dipendente. L'Istat lo quantifica in un misero 0,8% rispetto all'indice dei prezzi al consumo; ma uno dei segretari della Cgil, Giampaolo Patta, calcola "mediamente 3 milioni e mezzo a testa", senza che della "crescita della ricchezza reale (+15,5%) sia stata loro distribuita una lira". In totale "56.000 miliardi per le sole retribuzioni", tra il '93 e il 2000. E senza neppure comprendere la diminuzione dei contributi previdenziali.

INDONESIA: CORTEI OPERAI

Per il secondo giorno consecutivo, migliaia di lavoratori hanno manifestato in diverse città indonesiane. E per il secondo giorno la polizia ha sparato "colpi d'avvertimento", questa volta però ferendo tre persone (con proiettili veri), alle gambe e al torso.
Le manifestazioni più forti sono state a Surabaya, seconda città indonesiana, capitale di Java orientale e grande centro industriale e portuale. E' qui che la polizia ha colpito tre persone, quando un corteo che percorreva i sobborghi industriali ha tentato di entrare nel recinto di una fabbrica di scarpe per chiedere ai lavoratori dentro di unirsi alla manifestazione. Il giorno prima i cortei erano stati sia nei sobborghi, sia in centro: la polizia aveva sparato quando i dimostranti si erano avvicinati alle cancellate del parlamento locale. Manifestazioni sono state anche nella zona industriale della capitale Jakarta e a Bandung, importante città di Java occidentale.
I lavoratori protestano contro un nuovo decreto legislativo, appena approvato, che abolisce parte delle magre provvigioni per chi perde il lavoro o va in pensione. La crisi economica che nel '97 ha colpito tutta l'Asia orientale è stata particolarmente dura per l'Indonesia e i suoi 210 milioni di abitanti. L'impoverimento è stato generalizzato, quelle che erano abituate a pensarsi come classi medie stentano a finire il mese, i lavoratori di fabbrica non riescono a mandare i figli a scuola.

TIRRENIA: SCIOPERO DI 48 ORE

Lo sciopero, proclamato dalla Confederazione COBAS, delle poche navi che non incappano nei divieti della legge antisciopero, è riuscito in pieno. Una imbarcazione, la Clodia, è rimasta ferma nel porto di Genova. L’astensione da lavoro, che segue di pochi giorni quella proclamata dalla Filt-Cgil, è a sostegno di una piattaforma articolata in quattro punti: per il ritiro completo dell’accordo sui tagli occupazionali; per il ripristino pieno del diritto di sciopero; per le elezioni delle Rsu (finora negate) su tutte le navi; per migliori condizioni di lavoro e di sicurezza. Sono quasi otto mesi che i lavoratori della Tirrenia sono in lotta: quattro scioperi nazionali organizzati dal Sin.Cobas (ora COnf. COBAS) e il "rifiuto del cibo" sulle navi. Una lotta snobbata dalla quasi totalità dei mass media e dallo stesso sindacalismo confederale, ma che ha incontrato il sostegno dei cittadini di Torre del Greco e dei passeggeri. Un punto importante della vertenza è la questione delle tabelle di armamento. L’armamento degli equipaggi delle navi, con le "tabelle a soffietto", avviene sulla base del numero di passeggeri da trasportare. Ciò significa diminuzione dei dipendenti e degli ufficiali, aumento dei ritmi e del carico di lavoro per addetto, aumento dei rischi per i lavoratori e anche per i passeggeri. Una condizione particolarmente disagiata viene vissuta dai "piccoli di camera" costretti a turni di lavoro che spesso superano le 14 ore. La questione è ancora più drammatica se si mette nel contro il processo di privatizzazione e il rischio amianto. Secondo alcuni calcoli approssimativi fatti dagli stessi militanti del Sin. Cobas i morti per amianto non sarebbero inferiori ai 140 nel corso degli ultimi anni.

 

16 giugno ’01

 

ATM: LAVORO PRECARIO

L'Atm, l'azienda dei trasporti pubblici milanese, produce gelati o ventilatori, raccoglie pomodori o cocomeri, coltiva di nascosto attività legate ai cicli stagionali? Sorge il dubbio, visto che sta cercando 100 autisti di autobus da usare da luglio a settembre. Personale a tempo determinato e in affitto, per far fronte alla "carenza estiva di personale", provocata dalla bizzarra consuetudine degli autisti Atm d'andare in ferie. D'estate.
L'azienda municipale ci aveva provato anche l'anno scorso e con scarsi risultati. Di autisti stagionali ne aveva trovati solo una quarantina, perché i possessori di "patente K" non sono un esercito e non stazionano agli angoli delle strade in attesa che l'Atm faccia un fischio. L'Atm ci riprova affidando la ricerca e la selezione del personale a WorkNet, agenzia per il lavoro temporaneo di Business Solutions, il settore per i servizi alle imprese del gruppo Fiat. Gli autisti selezionati, prima d'essere assunti, seguiranno un corso di formazione di "dieci giorni", strombazza WorkNet. Paiono davvero pochini: anche se d'estate a Milano il traffico diminuisce, guidare un mezzo pubblico è una faccenda piuttosto complicata. Oltre al mezzo, bisogna conoscere il tragitto e le fermate, avere l'occhio allenato alle distanze, dare informazioni ai passeggeri, sapere come reagire se qualcuno a bordo sta male o dà in escandescenze. Una questione di sicurezza, in senso lato e in senso stretto, per chi guida e per chi è trasportato.
Il lavoro in affitto viene usato sempre di più, in barba alla legge che lo consente, solo per far fronte a picchi produttivi o per rimpiazzare personale assente. Assente, ma per ferie! Queste, infatti, non sono un evento straordinario, un imprevedibile meteorite che si abbatte sull'Atm, ma programmato e programmabile. Non sono un'epidemia che costringe a letto per mesi gli autisti che, essendo tutti maschi, non presentano neppure l'inconveniente del congedo di maternità. Se d'estate c'è carenza di personale e perché la carenza c'è tutto l'anno. E, per abbassare il costo del lavoro, si tenta la soluzione degli stagionali che ha l'indubbio vantaggio, per l'Atm, di pagare un salario solo per tre mesi invece che per per dodici.


ILVA: TESTIMONIANZE DALLA PALAZZINA LAF

"Incarcerati" dentro la palazzina del laminatoio a freddo - più nota come "Laf" - per una settantina di impiegati di alto livello dell'Ilva di Taranto, lavorare in uno dei poli siderurgici più importanti di Europa alla fine degli anni '90 si è trasformato in un incubo. Ancora oggi, se li incontri alle udienze per il loro processo - dove Emilio Riva è alla sbarra, accusato di "tentata violenza privata" ai danni dei propri dipendenti e di "frode processuale" - gli ex reclusi della Laf ti accolgono con uno sguardo un po' perso: coscienti della necessità di essere lucidi - questa è forse l'unica e l'ultima occasione per ottenere giustizia - ma nel contempo provati, da anni di depressione, e infatti, esaurimenti e, per alcuni, anche tentati suicidi.
Giuseppe Palma nella Laf ci è finito per il fatto che ha molta dimestichezza, se così si può dire, con le aule di giustizia: infatti, nel '96 aveva aperto una causa personale nei confronti dell'Ilva, per problemi legati al rapporto di lavoro. Una causa che la dirigenza non ha digerito. "Verso la fine del '97 - racconta - il mio capo mi chiamò. Mi disse che avrebbero molto gradito che mi cancellassi dal sindacato e che rinunciassi al procedimento che avevo intentato contro l'azienda. Dal sindacato, in effetti mi cancellai. E non ero il solo. Dopo il passaggio dell'Italsider a Riva, nel '95, ci fu una netta diminuzione delle tessere sindacali: in tre anni passarono da 8-9 mila a 2 mila. La causa, però, decisi di non ritirarla. Non mi sembrava giusto. Presi 20 giorni di malattia e, al mio ritorno, mi dissero che dovevo andare alla Palazzina Laf. Il mio lavoro di tecnico informatico era soppresso per esigenze di ristrutturazione aziendale".
Quando arrivai dentro la Palazzina, c'erano già venti persone, che erano arrivate prima di me. E infatti fui subito definito "il numero 21". In una stanza per sei persone c'erano due vecchie scrivanie ed un tavolino, oltre a poche sedie, assolutamente insufficienti, dato che dovevamo fare a turno per sederci. Non facevamo niente per tutto il giorno. In otto ore e mezzo leggevamo il giornale, chiacchieravamo tra di noi, passeggiavamo nel corridoio. Era frustrante per noi, anche se venivamo comunque retribuiti. Avevamo avuto ruoli di responsabilità in azienda, e ora ci sentivamo perfettamente inutili". "La palazzina Laf non era soltanto una punizione per noi - continua Palma - ma anche una minaccia per gli altri. A un mio collega fu imposto di fare 2-3 ore di straordinario al giorno senza retribuzione. Gli fu detto che altrimenti avrebbero trasferito anche lui alla palazzina Laf. Lui accettò, e cominciò a lavorare fino alle 19.00 o alle 20.00, quando il suo orario normale finiva alle 17.00. Da allora in poi sono in cura. Ho preso una depressione che non è più andata via".
Claudio Virtù, un altro ospite della palazzina Laf, ha anche scritto un libro, che racconta la storia dei 70 reclusi, le umiliazioni subite in due anni: Palazzina Laf. Mobbing: la violenza del padrone (Edizioni Archita, Taranto). "Stare alla Laf mi ha rovinato - racconta - ma ha rovinato anche la mia famiglia. Molti dei nostri figli hanno dovuto rinunciare all'Università, perché ci siamo indebitati. Dopo il sequestro della Palazzina siamo finiti in cassa-integrazione e lo stipendio è stato ridotto di due terzi. In più abbiamo dovuto sostenere le spese processuali".
Solo le denunce alla Magistratura hanno sbloccato la situazione e soltanto costretto da un sequestro dell'edificio, Riva ha dovuto chiudere la Palazzina Laf nel 1999.

 

17 giugno ’01

 

LATINA: LE COMMESSE NON VOGLIONO ESSERE FLESSIBILI

"Toglieteci tutto, ma la domenica no". A Latina l’hanno chiamata la "rivolta delle commesse". Una lotta spontanea, nata da un appello che nel breve giro di due giorni ha raccolto più di 130 firme. La storia è molto semplice. Dopo l’ennesimo tentativo da parte dei centri commerciali e dei negozi del centro di rendere ancora più flessibile il già pesante lavoro dei propri dipendenti un gruppo di donne si sono organizzate invitando le colleghe a dire di "No" almeno una volta. E così è nato un movimento sindacale, compatto, fuori dal controllo di Cgil, Cisl e Uil che come primo atto ha "vestito" il centro cittadino di manifesti contro l’apertura domenicale degli esercizi commerciali. "Attuando un provvedimento di questo tipo - scrivono - dovremmo rinunciare a quel fondamentale diritto che è la cura delle nostre famiglie e dei nostri minimi interessi che possiamo coltivare, ormai, nelle sole giornate festive, dunque la domenica". Lo dicono senza troppi giri di parole le ragazze: "Vogliamo andarcene al mare, con i nostri uomini, stare con i nostri figli. Non vogliamo passare anche le domeniche a vendere merce dietro a un bancone".
Il comune di Latina ha emanato una ordinanza che recependo la legge "liberal" dell’ex ministro Bersani consente l’apertura domenicale. Pronta e puntuale la risposta delle commesse. "L’ordinanza parte dal presupposto che Latina sia una città turistica e che dunque necessiti di un simile servizio - hanno scritto nel loro documento - ma non è così. Lo sappiamo tutti. Non esiste neanche un progetto di questo genere e questa iniziativa è del tutto scollegata dalla logica". Questa protesta autorganizzata nasce in un settore ha un tasso di lavoro nero e irregolare senza precedenti.

19 giugno ’01

 

ARGENTINA: CECCHINI CONTRO DISOCCUPATI

Due morti e almeno 26 feriti, è il tragico bilancio dell'intervento repressivo della gendarmeria argentina in località General Mosconi, provincia di Salta, 1.100 chilometri a nord della capitale Buenos Aires. Dalle prime testimonianze è certo che - quando è intervenuta la polizia per sgomberare la ruta 34, che conduce in Bolivia - sono entrati in azione dei cecchini mascherati, situati sui tetti di alcune abitazioni. La tesi del governatore di Salta, il peronista Juan Carlos Romero, è che "ci sarebbero stati degli scontri, durante i quali, dei 'franchi tiratori' (lì per caso?) avrebbero sparato sia sulla popolazione che sui poliziotti". La protesta era stata messa in atto dai lavoratori edili, bloccando con i picchetti la strada principale. La lotta ha avuto inizio venti giorni fa, per protesta contro l'abbassamento dei salari (della paga oraria da 2,50 pesos a 1,50) ordinato dalla ditta di costruzione che, a General Mosconi, sta edificando l'ospedale pubblico. I sindacati locali e nazionali hanno accusato il governatore della provincia ed il presidente Fernando De la Rua di avere provocato questi incidenti, e quindi anche la morte di due innocenti. Nel frattempo, la protesta si sta allargando a tutta la regione - una delle più povere dell'Argentina - e altri lavoratori stanno affluendo a General Mosconi per sostenere la lotta degli edili.

 

20 giugno ’01

 

GRANDI IMPRESE: OCCUPAZIONE IN CALO

Nei primi tre mesi dell'anno l'occupazione nelle grandi imprese è ulteriormente diminuita, facendo registrare una flessione del 2,1%. Un dato che significa 17mila posti di lavoro in meno. Lo ha reso noto l'Istat, annunciando per il mese di marzo una riduzione - su base annua - del 2,4%, contro il 2% segnato in febbraio. Nel settore dei servizi il calo del trimestre è stato invece dello 0,1%, equivalente a una perdita di "sole" mille unità. Il quadro mostra dunque un inizio anno con meno occupati, ma con un aumento delle ore lavorate (+0,3%). Il settore industriale che risente della contrazione più marcata è quello energetico (-6,1%). Nei servizi, invece, diminuiscono gli occupati nei settori dei trasporti, magazzinaggio e comunicazioni (-4,2%); mentre c'è una forte crescita del commercio (+9,4%) e delle attività stagionali, come il comparto alberghiero (+6,3%). L'Istat comunicava che le ore di cassa integrazione nell'industria hanno registrato un -9,8% rispetto allo stesso periodo del 2000 mentre il costo medio del lavoro per dipendente è cresciuto del 3,1%.

COMAU CONDANNATA PER ATTIVITA' ANTISINDACALE

La Comau Stampi di Mirafiori, un'azienda del gruppo Fiat con 600 addetti, è stata condannata dal giudice Rocchetti del Tribunale di Torino per attività antisindacale. Lo annuncia la 5 Lega Fiom-Cgil, che aveva presentato un ricorso contro la società del gruppo Fiat. Il sindacato ha denunciato le discriminazioni subite da un gruppo di lavoratori che, dopo aver aderito allo sciopero proclamato dalle Rsu, erano stati minacciati e quindi messi in cassa integrazione per ritorsione. A monte della protesta c'è la decisione unilaterale della Comau di istituire - a fianco dei normali turni dal lunedì al venerdì - un nuovo turno di lavoro di cinque giorni dal martedì al sabato. La sentenza di condanna parla di comportamenti che violano il diritto di sciopero, lesivi quindi della dignità dei lavoratori e del sindacato.

ILVA DI TARANTO

Una folla di cassintegrati, dal '99 oltre 600. All'Ilva di Taranto funziona così, il ricambio è velocissimo: infortuni, proteste sindacali, scioperi, avances sessuali rifiutate, o il raggiungimento dei 50 anni, magari. Basta poco e sei messo fuori, in cassa integrazione. L'Ilva - ex Italsider, azienda pubblica svenduta nel '95 al bresciano Riva per 1400 miliardi di lire - frutta 800-1000 miliardi di utili producendo 8 milioni di tonnellate d'acciaio ogni anno. Nei 20 milioni di metri quadrati della città-stabilimento, grande oltre due volte la stessa Taranto, chi mette i bastoni tra le ruote della corsa produttiva è perduto: gli impiegati troppo sindacalizzati o scomodi fino a due anni fa erano confinati nell'ormai famosa Palazzina Laf (sulle cui vicende è attualmente in corso un processo che dovrebbe concludersi entro l'anno, vedi il manifesto di sabato 16). Oggi c'è un metodo più moderno, valido anche per gli operai: la cassa integrazione e una riqualificazione "fantasma", mai partita. Il reinserimento è una chimera: molti stipendi, che magari raggiungevano o superavano i tre milioni al mese, spariscono dai libri paga. Intanto, in fila davanti alle porte dello stabilimento, premono moltissimi giovani che attendono di essere assunti e che certamente, grazie alle nuove tipologie contrattuali più o meno "atipiche", costeranno molto meno. Oltre 7000 nuovi contratti negli ultimi 6 anni, con un turnover del 50%. Cosa ne sia poi di questi ragazzi una volta che anche loro, per "disgrazia", si siano infortunati, è tutta un'altra storia. E la potete leggere nell'intervista a fianco.
Salvatore M., dipendente del siderurgico dal 1974, racconta: "Per circa 26 anni sono stato operatore mezzi di sollevamento. Dal 1986 al 1991, per una serie di incidenti, ho contratto un'invalidità del 47%. I tubi che ci ordinavano di spostare erano in giacenza da anni, senza alcuna manutenzione, tanto che erano coperti dalla ruggine. Molte scaglie di questa ruggine mi sono finite negli occhi, e mi è stata diagnosticata una "cicatrice corneale paracentrale" all'occhio sinistro. Inoltre, a causa di altri incidenti, ho avuto un trauma cranico commotivo e un infortunio alla mano. Nonostante tutto questo, non mi hanno trasferito a mansioni più leggere. Dal '95 sono in causa con l'azienda per i danni biologici, ma finora ho avuto soltanto 10 milioni per il trauma cranico. La dirigenza Riva dal gennaio del 2000 mi ha messo in cassa integrazione, offrendomi 300 mila lire in più per un corso di riqualificazione, che però non è mai stato avviato. Prima prendevo 2 milioni e 600 mila lire al mese, con premi di produzione e tredicesima. Adesso, a 47 anni, devo mantenere la mia famiglia con 1 milione e 700 mila lire mensili. Penso che mi abbiano fatto fuori per i contenziosi che avevo aperto con l'azienda a causa dei miei infortuni, e perché insistevo per una maggiore sicurezza nello stabilimento. Ad altri miei colleghi hanno pure offerto di rinunciare, dietro un compenso di poche centinaia di migliaia di lire mensili, ai propri contenziosi".
Anche Egidio B. è al siderurgico di Taranto dal 1974. "Nel 1977 - racconta - ebbi un grave infortunio al braccio destro, che era rimasto bloccato tra i cilindri del laminatoio. Nel marzo del 2000 è arrivata la cassa integrazione. Negli ultimi tempi prendevo 3 milioni e 500 mila lire al mese, oggi mi trovo con 1 milione e 700 mila lire al mese".
Giambattista D., 54 anni, ex impiegato, dice che proprio un infortunio e il suo essere diventato scomodo hanno spinto l'azienda a metterlo in cassa integrazione: "Nell'ultimo periodo - spiega - ero ai servizi doganali, dopo aver lavorato per 22 anni all'ufficio acquisti, soppresso da Riva poco dopo il suo arrivo e trasferito al nord. Nel '97 scivolai dalle scale della palazzina doganale, prive dei marmi di calpestìo. Dopo un anno di operazioni e riabilitazione, nell'aprile del '98 fui mandato nella palazzina Laf. Al mio posto entrò un altro impiegato: "temporaneo", dicevano, ma è ancora lì. All'uscita dalla palazzina Laf mi fu offerto di essere declassato a operaio o di restare a casa pagato. Scelsi il declassamento. Nel '99 fui messo in cassa integrazione: mi offrirono 300 mila lire in più per accettare e non impugnarla. Ho rifiutato. Oggi vivo con 1 milione e 400 mila lire al mese, prima ne prendevo 3 milioni e 200mila".

ILVA DI CORNIGLIANO

Il presidente della legione liguria, il berlusconiano Sandro Biasotti, continua a cavalcare la tigre ambientalista e a battersi per la chiusura delle acciaierie di Cornigliano. "No al forno elettrico", ripete, fonte di radioattività, e il il cui funzionamento richiederebbe la costruzione di una nuova centrale elettrica. Biasotti parla di riconversione, ma finora non ha fatto nulla per costruire un'alternativa occupazione a 1.100 lavoratori che rischiano il posto, dopo l'ordine di chiusura della cokeria da parte della magistratura. Il problema ambientale esiste, a Cornigliano, ed è drammatico. L'immobilismo politico ha inoltre incancrenito il clima, peggiorando i rapporti tra lavoratori e cittadini, al punto che oggi l'impianto di patron Riva è diventato oggettivamente incompatibile con il territorio.
Gli operai di Cornigliano, a una settimana dalle cariche della polizia, sono tornati nella sede della regione. Questa volta il presidente Biasotti ha avuto il buon gusto di non chiamare in sua difesa le forze dell'ordine - si fa per dire - ed ha accettato di ascoltare le ragioni dei lavoratori. I quali rivendicano la fattibilità del forno elettrico. Il paradosso è che a difendere la fabbrica e il suo carico di veleni si trovino insieme gli antagonisti di sempre, il padrone della siderurgia italiana Riva e i suoi dipendenti. Anche se le cariche della polizia contro gli operai stanno schierando un pezzo importante della città con i lavoratori. Il problema è come sempre che il capitalismo è incompatibile con la salvaguardia della vita e dell'ambiente e quando per ragioni oggettive si arriva a decretare la fine di un processo produttivo nocivo lo si fa sempre senza tenere conto della situazione dei lavoratori, che finiscono per essere strumenti nelle mani dei padroni, nel rivendicare continuità alla produzione capitalistica di contro ad una produzione alternativa.

 

21 giugno ’01

 

BREDA: RINVIATI A GIUDIZIO 2 EX DIRIGENTI PER GLI INFORTUNI SUL LAVORO

Omicidio colposo e lesioni personali gravissime. Con queste accuse il giudice per l'udienza preliminare, Silvana Petromer, ha rinviato a giudizio due ex dirigenti della Breda Fucine di Sesto San Giovanni. Umberto Marino e Vitantonio Schirone, oggi ottantenni, dovranno rispondere della morte di sei operai (e della grave patologia che affligge un settimo) causata dall'esposizione all'amianto. La prima udienza è stata fissata per il prossimo 14 novembre presso il Tribunale di Milano. E' evidente a tutti quanto si alenta la "giustizia" quando c'è da individuare e condannare dei padroni o i loro delegati allo sfruttamento.
Il Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro di Sesto San Giovanni, cinque anni dopo la prima denuncia, ha così ottenuto un primo significativo successo. "Sono contento - dice Michele Michelino, il portavoce degli operai della Breda - perché la cosa più importante era che si arrivasse al processo: finalmente verificheremo se uccidere gli operai in nome del profitto è reato oppure no". Sandro Clementi, legale del Comitato, con una punta di amarezza ricorda "tutto il tempo e l'impegno che ci sono voluti per avere un riconoscimento, postumo e tardivo, su ciò che sapevamo tutti da decenni, e cioè che in quella fabbrica gli operai morivano".
In queste settimane sono tornate alla ribalta carte vecchie di 23 anni che tutti gli operai della Breda conoscono a memoria, come la relazione del Servizio di Medicina Preventiva per gli Ambienti di Lavoro (Smal) datata settembre 1978: "Il destino della polvere e delle fibre di amianto inalate varia a seconda del loro diametro. Le piccole non vengono arrestate dai bronchi, ma arrivano fino al tessuto polmonare... A questo livello possono arrivare alle pleure dando versamenti, placche da reazione e possibili tumori". E, se deglutite, proseguiva la relazione, le fibre di maggiori dimensioni avrebbero potuto provocare tumori anche a stomaco, esofago e intestino. Silvia Fraschini, legale di Schirone, uno degli imputati, ha già impostato la linea difensiva: tra quelle morti e le sostanze usate alla Breda Fucine "non c'è alcun nesso causale".
G.M., l'unico operaio ancora in vita dei sette per cui si andrà a processo, oggi è malato di tumore allo stomaco. E ancora ricorda come si comportò l'azienda invece di seguire i consigli dello Smal, che aveva suggerito di sostituire le coperte in amianto alluminizzato che servivano per schermare il calore: "La dirigenza ci dava mezzo litro di latte al giorno". Un altro ex operaio della Breda, Giampaolo Gobbo, ricorda un altro episodio inquietante: "Nella prima metà degli anni '70 alla Breda Fucine era arrivato un macchinario per la lavorazione delle aste da trivellazione petrolifera, il Flashwell, comprato di seconda mano da una ditta americana; all'inizio degli anni '80 venne un tecnico dagli Usa per ripararlo, lo accompagnai in albergo e mi chiese: 'hanno cominciato a morire anche qui da voi gli operai?'".

ARGENTINA: DOPO I CECCHINI, LA GENDARMERIA

Erano le cinque della mattina quando la gendarmeria argentina è intervenuta in forze per sgomberare i picchetti dei disoccupati a General Mosconi, a 350 chilometri da Salta nel nord del paese. L'intervento repressivo è stato portato a termine dalle forze di polizia e dalle guardie di frontiera - General Mosconi, infatti, si trova a poca distanza dai confini della Bolivia - che hanno fatto ricorso alla lancio di gas lacrimogeni e tiri contro l'uomo, con armi caricate con pallottole di gomma.
I gendarmi dopo avere liberato la strada principale - Ruta 34 - si sono impegnati con inusuale violenza in una massiccia caccia all'uomo, agli edili-scioperanti. In particolare, la caccia doveva servire a mettere in trappola i capi della protesta, i sindacalisti Josè "Pepino" Fernandez, Ariel "Sombra" Rivero e Piqueta Ruiz. Per fortuna i tre hanno scongiurato l'arresto. Alla fine della mattinata, comunque, La retata ha portato all'arresto di 13 persone impegnate nei picchetti, ma la rappresaglia è stata veramente spietata, con perquisizioni casa per casa.
La protesta di questi lavoratori stava ricevendo una massiccia solidarietà, all'interno del paese, sia da parte dei sindacati, sia da parte di alcuni settori delle istituzioni. I picchetti di General Mosconi erano diventati il simbolo della resistenza e della lotta di tanti argentini contro la crisi economica che attraversa il paese e le contromisure prese da superministro Domingo Cavallo, dietro suggerimento del Fondo monetario internazionale.
Sempre ieri, a Buenos Aires, un gruppo di tecnici e piloti della Aerolinas Argentinas, si è raccolta nella piazza davanti alla sede del Congresso nazionale, mentre il parlamento si riuniva - in seduta straodinaria - per decidere il destino della compagnia, dopo che la Sepi (la maggiore azionista spagnolo) ha comunicato di volersi di disempegnare da questa attività. A causa dei debiti accumulati ed il rifiuto da parte dei lavoratori del piano di ristrutturazione. La vertenza - che ormai dura da settimane e ha già paralizzato il traffico aereo - non è ancora ad una svolta decisiva. Infatti, una parte del governo, sull'ondata di un vero e proprio sentimento nazionalista, sarebbe d'accordo a ricomprare la compagnia; rilevando il 91% delle azioni ancora in mano agli spagnoli. Per trovare i soldi, sarebbe disposto ad intervenire, in sostegno dell'amministrazione Fernando De la Rua, lo stesso governo di Aznar. Pur di levarsi di torno la patata bollente delle proteste dei lavoratori.

CONTRATTO ALIMENTARISTI

C'è l'accordo per il rinnovo del contratto dei lavoratori alimentaristi, 350 mila persone circa, che sono occupati in un settore che produce 175 miliardi di fatturato. Il contratto era scaduto il 31 maggio scorso. Prima della fine del mese scorso, Flai-Cgil, Fai-Cisl e Uila-Uil hanno esercitato una pressione sindacale utilizzando il blocco della flessibilità e gli straordinari. Le organizzazioni imprenditoriali hanno tentato a loro volta la strada di un "richiamo all'ordine", facendo pressioni su Confindustria. Ma alla fine ha vinto il negoziato. E ieri la sigla nella sede confindustriale.
I lavoratori del settore, tra cui moltissimi sono gli stagionali, avranno un aumento medio a regime di 125 mila lire, diviso in due tranche. La prima dal 1 giugno 2001 è di 45 mila lire. La seconda, 1 giugno 2002 sarà di 80 mila lire.
Oltre le due tranche di aumento è prevista anche una "una tantum" di 240 mila lire che sarà data ai lavoratori il 1 gennaio del 2002, ma non a tutti. Saranno infatti esclusi dall'una tantum tutti quei lavoratori stagionali che saranno licenziati prima di quella data. Tutti gli aumenti salariali degli alimentaristi sono legati all'inflazione, ovvero nel testo siglato ieri non ci sono riferimenti alla produttività del settore (cosa che invece troviamo nella piattaforma dei metalmeccanici). Il segretario della Flai, Chiriaco, sostiene che questa firma per gli alimentaristi aiuterà ora anche gli altri lavoratori e gli altri sindacati che ancora devono arrivare agli accordi sulle piattaforme, a cominciare dai metalmeccanici. Nella Fiom non sembra però che il contratto degli alimentaristi venga giudicato molto positivamente. Prima di tutto perché si basa eslcusivamente sul recupero dell'inflazione. Poi perché anche la stessa cifra è stata pensata prima del Dpef che dovrebbe aumentare di un punto il differenziale dell'inflazione. Gli alimentaristi, secondo alcuni, si sarebbero quindi già "mangiati" l'aumento del punto di inflazione.
Nella fila dei sindacati della categoria degli alimentaristi prevale invece la soddisfazione per l'accordo raggiunto. Anche nella delegazione unitaria che si è presentata ieri, una settanta di sindacalisti, i no sono stati solo 5. I no sono stati quelli della minoranza Cgil, "Lavoro società, cambiare rotta" e di un delegato Uil.

 

22 giugno ’01

 

ELETTRICI, ACQUA, GAS: SI SCIOPERA

Scioperano per quattro ore i 40.000 lavoratori del settore acqua e gas, insieme ai 90.000 del settore elettrico. I due contratti nazionali, scaduti a dicembre '98, sono i più vecchi tra quelli da rinnovare. Al centro dello scontro la definizione dei contratti di settore, le garanzie nel processo di privatizzazione, adeguamenti salariali. L'agitazione è stata indetta sia da Cgil, Cisl e Uil che dai Cobas. Presidi, sit-in e manifestazioni sono previste un po' in tutta Italia, a Roma sotto la sede di Confindustria.

METALMECCANICI: SCIOPERA LA FIOM

La Fiom va avanti, anche a costo di ritrovarsi da sola. Di fronte alle chiusure di Federmeccanica e all'indisponibilità di Fim e Uilm di consultare i lavoratori con un referendum sulla piattaforma contrattuale, l'organizzazione dei metalmeccanici della Cgil ha deciso ieri di proclamare uno sciopero nazionale di otto ore della categoria: a 5.000 delegati Fiom che si riuniranno a Bologna il prossimo 27 giugno spetterà la decisione di confermare la giornata di lotta che la segreteria dell'organizzazione propone per il 6 luglio.
La rottura con Fim e Uilm era da tempo nell'aria; almeno da quando queste due ultime organizzazioni avevano dimostrato la loro disponibilità ad avviare una trattativa conclusiva con Federmeccanica sulla base della proposta padronale che "offre" 115.000 lire - a fronte delle 135.000 richieste dalla piattaforma unitaria votata dai lavoratori - con all'interno una quota di 18.000 lire come anticipo dell'inflazione del 2003 (una cifra che sarebbe perciò detratta dal prossimo rinnovo contrattuale). In sostanza Federmeccanica propone un aumento di 97.000 lire, una cifra ben sotto il recupero dell'inflazione; inoltre conferma la pregiudiziale contro qualunque richiesta di aumenti salariali legati al buon andamento del settore, cioè alla produttività, cioè al lavoro dei meccanici. Fim e Uilm sembrano invece disponibili ad andare a stringere sulla base dell'ipotesi di Federmeccanica. Per questo, dopo aver rifiutato la proposta del referendum di verifica, hanno avviato una serie di assemblee degli iscritti (solo degli iscritti) per prepararsi a uno scontro che ha precedenti nei lontani anni Sessanta. Nel comunicato della sua segreteria che annuncia lo sciopero del 6 luglio, la Fiom sottolinea che tale decisione scaturisce dalle pregiudiziali di Federmeccanica e dalla scelta di Fim e Uilm di accettarle. Visto che ormai "non esiste un'unità d'intenti tra le tre sigle sindacali - prosegue il documento della Fiom - appare impossibile dichiarare uno sciopero nazionale unitario, poiché le posizioni sono divergenti" e, quindi, di fronte allo stallo contrattuale i metalmeccanici della Cgil hanno deciso di indire una giornata di lotta da soli.
In gioco è il contratto nazionale: se debba essere ridotto a un fatto notarile - la cui consistenza sarà sempre in balia delle esigenze degli imprenditori - o essere l'istituto su cui si verifica il potere contrattuale dei metalmeccanici in relazione alle loro condizioni di vita e di lavoro. Al di là degli interessi specifici della categoria, chi sciopererà il 6 luglio lo farà per tutti.

TELECOM: SCIOPERO COBAS SU CONTRATTO E PRECARIATO

Sciopero generale nel gruppo Telecom, per tutta la giornata. Lo hanno indetto i Cobas, visto lo stallo della trattativa per rinnovo del contratto nazionale scaduto 18 mesi fa. Una storia lunga, complicata dalla privatizzazione e liberalizzazione del settore, dalla compresenza di diversi contratti per lavoratori che svolgono le stesse mansioni in aziende diverse (magari all'interno dello stesso gruppo). I Cobas hanno altre idee sulla piattaforma contrattuale: chiedono per il 2001 l'erogazione di 4 milioni in due tranche in sostituzione del Pip, 250.000 lire di aumento, il ripristino della 14, ecc. Ma il dato più interessante è l'individuazione dell'"anello debole" nella composizione sociale dei lavoratori telefonici: i call center esternalizzati, dove si lavora senza a alcuna garanzia e a cottimo. Proprio per questo, tra le varie manifestazioni, a Roma ne è stata indetta uan davanti ad Atesia, società call center del gruppo Telecom, ma fuori di ogni contratto collettivo.

 

23 giugno ’01

 

VERTICI FINCANTIERI INDAGATI PER LA MORTE DI 50 OPERAI

Si torna a parlare di rischio amianto ai Cantieri navali Palermo. La Procura è al lavoro per accertare l'eventuale nesso tra le malattie polmonari, l'asbetosi e il mesotelioma pleurico, che hanno colpito circa cinquanta operai, e le condizioni in cui si è svolta l'attività lavorativa del cantiere. Ad essere indagati, con l'accusa di omicidio colposo plurimo e lesioni gravissime, i vertici della Fincantieri degli ultimi 50 anni, responsabili di non avere vigilato sull'osservanza della legislazione a tutela dei lavoratori.
L'inchiesta, condotta dal pm Emanuele Ravaglioli, è stata avviata in seguito a segnalazione trasmessa dall'Inail, che ha registrato numerosi casi di malattie polmonari al Cantiere navale di Palermo legate all'inalazione di fibre d'amianto. Sarebbe questa la causa della morte di circa venti operai. L'utilizzo dell'amianto è disciplinato da una legge del 1991, che impone, tra l'altro, anche la bonifica dei luoghi, ma è del 1956 la legge che prevedeva l'adozione di cautele a a tutela dei lavoratori che utilizzavano sostanze dannose per la salute. Per questo motivo il magistrato ha preso la decisione di indagare tutti i vertici della società a partire da quella data.
Alla Fincantieri sarebbe sistematica e scientifica la violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Qualche anno fa era stato denunciato che tonnellate di scorie dannose provenienti dallo scrostamento degli strati di vernice delle navi, invece di essere eliminate a norma, venivano buttate in mare a ridosso delle banchine e ricoperte da strati di asfalto.
Dalle indagini sarebbe emerso che i dipendenti non avrebbero mai adoperato maschere e che i sistemi di areazione sono degli oggetti misteriosi. Le tute degli operai, inoltre, invece di rimanere all'interno dell'azienda sarebbero state lavate a casa degli stessi operai. Ma l'amianto avrebbe colpito anche chi non al Cantiere navale non ha mai messo piede. Tra le vittime vi sarebbe, infatti, anche la moglie di un operaio: per anni ha lavato la tuta del marito, sporca dei residui della lavorazione dell'amianto. L'asbetosi e il mesotelioma plerico, patologie tumorali con esito letale, hanno un'incubazione che può raggiungere anche i venti, trent'anni, tanto che numerosi dipendenti, colpiti da questi mali, sono morti quando erano già in pensione.

 

24 giugno ’01

 

INAIL: "FLESSIBILI" A RISCHIO

Cambiano i modelli di produzione, tutto il mondo del lavoro è stravolto, ma le cifre sugli incidenti sul lavoro e sulle morti continuano ad essere impressionanti. Cambiano però le mappe del rischio. Fra i nuovi soggetti più a rischio, secondo un'analisi dell'Inail, ci sono le donne e i lavoratori flessibili, siano essi a termine o interinali. La figura emergente è sicuramente il lavoratore individuale per il quale la responsabilità della sicurezza si sposta dall'azienda al lavoratore stesso. La ricerca dell'Inail individua anche i fattori che contribuirebbero più di altri ad alzare la soglia del rischio incidente: alto livello di mobilità, l'intensificazione dei tempi lavorativi, la sostanziale assenza di identificazione con il luogo di lavoro, l'insicurezza della posizione lavorativa e l'estraneità rispetto alla rete di soggetti di rappresentanza del lavoro. Una delle categorie giudicate più a rischio è quella dei lavoratori temporanei che sono "in media più esposti ai rischi derivanti da posizioni dolorose, alle vibrazioni o ai rumori". Hanno inoltre pochissime occasioni di formazione, pur essendo tra coloro che ne avrebbero più bisogno. Tra gli interinali, per esempio, solo il 23% riceve formazione. Naturalmente le categorie di lavoratori "individuali", come sono stati ribattezzati anche da una recente ricerca del Censis e in particolare da tutti quei lavoratori che vengono assunti a tempo determinato da una parte e poi riassunti da un'altra, così come gli "interinali" hanno anche la difficoltà di aggiornarsi continuamente e di tentare di entrare in sintonia con luoghi di lavoro sempre diversi.

 

25 giugno ’01

 

LE POSTE ANNUNCIANO 9000 LICENZIAMENTI

Poste italiane ha comunicato ai sindacati l'avvio delle procedure di licenziamento di 9.000 dipendenti. "Consideriamo la decisione aziendale assolutamente inaccettabile in quanto devastante sul piano sociale - ha detto Ciro Amicone, segretario generale Uilpost-Comunicazione -. Verrebbero infatti messi pesantemente a repentaglio il presente ed il futuro di migliaia di famiglie. L'eventuale attuazione dell'iniziativa vanificherebbe inoltre tutti i sacrifici sopportati in questi ultimi anni dai lavoratori postali per risanare l'azienda". "È un fatto grave e senza precedenti - ha dichiarato Nino Sorgi, segretario generale della Slp Cisl - che preoccupa enormemente il sindacato. Le Poste non hanno alcun ammortizzatore sociale e quindi di fatto questi lavoratori in esubero rischiano ora il licenziamento. Ma noi ci opporremo con tutte le nostre forze contro questo provvedimento ingiusto dell'azienda. Il governo ed in particolare il ministero del Tesoro che sono gli azionisti di maggioranza di Poste SpA, hanno precise responsabilità in questa vicenda".

 
26 giugno '01

LA TELEO VIOLA LE REGOLE

L'azienda Teleo viola apertamente le corrette relazioni sindacali, sostituendo i lavoratori in sciopero degli straordinari con lavoratori interinali. La società, che sta per essere incorporata in Telespazio, gruppo Telecom, ha preso così un grave provvedimento violando la legge 300 e la legge sul lavoro interinale.

 

27 giugno '01

VITTORIA DI 316 LSU PUGLIESI DOPO 4 ANNI DI LOTTE

Oggi Lsu, con 850 mila lire al mese, a carico dello stato. Dal prossimo ottobre, dipendenti a tempo indeterminato della Sma Finmeccanica, per la prevenzione degli incendi in Puglia. Questo è il risultato per 316 LSU pugliesi che dopo quattro anni di lotte per una stabilizzazione finalmente vedranno una busta paga regolare.
Sono in tutto 7000 gli Lsu pugliesi, che, secondo un accordo firmato nel dicembre dello scorso anno con il ministero del lavoro, devono essere stabilizzati entro il 2003. Per questo, la regione ha ricevuto fondi per oltre 90 miliardi di lire. Dal prossimo primo ottobre, secondo una delibera da approvare la settimana prossima, i 316 Lsu forestali - media di età sui 40 anni e pescati originariamente tra i disoccupati di lunga durata, addetti fino a oggi alla manutenzione e prevenzione degli incendi - saranno assunti come addetti al rilevamento meteorologico e antincendio satellitare, dopo aver seguito un corso di preparazione di 6 mesi. Per coprire le spese della strumentazione e gli stipendi, la Sma Finmeccanica, che agirà in collaborazione con la società Telespazio, riceverà nei prossimi 5 anni 90 miliardi di fondi, 45 finanziati dallo stato e 45 dalla regione.
"Per noi è un'importante vittoria - spiega Giuseppe Carone, del coordinamento Lsu forestali - tanto più se si pensa che abbiamo condotto la nostra lotta come autorganizzati, ricevendo il sostegno, tra le sigle sindacali, soltanto dello Slai Cobas e della Confederazione dei Cobas. Per quattro anni abbiamo lavorato credendo in questo progetto: quello che offriamo è un servizio pubblico e perciò volevamo essere assunti dalla pubblica amministrazione. In alternativa, avremmo potuto fare delle cooperative, ma, anche in questo caso, non sapevamo bene a cosa saremmo andati incontro. Ora saremo assunti da un'impresa che riteniamo seria, e perciò nutriamo una certa fiducia per il futuro".

28 giugno '01

FEDERMECCANICA PRONTA ALL'ACCORDO SEPARATO

La risposta di Federmeccanica all'assemblea dei delegati Fiom è arrivata con una lettera di convocazione delle parti per un incontro che vuole essere risolutivo. L'organizzazione padronale ha scritto ieri pomeriggio alle tre sigle sindacali ipotizzando due date per chiudere: "Ricevute molte pressioni da più parti - scrive Federmeccanica - Vi proponiamo di incontrarci il 29 giugno o il 2 luglio (...) dateci una risposta entro le ore 12 del 28 p.v.". Fissato l'ultimatum il neopresidente Bombassei non ha dovuto attendere molto la risposta positiva della Uilm: "Siamo disponibili - ha dichiarato Antonino Regazzi - il 29 o il 2 per noi vanno bene entrambe", aggiungendo che la sua organizzazione vuole chiudere il contratto prima delle ferie e concludendo che "la Fiom e la Cgil hanno consumato definitivamente la rottura nel sindacato dei lavoratori". Anche la Fim ha fatto sapere di accettare l'invito padronale chiedendo una maggiore disponibilità economica, cioè un aumento di qualche migliaio di lire le 97.000 "offerte" dai padroni. L'invito e le risposte fanno intendere un pre-accordo per un'intesa separata, che dovrebbe muoversi attorno ai vincoli posti da Federmeccanica: 100-105.000 lire d'aumento (nemmeno il recupero dell'inflazione), più un anticipo di 18.000 da detrarre dal prossimo contratto. Un vero imbroglio, in cui l'unica cosa che emerge chiaramente è la volontà di chidere a tutti i costi. Da parte sua la Fiom ha inviato a Federmeccanica una lettera in cui si dice disponibile a sedersi a un tavolo di trattativa a patto che vengano meno le pregiudiziali e i vincoli economici posti da Federmeccanica. In altre parole la Fiom chiede che si ritorni a discutere sulla base della piattaforma approvata dai lavoratori, cioè le 135.000 lire, con il pieno recupero dell'inflazione e una quota sul buon andamento del settore.

ALCATEL LICENZIA

"Telefoni portatili, operai usa e getta!". E' lo striscione (con un gioco di parole abbastanza simile anche in italiano) che campeggia da alcuni giorni alle porte della fabbrica Philips di Le Mans, che produce telefonini, dove sono stati annunciati 1.142 licenziamenti.
Lo stesso striscione potrebbe essere issato all'entrata di tutte le 120 fabbriche del gigante degli apparecchi di telecomunicazione, il francese Alcatel, che ha deciso, come ha riassunto il suo presidente Serge Tchurk, di diventare "un'impresa senza fabbriche". Il tutto in soli 18 mesi. Entro il 2002, Alcatel - che impiega nel mondo 131.000 persone divise in 120 fabbriche - ha deciso di liquidare tutto (potrebbe al massimo conservare una dozzina di impianti, ma anche meno) e di far fabbricare in subappalto telefonini e altri apparecchi per le telecomunicazioni. "Non ci saranno drammi sociali", assicura Tchruk, ma la Cgt teme che almeno 1.000 dei 38.300 lavoratori francesi perderanno il posto. Negli Usa, dove è più facile mandare le maestranze a casa, la filiale di Alcatel ha già comunicato che ci saranno 2.000 licenziamenti; altri 9.000 dipendenti hanno ricevuto un'offerta in soldi liquidi per dare volontariamente le dimissioni.
Le fabbriche Alcatel, oltre alla Francia (29% dei dipendenti), sono fortemente presenti in Germania (13%); il grosso è nel resto d'Europa (28%), il rimanente negli Stati uniti (il 14%, 18.800 dipendenti), Asia. Alcatel ha deciso la drastica mossa per far fronte a un crollo di Borsa, che ha fatto scendere il titolo di più del 60% dall'inizio dell'anno.
L'idea di Alcatel - che è anche quella di altri produttori nel campo della telefonia, come Philips, Ericsson o Motorola - è di sbarazzarsi delle fabbriche (e dei rispettivi operai) per concentrarsi sulla "materia grigia", la ricerca e il marketing.
L'idea dell'"impresa senza fabbriche" è l'ultima novità dei grandi manager per venire incontro alle esigenze degli azionisti, che chiedono sempre e solo più "produzione di valore". Ieri, la Borsa di Parigi ha reagito positivamente all'annuncio di Alcatel "senza fabbriche", ma nel mondo finanziario è già successo che annunci altrettanto clamorosi siano stati accolti quasi con freddezza, come se non fosse mai abbastanza.
In Francia sono partiti gli scioperi, le lotte. Gli operai francesi infatti sono molto arretrati, non amano quel tipo di globalizzazione, preferiscono lavorare che essere licenziati, se devono proprio scegliere di cambiare lavoro, o padrone, vogliono partecipare almeno un po' alla scelta. Preferiscono avere formazione, decidere sui tempi. Poi, chissà come mai, di Tchuruk non si fidano. Non gli è piaciuta e non hanno dimenticato la spartizione di sei anni fa, non hanno capito l'affare Lucent, se non per il solito allegro ritornello - ne buttiamo fuori la metà e così guadagnamo il doppio - che agli operai non sembra affatto divertente. Tutto intorno le altre compagnie di tlc rivali, concorrenti amiche di Alcatel hanno licenziato migliaia di addetti, perché questa era l'unica forma che il mercato borsistico riconosceva come vantaggiosa per le imprese e salutava con un rialzo o almeno l'arresto nella travolgente caduta dei corsi.
In Italia lavorano per Alcatel migliaia di dipendenti. Dal punto di vista sindacale sono spartiti tra metalmeccanici, comunicazioni e forse anche chimici. I punti forti sono pochi e vi è piuttosto una buona conoscenza del mercato che Alcatel (che era socio di Fiat prima che questa vendesse per 1.100 miliardi nel 1992) può facilmente mantenere, regalando la produzione senza testa a qualche altro imprenditore, purché si accolli qualche anima morta di operaio. Il campo delle telecomunicazioni è in pieno marasma. Nel mondo, sono già stati annunciati 72.000 licenziamenti nelle telecom (Lucent, Nortel, Motorola, Ericsson, Siemens).

 

29 giugno '01

PREZZI E SALARI

L'inflazione non rallenta e seguita a tagliare il potere d'acquisto delle retribuzioni. Anche perchè, spiega l'Istat che ieri ha diffuso dati aggiornati, a fine maggio quasi 5 milioni di lavoratori dipnedenti erano in attesa del rinnovo del contratto di lavoro.
L'Istat ha raffreddato le speranze di quanti cercavano di sostenere una inflazione sotto il 3%: l'incremento tendenziale dei prezzi (anche se viene spiegato che anche il dato diffuso ieri è ancora provvisorio) è rimasto inchiodato al 3% di maggio.
E quel 3% di incremento in maggio è ancora una volta superiore alla crescita delle retribuzioni contrattuali nello stesso mese: +2,7% quelle orarie, +2,6% quelle mensili per dipendente, ha comunicato sempre ieri l'Istat. Nel mese l'indice generale ha fatto registrare un incremento dello 0,3%, ma non si è trattato di un aumento generalizzato, ma - viene spiegato nel comunicato - deriva "esclusivamente dall'entrata in vigore di alcuni accordi appartenenti al ramo della pubblica amministrazione", alcuni dei quali milionari, con ricchi arretrati. Grazie all'applicazione di questi accordi, nel complesso della P.a. le retribuzioni hanno segnato un incremento congiunturale dello 0,8%, mentre su base annua l'aumento è del 5,5%.
Per i lavoratori di molti altri settori produttivi, soprattutto quelli in attesa di rinnovo contrattuale, e nonostante il pagamento del'indennità di vacanza contrattuale, gli aumenti tendeziali sono, invece, irrisori e accentuano la perdita di potere d'acquisto. L'esempio più clamoroso è quello dei metalmeccanici: tra il maggio 2000 e il maggio di quest'anno le retribuzioni sono aumentate solo dello 0,7%.
Visti i livelli salariali netti il differenziale tra l'andamento delle retribuzioni (anche aumentate della indennità di vacanza contrattuale) e quello dei prezzi significa che nel solo mese di maggio un salario medio metalmeccanico (al terzo livello attorno al milione e 700 mila lire) ha perso circa 40 mila lire di potere d'acquisto. Una perdita che si somma a quelle altrettanto vistose accumulate negli ultimi due anni (contrassegnati anche da una forte crescita della produttività) visto che l'inflazione reale è risultata costantemente superiore a quella programmata.
L'Istat ha anche comunicato che nei primi ciqnue mesi dell'anno per conflitti di lavoro non sono state lavorate 1,5 milioni di ore. Rispetto allo stesso periodo del 2000 si tratta di una riduzione del 41,2%. I più combattivi risultano i lavoratori delle lavorazioni metallurgiche e meccaniche che hanno scioperato per 620 mila ore, il 40,5% delle ore "perse" per conflitti di lavoro.

ILVA, AVVISO DI GARANZIA A RIVA

La procura della repubblica di Taranto ha notificato tre avvisi di garanzia a Emilio Riva, presidente del siderurgico, Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento, e Roberto Pensa, responsabile delle cokerie. L'accusa è di "omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro".
Il pool di magistrati ha anche incaricato il preside della facoltà di Igiene Ambientale del Politecnico di Bari, Lorenzo Liberti, di eseguire una perizia sulle sostanze tossiche emesse dalle batterie. Una decisione importante, perché proprio sul fronte dei controlli e della rilevazione dei fumi e delle polveri emessi dal siderurgico (e non solo da quello) la città di Taranto è quasi assolutamente scoperta.
A mettere in guardia, anzi, sulla possibilità di realizzare dei controlli efficaci, è l'associazione ambientalista Peacelink che denuncia: "durante le ispezioni, gli impianti possono essere messi 'in depressione', riducendo al minimo le emissioni e facendo risultare valori inferiori rispetto a quelli registrabili durante i momenti critici in cui si registrano i micidiali 'picchi' di benzoapirene cancerogeno".
Le acciaierie Lucchini di Piombino, dopo un'ordinanza del sindaco, stanno ricostruendo la cokeria con una moderna tecnologia che può abbattere fino al 90% dell'attuale livello di inquinamento.