Notizie dalla lotta di classe

Settembre 2000

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Unire quello che il capitalismo divide.

 

2 settembre 2000

 

MORTI SUL LAVORO

Due morti e quattro feriti, uno dei quali in gravi condizioni. E' il bilancio di una "normale" giornata di lavoro in Italia. Gli incidenti più gravi a Chieti e in provincia di Siena. Nel campus universitario della cittadina abruzzese ha perso la vita Nando Passante, 44 anni, operaio di San Benedetto dei Marsi, in provincia dell'Aquila. Per conto della ditta Federici lavorava alle fognature della nuova facoltà di medicina. Con un collega di 39 si trovava in un fossato profondo due metri. Senza nessuna misura di protezione. Da una parete si sono staccate decine di metri di cubi di terra, che hanno travolto i due uomini. Passante è stato ritrovato con il cranio fracassato, il collega ha riportato fratture guaribili in tre mesi.

Orribile anche la fine di Antonio D'Angelis, 24 anni, nato a Benevento ma residente a Montepulciano. Lavorava per l'azienda Mep nella zona industriale di Chiano, tra Poggibonsi e Barberino Val d'Elsa (Siena). Colpito a una gamba da un pannello prefabbricato di 60 quintali, staccatosi da una gru, D'Angelis è stato scaraventato a terra. E' morto sul colpo.

 

5 settembre 2000

 

LAVORO NERO

Campania, Calabria e Sicilia sono le regioni nelle quali di più si ricorre al lavoro sommerso. Alcuni indicatori mettono in cima all lista nera la regione campana. La ricerca della Cgia considera le zone a alta disoccupazione anche quella nella quale si ricorre di più alla flessibilità sfrenata, al part-time al lavoro parasubordinato. Emerge un paese diviso a metà con distanze alcune volte abissali. Nel caso ad esempio dell'edilizia, in Lombardia la quota di lavoro abuisvo è pari a 33, in Campania è 273, 260 in Molise e 227 in Calabria. Invece per quanto riguarda la disoccupazione in Calabria stiamo a quota 246, in Trentino e Veneto rispettivamente a 30 e 39.

NAPOLI: DISOCCUPATI IN LOTTA

Circa duecento lavoratori hanno occupato ieri mattina i binari delle stazioni della Circumvesuviana in segno di protesta. I disoccupati erano organizzati dalle liste Città Nuova, Lavoro al popolo, Edn e Eurodisoccupati. Sempre in giornat diciannove persone venivono denunciate dai carabinieri del foggiano perchè impiegavano in una azienda agricolo lavoratori in nero e sotto protezione del caporalato. La denuncia è partita da un gruppo di lavoratori polacchi che dopo avere lavorato alla raccolto dei pomodori non hanno ricevuto la parte che gli spettava dal padrone dell'azienda. La cifra pattuita era pari a diecimila lire a cassone di pomodori

GENERAL 4

Da più di due mesi le lavoratrici e i lavoratori della General 4 di Pomezia, una piccola azienda che produceva parti elettroniche per la Telecom tramite la Mistel (cui peraltro apparteneva) presidiano la fabbrica, dopo la serrata decisa improvvisamente dal padrone. Non un caso raro. Sono fin troppe le aziende nella stessa situazione. Lo hanno verificato i lavoratori della General 4, cominciando perciò a costruire un coordinamento e organizzando, il 3 agosto, una prima assemblea davanti alla fabbrica.

Il padrone, Giovanni D'Attoma (padrone anche della Mistel) aveva detto di dover chiudere per mancanza di lavoro. Le operaie hanno verificato che le commesse erano state date ad altre aziende più o meno fantasma, che lavoravano a tutto spiano.

Una delle aziende dove è stata spostata la produzione è la TEAM 9002 srl, sempre di Pomezia, di cui risulta amministratore unico Chiara Carlucci che è una nipote di D'Attoma. L'azienda è stata costituita "nell'ambito territoriale della legge 44/'86 sull'imprenditoria giovanile". Dichiara di avere 2 (due!) dipendenti e un indipendente, ma ogni giorno davanti al cancello ci sono parcheggiate almeno una decina di macchine. Dagli atti ufficiali risulta che ha prodotto nel 1999 per un miliardo e 653 milioni di lire. Una parte dei lavoratori sono identificabili nell'elenco dei "soci", "sindaci", ecc. La TEAM ha ereditato commesse e produzione dalla quasi omonima TEA srl, fatta fallire nel gennaio 1999 (forse perché aveva troppi dipendenti: dieci!). L'Amministratore unico della TEA era Luigi Carlucci, genero di D'Attoma e padre di Chiara (l'amministratrice della TEAM).

Un'altra parte del lavoro è stata spostata a una fantomatica "Delta uno cooperativa a r.l.", di cui è presidente Fiammetta D'Attoma (figlia di Giovanni) e vicepresidente suo marito, l'onnipresente Carlucci. Nelle varie cariche (fittizie e non retribuite) figurano come al solito un po' di lavoratori, sottratti in questo modo al numero dei dipendenti.

Seguendo le tracce dei principali "fornitori" della Mistel, si trova una "Cooperativa di lavoro trappisti 84 a r.l.", che non all'interno alcun frate ma, come presidente, Rosanna Lucia Motta (dirigente della Mistel), e come membri effettivi o supplenti diversi operai. Risultato: gli addetti dichiarati nel 1999 sono "indipendenti n. 0, dipendenti n.0". Alle lavoratrici della General 4 in lotta è stato detto che se smettono di occupare la fabbrica, possono andare a lavorare in questa ed altre cooperative (a 800.000 lire al mese). Dalle dichiarazioni ufficiali della Mistel questa cooperativa risulta tra i suoi principali fornitori, per 266.624.714 lire.

Il sistema delle scatole cinesi è chiarissimo. Ma non è finito qui. Alcune lavoratrici della General 4 hanno continuato le indagini, e hanno scoperto che in questo periodo molto del lavoro della Mistel e delle srl o cooperative satelliti viene fatto per la ECI Telecom Italy srl, un'altra azienda con dipendenti 0, creata in fretta nel marzo 1999, per partecipare a una gara d'appalto della Telecom Italia (fornitura di piastre per i collegamenti ISDN), che effettivamente l'ECI ha vinto, offrendo un prezzo molto inferiore a quello di altre aziende, Mistel compresa. Ma non avendo né macchinari, né esperienza di produzione, e neppure un progetto, il lavoro è stato affidato alla Mistel.

Come è possibile, se la Mistel aveva dichiarato costi assai superiori? semplice. L'ECI Telecom Italy, con un capitale di soli 20 milioni, ha un consiglio di amministrazione composto in maggioranza di cittadini israeliani, ed è stata impiantata in Italia con cospicui finanziamenti dello stato di Israele, che coprono il 30% delle sue spese. Inoltre uno dei consiglieri, Jehonatan Zeev Neuberger, è un cittadino tedesco; che di certo non è stato direttamente vittima delle persecuzioni naziste (è nato nel 1956), ma ha trovato il modo di ottenere parti elettroniche dalla Germania a un prezzo bassissimo, perché finanziate con i fondi assegnati a Israele per le vittime dello sterminio degli ebrei.

Queste notizie erano state fornite dallo stesso D'Attoma alle lavoratici della General 4, che fino a pochi mesi fa lui stesso considerava l'azienda modello del sistema satellitare della Mistel. Quando D'Attoma ha scoperto con le altre "cooperative" familiari che si poteva risparmiare molto, eliminando i lavoratori a tempo indeterminato e con paga contrattuale, ha bruscamente deciso la prova di forza per chiudere lo stabilimento (che poi sarebbe stato presumibilmente utilizzato come sede di una nuova "cooperativa"). E quando si è trovato di fronte la resistenza delle lavoratrici che rivendicavano i loro diritti, le ha cacciate.

L'inchiesta ha documentato il carattere fittizio della crisi aziendale addotta come pretesto per licenziarle, svelando i meccanismi del perverso sistema di scatole cinesi che consente l'esternalizzazione (l'outsourcing) della produzione in aziende fantasma, che ottengono per questo anche contributi statali di ogni genere (documentati tra l'altro nei bilanci). Le lavoratrici e i lavoratori della General 4 hanno aperto un ccp n. 22835045 con causale "Fondo di solidarietà operaia", per permettere di resistere a loro e a quanti si troveranno nei prossimi mesi nella loro situazione.

 

7 settemebre 2000

 

AUTOFERROTRAMVIERI IN SCIOPERO

Chiusi i periodi di "franchigia" estiva - quelli in cui scioperare è semplicemente vietato - i problemi irrisolti del trasporto pubblico tornano in primo piano con l'astensione dal lavoro degli autoferrotramvieri. Per quattro ore il 7 settembre ma con modalità diverse da città a città, si fermeranno bus e metropolitane dei centri principali della penisola. Quasi dappertutto i mezzi dovrebbero restar fermi tra le 9 e le 13. A Palermo, invece, dall 11 alle 15; a Genova dalle 10 alle 14; a Bologna dalle 10,30 alle 14,30. A dichiarare lo sciopero, stavolta, sono i sindacati confederali - Cgil, Cisl e Uil - che accusano le controparti (le ex municipalizzate riunite nella Federtrasporti) di aver determinato lo stallo delle trattative. Il contratto è scaduto il 31 dicembre scorso e riguarda 100.000 lavoratori, ma l'intesa raggiunta il 2 marzo scorso (firmata solo dai confederali, non dall'Orsa e altri sindacati di base locali) non è stata rispettata ddalle aziende di trasporto urbano. Una polemica che la dice lunga sul rispetto dei diritti dei lavoratori si sta intanto sviluppando a Milano. Nei giorni scorsi era stata affacciata l'ipotesi di rinviare l'agitazione perché nel capoluogo lombardo si sarebbe dovuto svolgere, oggi e domani, il "trofeo del millennio" (una delle manifestazioni promosse dalla provincia e legate al giubileo). E' stata invece spostato il "trofeo".

 

8 settembre ’00

 

MORTI SUL LAVORO

L'Inail comunica che nei primi sette mesi del 2000 gli incidenti nei cantieri, nelle fabbriche, nei campi sono stati oltre 587 mila, contro i circa 576 mila dello stesso periodo dell'anno scorso, con un incremento dell'1,9%. Inquietanti i numeri sugli infortuni mortali: da gennaio a luglio hanno perso la vita sul lavoro 743 persone, vale a dire il 20% in più rispetto al 1999, quando erano state 618. Il comparto produttivo più colpito è l'industria, con 635 incidenti mortali, 143 dei quali nel settore delle costruzioni (nel 1999 erano stati rispettivamente 548 e 130). Terribili anche le statistiche sull'agricoltura: 108 i morti, contro i 70 dell'anno scorso (più 54%). Incidenti in aumento soprattutto nell'Italia meridionale (più 4,1%) e centrale (più 4%), meno nel nord ovest (2%) e nel nord est (1,5%). A proposito di infortuni, ieri al ministero degli esteri è precipitato un ascensore con a bordo un'impiegata, rimasta gravemente ferita. Cgil, Cisl e Uil chiedono perché il mezzo non sia stato riparato, nonostante le richieste dei dipendenti e se è vero che qualche giorno fa si è verificato un incidente analogo sull'ascensore riservato al ministro.

 

TELECOM

Sono arrivate le 818 lettere per mettere in cassa integrazione altrettanti lavoratori della Telecom, a partire da lunedì prossimo. Un altro miracolo di Colaninno vede la luce, insomma. La Cig è infatti uno degli istituti che scaricano sulla contabilità generale - sui cittadini - i costi relativi al personale nei processi di ristrutturazione delle imprese in crisi. Ma Telecom è un'azienda che ha chiuso il bilancio del '99 con 5.050 miliardi di utile netto (+81% rispetto all'anno precedente); che ha distribuito un dividendo agli azionisti di 600 lire (+14%). Che abbia potuto ottenere di far pagare alla comunità le sue manovre sulla forza lavoro è, per l'appunto, un "miracolo". Le premesse formali dell'attuale smottamento occupazionale in Telecom erano state poste con l'accordo firmato il 28 marzo al ministero del lavoro (poi aggiornato alla fine di luglio). Lì erano state definite le modalità di uscita per 13.500 dipendenti: dimissioni incentivate per chi era ormai prossimo alla pensione, mobilità per 5.300, "contratti di solidarietà" (meno orario e meno soldi), doppio livello salariale per gli eventuali nuovi assunti e, tra l'altro, 2200 proposte per la Cig (con una di circa 1000 miliardi a conto dell'erario). In questi mesi si sono svolte le "grandi manovre" per favorire questa maxiuscita di "risorse umane" da una delle aziende più redditive del paese. E nonostante tanta gente se ne sia andata volontariamente, il numero degli "esuberi" da "realizzare" non è mai cambiato. Alla fine, insomma, saranno molti di più dei 13.500 dell'accordo. Guardando la lista degli 818 spiccano quelli con funzioni rilevanti, come i 30 dell'"internal auditing" (i verificatori tecnici, quasi tutti ingegneri con grande esperienza aziendale) distribuiti tra Roma e Torino. In generale vengono toccate le strutture di direzione generale, le unità territoriali, competenze che sono in buona parte la storia di Telecom (e prima della Sip, dell'Italcable, ecc). Sembra anche una vendetta politico-generazionale: la maggior parte sono cinquantenni, "quelli che il '68". Troppo giovani per andare in pensione, troppo anziani per ricollocarsi sul mercato, pieni di carichi (mutui, figli all'università, ecc) assunti contando sul fatto che un'azienda di tlc può solo espandersi, e che quindi "il posto" era "sicuro".

Ma ci sono anche qui casi davvero esemplari: moglie e marito che finiscono entrambi in Cig, in spregio di ogni criterio di "equilibrio"; colloqui individuali per consegnare la lettera (in caso di accordo sindacale sulla Cig è obbligatorio diramare una comunicazione collettiva), il che alimenta sospetti e suspence. Questi lavoratori rispondono chiaramente: le mosse di Colaninno si spiegano con il gioco finanziario, non con la logica industriale. La Telecom così com'è vale 90-100mila miliardi. Spezzettata in tante compagnie minori, magari anche in concorrenza tra loro, rese "autonome" e collocate sul mercato, la valutazione quasi raddoppia: 160-170mila miliardi. Per far questo è indifferente quali competenze tecnologiche si perdano. L'unica ossessione è ridurre al minimo il costo del lavoro. E questo è possibile solo sostituendo i vecchi contratti ("troppo tutelanti il lavoratore") con quelli in voga ora: interinali, a tempo determinato, part-time e via precarizzando; sostituendo i "vecchi" lavoratori con giovani assetati di un impiego qualsiasi, con qualsiasi orario, a un salario purchessia. In teoria questi primi cassintegrati dovrebbero ricevere l'80% del salario per il primo anno di Cig (anticipato dall'azienda, perché ancora non è passato il decreto che accolla alla collettività questo costo), meno nel secondo. E dovrebbero ricevere una "formazione professionale più rispondente alle necessità dell'azienda"; finanziata con fondi europei, naturalmente. E poi, tra due anni, forse, rientrare. "Ma in quale azienda?", dicono.

Molti di questi lavoratori sono rimasti totalmente sorpresi dalla Cig, ma una cosa ce l'hanno chiara: se si consente di utilizzare questo strumento a un'azienda con 5.050 miliardi di utile annuale, non ci sarà più nessun settore in cui i contratti di lavoro abbiano un residuo di valore. E manifesteranno già lunedì mattina in Corso Italia, a Roma, davanti alla sede centrale della Telecom. Assieme ai Cobas, che hanno dichiarato per quel giorno 4 ore di sciopero.

 

LSU IN LOTTA

Diverse centinaia di LSU sono scesi in piazza percorrendo le vie del centro. Momenti di alta tensione si sono registrati quando improvvisamente lo striscione del movimento seguito dai manifestanti ha cambiato la direzione del percorso per raggiungere la sede centrale dell'Enel. Quii manifestanti che richiedevano di poter incontrare un responsabile sono stati caricati. Solo in seguito una delegazione del Movimento LSU è stata ricevuta, per poi recarsi in comune. Prossimo corteo degli Lsu, giovedi 14 sett. concentramento piazza del Gesù.

Volantino distribuito dal movimento di lotta LSU

Le richieste scritte presentate alla direzione dell'Enel

Concorsi , Bandi e Banditi

La lotta e la determinazione del movimento di lotta LSU ha posto al governo e agli enti locali il problema non più rinviabile della precarietà. Al tentativo di liquidare l'intera platea degli LSU senza alcuna prospettiva di lavoro stabile a salario pieno, i lavoratori hanno saputo opporsi rilanciando la lotta. Il decreto legislativo n° 81 del 2000, licenziato dal governo con il consenso del sindacato non risolve i problemi dei lavoratori, anzi peggiora le loro condizioni stabilizzando la flessibilità e la precarizzazione. Gli enti locali con la costituzione di qualche società mista e con l'avvio prossimo dell'ASIA vede penalizzati i lavoratori LSU che avranno un contratto part-time, che significa una penalizzazione economica del salario pari a £ 400000 in meno in busta paga rispetto ad altri lavoratori della stessa azienda, pur svolgendo la stessa mansione. In questi giorni anche i lavoratori INPS stanno lottando contro il tentativo del governo di applicare anche a loro un contratto part-time nonostante l'ente ha bisogno di questi lavoratori. Queste opzioni parziali e precarie non vanno nella direzione di dare risposte concrete a tutti i lavoratori, ma può solo alimentare una guerra tra lavoratori. Queste sono le risposte che il governo vuole dare agli LSU, mentre partiti, istituzioni e sindacati hanno lottizzato con concorsi truffa le assunzioni nella scuola e nei vigili urbani del comune di Napoli, a tutto questo i sindacati hanno pilotato con precorsi a pagamento. Al misero sussidio degli LSU e ai salari da fame ai lavoratori, si aggiunge la beffa degli aumenti dell'ENEL, del gas e dell'acqua, e dei generi di prima necessità. Ora basta! Gli enti devono uscire dall'illegalità devono riconoscere il lavoro fin quì svolto dagli LSU nella pubblica amministrazione. Risponderemo con la lotta a questi attacchi.

Mai come adesso è necessario che gli LSU, operai, lavoratori, disoccupati tutti rispodono uniti contro ogni tentativo di divisione e di contrapposizione.

Assunzione du tutti gli LSU nella Pubblica Amministrazione a tempo pieno, a salario pieno con contratto a tempo indeterminato.

No agli aumenti dell'Enel, gas, acqua e dei generi di prima necessità.

No al lavoro part-time

Movimento di lotta LSU

 

10 settembre

NIKE

Le ragazze riposano sulle stuoie stese sul pavimento di cemento, nella loro stanzetta tre metri per quattro, lavandino sul retro. I dormitori costeggiano tutta la strada che taglia Kragilan, villaggio nei sobborghi di Serang, città di Java occidentale - a 140 chilometri . L'ingresso dello stabilimento Nikomas Gemilang è imponente, l'ufficio della reception è professionale, si intravvedono capannoni lindi e ordinati e il tutto è sorvegliato da agenti della sicurezza aziendale e da divise della Polri, la polizia di stato. Nikomas fabbrica scarpe sportive per Nike (oltre che per Adidas); ci lavorano 23mila addetti, il 90% donne. Per sapere qualcosa di più dello stabilimento, meglio chiedere del rappresentante del sindacato Spt-sk (unione dei lavoratori del tessile, abbigliamento e pelletteria), ufficialmente riconosciuto dall'azienda. Il signor Rachmat Suryati si può incontrare fuori dalla fabbrica, in ufficio: ovvero in una delle stanzette del dormitorio. Così si viene a sapere che il salario alla Nikomas è lo "standard Nike", 307.000 rupiah al mese (ora ci vogliono 8.300 rupiah per fare un dollaro: dunque circa 37 dollari al mese). E' più del Salario Minimo Regionale fissato dal governo (286mila rupiah per la regione di Java occidentale). Insomma, le operaie che fabbricano le scarpe Nike sono pagate leggermente più del minimo. Le ragazze spendono 80mila rupiah al mese per l'affitto della stanzetta tre per quattro. Le operaie qui vengono da tutta l'Indonesia, da Sumatra a Sulawesi, passando per Kalimantan (il Borneo) e le isolette di Nusa Tengara, ovvero posti che distano nel migliore dei casi un paio di giorni in autobus e ferry boat, o due giorni di nave. Il rappresentante sindacale viene interrotto da tre giovani in borghese che si qualificano come polizia. E' vietato fare domande, dicono, e dare informazioni non autorizzate. Sul tavolo un ritaglio di giornale parla di un rapporto diffuso giorni fa in Australia sullo sfruttamento nelle fabbriche che lavorano per Nike in Indonesia. Alla fine il permesso di continuare la conversazione viene concesso, purché si limiti alle smentite all'ingiurioso rapporto anti-indonesiano. Questa scena conferma almeno una delle notizie contenute del rapporto NikeWatch, diffuso in occasione delle Olimpiadi dall'organizzazione Caao (Community Aid Abroad-Oxfam): ovvero che le aziende fanno pressioni indebite sui lavoratori perché non si immischino in faccende sindacali. E conferma ciò che molti attivisti delle organizzazioni per i diritti civili avevano detto a Jakarta: quando esci dall'ambito urbano e di classe media e guardi i movimenti del lavoratori, o dei contadini, le garanzie legali e le libertà politiche restano un concetto opinabile. Ma forse è solo che la Nike fa notizia nel mondo: alla Indomobil-Suzuki di Bekasi, un sobborgo industriale di Jakarta si è potuto discutere nella sede sindacale interna di salari, ferie pagate e ministri del lavoro troppo legati alle aziende. "Le condizioni politiche in Indonesia non sono delle migliori", mormora il sindacalista Paradossalmente, anche prima dell'intervento di polizia il signor Suryati stava davvero contestando il rapporto diffuso in Australia, ampiamente riportato dalla stampa indonesiana. "Dicono che le operaie qui prendono un dollaro al giorno ma non è vero: al giorno da 10mila rupiah", ripete (in effetti fa 1,2 dollari). E poi, dicono che è uno stipendio da fame, "ma è perfettamente in regola con le norme". Anche questo è vero. E la storia dei controlli medici? Le operaie hanno diritto ai giorni di riposo durante le mestruazioni, ma secondo il rapporto diffuso a Sydney devono sottoporsi a umilianti controlli medici per usufruirne davvero. Il sindacalista nega. Insiste: qui le operaie sono pagate meglio che nelle fabbriche che lavorano per la Reebok, quelle sì stanno al minimo. Ma il confronto dei salari dice solo una parte della storia. L'indagine condotta nel '99 da un ricercatore australiano cita un'altra fabbrica di scarpe, la Kukje (di Banjaran, Java occidentale), dove il salario è aumentato da 142mila rupiah nel '97 a 340mila nel '99. Ma nota anche che nell'insieme, nonostante questi aumenti, il costo del lavoro reale nelle fabbriche di scarpe è sceso tra il 1996 e il '98: in mezzo c'è stata la crisi asiatica. C'è stata la svalutazione della rupiah (che ha perso il 140% del suo valore in pochi mesi, alla fine del '97). E i prezzi sono aumentati in modo impressionante: cibo, olio da cucina, trasporti sono più cari tra il 200 e il 300%, mentre i salari sono solo raddoppiati. Un chilo di riso - il cibo di base in questo paese asiatico - è passato da mille a 2.300 rupiah. Le operaie intervistate dall'accademico australiano dicono che hanno dovuto tagliare molte spese: sapone, carne, vestiti, divertimenti, trasporti. Una delle conseguenze della crisi è che gli occupati nell'industria sono diminuiti da 4,2 milioni a 3,5 milioni tra il 1997 e il '98, molte fabbriche hanno chiuso - altrettanto impressionante è il declino del lavoro in settori come l'edilizia, ma le cifre sono più incerte. E questo significa che sempre più spesso lo stipendio portato a casa dalle operaie delle piccole operaie tessili è l'unico reddito fisso della famiglia. Si capisce bene che le operaie della Nikomas temano di perdere il posto, relativamente più garantito che nelle fabbrichette: e che siano poco propense a parlare degli straordinari di fatto obbligatori oltre alle 40 ore settimanali. Si capisce meno la convinzione con cui i rappresentanti del sindacato dei tessili, abbigliamento e pelletteria respingono le denunce internazionali sul conto della Nike, o della Adidas e le altre grandi marche che producono le loro scarpe in Indonesia. Le condizioni di lavoro nelle fabbriche che lavorano su commissione per Nike non sono affatto male, insiste Rustam Aksam, segretario nazionale del sindacato dei tessili Spt-sk: "Ci sono dei problemi, ma in genere sono in regola con le norme del lavoro". E questo in effetti è vero: le grandi aziende che lavorano per l'export applicano standard migliori. "Nelle piccole aziende non ci sono contratti collettivi e il sindacato non è neppure riconosciuto", insiste Rustam. Il sindacato Spt-sk esiste dal 1973, ci spiega il segretario generale, anche se prima aveva un altro nome. Dunque è il vecchio sindacato governativo, noto per difendere più le ragioni dell'azienda che quelle dei lavoratori, più che altro strumento di gestione del personale? Le cose sono cambiate. Non ha cambiato solo nome: "Nell'ottobre del '99 abbiamo per la prima volta tenuto un congresso nazionale a cui hanno partecipato tutte le sezioni locali. E per la prima volta i membri del sindacato hanno eletto direttamente i consigli direttivi". Ora "siamo un vero sindacato indipendente e totalmente libero", dice soddisfatto il segretario dei tessili. Il sindacato dei tessili sta per lanciare una campagna, spiega, per rivendicare l'aumento del salario minimo regionale nella regione di Java occidentale, il primo polo industriale del paese: chiedono che sia applicato anche nella regione l'aumento già decretato per la Grande Jakarta, dove da ottobre passerà a 300.000 rupiah. "Faremo proteste e manifestazioni. Questo dovrebbe dimostrarvi che non siamo un sindacato dipendente dal governo e dalle direzioni aziendali, come spesso ci accusano. Alzare il salario minimo significa migliorare le condizioni anche per i lavoratori delle piccole imprese".

INPS OCCUPATO A NAPOLI

La vertenza dei lavoratori Lsu presso l'Inps di Napoli ha raggiunto toni aspri. Da oltre una settimana tutte le sedi regionali dell'istituto di previdenza sono in agitazione; a Napoli c'è l'occupazione. Motivo del contendere: un decreto del presidente del consiglio stabilisce che i lavoratori "socialmente utili" già in forza presso l'istituto (da tre anni!) siano assunti, ma con part-time al 50% dell'orario. Questo, per lavoratori laureati con incarichi operativi spesso di grande responsabilità, significa riduzione dello stipendio in misura proporzionale. La lotta all'assistenzialismo, si dirà, fa sempre qualche vittima. Ma qui l'assistenzialismo non c'entra niente. L'Inps ha carenze drammatiche in pianta organica, e questi lavoratori - assunti in modo tanto "atipico", ma che hanno dovuto superare di recente due prove scritte e una orale per l'"assunzione" - a mala pena attenuano il cumularsi di un arretrato ogni giorno più pesante. L'Inps, insomma, dovrebbe assumere a tempo pieno più persone di quelle attualmente impiegate come Lsu.

 
12 settembre

SCIOPERO ALLA TELECOM

Si è svolto ieri mattina lo sciopero di 4 ore dei dipendenti Telecom dichiarato da Cobas, Flmu, Slai Cobas, Fialtel, Filte e Snater. Una manifestazione si è svolta davanti alla sede della società, in corso d'Italia, a Roma. Al centro della protesta i provvedimenti concordati da società e sindacati confederali con la mediazione del governo (cassa integrazione, mobilità, prepensionamenti, ecc), che porteranno all'uscita di circa 13.500 dipendenti (in realtà molti di più). Il bilancio Telecom per i primi sei mesi del 2000 parla di 1.895,6 miliardi di utili. Il doppio di quanto lo stato dovrà impegnare per la cassa integrazione, il 7,5% in più rispetto agli utili già mostruosi dello scorso anno.

ANSALDO CONTRO I LICENZIAMENTI

500 operai di Ansaldo Energia hanno manifestato l'11/09 nel centro di Genova contro i 24 licenziamenti notificati venerdì scorso dall'azienda con lettera raccomandata. I 24 lavoratori sono da ieri in "mobilità corta" in base alla legge 223/91, in poche parole aspetteranno a casa la liquidazione per cessazione del rapporto di lavoro. "E' la prima volta che Ansaldo licenzia dipendenti senza aprire una trattativa - dice Riccardo Benvenuto della Fiom - ci aspettavamo che venerdì si definisse la posizione dei lavoratori e invece l'azienda ha scelto di licenziare". La vicenda inizia nel '97 con l'"esternalizzazione" dei 24 operai, tra i quali ci sono invalidi assunti come fattorini, al consorzio Manital d'Ivrea; le mansioni sarebbero le stesse ma i lavoratori rifiutano il "parcheggio" perché pericoloso e senza garanzie. Il pretore accoglie il ricorso e a febbraio di quest'anno vengono reintegrati all'Ansaldo che li dirotta nuovamente alla Manital, mantenendoli però in organico. Luigi Spada, 23 anni all'Ansaldo, non si rassegna: "Impugneremo il licenziamento, il pretore prima e poi il tribunale avevano deciso che la cessione a Manital era illegittima. Questi licenziamenti sono un deterrente verso chi avesse intenzione in futuro di ricorrere contro le "esternalizzazioni". La manovra dell'Ansaldo rientra in un'operazione nazionale che ha dirottato 340 lavoratori dei servizi generali (fattorini, uscieri, manovali) verso il consorzio Manital, che è concentrato a Milano pur avendo sede legale a Ivrea; il meccanismo che sta dietro a questa manovra è definito "cessione di ramo d'azienda", ma il sindacato ribadisce che questa forma di mobilità non da sicurezza ai lavoratori di arrivare alla pensione, soprattutto gli invalidi e i disabili. Ieri i 500 lavoratori, dopo aver bloccato il traffico, come i colleghi delle acciaierie la settimana scorsa, hanno sfilato davanti alla prefettura, dove hanno chiesto il ritiro delle lettere di licenziamento: "Altrimenti - dice un portavoce della Fiom - non ci metteremo neppure al tavolo con Ansaldo, che ci deve anche spiegare la cessione del ramo dei magneti, che la società ha detto di voler vendere".

 

14 settembre

LA GUERRA CONTRO I LAVORATORI

Tremila arrestati, più di 1500 feriti, 6000 torturati e 140 morti nel 1999. Ecco le cifre della guerra che i lavoratori devono affrontare per fare rispettare ogni giorno i diritti sindacali nei luoghi di lavoro. Nessuna parte del mondo è risparmiata ma è ovvio che in Africa, in Asia, nell'Europa dell'est gli effetti della globalizzazione sono devastanti. La denuncia delle violazioni sindacali ad opera dei governi e delle imprese è contenuta nel rapporto della Confederazione internazionale dei sindacati liberi (Icftu) con sede a Bruxelles. Una organizzazione presente in circa 145 paesi, che rappresenta 123 milioni di lavoratori. Secondo il segretario generale dell'Icftu, Bill Jordan, la lista dei soprusi è di ogni genere: arresti, assassini, repressione indiscriminata e negazione di qualsiasi attività sindacale, in alcune casi ricorso alla tortura. Situazioni paradossali come quella del continente africano che è tagliato fuori dai benefici della mondializzazione pur pagandone tutti i prezzi. Un esempio: i lavoratori peggio trattati in Africa sono quelli che lavorano nelle zone orientate al commercio con l'estero. I "privilegiati" sono trattati con paghe più basse, condizioni di lavoro disastrose e sono più frequentemente esposti ai licenziamenti; per lo più vanno ad ingrossare le file del lavoro informale. In America latina, il ritorno alla democrazia (spesso di facciata) in alcuni di loro corrisponde a un peggioramento dei diritti sindacali dei lavoratori. In Nicaragua, in Salvador, in Guatemala e in Messico, l'anno passato, 726 sindacalisti sono stati uccisi per costringerli ad abbandonare l'attività politica. In Nicaragua, dopo la fine del sandinismo, ormai è consuetudine delle multinazionali far fare un test di gravidanza alle lavoratrici prima di assumerle. In Guatemala, la fine della guerra civile nel 1996, non ha invece posto termine a una repressione che ora è più selettiva, che colpisce in particolare gli attivisti sindacali delle piantagioni di banane dove operano le multinazionali statunitensi, che fanno la guerra delle banane all'Europa. Soprattutto in Colombia la vita dei sindacalisti è ogni giorno in pericolo: nel 1999, 76 rappresentanti dei lavoratori sono stati assassinati e 23 risultavano scomparsi. La colpa di queste morti spesso viene attribuita alla guerriglia, alle Farc e all'Eln ma la responsabilità è tutta delle forze paramilitari che godono della copertura dell'esercito del governo Pastrana. Come è ben evidenziato da questo rapporto, la violazione dei diritti sindacali colpisce anche il mondo industrializzato. Negli Stati uniti chi paga il prezzo dei comportamenti antisindacali sono soprattutto le minoranze che vengono sfruttate da agenzie di collocamento private e sono escluse da qualsiasi beneficio pubblico. Nella lista nera si può anche includere la Norvegia e il Belgio dove si sono fatte tutte le manovre possibili, anche il ricorso ai tribunali, per impedire lo sciopero rispettivamente dei lavoratori del settore petrolifero e del settore pubblico. Non manca un trafiletto sulla Svizzera, che annovera una legislazione che restringe il diritto allo sciopero spesso chiamando in causa la sicurezza dello stato (quello che già in parte accade in Italia quando si evoca il linciaggio contro i lavoratori del settore pubblico, treni ed aerei). Infine la Bielorussia, dove il presidente ha emanato un decreto legge che trasforma il sindacato in una agenzia pubblica.

 

15 settembre

SCIOPERO CONTRO GLI OMICIDI BIANCHI A MILANO

Da gennaio a luglio 31.498 infortuni sul lavoro, 33 mortali. Sono le cifre del lavoro che fa male e uccide a Milano e provincia. Non con un documento e neppure con un convegno, ma con uno sciopero generale, il massimo strumento a disposizione del sindacato. Si farà il 6 ottobre, dalle 9 ai turni di mensa e sarà una prova impegnativa. Nulla si cancella, le differenze restano sia a Milano che sulla scena nazionale, inutile girarci attorno, ammettono Antonio Panzeri, Maria Grazia Fabrizio, Amedeo Giuliani, segretari di Cgil, Cisl e Uil. Ma proprio perché a Milano la ferita della divisione è stata più profonda, qui si prova a fare qualcosa insieme, mettendo da parte "l'orgoglio di organizzazione". A sei anni dall'entrata in vigore della 626 il bilancio è negativo. Anche a Milano gli infortuni gravi non diminuiscono, non cala il lavoro nero nell'edilizia, la 626 è applicata solo formalmente, nel pubblico impiego e nelle piccole imprese non esistono ancora i delegati alla sicurezza, gli strumenti a loro disposizione sono insufficienti, l'informazione e la formazione dei lavoratori è scarsa o malamente realizzata, i nuovi fattori di rischio (disturbi muscolari e scheletrici da movimenti ripetitivi, stress, mobbing) sono pressoché ignorati. Le cose che si potrebbero fare senza bisticciare sono molte.

 

16 Settembre 2000

Pininfarina blocca i contratti aziendali

Gli industriali metalmeccanici chiedono la sospensione della contrattazione aziendale e anticipano che non intendono pagare l'inflazione "importata". Il presidente degli imprenditori meccanici, Pininfarina, riproporrà così lo schema politico che ha guidato tutta la gestione della contrattazione e che rappresenta la stella polare della Confindustria: due livelli sono troppi gli aumenti salariali del contratto nazionale non possono recuperare tutta l'inflazione, vanno depurati dall'incremento dei prezzi prodotti dalla bolletta petrolifera (che poi rappresenta una bella fetta dell'inflazione). Uno schema cui Pininfarina aveva dovuto rinunciare nell'ultimo contratto nazionale - ingoiato a fatica - che viene riproposto costantemente attraverso la pratica dell'obiettivo, senza mettere in discussione la politica dei redditi della infame intesa del 23 luglio '93. La richiesta di bloccare la contrattazione aziendale in coincidenza con l'avvio del secondo biennio del contratto nazionale fa di fatto saltare tutto il meccanismo contrattuale, soprattutto perché le vertenze dei grandi gruppi (dalla Fiat alla Zanussi alla Fincatieri) sono ancora tutte aperte e difficilmente potranno essere risolte entro la fine dell'anno, quando si aprirà il secondo biennio del contratto nazionale. Ugualmente grave è l'annuncio di non voler pagare l'inflazione importata, cosa che ridurrebbe l'adeguamento dei salari a una pura formalità: i salari reali - già da un anno al di sotto della curva dei prezzi - ne uscirebbero ulteriormente penalizzati. Si delinea così un quadro di scontro pesante con cui gli operai dovranno misurarsi, perché è tutto il quadro contrattuale a essere messo in discussione. Nei primi due trimestri del 2000 la redditività delle aziende meccaniche italiane è cresciuta dello 0,6% e del 2,9%, mentre i volumi produttivi sono saliti del 6,4%. Secondo Federmeccanica ciò è determinato "da una costante perdita di competitività dei prodotti italiani sui mercati internazionali". La Fiat si è affrettata a sostenere questa analisi: nei primi sei mesi del 2000 il fatturato del gruppo torinese è aumentato del 26.4%, l'utile è quasi raddoppiato, ma si sottolineano i "rischi derivanti dall'aumento del prezzo del greggio e dalla perdita di competitività del paese". La solita storia: il lavoro costa troppo, poco importano la caduta del salario reale e l'estrema flessibilità del mercato del lavoro. Da qui la conclusione: salari ancora più bassi e completamente legati alla redditività d'impresa, maggiori margini di flessibilità.

 

17 Settembre 2000

 

La Telecom divide

Se occorreva una prova tangibile dei guasti che provoca la privatizzazione, ecco la vicenda della messa in cassa integrazione e mobilità di alcune migliaia di lavoratori della Telecom. L'impresa di Colaninno è in invidiabili condizioni di salute; i suoi profitti schizzano verso l'alto infrangendo nuovi record a ogni semestre. Ma, inopinatamente, ha ottenuto dallo stato un "aiuto" per liberarsi di ben 13.500 dipendenti. Buona parte di questi finiranno per pesare sulle casse dell'Inps, cioè della collettività, anziché su quelle del Colaninno stesso. Il sindacato che dice? Cofferati - la Cgil è stata ovviamente protagonista dell'accordo sugli "esuberi" - si è stupito delle critiche "ufficiali", come Rifondazione e i presidenti di alcune regioni, attirandosi così il virulento attacco di Storace, presidente del Lazio: "Cofferati si chiede di cosa 'si impicciano' le Regioni degli accordi fra le parti sociali. Io gli ricordo che gli accordi fra le parti, nel caso Telecom, li pagano i cittadini ben due volte: prima pagando il canone e poi con la cassa integrazione". Della serie: come offrire alla destra la strada spianata per cercare consensi persino tra i lavoratori.

Tessile: 70 licenziati nel Crati

Il Gruppo tessile Castrovillari ha annunciato il licenziamento di 70 lavoratori. A farlo sono stati il liquidatore sociale e quello giudiziario. Lo stabilimento ha cessato l'attività e la "Manifattura del Crati" - che avrebbe dovuto prendere in carico i lavoratori dell'ex Gruppo tessile - si è detta impossibilita a mantenere gli impegni presi, nel '98, con la task force governativa. I 70 licenziati hanno preannunciato azioni di lotta e ricorsi, visto che la Manifattura del Crati ha - ma guarda un po'! - assunto nei mesi scorsi una cinquantina di giovani a contratto di formazione lavoro. A salari da fame, cioé.

 

19 Settembre 2000

Scuola: sciopero

"Siamo d'accordo per un giorno di sciopero nella scuola". Ma fino alla tarda serata di ieri è rimasto tutto lì: non si sa in che giorno e non si sa con che piattaforma. Cgil, Cisl e Uil della scuola si sono incontrate ieri anche con lo Snals per definire modalità e contenuti di uno sciopero generale del settore: presumibilmente tra l'8 e il 21 ottobre. Ed è probabile che nello stesso giorno si fermino anche Cobas, Unicobas e Gilda, che hanno espresso un orientamento di massima in questo senso, benché con piattaforme completamente diverse. La decisione di proclamare lo sciopero è stata presa dopo il naufragio degli incontri con il governo. A fronte di una richiesta avanzata dai sindacati di mille miliardi aggiuntivi per i salari dei docenti, il ministro De Mauro aveva infatti offerto 400 miliardi da aggiungere nella finanziaria 2001 ai 1.260 già stanziati per il contratto della categoria. Una cifra ritenuta offensiva dai sindacati: si tratterebbe infatti di circa 40 mila lire lorde al mese per i docenti italiani. L'obiettivo più condiviso è certo quello di un aumento generalizzato, come chiedono anche i Cobas, contrari a qualsiasi forma di differenziazione gerarchica delle retribuzioni, e propongono un piano di investimenti che consenta di raggiungere in un lasso di tempo certo la media delle retribuzioni europee (poco meno di 4 milioni al mese).

Gran Bretagna, sciopero alla Ford contro la chiusura. Riapre la Siemens

Una boccata di ossigeno. Cosi il segretario del sindacato dei metalmeccanici, Ken Jakson, ha definito la notizia della prossima apertura dello stabilimento Siemens nel nord Tyneside (a nord est della Gran Bretagna). La fabbrica, che darà lavoro a millecinquecento persone, riaprirà nei locali della vecchia Siemens costretta alla chiusura nel 1998, dopo appena diciotto mesi di attività. Lo stabilimento è stato ora acquistato da una compagnia americana, la californiana Atmel, che potrà usufruire di un aiuto da parte del governo britannico di ventotto milioni di sterline. "Una notizia fantastica", ha detto ieri un esultante Jakson in conferenza stampa. "La regione del Tyneside - ha proseguito - è dotata di numerosi operai qualificati, che non potranno che andare ad incrementare il valore del nuovo investimento".
La Atmel produrrà microprocessori nello stabilimento inglese. Non è chiaro con quale tipo di accordo l'azienda americana abbia rilevato la fabbrica dal vecchio proprietario, la tedesca Siemens: si parla di un affitto con opzione di acquisto fra un anno. Il mistero che circonda i dettagli dell'operazione suscita qualche dubbio sulle effettive intenzioni degli americani: sbarcare in Inghilterra e assicurarsi l'aiuto cospicuo del governo, far lavorare un po' l'azienda e poi fare le valige (a meno che il governo non aiuti ulteriormente la fabbrica)? Non è un'ipotesi proprio da scartare. Quando la fabbrica aveva chiuso i battenti, dopo soli diciotto mesi di attività, la Siemens aveva dato la colpa al un crollo verticale dei prezzi a livello mondiale dei semiconduttori prodotti nello stabilimento inglese.
Mentre veniva annunciata l'apertura della Siemens, i lavoratori della Ford a Dagenham decidevano di incrociare le braccia: due ore di sciopero spontaneo e non concordato con i sindacati per riunirsi in assemblea e discutere i piani futuri (e per nulla promettenti) dei vertici dell'azienda americana. La Ford, infatti, ha intenzione di cessare la produzione nello stabilimento di Dagenham dal prossimo anno, decretandone nei fatti la chiusura. La decisione segue i numerosi licenziamenti che ci sono stati negli altri stabilimenti britannici nei mesi scorsi. A scongiurare la cassa integrazione non è servito nemmeno l'intervento (solo ventilato) del governo. La Ford - come già la Bmw (che ha venduto la Rover), la Toyota, la Nissan - individua nel valore della sterlina la causa di questa "fuga" verso paesi meno costosi. Quello di ieri è l'ultimo di una lunga serie di scioperi non concordati con i sindacati: oltre che per le cupe previsioni per il prossimo futuro, i lavoratori Ford hanno inscenato numerose proteste contro il pesante clima di discriminazione e gli atti di razzismo nei confronti dei lavoratori non bianchi (che sono la maggioranza).

LIQUIDAZIONE ALL'IRI

Il più caustico è stato certamente il Financial Times: "Se la liquidazione è la cosa più vicina alla morte di una società, allora l'Istituto per Ricostruzione Industriale è diventato una società zombie". L'Iri, dal 30 giugno e dopo 67 anni, è infatti una società in liquidazione. Ma dispone ancora di 17mila miliardi di lire e controlla il 53% di Alitalia, il 93,5% di Cofiri, l'83% di Fincantieri, il 100% di Fintecna, il 99,5% della Rai, l'85% di Tirrenia. Tutta roba che dovrebbe finire al Tesoro entro poco tempo. Restano da sistemare un paio di centinaia di dipendenti. Per il 30 settembre c'è l'obbligo di presentare un "piano di ricollocamento" di questo personale. Ma, per ora, ci sono state solo molte rassicurazioni - rigorosamente verbali - da parte dei due ultimi presidenti dell'istituto. La loro sorte, comunque, non sarà davvero egualitaria. Per quanto riguarda le alte sfere, non c'è davvero di che strapparsi i capelli. La trentina di dirigenti ancora impegnati a via Veneto, infatti, percepisce dai 280 agli 800 milioni lordi annui. Lo stesso può dirsi per la cinquantina di funzionari ancora in busta paga, tutti tra i 90 e i 250 milioni di reddito lordo.
Sarà bene notare che le funzioni "alte" rappresentano quasi il 50% del personale ancora in carico all'Iri. E che proprio questa fascia ha tratto i maggiori benefici dallo "scivolo" ideato per incentivare le uscite volontarie: 40 mensilità. Per le posizioni superiori significava la possibilità di mettersi in tasca dai due ai tre miliardi e andare altrove. Ne ha usufruito, ad esempio, l'attuale sottosegretario alla presidenza del consiglio, il "prodiano di ferro" Enrico Micheli. D'altro canto, fanno spaere da via Veneto, molti di questi dirigenti hanno doppi incarichi (e, si presume, doppio stipendio). Come il liquidatore, Maurizio Prato, che è anche presidente di Fintecna; o come Vincenzo Dettori, direttore del personale Iri e vicepresidente della stessa Fintecna.
Per molti di costoro è pronta la "Fondazione Iri", 250 miliardi di capitale sociale, ufficialmente ideata per "mantenere il patrimonio culturale dell'Istituto". Se i posti nella fondazione non dovessero essere sufficienti c'è pur sempre la strada della costituzione di altre società. Uno studio legale ha infatti risposto positivamente all'interrogativo posto dai dirigenti: può una società in liquidazione procedere a scorpori e costituirne di nuove? E sembra proprio che una stia per vedere la luce, per gestire le partecipazioni Rai.
Commessi, autisti, segretarie, contabili dell'amministrazione, ecc, che fine faranno? Fin qui hanno ricevuto, si diceva, rassicurazioni. Preferirebbero di gran lunga vedersi ricollocati con qualche certezza. Perché sarebbe davvero straordinario che nel vortice di miliardi che tuttora vengono spesi (20 per sole "consulenze" nell'ultimo anno) ci si dimenticasse di questa piccola porzione di lavoratori con stipendi tutt'altro che principeschi (meno di 2 milioni e mezzo netti).

 

20 Settembre 2000

La scuola si divide in due scioperi

Confederali e Snals il 9 ottobre, Cobas e Gilda il 16. Nonostante il disagio condiviso da tutti gli insegnanti e i segnali distensivi della prima ora, i sindacati della scuola arrivano divisi allo sciopero contro le magre proposte del ministro della pubblica istruzione Tullio De Mauro (400 miliardi, pari a 40 mila lire lorde il mese) per adeguare gli stipendi "da fame" dei docenti. In un primo tempo c'era stata una disponibilità dei sindacati di base a convergere su una data di mobilitazione comune, benché con piattaforme affatto diverse. Ma il dilungarsi della trattativa tra confederali e Snals sulla data e la piattaforma ha convinto Cobas e Gilda a convocare autonomamente lo sciopero per il 16 ottobre.
Dopo anni di discussione, dopo quello che è accaduto con il concorsone, non è semplice trovare una soluzione comune tra organizzazioni che hanno sofferto i passaggi e le vicende post-contrattuali.
Diversa la posizione dei Cobas, che il 16 ottobre sciopereranno insieme al Gilda. I due sindacati di base decideranno se convocare una manifestazione nazionale a Roma o se optare per cortei regionali. I cardini della piattaforma dei Cobas sono tre. In primo luogo chiedono un significativo aumento salariale che consenta di allineare gli stipendi a quelli dei partner europei, cominciando con una prima tranche da mezzo milione al mese (per cui servirebbero nella prossima finanziaria 3-4 mila miliardi). In secondo luogo i Cobas dicono no a qualsiasi forma di "differenziazione gerarchica" dei salari, proponendo un anno sabbatico come soluzione per la riqualificazione del personale. Un altro no, infine, alle gerarchie interne rappresentante nella scuola dalle figure obiettivo e dai collaboratori dei presidi, opponendo la centralità del collegio dei docenti come luogo di decisione della didattica.

 

21 Settembre 2000

INCHIESTA SUL PRECARIATO A FIUMICINO

L'"inchiesta operaia" resta lo strumento per parlare di nuovo di realtà, senza i paraocchi del "pensiero unico".
Il dato principale di questa inchiesta, il suo sedimento sociale e politico più profondo, non sta tanto nei numeri, percentuali e tabelle che riassumono e incrociano le risposte di oltre 800 lavoratori. Sta invece nel restituire a quei lavoratori l'immagine collettiva della loro condizione, stagliando con chiarezza i limiti del modo individuale o di mestiere di difendersi dai corollari di ogni ristrutturazione e privatizzazione. Sta insomma nel permettere di rendersi conto che i processi operanti all'interno del comparto "traffico aereo" sono assolutamente identici (per sostanza, ma spessissimo anche per forma) a quelli che stanno distruggendo il reticolo dei residui diritti del lavoratore in altri comparti: come ferrovie, autoferrotramvieri, telecomunicazioni, imprese di pulizie, ecc. Ma anche nelle piccole e grandi fabbriche, nei settori maturi come in quelli che più new non si può, in Fiat come in qualche seminterrato del nordest o del napoletano.
Mille le formule (interinale, part time, outsourcing, job on call, contratti a termine, cooperative, ecc), una sola la sostanza: la tendenziale individualizzazione del rapporto tra lavoratore e padrone, ovvero l'azzeramento di ogni potere contrattuale. Il percorso che - attraverso il moltiplicarsi di scatole cinesi societarie a partire da una sola azienda unitaria - porta alla individualizzazione contrattuale viene in genere descritto come "frammentazione". Ma questa categoria significa poco, e sarebbe facile (e fuorviante) confondere le "figure della frammentazione" sul piano sociale con quelle che ruotano intorno al lavoro salariato. L'inchiesta, invece, mostra con grande chiarezza come siano il lavoro e la sua misura, il salario, gli elementi su cui i lavoratori si interrogano, si riconoscono, costruiscono le loro nuove forme di rappresentanza, ipotizzano nuove forme di lotta (visto che lo sciopero, nei trasporti, è ormai praticamente vietato per quasi tutto l'anno). Se è sul lavoro che la "frammentazione" si genera, è lì che vanno trovate le vie della "ricomposizione".
Sempre dall'inchiesta, infatti, emerge la proposta della "banca del tempo di lotta" per ovviare alla più disarmante delle constatazioni: in questi luoghi ormai non si può più "lottare" senza rischiare immediatamente il posto. Addirittura, in alcuni casi, i volantinaggi sono stati effettuati da amici e parenti; come fuori da un carcere, insomma. La "banca", nelle intenzioni, dovrebbe funzionare in questo senso, permettendo lo scambio delle iniziative tra situazioni diverse. L'idea sembra ancora grezza (fa poco i conti con gli strumenti di controllo sociale istituzionali, fuori dai posti di lavoro), ma è indubbiamente il segno di un'esigenza che comincia a cercare nuove strade per esprimere l'"antagonismo" tra capitale e lavoro.
Dalla ricerca esce malissimo uno dei pilastri del "pensiero unico": la flessibilità - il cambiare spesso lavoro, mansioni, orari - che sarebbe addirittura una forma molto apprezzata dai "giovani". L'81% degli intervistati, infatti, confessa di non veder l'ora di passare dal contratto a termine a quello "fisso". Così come l'84% dei "turnisti" rivela di non aver affatto scelto questa formula che gli distrugge la vita di relazione. E ancora: l'87,9% giudica niente affatto sicuro il reddito proveniente dal lavoro stagionale. Il 75% pensa che tutta questa situazione drivi dai processi di privatizzazione. Insomma: che agli imprenditori serva distruggere la forza contrattuale dei lavoratori per ridurne al minimo il costo per unità di prodotto, è un'ovvietà. Che i lavoratori ne siano "contenti", è un falso mediatico e ideologico. Basta fare un'inchiesta.

Scuola: forse un solo sciopero

Il segretario dello Snal Nino Gallotta ha fatto la sua mossa: un appello a Cobas e Gilda a confluire sulla data del 9 ottobre per lo sciopero generale nella scuola che chiede un intervento a favore delle retribuzioni dei docenti. "E' il momento di mettere da parte le differenziazioni strategiche delle varie organizzazioni per favorire una persuasiva convergenza unitaria in grado di mettere il governo al muro", afferma Gallota. Gli stessi sindacati confederali, del resto, hanno già messo da parte molte delle differenziazioni per privilegiare una soluzione unitaria, come sottolinea soddisfatto il segretario della Cgil scuola Enrico Panini. Ma non è un generico appello che può convincere Cobas e Gilda. Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas, annuncia per oggi una riunione d'urgenza per discutere delle novità delle ultime ore. Ma mette subito in chiaro due condizioni: "Che l'appello all'unità venga da tutte le organizzazioni della categoria - dice - e che ci vengano dati i tempi tecnici necessari". Fermo restando che le piattaforme e gli stessi luoghi della mobilitazione saranno diversi. Ma proprio rispetto a questo i confederali sono gelidi.

 

23 Settembre 2000

SCIOPERO ALITALIA

Alitalia aveva promesso, oltre ai voli nelle due fascie orarie garantite, dalle 7 alle 10 e dalle 18 alle 21, la partenza dei voli intercontinentali e ritardi (non solo cancellazioni) per tutti gli altri. In realtà ieri la paralisi, tranne che nelle cinque ore di tregua, è stata pressoché totale. Sciopero riuscito quindi quello degli assistenti di volo di Alitalia Team aderenti al sindacato di base Sulta. La partecipazione è stata massiccia, nonostante Alitalia definisca le motivazioni della protesta inutili.
Lo sciopero affonda le radici in una situazione di grave disagio dovuto, dicono al Sulta, "al mancato rispetto del contratto di lavoro firmato il 16 dicembre scorso". Orari, composizione delle squadre di lavoro; la direzione non ha rispettato gli impegni sottoscritti e ha usato la mano pesante contro gli assistenti che si rifiutavano di sottostare alla flessibilità impartita giorno per giorno dall'azienda. Sono fioccate le sanzioni disciplinari e infine il 12 agosto sono partite quattro lettere di licenziamento contro altrettanti assistenti di volo che si erano rifiutati di imbarcarsi perché l'equipaggio era sottodimensionato rispetto alla regolare composizione.
Ieri Alitalia ha mobilitato, come di consueto, le "truppe antisciopero", gli assistenti stagionali (lavoratori a tempo determinato sui quali il sindacato non fa pressioni) per coprire almeno i voli garantiti.
Il successo di ieri non spinge il sindacato di base verso un inasprimento del conflitto. "Certo, questo sciopero è la conseguenza di una vertenza aperta, dice Claudio Petrocchi del Sulta. Ma gli scioperi si indicono per non farli. In una situazione delicata come questa causare una perdita di 10-12 miliardi all'azienda non ci fa grande piacere, così come danneggiare gli utenti".
Il Sulta ha chiesto ad Alitalia un tavolo di confronto e chiarimento sulle norme contrattuali, ma "come dice la stessa azienda, la trattativa si fa senza mettere pistole sul tavolo", dice Petrocchi. E quei quattro licenziamenti proprio non vanno giù.

 

24 Settembre 2000

La sicurezza richiede lotta

Una fermata generale del lavoro di quindici minuti, da effettuare entro ottobre per la giornata europea in difesa della salute, per sollecitare il tema della sicurezza nei luoghi di lavoro. E' tutta qui la proposta dalle confederazioni sindacali, Cgil, Cisl, Uil e dalla prima conferenza unitaria dei rappresentanti della sicurezza (Rls-Rlt) chiusasi a Modena.
Cofferati, alla conferenza è stato duro nei confronti del "sistema-imprese", perché "non ottemperano in genere alla difesa del diritto alla salute che è insito al problema del lavoro". Cofferati, come D'Antoni prima di lui, ha ricordato i danni provocati da una globalizzazione senza norma e regolamentazione. "Le aziende hanno consapevolmente tralasciato il tema della sicurezza, considerata un costo aggiuntivo che non vogliono pagare".
Entrambi si dimenticano che la morbidezza dei sindacati confederali è il motivo per cui i padroni si permettono di ignorare anche leggi apparentemente "dure".
Il vero successo della conferenza è stata la partecipazione dei delegati delle Rls. Un risultato oltre le aspettative. "A Modena - ripete al manifesto la responsabile Cgil Betti Leone - sono venuti 1.600 rappresentanti delle Rls-Rlt rispetto ai 900 previsti". Molti i giovani e molto motivati, in prevalenza delle grandi fabbriche. Fra i 40mila Rls-Rlt non figurano i lavoratori delle piccolissime aziende, gli artigiani, i lavoratori dell'edilizia, dell'agricoltura; come pure della pubblica amministrazione: l'80% della realtà produttiva italiana.
Occorrerebbe passare da un modello partecipativo (sentito come negativo) a quello "conflittuale" (molte Rsu, ad esempio, decidono di "monetizzare il rischio", invece di modificarlo o annullarlo). E pesano anche i problemi interni quando le strutture di rappresentanza nei luoghi di lavoro sono diverse, con differenti competenze. Su questo punto, la conferenza ha cercato di fare chiarezza, invitando Rls e Rsu a collaborare. Soprattutto in vista delle attuali e future battaglie contrattuali.

A tutt'oggi nel nostro paese, si contano 4 morti bianche al giorno e ben 870mila infortuni all'anno. I controlli nelle imprese, nelle aziende sono ancora infinitesimali, il 3,5%. Manca inoltre un riferimento istituzionale, il contributo delle Asl, gli ispettorati del lavoro, dell'Inail e delle regioni. Questo perché si è fatto di tutto per non avere una cultura della prevenzione, in omaggio ai luoghi comuni dell'ideologia neoliberista.

 

27 Settembre 2000

 

LAVORO ATIPICO

In luglio l'occupazione è aumentata del 2% rispetto al luglio '99, mentre il numero dei disoccupati è diminuito del 7,4% con il tasso di disoccupazione che scende all'10,1%. In cifre assolute, in dodici mesi sono stati creati 428 mila posti di lavoro, l'incremento tendenziale più alto dal 1992, e il numero degli occupati è salito a 21,322 milioni: quasi un milione in più rispetto al luglio del 1999.
"Al netto dei fattori stagionali - segnala l'Istat - l'occupazione è aumentata in confronto allo scorso aprile di 112 mila unità, pari allo 0,5%". Come al solito, la crescita è disomogenea: tira il settore delle costruzioni (+1,0%) e registra un buon andamento (+0,7%) quello dei servizi, ma è deludente (+0,1%) l'andamento nell'industria. Di più: dalle variazioni congiunturali emerge che la ripresa occupazionale non coinvolge il Mezzogiorno, mentre è sostenuta al Nord (+0,6%) e soprattutto al Centro (+1,0).
La rilevazione trimestrale di luglio dell'Istat evidenzia in primo luogo l'aumento delle forze di lavoro, salite a 23,726 milioni, 236 mila in più rispetto al luglio '99. Si tratta di un significativo aumento dell'offerta di lavoro, caratteristica delle fasi di ripresa economica che spinge le "non forze di lavoro" a affacciarsi sul mercato, nella speranza di trovare una forma di occupazione, anche se precaria. L'aumento, però, non ha fatto crescere il tasso di disoccupazione, perché contemporaneamente è aumentata la domanda di lavoro (largamente precaria) che ha ridotto di 192 mila il numero dei disoccupati "scesi" a 2,404 milioni. L'aumento delle forze di lavoro ha spinto verso l'alto il tasso di attività (calcolato rapportando le forze di lavoro con il totale della popolazione in età lavorativa) che sale oltre la soglia del 60% (al 60,3%), con una punta del 66,7% nel Nordest e un valore ridicolo (53,4%) nel Sud. Un miglioramento rispetto al passato che tuttavia vede l'Italia ancora distanziata di una decina di punti dalla media dei maggiori paesi industrializzati.
In cifre, il contributo del precariato a questo incremento indica che negli ultimi dodici mesi l'occupazione dipendente e quella a tempo parziale (al netto delle sovrapposizioni, visto che esistono migliaia di lavoratori che lavorano part-time ma a tempo determinato) ha registrato un incremento di 202 mila lavoratori, "poco meno dei due terzi della creazione complessiva degli occupati alle dipendenze".
In totale, quasi 1,6 milioni di lavoratori dipendenti sono a tempo determinato (oltre il 10%), mentre quasi il 9% ha un lavoro part-time. Non sono ancora percentuali olandesi, ma la crescita è esponenziale.

TELECOM. SCIOPERO IL 13 OTTOBRE

Colaninno ha interpretato gli accordi con i sindacati confederali come un "via libera". E quindi, oltre a mettere in cassa integrazione 818 dipendenti, ha anche bellamente superato la vertenza della linea del "187" con un puro atto di forza. L'accordo siglato tra azienda e sindacato è stato rifiutato dalle lavoratrici? Fa niente: il servizio - 24 ore su 24 - parte lo stesso.
E il sindacato che fa? I sindacati di base hanno fatto fronte comune. E' partita una raccolta di firme per imporre un referendum che sancisca il rifiuto sia degli accordi di aprile che delle "norme di raccordo" firmate ad agosto (che implicano, tra l'altro, l'accettazione del contratto di settore stipulato il 19 luglio). Cobas, Fialtel, Flmu-Cub e Snater hanno raccolto fin qui oltre 5.000 firme. Il 13 ottobre, infine, a sugello del lavoro di sensibilizzazione in corso, uno sciopero nazionale con manifestazione a Roma. L'obiettivo, per quest'area, è arrivare a definire una piattaforma di settore, alternativa a quella accettata dai confederali, coinvolgendo anche i lavoratori di Omnitel, Infostrada, Wind ecc.
Cgil, Cisl e Uil, invece, hanno dato il via alla serie di assemblee nei posti di lavoro per chiedere la ratifica di tutti gli accordi sottoscritti. I risultati, però, non sarebbero confortanti per le tre confederazioni. La percentuale di votanti si aggira in media tra il 30 e il 35% degli aventi diritto. Le modalità di voto sono molto disomogenee (in alcuni casi col voto segreto, in altri col palese). Ma in generale il voto contrario agli accordi è molto alto. In Lombardia, ad esempio, hanno votato in 900 su quasi 6.000; i contrari sarebbero stati il 70%. Insomma, i segni di ostilità diffusa nei confronti di Cgil, Cisl e Uil sarebbero crescenti.
Nel Lazio, per "la forte tensione creatasi durante le assemblee" e "l'impossibilità di dibattere serenamente", le assemblee stesse sono state sospese a tempo indeterminato. La componente Alternativa sindacale ha emesso un comunicato nel quale si esprime "profondo dissenso rispetto al contenuto delle ipotesi di accordo", e punta il dito contro "l'assenza di una piattaforma rivendicativa, l'esclusione da ogni forma possibile di partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti territoriali". Nelle Marche il voto contrario all'accordo raggiunge percentuali "bulgare" anche nelle situazioni dove la Cgil è egemone. Dirigenti locali si vanno dimettendo dalle cariche, e qualcuno pensa addirittura di uscire dalla Cgil. Su questo sindacato - senza dubbio il più lacerato dagli accordi - pesa anche l'assoluta indifferenza delle segretrie nazionali nei confronti delle strutture immediatamente inferiori.
La posizione ufficiale è: "se l'accordo viene bocciato, la Cgil non firma". Ma, dicono ancora in Cgil, "non sarebbe la prima volta che si firma qualcosa rifiutato dai lavoratori".

 

28 Settembre 2000

 

SKF

La direzione della Skf di Airasca (Pinerolo) ha vietato l'entrata nello stabilimento al segretario della Fiom territoriale, mentre erano in corso assemblee unitarie. "E' la prima volta che questo accade - sottolinea in un comunicato la Fiom Piemonte - da quando esiste lo statuto dei lavoratori e il diritto di assemblea; questa scelta dell'azienda rappresenta un aggravamento generale del clima antisindacale che si è creato nel gruppo Skf dopo l'accordo separato sottoscritto da Fim, Uilm e Fali Fismic". Per il segretario della Fiom Piemonte, Giorgio Cremaschi, si è trattato di "un'autentica sopraffazione avvenuta contro la Fiom con la connivenza di settori della Fim, Uilm e Fali interne alla Skf. Tutto questo nasce dal fatto che noi abbiamo respinto un accordo sindacale indecente, che ha semplicemente cancellato la piattaforma unitariamente presentata in cambio di un aumento di 30 mila lire mensili in 4 anni e soprattutto perché si vuole rifiutare ai lavoratori della Skf il diritto di decidere con un referendum sull'accordo separato". La Fiom ricorrerà per vie legali contro l'atto della direzione e si appresta a raccogliere le firme dei lavoratori per indire il referendum sull'accordo.

 

SCIOPERO ALLA T&T

Il coordinamento nazionale del Gruppo T&T, che opera nel settore impiantistico navale, elettromeccanico, tcl, con 300 dipendenti diretti (e un migliaio nell'indotto) ha indetto per il 30/9 uno sciopero di otto ore con manifestazione a Roma di tutti i lavoratori dipendenti presso la sede centrale della società. A marzo l'azienda aveva illustrato un piano industriale, che prevede investimenti per la costituzione di nuove società, in sostanza il rilancio complessivo del gruppo. Dopo sei mesi tali piano è stato disatteso - dicono alla Fiom -, il ripianamento dei debiti verso i fornitori non procede come previsto e vengono annunciate procedure di cessione di ramo d'azienda in un quadro di generale incertezza.