Notizie dalla lotta di classe

Dicembre 2000

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Unire quello che il capitalismo divide.

 

2 dicembre '00


AUTOGRILL

A Capodichino, l'aeroporto di Napoli, è stato inventato un nuovo sciopero, quello del "lavaggio". Il brevetto è dei dipendenti Autogrill. La lampadina si è accesa quando la direzione ha chiesto ai ragazzi che lavorano per Spizzico (marchio della catena), di recarsi nel retrobottega del ristorante a lavare mestoli e pentoloni.
"Non esiste proprio - hanno risposto molto "napoletanamente" i lavoratori - siamo inquadrati nel quinto livello e queste mansioni non ci toccano". La ribellione non è passata inosservata presso le alte sfere, a Milano, tanto che è stato inviato sul posto addirittura il capo del personale, che ha ritirato la richiesta.
Proprio in questi giorni è stata licenziata la piattaforma per il rinnovo del contratto integrativo aziendale, firmata da Filcams, Fisascat e Uiltucs: si chiede innanzitutto un chiarimento dell'attuale giungla contrattuale. Autogrill occupa oggi circa 10.000 persone in Italia e ormai oltre il 60% dei dipendenti ha contratti part-time. In questi anni sono aumentati pure i contratti a tempo determinato, che raggiungono nei locali di recente apertura anche il 30% del totale. Secondo il contratto nazionale, dovrebbero raggiungere massimo il 10%, ma l'azienda calcola il dato a livello nazionale e si dichiara in regola.
Un altro punto su cui vertono le richieste in piattaforma è quello del rispetto delle mansioni.
Si richiede anche più spazio per poter stabilire nei punti vendita rappresentanze di base che possano intervenire sulle questioni organizzative e la fissazione degli organici.
La sicurezza. Per chi lavora in autostrada, soprattutto di notte, è un vero problema. I sindacati non chiedono più polizia o guardie giurate, ma più lavoratori nei turni notturni. Perché, come spesso capita, molte donne non siano lasciate sole al lavoro, in zone disagiate, dalle 22.00 alle 6.00.

OMICIDIO SUL LAVORO

Alla guida del suo Fiorino stava uscendo dalla Lucchini siderurgica, vera e propria cittadella dell'acciaio, ma ha attraversato i binari interni dello stabilimento proprio mentre stava transitando un locomotore carico di materiale. E' morto così Vincenzo Seccia, 45 anni, di Follonica, capocantiere della "Sei" (Società elettrica italiana), che da molti anni si occupa della manutenzione degli impianti alla Lusid. L'incidente è accaduto alle 14.30, e l'auto di Seccia è stata trascinata per decine di metri prima di finire la sua corsa schiacciata contro un altro convoglio. La procura di Livorno ha subito aperto un'inchiesta sulla tragedia, ennesimo infortunio mortale sul lavoro che arriva ad una settimana dallo sciopero generale per la sicurezza svolto in Toscana il 24 novembre scorso.

 

ZANUSSI

8180 donne e uomini degli stabilimenti Electrolux-Zanussi (oltre il 70%) hanno partecipato al referendum sull'intesa siglata dai sindacati metalmeccanici il 10 novembre. I sì sono stati più del 74% (6059), i no quasi il 22,8% (1855); ma due stabilimenti, Solaro (Brianza) e Rovigo, hanno respinto l'accordo.
Sono "soddisfatti" per il voto sul nuovo accordo integrativo anche i vertici Electrolu-Zanussi: "soprattutto perché riporta alla normalità le relazioni industriali"; rammaricati invece perché "poteva essere più innovativo, con il job on call". Invece il 'lavoro a chiamata' (una sorta di rapporto interinale gestito direttamente dall'azienda) era stato denunciato duramente dai lavoratori, e uno dei motivi, assieme alle differenze fra vecchi e nuovi assunti, alle richieste esose di sovraccarichi di lavoro per i premi, che li avevano spinti a bocciare il precedente accordo di luglio - già respinto dalla Fiom, ma approvato da Fim e Uilm e dalla maggioranza delle rsu.
In fabbrica a Susegana (oltre 2000 addetti), in una pausa turno, una giovane operaia dice "sì, il contratto è migliore di quello di giugno e qui c'è soddisfazione, certo non totale perché si vorrebbe sempre star meglio. Il salario non è gran che, ma ci accontentiamo; la cosa più importante è il sussulto di dignità di tutti gli operai, che abbiam guardato un po' più in là del nostro naso e pensato anche ai nuovi assunti, quando abbiamo bocciato l'altro accordo".

SKF

Sciopero alla Avio di Villar Perosa, con una adesione che ha raggiunto il 90%. Dopo il boicottaggio della direzione, che ha impedito le votazioni per il referendum richiesto dalla Fiom, la reazione dei dipendenti Skf non si è fatta attendere. La commissione elettorale aveva indetto per il 30 novembre il referendum abrogativo dell'intesa sottoscritta da tutte le organizzazioni sindacali - ad eccezione della Fiom. Ma la direzione dell'Skf, per impedirlo, ha deciso una serie di gravi misure antisindacali.
Nonostante le procedure siano state fatte rispettando alla lettera il regolamento adottato dai sindacati confederali e Federmeccanica - dopo aver raccolto 1038 firme, certificate da un notaio; dopo che la commissione elettorale aveva accertato la validità della procedura, la direzione della Skf non ha voluto sentir ragioni. Ha comunicato alle organizzazioni sindacali che non intendeva permettere lo svolgimento del referendum proprio nel giorno in cui si doveva votare.
La Fiom "approva e sostiene le iniziative di sciopero che si vanno diffondendo negli stabilimenti del gruppo per protestare contro il gravissimo atteggiamento aziendale" e chiede alla Skf di rimuovere gli ostacoli frapposti al libero svolgimento del referendum.
Nei giorni scorsi, nel frattempo, si sono avute diverse mobilitazioni. Il primo turno nello stabilimento di Airasca era entrato in sciopero; lo stesso è accaduto, con buone percentuali di adesione, anche negli stabilimenti di Bari e all'Avio di Villar Perosa (con punte del 90%). In quest'ultimo stabilimento la dichiarazione di sciopero, fatta dalle Rsu, è stata rafforzata con un corteo interno. "Questa lotta e le seguenti dovrebbero suggerire all'azienda di cambiare opinione - dice un operaio -; i lavoratori non sono disposti ad accettare nessun diktat".

 

5 dicembre ’00

 

SCIOPERO ALLA FIAT

Gli operai della Fiat accentuano le iniziative di lotta sulla vertenza contrattuale. Il 5 si fermano per due ore gli stabilimenti della Marelli a Collegno. Il 6 tocca alle carrozzerie di Mirafiori, dalle 9 alle 11; dalle 16 alle 18 si fermano invece Meccanica, Presse e Enti centrali. Il 7 la fermata riguarda le aziende terziarizzate e Rivalta. Dopo ancora scenderanno in sciopero teksid e Comau; l'11, infine, tocca all'Iveco. Il momento saliente di questa raffica di iniziative articolate si avrà il 15, con uno sciopero in tutto il gruppo di "almeno 4 ore", con manifestazione davanti ai cancelli della porta 5 di Mirafiori. Nel convegno della Fiom che si terrà oggi a Torino sarà consegnato un attestato ai consigli di fabbrica e ai delegati della lotta dei 35 giorni, nel 1980. Al centro della discussione anche il fututo del gruppo Fiata, dopo l'accordo con General Motors.

SCIOPERA SAN PAOLO-IMI

Giornata di astensione riuscita agli sportelli della San Paolo-Imi. Secondo i sindacati c'è stata un altissima partecipazione allo sciopero dei 20.000 impiegati distribuiti nelle 1300 filiali dell'sistituto di credito. L'agitazione è stata proclamata per l'insistente resistenza della direzione a non volere sottoscrivere l'accordo aziendale, che prevede certe garanzie sui livelli occupazionali di fronte ad ipotesi di ristrutturazione della banca, il riconoscimento della professionalità dei lavoratoti e il giusto riconoscimento all'impegno dato da tutti per conseguire gli obiettivi di produzione. Allo sciopero, per la prima volta, hanno partecipato i quadri dirigenti dell'azienda

 

SCIOPERO ALLA LUSID

Ancora un giorno di sciopero ieri dentro la Lusid, per ricordare la morte di Vincenzo Seccia ed i sei infortuni mortali in val di Cornia dall'inizio dell'anno. Sabato scorso avevano incrociato le braccia i dipendenti della Lucchini siderurgica; ieri è toccato agli operai delle decine di imprese appaltatrici che lavorano quotidianamente dentro la cittadella dell'acciaio. In solidarietà si sono fermati per due ore anche i lavoratori della Magona e della Dalmine, mentre continuano le polemiche per l'ennesimo omicidio bianco avvenuto venerdì scorso.
Subito dopo la tragedia, l'assessore regionale alla Sanità, Enrico Rossi, aveva annunciato la convocazione dell'amministratore delegato della Lucchini, insieme ai responsabili dei dipartimenti di prevenzione della Asl e della stessa Regione Toscana, "per verificare le cause dell'impressionante cadenza di incidenti avvenuti nell'azienda di Piombino, e per richiedere all'azienda stessa un piano straordinario di interventi per la sicurezza e la tutela dei lavoratori". In risposta sono invece arrivate ieri le dimissioni ufficiali del dirigente responsabile dell'Asl 6 (Livorno e val di Cornia) per la prevenzione e la sicurezza, passato proprio alle dipendenze del gruppo Lucchini.
Dopo la morte di Vincenzo Seccia - 45 anni, capocantiere della "Sei", da molti anni addetto alla manutenzione degli impianti della Lusid, travolto con la sua auto da un locomotore carico di materiale ferroso - il management Lucchini ha deciso che sarà riorganizzato il traffico interno alla gigantesca fabbrica, dove ogni giorno circolano 1.500 auto, tre pullman e otto locomotori: senza alcuna segnaletica.

 

FS: 280 LICENZIAMENTI A CIVITAVECCHIA

La ristrutturazione delle Ferrovie si fa sentire anche sull'"indotto". La definizione è già impropria, perché stiamo parlando dei servizi a bordo delle navi traghetto delle Fs, garantiti però da "cooperative" formalmente autonome.
A Civitavecchia, snodo fondamentale per i collegamenti con la Sardegna, da 30 anni l'appalto era assegnato alla "Garibaldi", società cooperativa che si occupava del "servizio a bordo": bar, self service, settore coperta (cabine, ecc), ma anche alcuni "passaggi" nei ruoli da marinaio (mozzi, ecc). Tutte mansioni che potevano e dovevano prevedere personale Fs, ma che era più conveniente "esternalizzare". Anche perchè, al momento di "chiudere", non ci sarebbero stati problemi di lavoratori "in esubero", ma "solo" una convenzione da disdire. Ed è quello che è avvenuto ora. La "Garibaldi" ha preso atto e spedito 280 lettere di licenziamento. Immediata l'agitazione dei lavoratori e delle loro famiglie; e immediatamente si sono messi in moto anche i sindacati. Ma con intenzioni alquanto diverse tra loro. Cgil e Cisl hanno raccolto in assemblea l'indicazione dei lavoratori, all'unanimità, per lo sciopero; Uil e Ugl (i nazional-alleati dell'ex Cisnal) hanno invece puntato i piedi, sostenendo che "non ce n'erano i presupposti". Se non è sufficiente esser stati licenziati, quale sarà mai una ragione "valida"?
Lo sciopero doveva partire venerdì mattina, quando l'autonave Gallura avrebbe salpato le ancore. L'intervento di Ugl e Uil ha provocato tensione, e solo con difficoltà i lavoratori sono stati convinti - insieme a Cgil e Cisl - a rinviare l'agitazione al 12 dicembre.
Da parte dei lavoratori l'obiettivo è arrivare a una ricollocazione dei lavoratori senza alcuna perdita di posti. D'altro canto, dicono, se i collegamenti tra Sardegna e "continente" sono un servizio pubblico essenziale (quando si tratta di impedire gli scioperi), allora si tratta anche di un servizio da potenziare. Non da dismettere.

 

6 dicembre ’00

 

MERCATONE UNO: PROTESTE PER I TURNI FESTIVI

Non a tutti i dipendenti del Mercatone Uno - in tutta Italia una settantina di negozi, con in media 30-50 lavoratori ciascuno - il lavoro domenicale, così come è regolato, va proprio a genio.
Cambiano le città, e cambiano i profili del lavoro. Dopo la recente riforma del commercio, firmata dal ministro Bersani, in tutto il paese sono soprattutto le grandi catene a potersi permettere di aprire la domenica, nei periodi di festa, nei tre mesi estivi, nelle città turistiche. Chi commercia fiori, o mobili, come il Mercatone Uno, può fare anche tutte le domeniche dell'anno, anche se a stabilire, in ultima istanza, gli orari, devono comunque essere i singoli comuni.
Nei Mercatone Uno di Cerasolo (Rimini) e Russi (Ravenna) ci sono due tipologie di lavoratori, con diversi "diritti". Nei locali in questione i dipendenti full-time hanno, ogni due settimane, sabato, domenica e lunedì mattina liberi; i part-time lavorano tutte le domeniche.
Al Mercatone Uno di Pesaro l'azienda ritira le maggiorazioni domenicali - dell'80% e 50% - riportandole al 30%, perché coi lavoratori c'era soltanto un accordo verbale.
In genere, i negozi sono per il 75% proprietà della Mercatone Uno Service, per il 25% di singoli imprenditori o dei dipendenti. Il 15 dicembre, i sindacati confederali terranno un'assemblea contemporaneamente in tutti i locali (dalle 9 alle 10): si discuterà di lavoro domenicale e festivo, delle divisioni tra vecchi e nuovi assunti, tra full-time e part-time.

 

LA PRECARIA RI-ASSUNTA

 

A Firenze la Telecom è stata condannata dal giudice del lavoro ad assumere a tempo indeterminato una lavoratrice precaria impiegata per 3 mesi nel '96. Per il giudice telecom non aveva provato "la sussistenza dei requisiti per la stipula di un contratto a tempo determinato", e quindi lo stesso andava inteso senza limiti di tempo. La sentenza potrebbe avere un effetto "cascata", vista la quantità di rapporti di lavoro "atipici" che la Telecom sta applicando da anni su tutto il territorio nazionale nei confronti del "nuovi assunti".

 

7 dicembre '00

 

FIAT DI MELFI E PRATOLA SERRA

Mentre si avvicina il 15 dicembre, data dello sciopero nazionale di 6 ore dei lavoratori del gruppo Fiat, le trattative tra l'azienda, i sindacati e le Rsu della Sata di Melfi e della Fma di Pratola Serra sono ancora in alto mare. Lo scontro con la Fiat continua, così come le differenze di valutazione tra sindacato e sindacato e tra delegati delle Rsu e dirigenti sindacali. Dall'incontro a Napoli nella notte scorsa tra le parti è emersa una posizione Fiat oscillante tra chiusura netta e cautissime aperture.
I punti qualificanti in cui si sta svolgendo un duro braccio di ferro tra Fiat e lavoratori dei due ex "prati verdi" del Sud sono: l'equiparazione del salario a quello di tutti i lavoratori del gruppo e la messa in discussione della "doppia battuta", cioè le due settimane continue di lavoro notturno. In più, da oltre un mese i lavoratori chiedono il reintegro di due avanguardie sindacali licenziate alla Fma dopo gli scioperi del 2 e 3 novembre. La Fiat ha opposto, a quest'ultima richiesta, un arrogante diniego, riducendo la questione a questione giudiziaria: tutto è demandato, in pratica, alla magistratura. Sul salario, l'azienda è disposta a concedere briciole (23.000 lire lorde sul notturno, ad esempio), mentre sulla turnistica notturna ha proposto un gruppo di lavoro con l'impegno a superare la "doppia battuta" per il 2002. La giornata di lotta del 15 sarà probabilmente anticipata alla Fma di Pratola Serra (per ragioni puramente tecniche) al 12 dicembre e sarà uno sciopero di otto ore.
In ogni caso il problema è di fondo ed è politico. L'incontro decisivo con la Fiat è fissato per il 19 dicembre a Melfi. Allora, dopo gli scioperi, tutto dovrebbe essere più chiaro. E molte ambiguità, della Fiat e di parte del sindacato, si dovrebbero sciogliere.


ANCORA INFORTUNI

Vairo Petri, 51 anni, è in coma all'ospedale di Livorno. Rischia la paralisi per l'ennesimo incidente sul lavoro alla Lucchini siderurgica di Piombino. In coma anche Andrea Chimenti, 24 anni, saldatore della Edillame di Barberino val d'Elsa, dopo che gli è scoppiato in faccia un bidone contenente ancora dei solventi. Se la passa appena meglio degli altri Francesco Rossi, 35 anni, della ditta Guazzini, rimasto ferito a Suvereto da un carico di materiale ferroso caduto da un camion per l'apertura dello sportellone.
Gli appelli alla prevenzione e al controllo delle realtà produttive a rischio non hanno sortito effetti, almeno a giudicare dalla morte di Vincenzo Seccia venerdì scorso sempre alla Lusid, e all'ultimo bollettino di guerra di ieri.
Vairo Petri stava sostituendo una "lama" di 200 chili di peso nel reparto Tmp della Lucchini siderurgica. Durante l'operazione, la pesante struttura si è come impigliata alla macchina, per poi liberarsi all'improvviso proprio mentre il dipendente Lusid controllava cosa stesse accadendo. Colpito al mento, l'operaio è stato ricoverato prima a Piombino, e da lì trasferito all'ospedale di Livorno dove in serata è stato operato alla testa. Le sue condizioni sono critiche, e anche se si salverà i sanitari temono che rimarrà paralizzato.

8 dicembre ’00

 

SCIOPERO NELLA SCUOLA

 

Tre insegnanti su cinque che incrociano le braccia. Otto scuole su dieci che rimangono chiuse. E' il bilancio di uno dei più partecipati scioperi che la scuola italiana ricordi. Uno sciopero che per la prima volta è stato proclamato da tutte le sigle sindacali: ciascuno con la sua piattaforma, tutti per rivendicare l'adeguamento dei salari dei docenti alla media europea. Se il governo non darà risposte in tempi brevi, il 18 dicembre si replica.
Non sfilano nella capitale, i sindacati confederali: optano per cortei, presidi e sit-in a livello provinciale. A Roma giunge la delegazione dello Snals per un presidio di fronte al senato. E si fanno sentire soprattutto i fischietti e la street-music dei Cobas, che in diverse migliaia sfilano dal ministero di viale Trastevere a piazza Farnese.
"Il ministro De Mauro si è chiuso in gabinetto per problemi interni ", malizia il megafono mentre il corteo abbandona il dicastero dell'esimio linguista per invadere il centro di Roma. Alla testa del corteo due maestre elementari, Agnese e Francesca, con in testa un cappello a punta come quello di Pinocchio: "Tutto fare senza laurea" c'è scritto sopra. Mentre suona la voce di Compay Segundo scorrono striscioni arrivati da tutta Italia: Milano, Bologna, Cagliari, Napoli, Firenze, Pistoia, Macerata. E le trovate di questi insegnanti che si dicono "scorati", "stanchi", "delusi", "con tanta rabbia dentro" sono il filone della "fantasia in cattedra". Contro "il disordino dei cicli" (come chiamano il riordino) fra Trastevere e via Arenula galoppano su cavalli di cartone diversi prof, dicendo: "Basta con i cicli i Cobas sono a cavallo!". Qualcuno si è invece tappato la bocca con un cerotto (nelle scuole, a pochi giorni delle elezioni delle Rsu, imperversa il problema della libertà di assemblea).
Torna con forza anche il no alla parità scolastica.
Alla manifestazione dei Cobas viene impedito di arrivare a portata di slogan dal meeting sui buoni scuola. Il corteo si conclude a piazza Farnese, dove il portavoce Piero Bernocchi ripete le rivendicazioni del sindacato di base: piano di adeguamento salariale con un primo aumento generalizzato di mezzo milione lordo al mese, anno sabbatico per l'aggiornamento professionale, contestazione del riordino dei cicli, ammissione dei Cobas al tavolo della trattativa.
La polemica con i sindacati confederali è fuori dai denti. E rinvigorita dal fatto che dal 13 al 16 dicembre si svolgono le elezioni per le Rsu. Del resto, anche Cgil, Cisl e Uil parlano lingue differenti alla vigilia del voto: in particolare sui cicli (avversati dalla Cisl) e sul riconoscimento delle professionalità (bandiera della Cgil).

SSCIOPERI ALLA FIAT DI TORINO

I sindacati metalmeccanici si sono incontrati col ministro del lavoro Cesare Salvi, a proposito delle loro preoccupazioni sullo stato della vertenza Fiat e sugli esuberi annunciati dal gruppo torinese. I rappresentanti di Fim, Fiom e Uilm hanno spiegato al ministro che la vertenza per il contratto aziendale è bloccato a causa del rifiuto da parte del Lingotto: la Fiat ha ripetuto a più riprese che non c'è spazio per alcun aumento salariale e per questo sono partiti gli scioperi, il prossimo dei quali - quattro ore - è previsto per il 15 dicembre (appuntamento centrale, una manifestazione alla porta cinque di Mirafiori). Ma nella fabbrica di motori di Pratola Serra (Avellino) ci si fermerà per otto ore anche il 12, per protestare contro il licenziamento di due delegati, accusanti di aver fomentato gli scioperi in una fabbrica che fino a pochi mesi fa non ne aveva fatto nemmeno uno. E questo è stato il secondo punto su cui i sindacalisti hanno voluto coinvolgere il ministro del lavoro, denunciando la violazione dei diritti fondamentali garantiti dalla legge e dei contratti.
Terzo punto all'ordine del giorno, l'annunciato licenziamento di mille impiegati (in prevalenza concentrati a Mirafiori), considerati "esuberanti" dalla Fiat. Si tratta di una riedizione, seppur in tono minore, della grande espulsione di impiegati e tecnici avvenuta nel '94. La Fiat considera questi lavoratori assolutamente inutili e non intende aprire alcun tavolo di trattativa, alludendo alla mobilità e ai prepensionamenti.
Intanto, in attesa del nuovo pacchetto di ore di scioperi proclamato dai sindacati, ieri si sono fermati, per l'integrativo bloccato, i lavoratori di Rivalta e delle aziende terziarizzate (Comau, Tnt, Marelli sospensioni e Turinauto). L'adesione è stata molto alta - come accade da quando la vertenza è bloccata - con una media attorno al 70 per cento.

 

9 dicembre ’00

 

SOGEI


Lo sciopero dei dipendenti di Sogei ha interessato 1500 dipendenti. La società, controllata da Telecom attraverso Finsiel, ha particolarità che la rendono unica: gestisce da 25 anni il sistema informativo del ministero delle finanze.
Fin quando Telecom è stata un'azienda nazionalizzata questo ruolo delicato non rappresentava un problema. Con la privatizzazione, e soprattutto con la scalata di Colaninno, il problema istituzionale è nato: può una società privata gestire un compito strategico così rilevante? L'ormai prossima fusione tra i ministeri delle finanze e del tesoro ha ulteriormente complicato le cose. Anche il tesoro, così come tutti i principali ministeri, ha una sua agenzia che gestisce il sistema informativo: la Consip, società controllata dallo stesso ministero. E a maggio scade la convenzione che affida a Sogei la cura del sistema alle finanze. L'unione anche delle due agenzie sembra logicamente l'unica soluzione. E il parlamento ha dato indicazioni perché Consip acquisisca una quota di maggioranza di Sogei.
La preoccupazione dei lavoratori attualmente in quota Telecom è grande. Quale fine faranno? Non si tratta però solo o tanto della difesa del posto di lavoro (le professionalità informatiche presenti sono di tale livello da rendere pressoché istantaneo il trovare un nuovo impiego), quanto della difesa di un patrimonio industriale difficile da ricostruire qualora venga smembrato. La soluzione della fusione con Consip non li preoccupava.
L'allarme, in questo senso, è scattato quando il consulente informatico del ministro Del Turco, dott. D'Antonio, ha comunicato di voler attuare un altro progetto: Sogei dovrebbe esser acquisita da Sose (società per gli studi di settore del ministero delle finanze), e tutto il "partner tecnologico" dovrebbe venir smembrato tra le diverse agenzie. Il caos è aggravato dal fatto, davvero inconsueto, che un "consulente" del ministro va in giro a illustrare piani di riordino non scritti da nessuna parte. La posta in gioco, secondo i dipendenti, è la possibilità stessa di far funzionare l'anagrafe finanziaria. Un insuccesso che provocherebbe un degrado dei servizi fiscali senza precedenti.
La concessione a Sogei non si può prorogare (c'è il veto Ue); la gara pubblica, provata in altri paesi, non ha dato risultati positivi; bisogna tener conto del piano di riforma della pubblica amministrazione portato avanti con grande energia dall'Aipa (l'Authority di settore); e deve contemporaneamente salvaguardare il patrimonio di competenze e professionalità presenti in Sogei e garantire il "mantenimento delle caratteristiche industriali dell'azienda". Il timore, insomma, è che il gioco di pura speculazione finanziaria (attribuito a Colaninno), unito a idee poco chiare presenti nell'entourage del ministro Del Turco, possa produrre un disastro. Per l'anagrafe finanziaria e per un patrimonio tecnologico coeso.

 

AVIOGRILL

I dipendenti dei bar dell'aeroporto di Bologna hanno ripreso a scioperare. Da tre giorni i locali della Air Service - dal prossimo gennaio a marchio Aviogrill, società mista di Autogrill e Sab (società aeroportuale bolognese) - sono chiusi. Già qualche settimana fa, i 44 baristi avevano scioperato per non perdere il lavoro nel passaggio di gestione dei locali. Aviogrill avrà infatti il monopolio della ristorazione aeroportuale e occuperà 150 persone. Inizialmente, era stato proposta la riassunzione di 29 ex dipendenti e l'esubero per gli altri 15. Dopo il primo sciopero, anche i 15 "esclusi" sono rientrati in ballo, ma le offerte sono di basso profilo. I 29 riassunti perderebbero l'anzianità e i livelli retributivi finora acquisiti. Ci sono lavoratori con 28 anni di anzianità, che passerebbero da 2.600.000 lire mensili a 1.500.000 lire. Per tutti gli altri sono stati offerti posti da facchini, part-time nei locali autostradali Autogrill, la riassunzione in altre strutture Air Service, con l'azzeramento di premi e anzianità. I due primi giorni di sciopero hanno già comunque sortito un primo effetto: questa mattina i sindacati incontreranno le aziende associate in Aviogrill.

 

10 dicembre ’00

 

COOPERATIVA ALLA "LEAR"

Sempre più pezzi del processo produttivo vengono ceduti a società esterne. La Fiat ha terziarizzato diverse fasi della produzione e questo sistema si sta propagando a cascata sui suoi primi fornitori.
Così alla Lear di Grugliasco e Orbassano dove si fabbricano i sedili per le auto Fiat, la movimentazione del materiale svolta dai carrellisti è stata "terziarizzata" alla multinazionale Tnt, che gestisce l'intera logistica della fabbrica. La Tnt ha appaltato il compito a una terza azienda, la Tecnologistica, che a sua volta l'ha subappaltato ad una cooperativa con i soci lavoratori che guidano i muletti e spostano il materiale da una parte all'altra degli stabilimenti. "I lavoratori della cooperativa vivono una condizione di neo-schiavitù - dice Julia Vermena Rsu della Fiom -; essendo soci, devono attenersi allo statuto interno secondo il quale l'orario di lavoro, estenuante, viene stabilito a discrezione dal presidente". Inoltre, guadagnano solo 10 mila lire lorde l'ora contro le 15-16 mila dei loro colleghi; per arrivare a uno stipendio di 1.900.000 devono lavorare 12-14 ore, neppure una pagata come straordinario.
Legalmente i lavoratori della cooperativa sono soci; in realtà, si tratta di veri e propri dipendenti. Ma a differenza di quelli "classici", i soci percepiscono paghe bassissime, non hanno diritti e sono privi di tutela sindacale. Guadagnando così poco, sono pronti a lavorare tante ore in una giornata, col rischio si esporsi a gravi incidenti sul lavoro.
"La percentuale di infortuni altissima - dice Julia Vermena -, le molte ore di lavoro inevitabilmente portano a un minore grado di attenzione. Manovrare un muletto che solleva tonnellate di materiale è un'operazione che richiede grande cura". Racconta una dipendente: "Sono obbligata a lavorare 12 ore al giorno per arrivare alla fine mese. L'impiego alla cooperativa lo vivo come un flagello; una volta mi capitato di farmi male sul lavoro, ma, essendo una socia, l'infortunio non mi stato riconosciuto. Se provi a protestare con i coordinatori, puoi incorrere nell'espulsione, quindi essere licenziata. Non posso neanche parlare con la delegata sindacale della fabbrica che subito vengo guardata male dai miei responsabili. Una volta mi hanno dato tre giorni di sospensione perché non sono andata a lavorare di domenica, dopo che avevo già fatto dal lunedì al sabato dodici ore di lavoro". "Non ci sono diritti, non ci sono tutele, siamo nel Duemila e il lavoro sta diventando molto più opprimente e mal pagato del passato. Non riesco a capire le istituzioni, tutti sanno che molte cooperative nascondono una realtà di oppressione e sfruttamento. Non voglio far pena a nessuno, ma i fatti sono questi, credo che si debba fare qualcosa a livello politico-sindacale per impedire questa nuova forma di sfruttamento".

Il fatto è che sono le istituzioni a permettere questa come altre forme di "peggioramento" delle condizioni di lavoro: è normale che lavoratrice si stupisca, ma nello stesso tempo è necessario che lo stupore si trasformi in coscienza che non è dalle istituzioni che può venire ormai una qualche tutela.
Le cooperative che collaborano con l'azienda sono presenti fin dagli anni '70 con l'inizio del decentramento produttivo; la grande novità di oggi è l'ingresso di queste forme di lavoro all'interno delle fabbriche e nel ciclo di produzione.

 

12 dicembre ’00

 

AVIOGRILL, TUTTI RIASSUNTI

Dopo vari giorni di sciopero i 44 dipendenti dei bar dell'aeroporto di Bologna hanno avuto la meglio sulla nascente catena di ristorazione Aviogrill: verranno tutti riassunti dopo essere stati licenziati dal vecchio concessionario, Air Service. Ventinove saranno ripresi a lavorare tra i 150 nuovi dipendenti Aviogrill - di proprietà di Autogrill e di Sab, Società aeroporto Bologna - al quinto, quarto e terzo livello, ma con anzianità azzerata e con un premio fisso forfettario nella misura del 50% del vecchio premio di presenza. Per altri 15, dichiarati inizialmente in esubero, è previsto l'assorbimento presso altre strutture Air Service (5 persone), al check-in bagagli, per la Sab (2), in strutture autostradali Autogrill (8), a tempo pieno e col premio forfettario, ma anche loro con anzianità azzerata. Tre lavoratori non hanno votato l'accordo, e potrebbero, in futuro, anche impugnare il licenziamento.

 

MENO OCCUPATI IN AGRICOLTURA

Diminuisce a ritmi vertiginosi la manodopera nel settore agricolo, nei paesi dell'Unione europea. Dall'1987, il 3,1% su base annua; in un ventennio il 40% degli occupati. Sono soprattutto, dice Eurostat, i giovani al di sotto dei 38 anni a abbandonare i campi per trovare un posto di lavoro nei servizi. Per esempio, in Italia, Portogallo e Grecia la metà dei contadini ha già più di 55 anni. In Francia ed Olanda sono il 25% e in Finlandia ed Austria appena il 20%. Ovviamente tutto è relativo al peso decrescente che ha l'agricoltura nell'economia dei singoli paesi: in trent'anni si sfruttano due milioni e seicentomila ettari di terreno in meno

 

TELECOM E COOPERATIVE

Non c'è anfratto del microcosmo Telecom che non mandi quotidianamente segnali di malessere profondo. Gli addetti ai servizi di portineria e sorveglianza di tutti gli immobili dell'azienda in Lazio, Abruzzo e Molise sono forza lavoro in "outsourcing", visto che i dipendenti Telecom che avevano svolto questo incarico fino al '96 sono poi stati trasferiti come impiegati ad altri reparti. Il servizio portinerie è stato gestito fin qui dalla Coopservice, appartenente alle Lega delle cooperative, mentre la parte sorveglianza era finita a società private come Deltapol, ecc. La base monetaria del contratto era stata stabilita in 22.500 lire lorde (comprensive quindi anche di contributi, Irpef, ecc) per ogni ora di lavoro; una cifra "in linea" con la normativa e i contratti vigenti nel settore. Ne veniva fuori un servizio fondato su orari fissi, con una certa stabilità di vita per i lavoratori pur a fronte di stipendi non certo favolosi. Nel '99, improvvisamente, il contratto veniva rescisso. Per un po' si è andati avanti con la Coopservice in regime di "prorogatio"; poi Telecom ha affidato temporaneamente (fino al prossimo 30 aprile) l'incarico a due nuove cooperative: la Copat di Torino (anch'essa della Legacoop, quindi area Ds) e la Prodest di Milano (della Confcooperative, di area cattolica), in una forma non tanto inedita di "compromesso storico"; alla Serint finivano i "portinai" dell'Abruzzo. Stante la normativa vigente, le due nuove cooperative subentranti debbono mantenere al lavoro il personale che già occupa quei posti. Ma hanno fatto un'offerta economica decisamente più favorevole a Telecom e svantaggiosa per i lavoratori: 18.500 lire lorde per ogni ora. Un taglio del 20% del salario netto. Gli orari da fissi sono diventati "flessibili"; i contratti sono passati da tempo indeterminato a contratti a termine. I lavoratori sono stati convinti dal sindacato ad accettare le nuove condizioni e a ricorrere poi alla magistratura del lavoro. Quanti hanno opposto un rifiuto hanno semplicemente perso il posto di lavoro.

 

13 dicembre ’00

 

OPERAI DELLE PULIZIE: SFRUTTATI E SOTTOPAGATI

Sono oltre 450.000 in tutta Italia - più di 2.500.000 in Europa - e lavorano soprattutto di notte per rimuovere la polvere e i rifiuti delle nostre frenetiche giornate passate nelle aziende, negli ospedali, nei comuni.
La cifra riferita all'Italia include molto lavoro sommerso. I dati ufficiali del 1998 parlano infatti di 250.000 addetti alle pulizie, i tre quinti dei quali sono donne. Se si passa poi dalla quantità dei lavoratori alla qualità della loro vita si scopre che è impossibile programmarsi serenamente la vita sui tempi lunghi, essendo il rinnovo dei loro contratti - in media ogni anno - legato necessariamente agli appalti che le imprese o cooperative da cui dipendono riescono a vincere.
La precarietà quindi, innanzitutto. Molti di questi lavoratori passano il Natale negli uffici dell'Ispettorato del lavoro, per assicurarsi una riassunzione. Per legge, infatti, qualora l'impresa per cui lavorano perda l'appalto, devono essere assunti dalla nuova impresa che lo vince. E' già una garanzia, ma bisogna lottare con tutte le forze per poter essere reintegrati con le precedenti condizioni. La maggior parte di loro lavora part-time. Un quinto livello, a tempo pieno (40 ore), riesce a portare a casa, al lordo, quello che un metalmeccanico prende al netto, e cioè circa 1.700.000 lire (il contratto nazionale stabilisce una retribuzione lorda di 10.700 lire l'ora). Per gli altri, sono dolori: i part-time prendono 300-400 mila lire nette al mese, salvo poi avere altre maggiorazioni e straordinari tutti in nero. Ma al rinnovo del contratto, volta per volta anche con padroni diversi, se non era tutto registrato, è ovviamente molto difficile ricostruire un minimo di continuità retributiva.
E lo sfruttamento trionfa. Senza dubbio, la più forte forma di sfruttamento a cui questi lavoratori sono esposti viene proprio dalle cooperative, soprattutto quelle che nel settore chiamano "spurie". Ovvero fasulle, messe su per sottopagare. Qualsiasi imprenditore può investire un capitale di base e fondare una cooperativa, facendo associare dei lavoratori. Avrà così gli sgravi previsti e, soprattutto, non sarà obbligato a trattare come dipendenti quelli che, formalmente, sono suoi pari. In Italia ci sono migliaia di piccole cooperative che giocano proprio su questo. Il cosiddetto socio-lavoratore non è garantito come un dipendente e può anche non essere pagato a fine mese. Parteciperà, a fine anno, degli utili della cooperativa, se ci saranno. In realtà - e ci sono fior di cause vinte dai soci-dipendenti - chi lavora per queste cooperative fasulle è spesso nè più nè meno che un lavoratore subordinato, pagato però a casaccio, perché tutto viene gestito all'interno della cooperativa stessa, secondo gli statuti che questa si dà.

SCIOPERO ALLA FIAT DI PRATOLA

Grande successo dello sciopero di 8 ore alla Fma: più del 90% dei lavoratori; alla Comau Service si è raggiunto quasi il 100%. Ulteriore batosta per la Fiat, che le ha provate tutte per piegare la lotta dei lavoratori che invece va avanti, qui alla Fma, da ormai più di un mese. L'azienda, due giorni prima dello sciopero, ha lanciato l'osso: 30 assunzioni interinali. Sperava di bloccare la protesta e dividere i sindacati. La divisione è riuscita, ma ha avuto l'effetto di far imbufalire ancor di più i lavoratori. Grande umiliazione, di conseguenza, per i sindacati "crumiri" (Fim, Fismic e Ugl - l'ex Cisnal) che sono andate contro la volontà delle Rsu. La giornata di sciopero alla Fma è parte di quella nazionale del gruppo Fiat, proclamata per il 15 dicembre. Qui è stata anticipata al 12 per ragioni tecniche (i 'riposi' non permettevano un giusto equilibrio tra lavoratori che hanno al loro attivo, in poco più di un mese, già 26 ore di sciopero). Davanti ai cancelli della fabbrica c'è un clima di festa, ma anche la consapevolezza di giocare una partita decisiva. Sul tavolo della piattaforma, oltre ai punti generali, vi sono l'equiparazione del salario a quello dei lavoratori di tutto il gruppo Fiat e la messa in discussione della turnistica notturna delle due settimane consecutive di lavoro, considerate ormai insopportabili. L'altro punto è la richiesta di reintegro dei due sindacalisti licenziati per rappresaglia dopo gli scioperi del 2 e 3 novembre scorso. La lotta di oggi, che premia innanzitutto la tenacia della base operaia ma anche, rafforza i lavoratori al tavolo dell'incontro decisivo tra la Fiat e le rappresentanze sindacali della Fma e della Sata del 19 dicembre prossimo a Melfi.

 

INDIA: SCIOPERO DEGLI ELETTRICI CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE

Seicentomila tra operai e quadri delle centrali elettriche indiane hanno incrociato le braccia il 12, in uno dei più grandi scioperi contro la politica di privatizzazioni dell'attuale governo, che vorrebbe aprire le porte del settore a imprese straniere. Nella maggior parte degli stati l'adesione allo sciopero è stata "quasi totale", stima la Federazione dei dipendenti elettrici, con punte del 100% nel Bihar e nel Bengala occidentale; soltanto a Delhi, Orissa e Maharashtra gli operai si sono presentati al lavoro in forze, dice il sindacato. Questo sciopero si sovrappone a quello degli impiegati delle poste, già alla seconda settimana di agitazione, che chiedono consistenti aumenti salariali. Una fine autunno molto calda, quindi, per il governo stretto tra il bisogno di capitali stranieri e contestazioni sempre più ampie ai programmi di liberalizzazione.
Il settore elettico è uno di quelli più desiderati dagli investitori occidentali. Dal 1991 è stato aperto ai privati e in effetti alcune nuove centrali sono state costruite da imprenditori indiani, che si battono per accaparrarsi i pochi clienti solvibili - non certo la grande massa dei cittadini.
Ora il governo centrale ha pronto un piano di privatizzazione delle aziende statali, che presuppone una piccola rivoluzione nelle tariffe. Il governo centrale sta promuovendo lo sviluppo di nuove produzioni non più a carbone, ma a gas naturale. Quest'ultimo oggi rappresenta solo l'8% delle fonti d'energia, ma è destinato a crescere; con un grande aumento delle importazioni e delle infrastrutture necessarie per trasportarlo e lavorarlo.

 

14 dicembre ’00

 

CONFINDUSTRIA PIANGE MISERIA

La Confindustria ha presentato il Rapporto previsionale macroeconomico 2000-2002 del suo centro studi riportando nere previsioni per i padroni, che servono per chiedere "attenzione" al governo con le note richieste: "riforme sociali e istituzionali", ulteriore abbassamento delle "tasse", e del "costo del lavoro". Con l'invito ai sindacati che "continui a prevalere la loro consapevolezza che non ha senso recuperare dalle imprese un potere d'acquisto che il Paese nel suo complesso ha dovuto cedere all'estero per il rialzo del petrolio e il deprezzamento dell'euro".
Il succo del Rapporto è presto detto: le imprese italiane, mentre si arrampicano sui numeri per dimostrare che "non dipendono dallo Stato" - come invece affermano le indagini Ue - richiedono aiuto allo Stato perché hanno "perso competitività", e se la vedono brutta ora che "rallenta l'econmia Usa". La forza lavoro deve, di nuovo, pagare per "il sistema paese": i salari reali vanno ridotti.
Perciò l'inflazione può attestarsi "al 2,5% nel 2000 e al 2,2% nel 2001", solo se i contratti non saranno esosi, mentre già la richiesta del pubblico impiego "comporta incrementi retributivi del 4% nel 2001".
Disoccupazione: "10,7% nel 2000, 10,3% nel 2001". Ma l'occupazione italiana nel biennio scorso è cresciuta solo dell'1% l'anno (l'europea dell'1,7%), "anche se" ha accelerato "grazie alla ripresa economica, e alle, seppur modeste, riforme sulla flessibilità". Tutto il Rapporto è pieno di "anche se".
Deficit del bilancio: "deficit/Pil 1,7% nel 2000, 1,6% nel 2001, 1,5% nel 2002", mentre il governo dice, rispettivamente: 1,3%, 0,8%, 0,5%. Divergono infatti le previsioni su entrate e uscite: entrate totali al 46,8% del Pil per il governo nel 2000; al 46,4% per la Confindustria che calcola entrate tributarie di 0,3 punti inferiori al governo. E uno "sconfinamento statale" di 18mila mliardi.
Sulle tasse, gli industriali contestano il ministro delle Finanze Del Turco, sostengono di essere i più tassati in Europa.
Redditività delle imprese italiane bassa in Europa: per gli svantaggi nelle infrastrutture e poi certo per "l'eccessiva frammentazione delle imprese" (sic!), e per la loro costrizione a "risparmiare lavoro", a fare solo "innovazioni di processo" a causa dell'"eccessiva rigidità sindacale degli anni '70/'80".

 

14 dicembre ’00

 

GLI OPERAI VAUXHALL ASSALTANO LA GM

Al grido di "Giuda, Giuda" centinaia di lavoratori dello stabilimento Vauxhall di Luton hanno invaso il 13 il quartier generale della General Motors, chiedendo di parlare con il direttore dell'azienda. Dopo aver deciso davanti ai cancelli uno sciopero spontaneo, i lavoratori si sono recati verso gli uffici dello stabilimento per chiedere spiegazioni sulle notizie riportate dai giornali dell'imminente chiusura della Vauxhall di Luton, con conseguenti duemila licenziamenti. Dopo ore di trattative, il direttore generale della General Motors inglese, Nick Reilly ha accettatto di parlare con i dipendenti, ma solo se questi fossero usciti dalla sede dell'azienda. Una volta all'aperto e circondato dalla polizia e dalle guardie della sicurezza, Reilly ha cercato di placare gli animi, confermando che "lo stabilimento inglese non sarà l'unico a subire tagli: in Europa salteranno cinquemila posti di lavoro".
Queste dichiarazioni hanno fatto ulteriormente infuriare i lavoratori: è partita una bordata di fischi alla volta del manager, che ben presto ha deciso per la ritirata. I sindacati hanno confermato che la produzione sarebbe stata bloccata per tutto il giorno. "La rabbia dei lavoratori - hanno detto nella sede del sindacato dei metalmeccanici - è comprensibile: non solo dall'oggi al domani migliaia di persone si ritroveranno senza lavoro, ma lo vengono a sapere dai giornali anziché dall'azienda".
La protesta di ieri è solo la prima, hanno assicurato gli operai, che hanno chiesto al governo di intervenire in prima persona nella vicenda.

 

SCIOPERO GENERALE IN EUSKADI E SPAGNA

"Per un lavoro degno e sicuro, salari sufficienti e un miglioramento delle prestazioni sociali". Queste le richieste dei due maggiori sindacati spagnoli, Comisiones obreras (Ccoo) e Union general de los trabajadores (Ugt), che ieri hanno convocato manifestazioni in 40 città spagnole. Una particolare attenzione è stata dedicata alla manifestazione per i diritti dei lavoratori di Euskal herria (paese basco). Alla manifestazione che si è conclusa nella piazza Eliptica di Bilbao dove ha sede la delegazione del governo di Biscaglia, hanno partecipato i segretari generali, José Maria Fidalgo e Candido Mendez.
Lo scontro politico sull'accordo "per le libertà e contro il terrorismo" firmato dal partito della destra al governo (Partito popolare), ma anche dal Psoe, ha lasciato il posto al conflitto sociale. I sindacati hanno scelto di far scendere in piazza i lavoratori per "evitare l'allontanamento dai problemi reali". La mobilitazione serve per manifestare l'opposizione dei lavoratori all'atteggiamento del padronato (Ceoe e Confebask) e del governo nella trattativa in corso a Madrid. Quanto accade nella capitale sembra sempre più estraneo alla realtà di Euskal herria, tuttavia i risultati di quell'accordo riguarderanno anche i lavoratori baschi. Quella denunciata ieri dai lavoratori è l'altra faccia del miracolo spagnolo: l'assoluta precarietà del lavoro (circa un terzo - la metà per le donne - dei contratti sono temporanei e quindi falsificano i dati, tra i più alti d'Europa, sulla disoccupazione), le minacce di ridurre ulteriormente l'assistenza sociale e le pensioni. La disoccupazione del paese basco, secondo i dati relativi dal terzo trimestre 2000, è del 13,6%, la più bassa dal 1985; ma l'occupazione sta rallentando e la crescita economica (4,3%) è inferiore al previsto. Bilbao, smarrita la vocazione industriale - incompatibile con i parametri stabiliti con l'entrata della Spagna nell'Ue - ora punta su commercio e servizi, settori comunque molto più vulnerabili e precari.
Le mobilitazioni di Ccoo e Ugt non soddisfano però i sindacati nazionalisti, Ela e Lab, che accusano le centrali sindacali di volersi solo ripulire l'immagine. Al centro dello scontro c'è la lotta dei lavoratori dell'Amministrazione centrale del Paese basco. Ela e Lab criticano la decisione di Ccoo e Ugt di aver indetto un solo giorno di sciopero contro la permanenza dell'amministrazione basca alla trattativa di Madrid, nonostante la chiusura della controparte.

15 dicembre ’00

 

OPERAI DELLE PULIZIE IN SALA OPERATORIA

Reperibili, flessibili, se necessario trasformabili anche in infermieri ausiliari: sono gli operai delle pulizie. Su di loro può capitare che venga scaricato gran parte del peso di un intero ospedale. Le guardie giurate di notte possono chiamare un operatore delle pulizie - che dovrebbe lavare pavimenti e zone non a rischio - a ripulire i lettini delle sale operatorie dei reparti di cardiochirurgia e ginecologia. E, come nei migliori casi di job on call (lavoro a chiamata), deve presentarsi in loco entro e non oltre mezz'ora.
Tutte cose che possono accadere, oggi. E' l'epoca del risparmio, soprattutto negli enti pubblici che appaltano, spesso al massimo ribasso, i servizi di pulizia a imprese e cooperative. All'ospedale Luigi Sacco di Milano, per esempio, l'appalto delle pulizie è stato assegnato alla ditta Pedus. Nel contratto delle operatrici part-time neo assunte è prevista la "reperibilità". "La guardia giurata dell'ospedale, secondo turni prestabiliti di 4 giorni - dice una delle lavoratrici - ci può chiamare a qualsiasi ora della notte, dalle 19.00 alle 7.00 del mattino. E dobbiamo presentarci entro mezz'ora, pulire le sale operatorie, ed essere pagate solo per il tempo che abbiamo lavorato, magari anche un quarto d'ora o un'ora. Abbiamo una sorta di premio di 14.000 lire a notte".
Perché le lavoratrici, che non hanno la preparazione di infermiere ausiliarie, affermano di dover "lavare fili, macchinari e lettini della sala operatoria". Nel capitolato d'appalto alla Pedus, infatti, viene esplicitamente richiesto "personale ausiliario", cioè preparato alle zone di alto rischio, a pulire, per la sicurezza propria e dei pazienti, macchinari e strumentazioni molto particolari. Queste ragazze, inserite da semplici operaie della pulizia nei turni di ausiliarie, sono abbastanza preparate?
L'universo degli operatori delle pulizie riserva tante sorprese: ci sono anche problemi di sicurezza. Molte donne vengono lasciate sole a lavorare di sera in interi reparti isolati: così è accaduto che, sempre all'ospedale Sacco, qualche sera fa un'operatrice delle pulizie venisse quasi strangolata da un maniaco, che si è ripresentato successivamente durante il turno di altre ragazze. I lavoratori non chiedono più poliziotti o guardie giurate - già bastano quelle che ti fanno la telefonata notturna per pulire le sale operatorie - ma più impiegati in turno, per darsi reciproca assistenza nei momenti di bisogno. O anche in questi casi il risparmio è d'obbligo?
Ci sono anche alcune cooperative a rendere infernale la vita dei lavoratori del settore. Con la scappatoia del socio-lavoratore molte piccole cooperative impongono il lavoro irregolare - dal punto di vista retributivo e normativo - a quelli che non sono né più né meno che veri e propri dipendenti, con capo, orari, permessi e sanzioni.

 
16 dicembre ’00

 

SCIOPERO FIAT


Per la terza volta in un mese la risposta c'è stata. Lo sciopero del gruppo Fiat è riuscito con i suoi cortei di lavoratori, moltissimi i giovani, interni alle officine a Mirafiori, i presidi alle portinerie all'Iveco di Brescia e i blocchi ai cancelli a Pomigliano d'Arco. Uno sciopero difficile tanto più che il cielo sopra i lavoratori Fiat è plumbeo; l'azienda non solo non accenna a riaprire il tavolo sull'integrativo, ma si ipotizzano esuberi a pioggia - oltre ai mille già annunciati tra gli impiegati -, dopo che da Detroit il "partner strategico" General Motors ha presentato la cifra di 14 mila licenziamenti negli Usa e in Europa. Insomma, i 5 mila miliardi di risparmi previsti dall'accordo Fiat-Gm, teme il sindacato, l'azienda vorrà farli soprattutto con chiusure e licenziamenti.
Nonostante il non troppo velato ricatto occupazionale, lo sciopero di quattro ore è andato bene: si parla di una media dell'80% di astensioni a Mirafiori, il 90% a Rivalta, oltre il 90% alla Comau di Grugliasco. Di certo, la produzione di vetture è stata decimata. "I cortei di lavoratori, partiti da ogni stabilimento - racconta la Fiom in un comunicato - hanno cominciato a raggiungere la porta 5 di Mirafiori già dalle nove del mattino e sono proseguiti fino alle undici. In totale, una manifestazione che ha raccolto 8 mila lavoratori".
A Brescia i lavoratori di Fiat Iveco avevano iniziato già giovedì con due ore e mezza di sciopero, che si era trasformato in un presidio davanti ai cancelli; utilizzando i vari reparti, si era garantito il blocco delle merci per tutta la giornata. E ieri altre due ore e mezza, questa volta di corteo, sfilato per le vie del centro.
I circa 9 mila lavoratori di Pomigliano d'Arco - più della metà dipendenti Fiat - hanno invece raccolto in una sola giornata tutte le ore di sciopero previste in questa tornata: hanno fermato la produzione per otto ore, con presidi in ogni ingresso. E nonostante i capi avessero chiamato a raccolta i precari - in tutto 900, soprattutto giovani -, anche tra di essi l'astensione è stata alta.

 

PININFARINA

Alla Pininfarina, la fabbrica del presidente della Federmeccanica, dopo una fine di trattativa "di 40 ore è stato siglato l'accordo, Una vertenza lunga mesi, con 15 ore di sciopero, blocco degli straordinari, che alla presentazione della piattaforma per il contratto integrativo era stata bollata dal "no" di Andrea Pininfarina: una posizione politica, il diktat della Federmeccanica, della Fiat, della Confindustria, l'attacco ai due livelli di contrattazione. Ma Pininfarina ha bisogno di produrre nei suoi stabilimenti: così alla fine da proprietario dell'azienda firma l'accordo che da presidente degli industriali negava, e, per la prima volta, precede la Fiat.
L'accordo è su una piattaforma sindacale completa, non "solo sui premi" come voleva la controparte. Ma anche per il "premio" (che in Pininfarina è "variabile" dal 1988), legato a qualità, reddittività, produttività, si fissa la soglia di sbarramento sotto la quale non potrà scendere nei 4 anni di vigenza dell'accordo: se dunque l'aumento di salario potrà arrivare entro il 2003 fino a 3.050.000 lire, in ogni caso non scenderà mai sotto 1.300.000, e si attesterà a 2.700.000, 2.800.000 lire "sicure", dicono i sindacati (il vecchio premio variabile in 4 anni aveva prodotto un milione e mezzo, e non poteva scendere sotto le 900.000 lire). Perciò l'aumento è di 400mila lire sulla parte "certa", e 1.400mila sulla "variabile"; entro il 2002 si discuterà un nuovo premio di produttività per stabilimento.
L'accordo, che riguarda 2300 addetti negli stabilimenti di Grugliasco, Bairo, S. Giorgio - che lo stanno discutendo nelle assemblee e lo voteranno martedì - prevede anche la discussione preventiva annuale sulle strategie d'impresa, "comprese eventuali alleanze, cessioni o acquisizioni". Ci sono anche richieste non soddisfatte come quella sull'indennità dei turni. Ma c'è invece un punto fondamentale sulla "inidoneità".
Si ricorderà che Pininfarina aveva messo a casa due giovani che, stressati dai ritmi del lavoro alla catena, avevano chiesto un cambio di mansione: no, "inidonei" vuol dire buoni a niente, il succo della risposta. Bene, con l'accordo la "inidoneità" può essere riferita solo alla "mansione specifica", e suddivisa in inidoneità parziale, temporanea, o totale - aprendo spazi alle ricollocazioni nel medesimo reparto, contro l'isolamento.

 

DUCATI: SCIOPERO

Distratta da rossetti e belletti, la Ducati smantella le sue attività produttive. Mentre il management rimane incantato dai giochi di borsa e dal commercio in rete - il sito del gruppo non vende soltanto moto, ma anche accessori e make-up - lo storico stabilimento di Borgo Panigale rischia di perdere il nucleo forte della sua produzione tecnologica, quello delle teste motore. L'azienda vuole affidarlo a ditte esterne, terziarizzando il lavoro.
Le cifre parlano chiaro: la Ducati si espande. Il fatturato è in costante crescita: nel '99 è aumentato del 22,6% (570,3 miliardi contro i 465,1 del '98); lo stabilimento di Borgo Panigale ha raddoppiato negli ultimi 4 anni la sua produzione: da 20.000 moto all'anno, è passato alle odierne 40.000, circa 200 al giorno, con l'occupazione che è cresciuta di 300 unità. Oggi ci lavorano 869 persone, che sfondano le mille quando i picchi produttivi si alzano.
Ma ci sono altri dati. L'87% della produzione è già esternalizzato e 4000 persone producono per la Ducati, ma fuori dalla Ducati. In questo modo sono meno tutelate dai sindacati. Adesso l'azienda vuole esternalizzare anche il cuore della produzione, e cioè le teste motore, e ricollocare 130 operai alle linee di montaggio, dove il lavoro è più precarizzabile. Già ci lavorano oltre 80 interinali e 60 contrattisti a termine. La controproposta sindacale è quella di conservare i 130 operai alle teste motore, per creare nuove assunzioni dove oggi lavorano i precari.
Un'"americanizzazione" che viene dal codice genetico dell'azienda: il 33% della proprietà, dal '96, è in mano al fondo pensione Texas Pacific Group. Ieri, uno sciopero di un'ora contro l'esternalizzazione ha avuto l'adesione quasi completa dei dipendenti. E l'azienda ha dovuto chiedere un incontro coi sindacati per la settimana prossima.

 

19 dicembre ’00

 

NIGERIA, ATTACCO ALL'AGIP

Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera lavoratori nigeriani che chiedevano salari più alti e migliori condizioni di lavoro hanno assalito e devastato l'impianto per la produzione di gas dell'Agip a Obiafu Obrikon. L'Eni smentisce la notizia: nessun assalto e nessun pericolo per "gli espatriati Agip che lavorano presso l'impianto".

PULIZIE MORTALI

E' morto dopo due giorni di agonia un giovane cingalese rimasto schiacciato da una pressa di un'apparecchiatura elettropneumatica dentro l'ospedale di Careggi (Firenze). 25 anni, dipendente di una ditta di pulizie in appalto che si occupa dei locali della lavanderia del policlinico, R.T. era stato trovato dai colleghi incastrato dentro la macchina per il trattamento a vapore della biancheria proveniente dai reparti. Per liberarlo erano dovuti intervenire i vigili del fuoco, perché il macchinario non rispondeva più ai comandi di sicurezza. Proprio ieri i colleghi avevano scioperato per un'ora e si erano riuniti in assemblea, per chiedere corsi di formazione anche per i lavoratori "esterni" del policlinico.

GILLETTE

Il gruppo americano Gillette ha annunciato un piano di ristrutturazione globale che prevede la soppressione di 2700 posti di lavoro (8% degli effettivi), il blocco di 18 stabilimenti e di 13 centri di distribuzione entro la fine del 2001. Nel dare la notizia, la direzione si è subito preoccupata della ricaduta negativa della manovra sugli azionisti. E ha precisato che gli "oneri straordinari" legati a tale ristrutturazione saranno di 570 milioni di dollari ante imposte e diminuiranno di 40 centesimi il risultato per azione del quarto trimestre del 2000. Gillette conta comunque di garantire un utile per azione compreso tra gli 1,17 e 1,18 dollari, contro attese degli analisti a 1,19 dollari. Non una parola invece sui lavoratori che saranno lasciati a casa; a fronteggiare loro eventuali "intemperanze" ci penseranno i vigilantes della sicurezza aziendale. Così, almeno, insegna il modello americano.

FIAT: LICENZIATI 109 IMPIEGATI

E' iniziato il processo di ristrutturazione imposto dalla General Motors alla multinazione torinese. I primi colpiti della nuova fase sono 109 lavoratori ritenuti inutili, il primo drappello di uno stock di mille impiegati (e presumibilmente anche operai) le cui prestazioni non sono previste dall'accordo tra le due società automobilistiche. La Fiat ha deciso ieri di avviare unilateralmente la procedura di mobilità, data l'indisponibilità dei sindacati metalmeccanici a discutere di licenziamenti fuori da un confronto generale sulle strategie aziendali, sulle conseguenze dell'accordo con la Gm che ha già pronte 16 mila lettere di benservito, e infine sulla piattaforma contrattuale del gruppo a cui il Lingotto ha opposto il suo radicale rifiuto. Il sindacato comincia male, però, se pensa di ottenere qualcosa in cambio dei licenziamenti, piuttosto che porsi in modo deciso contro la ristrutturazione, fatta non tanto in ossequio al partner americano, quanto al profitto, di cui la Fiat ha sempre più bisogno. La Fiat ha detto che troppa genta è impegnata nelle forme tradizionali di comunicazione, insomma troppi lavoratori passano il tempo a fare fax e fotocopie mentre utilizzando il sistema delle e-mail la quantità di forza lavoro necessaria è decisamente inferiore. In realtà, la Gm ha detto che i conti Fiat non sono in ordine e ha imposto risparmi per i prossimi anni. La Fiat ha interpretato il dicktat nel solo modo che conosce: tagliare posti di lavoro. E i sindacati con il solito atteggiamento "possibilista" ricordano che "non si sono negati a un confronto sugli esuberi", chiedendo che "almeno se ne discuta dentro un confronto sulle strategie e sull'accordo con Gm, contestualmente all'avvio di una trattativa sull'integrativo". Le prime 109 delle mille previste vittime dell'e-mail sono state individuate tra i dipendenti di Torino, Roma, Napoli, Palermo, Firenze, Padova e Bologna della Sava, la società di servizi finanziari e vendita degli Enti centrali. Secondo il responsabile delle relazioni industriali della multinazionale torinese, Paolo Rebaudengo, tra questi esuberi e l'accordo con General Motors non ci sarebbe alcuna relazione, anzi, "se non ci fosse stata quell'intesa, gli esuberi avrebbero potuto essere molti di più".

 

20 dicembre ’00

 

COBAS: REFERENDUM FARSA

La Filt-Cgil annuncia che oltre il 70% dei lavoratori del trasporto pubblico locale avrebbe approvato l'ipotesi di accordo sul nuovo contratto di lavoro degli autoferrotranvieri, nel referendum che si è svolto il 13 e 14 dicembre e che ha visto la partecipazione di circa 70 mila lavoratori.

"La farsa dei sindacati concertativi". Questa la reazione dei Cobas all'esito del referendum sul nuovo contratto di lavoro per gli autoferrotranvieri, che, secondo i confederali, si sarebbe concluso con il 70% di sì. Quel dato nasconderebbe un falso, dicono i Cobas, in quanto "per far passare il peggiore contratto di categoria - recita un documento del coordinamento nazionale sindacati di base - i sindacati concertativi hanno utilizzato tutti i mezzi, dal mancato svolgimento delle votazioni in numerose aziende (come Palermo), all'utilizzo nelle assemblee del voto per alzata di mano". Insomma, non ci sarebbe alcuna garanzia del risultato sbandierato dalla Filt-Cgil. Secondo i Cobas, al referendum non avrebbe votato oltre il 60% della categoria. E se a questo si somma il 30%-35% di "no" registrati dai confederali, si arriverebbe a un giudizio complessivamente negativo sul contratto.

MCDONALD'S

McDonald's non tratta: anche in Italia è arrivata la rottura ufficiale con i rappresentanti dei lavoratori. I mobbizzati dello stivale dovranno faticare ancora un po' per vedere riconosciuti i propri diritti in un contratto integrativo aziendale. Ieri pomeriggio, le rappresentanze di Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil hanno incontrato - dopo vari flop che si susseguivano da oltre un anno - i vertici della Company. Ma i manager di Milano, non avendo precise direttive dalla "centrale" mondiale di Chicago, hanno deciso di rispondere picche a tutte le richieste. Ed è stato proclamato lo stato di agitazione in tutti i locali, proprio nel periodo delle feste. Una prima richiesta era che la Company rispondesse anche dei locali in franchising - e non solo di quelli in gestione diretta - su flessibilità dei part-time, formazione e mansioni dei dipendenti, tutela sindacale dei lavoratori. La risposta è un secco no. E non è cosa da poco: i McDonald's italiani sono 295, con 15 mila dipendenti, che dovrebbero raddoppiare nei prossimi tre anni. Solo il 10%, però, è gestito direttamente dalla Company, mentre il restante 90% è messo in mano ai cosiddetti franchisee, ovvero concessionari del marchio. Mc Donald's si considera un marchio mondiale quando deve far valere gli stessi regolamenti interni sui sorrisi degli impiegati e sui rigidi tempi di cottura e conservazione di hamburger e patatine - non possono giacere sullo scaffale, dopo la cottura, più di 10 e 7 minuti; dopo vanno buttati via - ma l'unità monolitica dei locali si dissolve magicamente appena si parla di sindacati. Ognuno per la sua strada. Eppure, quando sono pressati, i manager del panino scendono al tavolo delle trattative, e sono costretti anche ad andare a braccetto coi tanto "trascurati" franchisee, di cui ufficialmente non dovrebbero, per le direttive date (o non date) da Chicago, rispondere. E' il caso di Firenze, dove, qualche settimana fa, in seguito allo scandalo delle angherie subite dai ragazzi del locale di Via Cavour, la Company, due concessionari e i sindacati hanno firmato alla Provincia un accordo sul rispetto dei corretti rapporti sindacali.

 

21 dicembre ’00

 

TELECOM: SCIOPERO NAZIONALE

I sindacati di base Cobas, Flmu e Snater hanno scioperato nelle sedi Telecom per l'intero turno in tutto il paese, meno che al nord (Liguria, Piemonte, Val d'Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli, Trentino), dove è stata limitata alle due ultime ore di ogni fine turno. La protesta è indirizzata sia contro l'azienda che contro i sindacati confederali. Alla prima viene addebitata - con l'applicazione unilaterale del "contratto di armonizzazione" bocciato da oltre il 70% della categoria - l'introduzione del doppio livello salariale (per nuovi e vecchi assunti), l'abbattimento dei salri dei lavoratori interinali, il peggioramento sui livelli di inquadramento, la flessibilità completa della forza lavoro. Ai secondi, che avevano firmato il contratto poi bocciato, viene rivolta l'accusa di "far finta di niente". Cgil, Cisl e Uil avrebbero infatti proposto 4 modifiche a quel contratto ritenute del tutto ininfluenti rispetto all'impianto generale. Tra gli obiettivi dell'agitazione, quindi, c'è la difesa degli assetti salariali e normativi precedenti, la richiesta di aumenti rapportati al costo effettivo della vita (e in un'azienda che denuncia utili stratosferici), la riduzione dell'orario di lavoro e il ritito dei provvedimenti di cassa integrazione. Se a questi punti si aggiunge la denuncia del peggioramento drastico delle condizioni di lavoro nei call center e nei reparti di front end, emerge un quadro che presuppone la rinegoziazione dell'intero contratto nazionale di lavoro. Tra le indicazioni dei Cobas, infatti, c'è anche l'impugnazione legale del contratto.

PADRONI VIOLENTI

Laddove il mobbing è addirittura un lusso - da Milano fino ad Enna -, se per protesta ti rivolgi al sindacato prima ti picchiano per bene e poi ti licenziano in tronco. E se sei straniero e senza permesso di soggiorno, ti sbattono anche fuori di casa. Succede a Milano, piena occupazione o quasi. E succede ad Aidone, provincia di Enna, piena disoccupazione o quasi, dove in qualche caso per essere licenziati dal padrone basta l'iscrizione al sindacato (come è capitato qualche settimana fa a un'operaia tessile di Valguarnera, poi riassunta solo perché l'episodio clamoroso aveva suscitato anche lo sdegno di Sergio Cofferati, segretario generale della Cgil). Pavel, quattro figli da mantenere in Romania, lavorava in nero presso un'impresa di posa marmi che attualmente gestisce un appalto pubblico dell'Università Statale di Milano, che in teoria dovrebbe avere anche l'obbligo di non chiudere entrambi gli occhi su quanto succede ai lavoratori di un suo cantiere. E' successo che Pavel (i suoi padroni avevano semplicemente omesso di pagargli lo stipendio) abbia avuto il coraggio di rivolgersi al sindacato per denunciare la sua situazione e chiedere tutele, correndo il rischio - che corre tuttora - di essere rispedito nel suo paese: perché Pavel è quello che, in politichese corrente, si dice un "immigrato clandestino". L'iniziativa non è piaciuta al padrone, che si è rivalso mandando "qualcuno" a casa del muratore rumeno. Non è stata una discussione, sono state botte. E da quel giorno Pavel non sa nemmeno dove andare a dormire, perché il padrone era padrone anche di quella stanza che condivideva con altri tre muratori rumeni. L'illegalità dei subappalti nei cantieri è una situazione così diffusa che anche in questo caso - con lavori aperti in pieno centro a Milano - è complicato risalire all'azienda committente. Il sindacato promette di impugnare il licenziamento, ottenere il pagamento dei contributi e delle retribuzioni e valuterà se ci sono gli estremi per una denuncia penale. Ha invece un nome, un cognome e anche un indirizzo l'imprenditore che ad Aidone (Enna) ha picchiato un ragazzo di 21 anni che si era stufato di lavorare in nero: 14 ore al giorno per 900 mila lire, arrotolate in mano una volta al mese. Il padrone, che gestisce la pizzeria Cordova, si chiama Giovanni Terranova e avrebbe perso la testa dopo che un cameriere aveva segnalato l'irregolarità del suo rapporto di lavoro alla Cgil di Enna. In questo caso, dopo le botte e il licenziamento - Massimo Guttadoro, dopo due anni di lavoro nero, è anche finito all'ospedale con lesioni a una mano - la faccenda è passata nelle mani dei carabinieri che hanno raccolto la denuncia. "Si tratta di un episodio gravissimo - commenta Emanuele Velardita, dell'ufficio vertenze della Cgil di Enna - che ci auguriamo venga adeguatamente sanzionato. Quanto a noi, faremo di tutto per andare fino in fondo".

PULIZIE CLANDESTINE

Uno è morto qualche giorno fa, inghiottito da una macchina per il lavaggio dei vestiti all'ospedale Careggi di Firenze. Lui, di origine cingalese, era "regolare", dipendente della cooperativa Se Gema Global Service, che a sua volta lavora per la società Soft, ma molti altri continuano a lavorare in nero, spesso senza permesso di soggiorno. Anche 12 ore al giorno, a pulire i nostri rifiuti. Lavorano per gli ospedali pubblici, per le Poste, per le università. Un esercito di cingalesi, indiani, albanesi, rumeni. Invisibili. Il meccanismo è semplice: le aziende pubbliche danno in appalto le pulizie a ditte o cooperative. Quello che chiedono, spesso, è risparmiare il più possibile. Il resto è un caos: molte imprese recuperano sui costi sfruttando masse di clandestini. Le aziende pubbliche escono di scena: hanno semplicemente terziarizzato i servizi, e possono lavarsene le mani. La prima testimonianza viene da Milano, la città "regina delle pulizie", dove si concentra l'11% delle imprese italiane (4.000 sulle 30.000 esistenti). C'è il caso di un ragazzo rumeno che ha lavorato per vari mesi senza permesso di soggiorno per una ditta, la Multiservice, che aveva in appalto i lavori di pulizie al Palalido di Milano. La committente è la Milano Sport spa, di proprietà, per oltre il 90%, del Comune. La Multiservice gli aveva promesso 12.000 lire l'ora, ma alla fine lo pagava soltanto 5.000. Lavorava in media 10 ore al giorno, a volte anche 16, 7 giorni su 7, 30 giorni al mese. Lavoro nero e irregolare all'interno di appalti pubblici, quindi. Il ragazzo prendeva i soldi per sé e per altri due colleghi nelle sue stesse condizioni. Solo lui vedeva i suoi datori di lavoro. Una volta è caduto da una impalcatura, si è fatto male, e naturalmente ha perso subito il lavoro. Ha potuto denunciare l'accaduto solo quando ha ottenuto il permesso di soggiorno. Ma ci sono tanti altri clandestini come lui che oggi non possono denunciare lo sfruttamento, perché verrebbero espulsi. Il lavoratore morto a Firenze, anche se in regola, non aveva mai fatto un corso per conoscere i macchinari che puliva quotidianamente. E come lui, molti operai non vengono informati sui prodotti che usano, spesso velenosi, o sui pericoli che corrono maneggiando i vestiti che vengono dai reparti infettivi e dalle sale operatorie. Ci sono stati casi di contagio di scabbia e tubercolosi, recentemente. Ci sono lavoratrici albanesi di una ditta di Pistoia, che facevano le pulizie all'Università di Firenze. Molti indiani in nero lavoravano per la Delfino, una cooperativa romana che serviva l'ospedale Careggi. Ogni operaio costa 27.000 lire, molte aziende si aggiudicano gli appalti a 18-19.000 lire per operaio. E' chiaro che poi cercano di risparmiare su tutto.

MICRON

Sergio Galbiati, plant manager dello stabilimento Micron, illustrava a coriferi, cortigiani e sicofanti i risultati di mercato delle memorie Sdram, già si poteva prevedere che questo mercato avrebbe avuto una battuta d'arresto. Il gruppo, diceva Galbiati, avrebbe elargito ai dipendenti il 10% dell'utile operativo e assunto 300 giovani. L'inversione di rotta è venuta dallo stesso management. La domanda "non è stata forte come previsto", anche perché "molti clienti hanno creato inventario di memorie in previsione di una carenza di pezzi".

Il primo effetto è stato l'annuncio dell'accantonamento del programma di investimenti e di espansione e del piano di nuove assunzioni. Dopo la pubblicazione del piano erano arrivate alcune migliaia di domande. "Per Avezzano - ha precisato il management - esiste un'ulteriore incertezza associata agli sviluppi del caso Rambus". Rambus è una società Usa di ricerca nelle nuove memorie a semiconduttore. In sostanza: l'espansione degli investimenti sul wafer fab di Avezzano non vi sarà perché il mercato è entrato in recessione e perché l'innovazione per far fronte alla crisi non è pronta. Non molto tempo fa, il plant manager ha annunciato che nelle buste paga finirà il 10% dell'utile operativo. Ora ha modificato la griglia di distribuzione: 50% di Profit Sharing uguale per tutti e 50% di Pay For Performance discrezionale. Siccome non è pensabile che un gruppo che decide di annullare investimenti e assunzioni continui a distribuire pani e pesci, non vi saranno assunzioni, né in futuro pingui buste paga. A cancellare di colpo il destino roseo di dipendenti la cui busta paga più bassa sarebbe di 3 milioni netti al mese (un milione in più degli operai medi di tutt'Italia con diversi anni di anzianità), non è stata una pretesa di parte sindacale di negoziare la distribuzione del premio. Il sindacato metalmeccanico ha assistito ai pomposi annunci di parte aziendale senza pronunciare una parola. La Rsu, da parte sua, criticando le modalità aziendali di distribuzione del premio, ha reso chiaro di essere in disaccordo su qualche dettaglio ma di non avere nulla da obiettare sulla linea di fondo, che è quella premiale. Né ha annunciato la presentazione di una piattaforma. Si è limitata a lamentarsi. A cancellare la logica dei premi ha pensato il mercato, più critico di quanto non sia la Rsu di fabbrica, in cui a comandare sono Fismic e Fim.

 

23 dicembre '00

 

SCIOPERO DA MCDONALD'S

Niente hamburger e patatine per festeggiare il nuovo anno: i dipendenti dei McDonald's italiani scioperano il 31 dicembre e 1 gennaio prossimi. L'opposizione frontale all'azienda è stata decisa dopo il fallimento delle trattative per il contratto integrativo aziendale. I vertici della McDonald's Italia hanno deciso di opporre un secco no alle richieste dei sindacati confederali di categoria, dichiarando di non poter trattare per conto dei negozi che gestiscono il marchio in concessione (circa il 90% degli oltre 290 locali italiani, in totale 15.000 dipendenti). Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil chiedono impegni precisi su part-time, mansioni e inquadramento dei dipendenti, oltre al rispetto dei lavoratori - spesso minacciati e vittime di mobbing - e dei corretti rapporti sindacali.

 

24 dicembre '00

 

FIAT: SCIOPERO A MELFI

Sciopero alla Fiat di Melfi: la Fiom Cgil ha proclamato 32 ore di astensione dal lavoro per tutti i turni dal 27 al 30 dicembre, anche per le aziende terziarizzate. Lo scontro è tra sindacato e azienda, ma anche tra una componente sindacale e le altre. Prendendo a pretesto il recente incendio alle linee della verniciatura, che aveva bloccato la produzione per tre giorni, la Fiat, con l'accordo di Fim, Uilm e Fismic, ha ottenuto l'annullamento di un breve periodo di ferie, una sorta di lungo ponte tra il 27 e il 30 dicembre, già previsto dall'accordo nazionale del 23 novembre scorso. La Fiom aveva già espresso un giudizio negativo dopo l'incontro del 19 dicembre scorso tra azienda e rappresentanze sindacali delle due fabbriche gemelle Fma e Sata. Occasione in cui la Fiat aveva di nuovo risposto picche sul contratto integrativo, che prevede due punti forti di scontro: l'adeguamento del salario a quello dei lavoratori di tutto il gruppo e il superamento della doppia battuta, cioè delle due settimane consecutive di lavoro notturno. La Fiat, con il consenso di alcuni sindacati locali, mira a una riorganizzazione del processo produttivo attraverso le terziarizzazioni, che abbassano diritti e libertà dei lavoratori, i quali, in questi anni hanno prodotto oltre due milioni di vetture.

 

27 dicembre '00

 

COMMESSE IN LOTTA

Le commesse oggi se la devono vedere con padroni sempre più opprimenti, che le obbligano a lavorare tutte le domeniche, come se fossero dei giorni feriali, le costringono ad armarsi di straccio e bastone per pulire bagni, pavimenti e lampadari, senza il rispetto per le loro mansioni, le sommergono di sanzioni disciplinari per allontanarle dai sindacati. Le ragazze e le donne che lavorano come commesse per la catena di boutiques Luisa Spagnoli si sono ribellate. La società perugina Luisa Spagnoli ha circa 150 negozi in tutta Italia, con oltre 500 impiegati. Nella sola Roma ha 10 boutiques, con circa 50 dipendenti. E' qui, nei negozi della capitale, che commesse e azienda sono entrate in rotta. Nel dicembre dello scorso anno il sindaco di Roma ha emesso un'ordinanza speciale per regolare gli orari del commercio nell'occasione dell'"anno santo". L'equazione era semplice: più turisti e pellegrini, più affari.

Le "pie" intenzioni del consiglio comunale - interpretate da Pino Galeota, consigliere Ds - e dei sindacati, che avevano dato il loro consenso, avrebbe dovuto portare un migliore servizio, ma anche più lavoro: non nel senso di un maggiore carico degli attuali impiegati, ma una maggiore quantità di contratti per coprire domeniche e festività. Come era prevedibile, e qui sta la malafede dei "proponenti", molti negozianti, però, hanno interpretato a modo proprio l'ordinanza, e per i loro dipendenti, contemporaneamente all'anno santo, è cominciato l'inferno. A lavorare per tutte le 52 domeniche dell'anno, secondo le disposizioni della Luisa Spagnoli, avrebbero dovuto essere le solite commesse, quelle che già lavorano nei giorni feriali. Senza chiedere il loro consenso - nel contratto nazionale del commercio, il lavoro nei giorni festivi è facoltativo - l'azienda cominciò nei primi mesi del 2000 a inserire le domeniche nelle 40 ore settimanali. Era quindi diventato automatico e obbligatorio - in modo del tutto arbitrario e per decisione unilaterale dell'azienda - lavorare di domenica. Lo scorso giugno - essendo diventato il proprio contratto poco meno che uno straccetto per le pulizie, 16 commesse dei negozi di Via Frattina e di Via del Tritone si iscrissero al sindacato Filcams Cgil. L'azienda, al momento della stipula di un primo accordo, condizionò la propria firma all'applicazione dell'orario "spezzato" (con pause di qualche ora all'interno della giornata, e perciò più disagevole) per tutti i lavoratori di tutti i punti vendita. Non accettando l'imposizione, le dipendenti di Via Frattina e di Via del Tritone attuarono una serie di scioperi nell'ultima settimana di settembre. A sostituirle, l'azienda inviò da Perugia e da altre città una squadra di zelanti ispettrici. "Da allora - racconta una delle commesse - abbiamo cominciato a subire varie intimidazioni e umiliazioni. Ci obbligavano a pulire le soglie dei negozi, per essere viste dai nostri vicini. Chi si rifiutava - siamo inquadrate al IV livello e le pulizie, che di solito facciamo sempre per una sorta di accordo fuori contratto, non ci spetterebbero - riceveva sospensioni e multe, detratte dallo stipendio. L'azienda pretese anche che firmassimo i cartellini dei capi venduti, per controllare che non boicottassimo le vendite e ci impose l'orario spezzato sempre e senza turnazione, con programmazione di settimana in settimana. Con un orario dalle 10 alle 14 e dalle 16 alle 20, stavamo anche 11-12 ore lontane da casa". Risultato immediato: 6 disdette dal sindacato, altri accordi saltati, il reinserimento, il 22 novembre scorso, della domenica nelle 40 ore settimanali, nuovi scioperi a cavallo tra novembre e dicembre. E adesso il sindacato ha fatto ricorso alla magistratura del lavoro del Tribunale di Roma.

 

28 dicembre '00

 

OCCUPAZIONE ATIPICA

590 mila nuovi occupati (+2,8%) negli ultimi dodici mesi è il dato che emerge dalla rilevazione trimestrale sulle forze di lavoro di ottobre. E - aggiunge l'Istat - l'aumento degli occupati (1,4 milioni da quando l'Ulivo è andato al governo), anche se accompagnato da un aumento dell'offerta di lavoro, ha determinato "una buova e considerevole riduzione del numero delle persone in cerca di occupazione": 216 mila in meno i disoccupati censiti, con una flessione dell'8,3% rispetto all'ottobre '99 e con un tasso di disoccupazione ridisceso al 10% dall'11,1% dello stesso mese dello scorso anno. Certo, la crescita quantitativa dell'occupazione non è stata accompagnata da una crescita qualitativa: come spiega l'Istat, "il contributo dei contratti atipici è stato determinante" e negli ultimi dodici mesi l'occupazione dipendente a termine e a tempo parziale (...) ha creato 233 mila nuovi posti di lavoro, circa tre quinti della crescita complessiva degli ocupati alle dipendenze". Però, aggiunge l'Istat "ancora robusta è risultata la crescita del'occupazione dipendente a tempo pieno e indeterminato": 146 mila unità in più rispetto a ottobre '99, pari all'1,1%". Sulla base di questi dati, negli ultimi tre mesi emergono 240 mila nuovi posti di lavoro (+1,1%), con una discesa del 3,4% dei disoccupati e un aumento dello 0,7% delle forze di lavoro (cioè l'offerta di lavoro). Un altro aspetto che emerge dai dati di ottobre è che la crescita dell'occupazione (e la diminuzione della disoccupazione) interessa tutte le aree del paese, anche se i tassi di attività, di occupazione e disoccupazione rimangono fortemente squilibrati. Ma partiamo dalle cifre. Secondo la rilevazione, in ottobre gli occupati erano 21,450 milioni; 2,383 milioni i disoccupati e quindi 23,833 milioni le forze di lavoro. Il tasso di disoccupazione è sceso al 4,3% al nord (dove i senza lavoro in un anno sono diminuiti del 18,3%), con un minimo del 3,5% nel nordest, al 7,7% al centro e al 20,2% nel Mezzogiorno, dove si concentrano oltre il 60% dei disoccupati italiani. L'aumento dell'occupazione è stato realizzato soprattutto nei sevizi nei quali si contano 13,390 milioni di occupati, con un incremento di 521 mila unità (4%) in dodici mesi. Quasi stabile l'occupazione in agricoltura (1,164 milioni di addetti), che registra un incremento (ed è una novità, visto il declino storico) dello 0,3%. Stessa percentuale di incremento nell'industria in senso stretto, mentre nelle costruzioni l'aumento tendenziale è stato del 3,1%. Il lavoro a tempo determinato è quello che ha registrato la crescita più consistente: "l'incidenza sul totale dei dipendenti è passata dal 9,5% dell'ottobre '99 all'attuale 10,5%", dice l'Istat. Il peso del lavoro atipico dipendente è evidenziata dal confronto sui dati medi del 2000: +9,3% contro, lo 0,8% del lavoro a tempo pieno e indeterminato. Rispetto all'ottobre '99 l'occupazione femminile è cresciuta del 4,3%, mentre quella maschile è salita del 2%, ma il tasso di occupazione femminile (40,5%) rimane molto distante da quello maschile (68,3%) e nettamente superiore risulta il tasso di disoccupazione: 13,8% (con una punta del 63,8% per quella giovanile nel sud), contro il 7,6% di quella maschile (47,8% la disoccupazione giovanile al sud).

QUATTRO LICENZIATI ALLA DE CECCO

380 operai lavorano a pieno ritmo nel pastificio De Cecco di Fara San Martino (Chieti), la prestigiosa marca di pasta che risale alla seconda metà dell'Ottocento. 400 miliardi di fatturato l'anno, tonnellate di maccheroni e spaghetti che vanno negli Usa, Australia, Canada. E sulle nostre tavole. Ma quattro operai non ci lavorano più. Dopo 20 anni di servizio, due mesi fa sono stati licenziati e additati come sabotatori. Insieme agli affari del pastificio sono cresciuti anche i portafogli degli operai. Alla De Cecco si è sempre lavorato 7 giorni su 7, ma il sabato e la domenica erano considerati straordinari: venivano retribuiti, fino al contratto integrativo firmato quest'anno, con una maggiorazione del 50% e un'indennità di 90.000 lire il sabato e 110.000 la domenica. Una vera "pacchia" per chi lavorava al pastificio: si potevano raccogliere a fine mese anche 3 milioni netti. Se moglie e marito vi erano impiegati, i 6 milioni mensili erano davvero una cifra di tutto rispetto. I guai sono arrivati nel 1999, quando si è dovuto trasformare, per adeguarsi alla legislazione in evoluzione, lo straordinario in lavoro ordinario, introducendo il cosiddetto "ciclo continuo" o "a scorrimento". Gli operai hanno capito che i loro introiti - come di fatto è avvenuto - si sarebbero ridotti, e così hanno cominciato a diversificare le proprie scelte sindacali. Fino al 1999 l'unico sindacato interno era la Cisl. La Cgil ha tentato di entrare, ma non ci è mai riuscita. La Uil, sempre nel '99, ha iscritto al proprio attivo 60 operai. In giugno l'integrativo viene votato. La Uil è contraria, ma le sue tesi sono minoritarie. Passa un accordo che introduce il lavoro a scorrimento e dimezza le indennità per il sabato e la domenica, portandole rispettivamente a 40.000 e 60.000 lire. Gli operai hanno anche perso il 50% dello straordinario, perché il lavoro nel week end è considerato ordinario. E l'orario di lavoro è stato ridotto di sole 21 ore annuali. Dopo tutti questi contrasti cominciano a fioccare lettere di contestazione a tutti i candidati alle Rsu per la Uil. Lavoratori che non avevano mai avuto contestazioni. E qui veniamo ai "sabotaggi". Un operaio ha trovato due volte, in due mesi diversi, delle cicche di sigaretta nel nastro trasportatore della pasta. Episodi che ha denunciato immediatamente all'azienda. Questo operaio, come altri tre particolarmente bombardati dalle lettere di contestazione, era candidato alle Rsu per la Uil. In settembre, i 4 operai vengono sospesi dal lavoro perché, secondo l'azienda, avrebbero, nel periodo delle votazioni dell'integrativo, minacciato i colleghi per farli votare a proprio piacimento. Inoltre, li avrebbero incitati a fingersi in malattia per rallentare la produzione e a sabotare le macchine "scatolatrici". Sabotaggi, per altro, mai effettivamente avvenuti. A parte le cicche - denunciate, come si è detto, proprio da uno di loro - in realtà alla De Cecco tutto è marciato alla perfezione in quei mesi, senza guasti o rallentamenti alle macchine imputabili a qualcuno degli operai. Ai primi di ottobre i 4 operai vengono licenziati. facendo riferimento a quei sabotaggi mai avvenuti. L'azienda propone la riassunzione nella stessa De Cecco, di 2 operai a scelta. Gli altri due sarebbero stati sistemati in un'altra azienda, con due anni di retribuzione, a titolo di indennizzo, offerti sempre dalla De Cecco. Ma chi deciderebbe mai di riprendere tra i propri operai qualcuno che viene ritenuto un sabotatore? Non dimostra questa proposta che le accuse di sabotaggio erano pretestuose? Il sindacato ha fatto ricorso al Tribunale di Chieti per violazione dell'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori (quello che tutela l'associazione ai sindacati), e i quattro operai ricorreranno a loro volta al Tribunale per l'opposizione individuale al licenziamento.

 

29 dicembre '00

 

GRANDE INDUSTRIA: CALA L'OCCUPAZIONE CROLLANO LE ORE DI SCIOPERO

Grandi imprese in controtendenza: l'occupazione, al contrario di quanto segnalato per l'intera economia, non aumenta. Anzi seguita a diminuire. E non aumentano neppure le retribuzioni, che in novembre sono rimaste inchiodate allo stesso livello di ottobre, mentre rispetto al novembre '99 l'aumento è di appena l'1,8%, abbondantemente al di sotto dell'incremento del 2,7% segnato dai prezzi al consumo nello stesso mese. Nulla di nuovo, insomma. Salvo la conferma che se è l'atipico a creare occupazione di dubbia qualità, la pace sociale seguita a bloccare i le retribuzioni. Lo confermano i dati Istat: nei primi 11 mesi dell'anno per conflitti di lavoro, il totale delle ore non lavorate è stato di appena 4,9 milioni. Visto che i lavoratori dipendenti sono oltre 15 milioni, questo significa meno di 20 minuti di sciopero a testa per ogni lavoratore. I dati sugli indicatori del lavoro nelle grandi imprese, diffusi ieri dall'Istat, sono in netto contrasto con quelli resi noti 24 ore prima dall'indagine sulle forze di lavoro: in settembre nelle aziende industriali con oltre 500 dipendenti, i lavoratori sono diminuiti rispetto allo stesso mese del '99 del 2,2% (con una punta del -6,5% nel settore dell'editoria e del -7% in quelli della produzione di energia elettrica, gas e acqua), percentuale che equivale a circa 18 mila unità in meno al lordo della cassa integrazione. Nei primi nove mesi dell'anno, la flessione è del 2,3%. La caduta non è una novità, visto che negli ultimi 5 anni l'occupazione è scesa di oltre il 10%. Un po' meno peggio il trend nel settore dei servizi: la variazione tendenziale è positiva per lo 0,2% (con forti incrementi nel commercio e nel settore degli alberghi e ristoranti), mentre nell'ultimo quinquennio l'occupazione è scesa del 2,6%. Le statistiche sulle grandi imprese forniscono altre informazioni interessanti per quanto riguarda il settore industriale. La prima riguarda la cassa integrazione: in settembre è diminuita del 25% rispetto allo stesso mese del '99. In diminuzione del 3,5% anche le ore effettivamente lavorate, mentre l'incidenza delle ore di straordinario è di poco inferiore al 5% delle ore lavorate nel complesso. Sempre rispetto al settembre del '99, la retribuzione lorda media per dipendente (si tratta di retribuzioni di fatto e non contrattuali) è aumentata dello 0,1%, ma nei primi nove mesi dell'anno l'aumento è del 2,9%. Tuttavia, gli aumenti per retribuzione continuativa sono pari appena allo 0,4%. Questo significa che sta diffondendosi sempre di più il salario legato alla produtività e al rendimento. Quanto al costo del lavoro, in settembre risulta in flessione dello 0,9%, mentre nei primi nove mesi dell'anno è in crescita dell'1,9%, al di sotto dell'andamento dei prezzi al consumo e soprattutto di quelli alla produzione, che per le imprese sono molto più importanti. Al di sotto dell'andamento dei prezzi al consumo (e cioè con perdita di potere d'acquisto) è anche l'andamento delle retribuzioni contrattuali. Sia quelle orarie che quelle per dipendente sono cresciute in novembre dell'1,9% su base annua, ovvero, lo 0,8% in meno del costo della vita, salito nello stesso mese del 2,7%.

SPATAFORA: LAVORO A RISCHIO

Sono 356 i dipendenti dei 68 negozi Spatafora che rischiano il posto di lavoro. Il famoso gruppo palermitano è deciso a trattarli come scarpe vecchie e di fronte a una pesantissima crisi che ha falcidiato il fatturato, il titolare, Alfredo Spatafora, vuole buttarli via, mettendoli in cassa integrazione, anzichè impegnarsi in processo di ristrutturazione (per lui costoso) per il rilancio della catena. In realtà, lo stesso Spatafora ha detto ai sindacati di aver ricevuto offerte per la cessione del prestigioso marchio. Intanto però "tutti a casa", anche se il 4 gennaio a Roma è previsto un incontro in Confcommercio per trovare soluzioni un po' meno dolorose.