NOTIZIARIO SU LAVORO E LOTTA DI CLASSE

Dicembre 1998

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"01 Dicembre 1998"

VERTENZE METROPOLI: Scatta a Roma lo sciopero delle Pagine Gialle

Questa mattina a Roma prende il via una forma di lotta particolare, quella dei distributori degli elenchi telefonici. Ecco i fatti: l'"Arde" (Associazione romana distributori elenchi) ha deciso di sospendere da oggi, fino a data da decidersi, la distribuzione degli elenchi telefonici e delle Pagine Gialle.
Il danno economico della mancata distribuzione potrebbe essere quindi enorme se si pensa che ogni inserzione sulle Pagine Gialle costa dal milione fino a cifre molto più elevate: ci sono pagine da 100 milioni. Gli inserzionisti non gradiranno certo la notizia del blocco, anche perché, cosi' come sono organizzate le cose, gli attuali distributori non sono facilmente sostituibili. Il motivo del singolare sciopero sta nel pagamento del servizio svolto. I distributori, che in genere sono padroncini di piccoli mezzi di trasporto come furgoni e camioncini, sostengono che da contratto il ricavato giornaliero delle consegne si attesta sulle 150 mila lire, soldi che vanno divisi almeno per cinque persone. I padroncini reclutano infatti quattro o cinque ragazzi per caricare e scaricare dai loro furgoni circa 400 elenchi, ovvero, almeno per quanto riguarda gli elenchi di Roma che sono particolarmente voluminosi, circa 15 quintali al giorno. Insomma fatti i calcoli, e tolti i costi fissi della benzina o del gasolio, il fattorino per ogni consegna può vantare il lauto guadagno di 500 lire.
Fino all'anno scorso l'assenza quasi totale di risarcimento in questo lavoro di consegna annuale veniva bilanciato dalle cosiddette mance, ovvero regali in denaro da parte dei beneficiari della consegna, ovvero degli utenti Telecom. Una consuetudine tutta romana dato che al nord, ma anche nel resto dell'Italia il sistema della mancia non si è mai sviluppato. Ebbene da un po' di tempo Telecom e Seat, società produttrice della Pagine Gialle, fanno sapere che non si deve dare la mancia ai ragazzi che distribuiscono gli elenchi perché - recitano vari annunci pubblicati dai giornali - i distributori sono retribuiti.
In realtà, sostengono i distributori, per reclutare i fattorini si deve ancora sperare nella mancia dato che i costi non permettono un vero e proprio pagamento del lavoro. A Roma ci sono 40 distributori che hanno stabilito un contratto con la Telecom attraverso la mediazione di una società privata denominata Otim. È questa azienda che, firmato il contratto con la Telecom e accettate le sue condizioni economiche, stabilisce a sua volta le condizioni per i distributori che coinvolgono in totale circa 400 fattorini che praticamente lavorano senza retribuzione. La controparte dei distributori che oggi entrano in lotta sarebbe dunque la Otim (che distribuisce elenchi, oltre Roma, anche in altre regioni).
I dirigenti della Telecom e della Seat, saputa la notizia dello sciopero, ora dovranno correre in qualche modo ai ripari. Oggi i giovani distributori bloccheranno la partenza dei furgoni dai magazzini di Pomezia, zona industriale nei pressi della capitale. E domani, se non ci saranno novità, i distributori potrebbero organizzare un'iniziativa in città.

OPERAI ITALTEL IN CORTEO

Tensione e rabbia tra i lavoratori dell'Italtel de L'Aquila, ieri, al termine di una riuscitissima manifestazione cittadina al comune e alla Regione, per sollecitare le istituzioni a onorare gli impegni che avevano preso partecipando alle recenti assemblee aperte con i lavoratori. Rabbia perché Comune, Provincia e Regione non hanno risposto nulla di concreto, e anzi si sono esibite in uno scaricabarile di responsabilità.
La manifestazione era indetta contro il Piano aziendale Italtel, che prevede per il triennio 1999-2001 più di 5000 "esuberi" negli stabilimenti del gruppo, dopo le "uscite" già richieste negli ultimi anni, e senza alcuna strategia per il futuro, come denunciato dal consiglio di fabbrica. In questo Piano la fabbrica de L'Aquila finirebbe subito dimezzata, visto che li' si pretende se ne vadano 940 lavoratori sui duemila attuali. Il corteo, animato da mille operai dell'Italtel, ha visto la partecipazione anche di quelli dell'Ata (ex Alenia-Industria) e del Calzaturificio aquilano, nel percorso per le vie del centro.

LAVORATORI RAI: Un appello dello Slai Cobas Rai :

"Noi lavoratori Rai abbiamo assistito a cambi di vertice aziendale con la stessa sequenza con cui si cambia camicia. Quelli attuali ci accusano di essere inguaribili conservatori, attaccati ai loro privilegi non in grado di comprendere l'attuale fase politica, l'autonomia e la qualità dei nostri vertici. Dovrebbero fare riferimento agli obblighi di servizio pubblico sanciti da sentenze della Costituzione e dal parlamento europeo, perché questa azienda ha responsabilità costituzionali, culturali e strategiche. Prendere ad esempio l'attuale legge di riordino della Tv Pubblica Francese (l'ottava in 26 anni) e l'attenzione che loro hanno di rendere un servizio utile. Loro invece fanno scelte ed affermazioni che sono dannose. Qual è il modello? Le loro scelte sono quelle che la Corte dei Conti ha già censurate.

Oggi si sta svendendo un patrimonio costruito dai lavoratori Rai e dai cittadini italiani che pagano il nostro canone e la pubblicità di tutti. Lo stesso sta accadendo in altre aziende pubbliche (Enel, Eni, FfSs) che la nostra Costituzione definisce di "Preminente Interesse Nazionale". Contro tutto questo mobilitarci, e riprendere una opposizione forte, è ancora possibile, urgente e necessario. Possiamo conquistare un servizio pubblico radiotelevisivo forte, espressione dei valori sociali e costituzionali anche organizzando una manifestazione nazionale dei lavoratori Rai. Sulla "cosiddetta riorganizzazione" dell'azienda, abbiamo il diritto dovere di verificare se i processi in atto stiano producendo ulteriori guasti dal punto di vista gestionale, della qualità dei programmi tecnologiche e di politica aziendale. Chi pagherà poi i danni? O si cambia rotta o si cambiano i nocchieri". (Slai Cobas Rai)

 
"02 dicembre 1998

La lotta dei lavoratori della Saint Gobain di Marghera - Venezia

L'azienda Nuova Sirma, acquistata per pochi miliardi dalla multinazionale Saint Gobain, sta per essere dismessa. La Direzione annuncia che l'azienda non è più competitiva, dopo aver fatto assunzioni e aver avuto 2 bilanci in attivo. In realtà la multinazionale ha sfruttato la lira svalutata per fare un po' di "portafoglio" e adesso migra verso zone a minor sindacalizzazione, con paghe da fame, migra ad est.
Gli operai della Saint Gobain sono in agitazione da ormai un anno. Si sono rivolti all'Amministrazione locale, al Ministero ma da questi non hanno ottenuto nulla. Hanno fatto scioperi, cortei per le strade di Mestre e a Venezia e l'azienda ha sempre risposto con minacce e ritorsioni sempre più gravi; durante quest'anno di mobilitazione infatti l'azienda: minaccia la chiusura anticipata dei reparti qualora i lavoratori non accettino la cassa integrazione; distrugge le biciclette usate dai lavoratori per muoversi e comunicare tra i reparti; toglie il microfono usato dai lavoratori per i comizi nella sala mensa; toglie le bottiglie d'acqua dai reparti (in agosto); distrugge le bacheche per l'affissione degli avvisi sindacali; revoca i permessi sindacali; elimina i benefits dalla busta paga, frutto delle lotte degli anni 60 e 70; impedisce l'accesso ai delegati; illegalmente trasferisce lavorazioni a ditte esterne. Questi comportamenti "illegali" sono violazioni del diritto - sancito dalle vittorie operaie e scritto nella costituzione - alla continuità lavorativa e alla "paga sufficiente a svolgere una vita libera e dignitosa". Ma sono queste violazioni della dignità degli uomini e dei lavoratori e della legalità stessa il lavoro "antisociale" delle odierne multinazionali. Domani la Saint Gobain farà lo stesso in Turchia, in Ungheria o chissà dove.

Per chi volesse contattare i lavoratori della Saint Gobain che da due settimane attuano il blocco delle spedizioni 24 ore su 24, può chiamarli allo 041-66.33.32

(RSU Nuova Sirma).

 

 
"4 dicembre 1998"

Piemonte: scioperi poco flessibili

Un'ora di sciopero alla Pininfarina, la fabbrica del presidente di Federmeccanica. L'astensione dal lavoro ha interessato l'80% degli operai e ha una motivazione significativa in tempi di rinnovo del contratto nazionale di lavoro: "La flessibilità - spiega il comunicato unitario di Fim, Fiom e Uilm - non può essere utilizzata solo nell'interesse dell'impresa ma anche a vantaggio dei lavoratori".
Lo sciopero è stato indetto perché l'azienda ha chiesto il ricorso alla cassa integrazione ordinaria per un numero ancora imprecisato di lavoratori. Una scelta motivata con il calo degli ordini dalla Fiat, in conseguenza della crisi del mercato italiano dell'auto: "In realtà - dicono i sindacalisti - il calo degli ordini è di lieve entità mentre è noto che in febbraio, quando l'azienda dovrà far fronte a una grossa commessa della Mitsubishi, si chiederà il ricorso agli straordinari". Fim, Fiom e Uilm hanno dunque proposto uno scambio: i lavoratori potrebbero effettuare in queste settimane alcune giornate di riposo compensativo da recuperare con il superlavoro previsto a partire da febbraio. "E' una proposta - dice Giorgio Airaudo, segretario della Fiom di zona - che consente di non ricorrere alla cassa e di non aumentare l'orario annuo di lavoro. Un esempio di flessibilità a vantaggio dei lavoratori".
Ma l'azienda del presidente di Federmeccanica non ha accettato lo scambio che avrebbe impedito di aumentare gli orari di fatto, così come si chiede nella piattaforma contrattuale dei metalmeccanici. La direzione della Pininfarina ha anzi inasprito le posizioni decidendo unilateralmente il trasferimento di 20 lavoratori dallo stabilimento di Grugliasco a quello di San Giorgio Canavese. Quest'ultimo atto ha fatto scattare lo sciopero di ieri mattina. "Tra le 10 e le 11 - raccontano i sindacalisti - le linee si sono sostanzialmente fermate e si è formato un corteo che è andato a protestare sotto la palazzina degli uffici direzionali".
Lo sciopero di ieri alla Pininfarina non è un caso isolato. In questi giorni fermate si sono registrate anche alla Teksid, alla Snos, alla Beloit e sulla linea della Multipla a Mirafiori.

 
"5 dicembre 1998"

CONTRATTI E NUOVI LACCIULI

ANTONIO LARENO (Filcams Lombardia)

Nel dare notizia dell'accordo torinese che istituisce le commissioni provinciali di conciliazione tra industriali e sindacato, il Sole 24 ore ci informa che "dietro le quinte", a livello nazionale, si stanno sviluppando trattative per un accordo che introduca nei contratti le commissioni di conciliazione e arbitrato. A conferma che non si tratta di una notizia infondata, nei giorni precedenti è stato fatto pervenire alle strutture sindacali un documento dal titolo "Giurisdizione ordinaria e circuiti conciliativi e arbitrali per la soluzione delle controversie di lavoro privato e pubblico" in cui vengono definiti i termini di un possibile accordo interconfederale per l'istituzione di camere arbitrali. Ovviamente, ci saranno luoghi deputati a una discussione rigorosa su un potere sindacale ormai oligarchico, che assegna a un ristretto gruppo dirigente di pensatori la definizione delle questioni, relegando il resto dell'organizzazione a una accettazione e/o a un rifiuto scontati!
Quello che però ci preme sottolineare in questo momento è come il sindacato, compresa la Cgil, abbia deciso di percorrere una strada che potremmo definire di "privatizzazione della giustizia" in campo lavoristico, azzerando in un sol colpo decenni di elaborazione intorno al tema dei diritti, della loro affermazione, della loro tutela.
Scegliere di privilegiare percorsi di arbitrato comporta necessariamente immaginare che anche il campo dei diritti individuali diventa oggetto di concertazione, che i meccanismi delle compatibilità, micro o macro che siano, intervengono direttamente non solo nei contratti nazionali di lavoro ma anche nei contratti individuali, allargando di fatto il campo delle flessibilità del lavoro. Tutto diventa negoziabile: la violazione di una norma non produce più una sanzione ma una contrattazione e/o un lodo arbitrale, esercitati da due parti che non hanno la stessa forza contrattuale, le stesse possibilità. Sara' banale ricordarlo, ma a tutt'oggi un datore di lavoro può licenziare un dipendente inadempiente mentre non può avvenire l'inverso.

 
"5 dicembre 1998"

Pirelli: Aprire la vertenza per la riduzione d'orario (da "FalceMartello")

Da quando nel 1995 è passato il ciclo continuo, i lavoratori della Pirelli di Bollate si ritrovano in questo periodo dell'anno a dover discutere le proposte di calendario lavorativo per l'anno che viene. Finora quello che è sempre successo è che i lavoratori si trovavano a dover decidere su due o più proposte di calendario fatte dall'azienda. Le differenze alla fine erano sempre minime e non riguardavano mai il numero delle giornate lavorative. In pratica ai lavoratori si chiedeva semplicemente di votare di quale morte volevano morire. Quest'anno le cose sono andate un po' diversamente.
La RSU già da settembre aveva fatto una proposta all'azienda in cui si chiedeva di avere una riduzione delle giornate lavorative a fronte dei disagi che siamo costretti a sopportare con il ciclo continuo. La proposta iniziale era di due giorni lavorativi in meno più due ex-festività che ci venivano pagate e che chiedevamo ci venissero messe a riposo. Per quanto minima la proposta era comunque un passo avanti. L'azienda su questo arriva a una sua proposta: non dice sì ma non dice neanche no! a patto però che si accetti di tenere gli impianti aperti una settimana in più nel mese di agosto. Quello che voleva l'azienda era un chiaro passo indietro per i lavoratori. Lavorare la prima settimana di agosto voleva dire lavorare nel periodo di massima stanchezza per i lavoratori, quando fa più caldo, e quando magari, e la cosa non è secondaria, la tua famiglia o gli amici sono già in vacanza. Non è proprio la stessa cosa lavorare più giorni ad agosto piuttosto che in altri mesi. Però c'era il vantaggio che cosi' si potevano ottenere più giorni di riposo. Cosa bisognava fare?
La RSU nella prima tornata di assemblee che presentavano la questione è stata ambigua. Si è trovata davanti all'opposizione anche aspra dei lavoratori che non ne volevano sentire della proposta aziendale di lavorare la prima settimana di agosto, però alla fine si è usciti senza mandato chiaro. La verità è che all'interno della RSU non pochi, in un primo momento, vedevano a torto questo scambio come un passo avanti per i lavoratori. Il periodo che è seguito alla prima tornata di assemblee è stato a dir poco travagliato. Per un mese intero ogni giorno la discussione era sul calendario; c'era rabbia per la proposta aziendale, ma anche per una linea sindacale giudicata troppo arrendevole.
Stretta in una posizione difficile, la RSU riunita a poche ore dall'inizio della seconda tornata di assemblee, ha cambiato completamente impostazione e ha messo in votazione il mandato a iniziare una lotta per ridurre le giornate lavorative rifiutando l'idea dello scambio con l'apertura ad agosto. Si è anche alzato il tiro della richiesta: quello che si chiede è avere quattro giorni "freschi" oltre a quelli che già ci spettano!
Meglio tardi che mai! Questa era la posizione che bisognava avere fin dall'inizio. È impossibile capire questo cambio di atteggiamento senza tener conto di tutte le discussioni che i lavoratori hanno tenuto in queste settimane, senza tener conto del clima che si era venuto a creare in fabbrica su questa vicenda. Se la situazione è cambiata è soprattutto in seguito alla pressione dei lavoratori, che poi si è concretizzata nella nuova posizione della RSU.
Nelle squadre dove c'erano delegati e attivisti della CGIL (convinti per lo sciopero) la risposta era compatta. Chi di sciopero non voleva neanche sentirne parlare, chi era contro la riduzione d'orario per principio (come la UIL), si è nascosto dietro argomenti fasulli del tipo "Attenzione! Che poi l'azienda ci ripropone il vecchio calendario" oppure "Se scioperiamo adesso che è inverno facciamo un piacere all'azienda perché il mercato non tira"_ Ognuno ha le sue opinioni, però sarebbe più corretto mettere da parte l'ipocrisia e dire le cose come le si pensano veramente! Il responso però è chiarissimo: 76% a favore dello sciopero, 15% contro, 9% astenuti! La stragrande maggioranza degli operai di Bollate ha votato per iniziare la lotta, e questo anche se non ci troviamo in fase di contrattazione nè nazionale nè aziendale.
Questa vicenda è significativa per molti aspetti. Si è visto come gli industriali non necessariamente sono contro la riduzione dell'orario purché si accetti maggiore flessibilità. Accettare uno scambio di questo tipo è un errore, porta solo alla divisione dei lavoratori e non a un reale miglioramento.
La riduzione d'orario deve avvenire a parità di salario e senza concedere ulteriore flessibilità'! Non siamo noi operai a dover ancora concedere qualcosa. Nel 2000 ci sarà il rinnovo del contratto nazionale e la' si porrà' concretamente la questione della riduzione d'orario. I lavoratori della Pirelli di Bollate già da tempo hanno avanzato la loro proposta: ridurre l'orario di lavoro a 33 ore medie settimanali (per le lavorazioni a ciclo continuo). Concretamente questo vuol dire fare le cinque squadre con organico completo, togliendo tutti i recuperi e le sottosquadre, passando dai 218 giorni lavorativi attuali a 200 giorni. Questa è una vera riduzione d'orario che porta a un reale miglioramento della vita di chi lavora, ma anche a nuove possibilità per chi non ha un lavoro. Per incamminarci su questa strada la via giusta da seguire sta tutta nel responso di quelle assemblee.

 

"9 dicembre 1998"

 

ILVA TARANTO: Critiche a Bassolino e mobilitazioni in città

Si delinea drammatico il futuro dei circa 60 lavoratori già reclusi nel reparto-confino dell'Ilva perché sgraditi al management lombardo, e ora tenuti a casa in attesa che la direzione decida sul loro caso. La notizia che Riva intende chiudere la partita "Palazzina Laf", inserendo i dipendenti discoli all'interno di un pacchetto di esuberi, circa 2.500, ha fatto sprofondare nel buio i lavoratori interessati, già provati dalle continue discriminazioni e provocazioni della direzione ai loro danni.
La direzione che ha risposto picche su tutti i nodi centrali, dal rispetto degli accordi sulle aziende consociate, al rientro dei reclusi, alla sicurezza, ai diritti sindacali. Questo, mentre il Cobas invoca uno sciopero generale cittadino. Sciopero che vorrebbero anche i lavoratori della Laf ma che, secondo uno dei reclusi, Fagherazzi, non avrebbe successo alcuno "perché il sindacato ormai è addormentato, non ha credibilità". Tuttavia i confederali organizzano per il 18 una marcia contro l'inquinamento, mentre i Cobas il 15 promuovono una giornata di mobilitazione cittadina in occasione della presenza in città di Emilio Riva. Sempre il 15, sotto la sede della direzione aziendale, si svolgerà un consiglio comunale monotematico.
Potrebbe così aprirsi un dialogo tra città e lavoratori dell'Ilva, anche se molti sono delusi per il mancato arrivo di Bassolino: "Il ministro ha eluso la questione - dicono i Cobas - e ha dimostrato di conoscerla superficialmente".

UNA LETTERA DA UN LAVORATORE ILVA

"Dopo il confino la cassa integrazione?"

Quella che segue è una lettera, datata 5/12, inviata a Massimo D'Alema. Autore, un rappresentante dei "reclusi" nella palazzina Laf, il prefabbricato in cui Emilio Riva ha confinato gli impiegati indesiderabili dell'Ilva di Taranto. Impiegati che ora, a causa della crisi dell'acciaio, rischiano di finire tutti in cassa integrazione.
Siamo i lavoratori dell'Ilva di Taranto che la proprietà ha "confinato in palazzina Laf" a non lavorare, e siamo allibiti nel venire a sapere che la proprietà vuole risolvere il nostro caso inscrivendolo nel più generale problema degli esuberi. Ci spiace dover constatare che il governo guidato da un socialista (Lei), che amministra uno stato democratico e che annovera due ministri socialisti (del lavoro e dell'industria), stia per legittimare la logica dei reparti confino e della discriminazione dei lavoratori; ciò non è previsto né dalla nostra Carta costituzionale né dalle nostre leggi.
L'atteggiamento assunto il 3-12-'98 a Roma presso il ministero del Lavoro - alla presenza del ministro stesso e delle organizzazioni sindacali - dalla proprietà dell'Ilva autorizza, ove accettato, col beneplacito del governo, tutti gli imprenditori che dovessero avere, senza motivo alcuno, degli esuberi, a "confinarli in reparti" di isolamento nell'ozio totale, come è successo a noi. E' questa la flessibilità invocata a gran voce dalla Confindustria?
Addolorati, delusi, confusi e pessimisti nel guardare al futuro, la salutiamo.

Per il Comitato "Confinati Pal/Laf", Filippo Fagherazzi Colò

 

"10 dicembre 1998"

 

IL GOVERNO IMBRIGLIA I CONTRATTI NAZIONALI

Il Patto di Natale potrebbe slittare. Il governo ha fretta di chiudere entro l'anno, ma i problemi sul tappeto sono molto più complicati di quel che si pensava alla vigilia. E i punti non risolti riguardano proprio gli argomenti centrali, la sostanza del nuovo Patto: la struttura della contrattazione (e la questione politica del doppio livello) e la riforma fiscale.
Sul primo punto, i livelli di contrattazione, la Cgil si è già espressa con chiarezza, nonostante la diversità di vedute con la Cisl. Ieri il segretario confederale della Cgil, Walter Cerfeda, ha ribadito che il suo sindacato non è disponibile a sostituire, o annullare uno dei due livelli (nazionale e territorale) come chiede da tempo la Confindustria. La Cgil, sempre secondo Cerfeda, non ha apprezzato neppure le anticipazioni stampa sull'allungamento eventuale a quattro anni della parte economica dei contratti nazionali. "Il governo - dice Cerfeda - deve essere chiaro: rimangono o non rimangono i due livelli? E poi il governo deve ricordare che è anche datore di lavoro e che ha firmato gli accordi di alcuni settori pubblici sulla base del doppio livello di contrattazione. Per i privati si userà un altro sistema? Quindi si propone una contrattazione di serie A e una di serie B per l'industria privata?".
Il ministro del lavoro, Antonio Bassolino, si è limitato a leggere le cinque cartelle delle linee guida del governo che contengono sia il rafforzamento del modello concertativo (con una novità rispetto al ruolo dei sindacati nell'elaborazione del Dpef che ha suscitato già varie polemiche), sia la valorizzazione della formazione professionale: obbligo formativo fino a 18 anni e stanziamento dei 400 miliardi per i prossimi tre anni di cui si era già parlato la scorsa settimana nella riunione dedicata proprio alla formazione.
Per quanto riguarda la struttura della contrattazione, il portavoce di palazzo Chigi, Pasquale Cascella, ha spiegato che saranno mantenuti i due livelli contrattuali, ma che saranno introdotte delle modifiche nella natura del contratto nazionale. Intanto tutti i contratti nazionali dovrebbero essere portati a un'unica scadenza, il 31 dicembre. Sul resto la confusione è ancora tanta perché non si è ben capito il valore reale che si vuole attribuire alla parte economica del contratto nazionale che si propone di allungare a quattro anni. Non è chiaro neppure il vero ruolo della contrattazione territoriale, né se questa tenderà a sostituire la contrattazione aziendale con l'annullamento conseguente delle Rsu, le rappresentanze sindacali in azienda.
Continua pertanto l'attivismo del governo borghese di sinistra per distruggere ogni garanzia per i lavoratori, presenti e futuri. Pertanto ogni lotta oggi diventa fondamentalmente un attacco al governo della borghesia incarnato nella "sinistra imperialista".

LA TEKSID RISCHIA GROSSO. E SCIOPERA

La Teksid (gruppo Fiat) si mangia le Fonderie Renault e prepara un bel rimescolamento di produzioni, assetti industriali e personale che mette a rischio il futuro occupazionale dei 4.500 addetti del gruppo. I quali - attraverso i sindacati - chiedono certezze e chiarimenti e, in assenza di risposte, scioperano.
In questi giorni, nella cintura torinese - tra Carmagnola, Crescentino e Borgaretto - sta andando in scena un conflitto che si misura con uno dei processi di concentrazione oligopolista tipici di questa fase dell'economia globale. La Teksid sta acquisendo il 66 per cento delle francesi Fonderie Renault, "assemblando" due imprese molto simili, che possono facilmente prestarsi a interscambi produttivi; ma la società del gruppo Fiat non chiarisce quale sia il suo piano industriale, né quali siano le prospettive produttive e occupazionali dei vari stabilimenti che finiranno per ritrovarsi sotto la stessa gestione. L'atteggiamento aziendale non fa presagire nulla di buono e i pericoli per l'occupazione sono anche confermati dalla preannunciata non conferma dei cento lavoratori a contratto a termine o in Cfl, considerato anche che negli stabilimenti Teksid proprio un centinaio di operai stanno per andare in pensione e, quindi, non saranno sostituiti.
L'ipotesi di ridimensionamento è avvalorata anche dalle strategie che persegue il gruppo Fiat che, nel suo percorso di mondializzazione, cerca di concentrare nelle stesse aree tutti gli stabilimenti che concorrono alla produzione, dal montaggio, ai motori, dalla componentistica alla siderurgia. E questo significa che il peso di tutte le fabbriche italiane è destinato a diminuire; e con esso quello dei relativi lavoratori.
Di fronte a questa situazione i sindacati del gruppo nelle scorse settimane hanno decretato lo stato di agitazione; prima con scioperi articolati dei diversi stabilimenti e poi - il 2 dicembre - con un'astensione dal lavoro di tutti gli addetti.

 

"11 dicembre 1998"

 

ALLA PIRELLI TEDESCA LANCETTE AL CONTRARIO: SI TORNA A 40 ORE

Ricordate la riduzione dell'orario di lavoro concordata negli stabilimenti tedeschi della Volkswagen per evitare il taglio dei posti di lavoro? Alla Pirelli tedesca sta avvenendo esattamente la cosa inversa: l'orario di lavoro è stato allungato in cambio della conservazione dei livelli occupazionali. C'è un'ulteriore "piccola" differenza tra i due casi: mentre alla Volkswagen la riduzione dell'orario era stata accompagnata da un taglio delle buste paga (molto discusso, ma alla fine accettato per salvare il lavoro), alla Pirelli la settimana si allunga senza compensazione salariale.
La vicenda riguarda lo stabilimento di Breuberg, in Assia (la regione di Francoforte), dove lavorano 2.300 persone, impegnate nella produzione di pneumatici di alta qualità, per berline e macchine sportive. La fabbrica, come la maggior parte degli stabilimenti chimici, non spegne mai i macchinari. Il lavoro è a ciclo continuo, ventiquattro ore su ventiquattro e sette giorni su sette. Prima dell'accordo i dipendenti turnavano per 37,5 ore settimanali complessive. Dopo l'accordo, a partire dal prossimo anno, l'orario di lavoro si allunga a 40 ore. Il "Betriebsrat" (la rappresentanza sindacale di fabbrica) ha accettato di aumentare l'orario di lavoro in cambio di alcune contropartite sull'occupazione, dopo mesi di trattative. La Pirelli si è impegnata a non licenziare per motivi produttivi fino a tutto il 2001, ad aumentare la produzione di pneumatici da 6,3 a 7,5 milioni di pezzi l'anno, e a investire nello stabilimento di Breuberg circa 40 miliardi di lire nei prossimi tre anni. Per quanto riguarda la retribuzione, la Pirelli ha promesso che saranno introdotti incentivi, ma tutto è ancora da definire.
L'azienda ha giustificato la necessità di tornare a 40 ore con un problema di costi: produrre nello stabilimento tedesco costa infatti il 20% in più rispetto alle fabbriche omologhe. Senza bisogno di arrivare ai siti delocalizzati dalla Pirelli in Sudamerica, Breuberg non reggeva il confronto neppure con gli stabilimenti di Italia, Spagna e Gran Bretagna. Nel caso che i dipendenti non avessero accettato di lavorare di più allo stesso prezzo, l'azienda avrebbe tirato i remi in barca, tagliando occupazione e turni di lavoro (erano a rischio 400 posti).
Non è la prima volta che in Germania si torna indietro sull'orario di lavoro. Il paese europeo dove si sono realizzati gli esperimenti più avanzati di riduzione della settimana lavorativa, a partire dalle 35 ore metalmeccaniche, e dove il tempo libero è sacro, colleziona oggi una serie di casi simili. Per restare ai pneumatici, prima della Pirelli hanno allungato l'orario la Continental e la Goodyear. Nella chimica la pressione degli imprenditori per allungare l'orario di lavoro è particolarmente forte. Ma anche nel settore metalmeccanico ci sono stati arretramenti. Famoso è il caso della fabbrica di impianti di riscaldamento Vissmann, nell'Oberhessen, che ha riportato tutti i dipendenti alla settimana lunga senza aumenti di salario, con la minaccia di chiudere i battenti e trasferire la produzione nell'est europeo. Ma anche la Bebis, la società di Daimler Benz che costruisce sulla Potsdamer Platz di Berlino, si è mossa nella stessa direzione.
Le organizzazioni dei lavoratori sono preoccupate per l'eccessivo ricorso agli straordinari, usati dalle imprese per limitare le nuove assunzioni. E il problema degli straordinari è uno dei temi della trattativa appena cominciata sulla nuova "alleanza per il lavoro".

 

"23 dicembre 1998"

 

Necchi, una valutazione sull'intesa (F.L.M. Uniti)

Alla richiesta della Necchi di 3 mesi di CIGO per 300 persone e poi 400 a dicembre e gennaio 1999 la FLMU con l'appoggio della protesta dei lavoratori aveva concordato con la Direzione la diminuzione del personale interessato e la rotazione dello stesso: per il 388 ogni 3 settimane e per gli altri reparti di 2 settimane. A questo punto entra in scena la banda dei confederali che con un acume che rasenta l'incredibile stravolge le carte in tavola sottoscrivendo l'ennesimo accordo truffa. Il risultato ottenuto dalla FLMU non era certamente un ottimo accordo, ma cercava di salvaguardare il più possibile i lavoratori dall'espulsione dell'Azienda per lunghi periodi. L'intera raggiunta dei FIM - FIOM - UILM - UGL - RSU non prevede nessuna rotazione e lascia alla Necchi la gestione totale della CIGO. Adesso ci rendiamo conto perchE9 queste organizzazioni sindacali non vogliono la presenza della FLMU agli incontri con la Necchi: preferiscono discutere insieme con i fascisti della UGL almeno così possono compiere le loro malefatte in tutta tranquillitE0.Dopo l'accordo truffa del 1995 che ci ha obbligato a lavorare su tre turni ora FIM - FIOM - UILM - RSU - UGL stanno spianando la strada alla Necchi sulle difficili questioni che ci vedranno impegnati sul prossimo biennio. Se questo puF2 sembrare una valutazione di parte, sfidiamo i sindacati confederali ad un confronto con la FLM. Uniti di fronte a tutti i lavoratori per dimostrare da che parte sta la ragione.

F.L.M. Uniti V.le Indipendenza n. 4227100 Pavia Telefax 0382/2122120

 

 

"26 dicembre 1998"

 

COMUNICATO DEI LAVORATORI SERONO

La SERONO, multinazionale Farmaceutica ormai svizzera, ma NATA A ROMA NEL 1906, risponde cosi al contributo determinante al proprio successo fornitogli al gruppo italiano;
24 Settembre 1998 – La Serono annuncia alle Organizzazioni Sindacali la seguente ristrutturazione:

· Entro il 31/12/98 chiusura della ricerca di base nel centro di Ardea

· Entro il 31/03/99 chiusura dello stabilimento di Todi, chiusura del comparto produttivo dello stabilimento di Via Casilina, e drastico ridimensionamento degli organici nello stabilimento di Via Tiburtina.

· Entro il 31/12/99 drastico ridimensionamento dell'area amministrativa di Via Casilina.

RISULTATO:
OLTRE 250 L1CENZIAMENTI, PREVALENTEMENTE NELL'AREA ROMANA

La grave situazione che ciò comporta è resa ancora più pesante dal fatto che tutto questo prelude al totale abbandono del territorio italiano da parte della società, dopo aver usufruito per anni di una forza lavoro altamente qualificata e flessibile e di tutti i benefici messi a disposizione dallo Stato.
8 Dicembre 1998 - Nonostante l'intervento delle Istituzioni sia locali che governative, e l'impegno delle Organizzazioni Sindacali a ricercare soluzioni e strade per risolvere i problemi occupazionali, la SERONO ha ribadito l'immodificabilità delle scelte industriali ed occupazionali presentate.

I LAVORATORI E LE ORGANIZZAZIONI SINDACAL1 RESPINGONO CON FORZA LE DECISIONI DELLA SERONO E CHIEDONO IL SOSTEGNO DEI CITTADINI PER EVITARE UN ULTERIORE IMPOVERIMENTO SIA INDUSTRIALE CHE CULTURALE DELLA NOSTRA REGIONE.

I Lavoratori Serono Italia e le Organizzazioni Sindacali