Principali effetti della domesticazione.
Fin dai suoi esordi, in epoca preistorica, la domesticazione non avviene mai in maniera puramente casuale, ma comporta di necessità la scelta di aspetti che rendano una specie utile all'uomo; questo processo tende quindi da una parte ad accentuare quelle caratteristiche che accrescono il valore agronomico di una specie, ossia maggiore produttività e maggiore facilità di coltivazione, dall'altra tende ad eliminare quelle che invece, pur essendo necessarie per la sopravvivenza della specie in un ambiente selvatico, risultano controproducenti quando si tratta di coltivarla.
Le principali differenze tra specie spontanee e specie coltivate si possono quindi così riassumere (Tivy, 1990):
l'aumento, anche di quattro o cinque volte, delle dimensioni dei semi, carattere strettamente legato alla perdita dei meccanismi di disseminazione spontanea;
la modificazione della composizione chimica delle parti della pianta destinate alla raccolta, con l'eliminazione dei composti tossici o comunque sgradevoli, e l'aumento, in proporzione, delle sostanze importanti per il loro valore nutrizionale;
la perdita della dormienza dei semi, utile in condizioni spontanee per creare una banca di semi nel terreno che permetta la sopravvivenza della specie anche in una situazione ambientale sfavorevole, ma ovviamente indesiderata in condizioni di coltivazione.
l'affievolirsi delle naturali capacità di difesa, sia di natura meccanica che chimica, come spiegato nel sito http://www.bats.ch/data/english/K3a1.htm .
Altre notizie sugli effetti della domesticazione ai siti http://www.bats.ch/data/english/K3a12.htm e http://www.unc.edu/courses/anth100/domestic.htm , dove si parla anche di effetti della domesticazione sugli animali, quali ad esempio la neotenia.
Questo per quanto riguarda quei caratteri che nel loro insieme costituiscono la cosiddetta sindrome della domesticazione.
Ma la domesticazione non ha agito solo su caratteristiche singole: in seguito a questo fenomeno si è notevolmente ridotto il numero delle specie spontanee utilizzate dall'uomo (Tivy, 1990). Di conseguenza, rispetto all'epoca in cui era cacciatore-raccoglitore, la sua dieta è molto meno variata (Harlan, 1976); ma soprattutto è stata alterata la composizione relativa delle popolazioni di piante e di animali, a favore delle specie domesticate. Questo significa che le coltivazioni, per lo meno in certe zone, hanno sostituito del tutto la copertura vegetale spontanea e che quest'ultima si è modificata a seguito della notevole azione selettiva esercitata, con il pascolamento, dagli animali domestici, concentrati solo in determinate aree. Ne risulta quindi un ecosistema semplificato, detto agro-ecosistema, in cui prevalgono essenzialmente tre tipi di organismi (Tivy, 1990):
piante coltivate
animali domestici
insetti, malerbe e patogeni associati ai due gruppi precedenti.
Per contro, con la domesticazione si ha anche la comparsa di numerose varietà, inesistenti in natura e "create" dall'uomo, a partire dai ceppi selvatici. Queste varietà possono risultare anche molto diverse dalla specie originaria: ne è riportato un esempio nella foto seguente, tratta dal sito http://www.ag.usask.ca/exhibits/walkway/what/plantdom.html ,dove si vedono le diverse varietà derivate tutte da Brassica oleracea:
Infine bisogna considerare l'aspetto relativo a tutte le nuove malattie collegate con l'agricoltura e l'allevamento del bestiame. Se da una parte la domesticazione è un passaggio fondamentale per la storia dell'uomo, dall'altra il cambiamento delle abitudini alimentari e la vicinanza degli animali domestici comportano tutta una serie di problemi: innanzitutto la nascita delle prime comunità stanziali di agrcoltori favorisce il diffondersi delle malattie infettive tipiche dell'uomo, i cui agenti patogeni trovano condizioni favorevoli per svilupparsi nella concentrazione, in zone abbastanza ristrette, di numerosi ospiti sensibili. Inoltre un maggior consumo di carboidrati, dovuto ad una dieta principalmente a base di cereali, nonchè l'uso delle prime bevande fermentate, sono stati messi in relazione con un aumento di incidenza della carie dei denti. I primi tentativi di domesticazione degli animali portano infine l'uomo a contatto con i patogeni tipici del bestiame. Dagli agenti di malattia degli animali selvatici si sviluppano così nuove specie di patogeni, che co-evolvono contemporaneamente agli animali domestici e da quali possono trasmettersi all'uomo (Capasso, 1986).