Gruppo Astrofili Menkalinan

Le lenti gravitazionali


Ricerche sistematiche avviate tentano di sfruttare adeguatamente il potenziale scientifico di questi rari fenomeni cosmici che potrebbero gettare nuova luce su alcuni aspetti tuttora enigmatici dell'universo. Di solito, nella scienza il verificarsi di tanto in tanto di eventi statisticamente improbabili costituisce una fastidiosa fonte di confusione e di errore. Da diversi anni, tuttavia gli astronomi consacrano notevoli fatiche alla ricerca e allo studio di una categoria di fenomeni celesti la cui esistenza stessa dipende da rari accidenti cosmici. Si tratta delle focalizzazioni dovute alle lenti gravitazionali, che hanno luogo quando due o più oggetti a distanze diverse dalla Terra vengono a trovarsi, per caso, allineati lungo un'unica linea di vista e quindi occupano la stessa posizione sulla volta celeste. La radiazione dell'oggetto più lontano, di norma un quasar, viene deviata dal campo gravitazionale di quello in primo piano. Questa deviazione dà luogo a un miraggio cosmico, un'immagine distorta o multipla dell'oggetto sullo sfondo. Le immagini prodotte dalle lenti gravitazionali possono mostrare tutto un caleidoscopio di distorsioni: possono risultare spostate, ingrandite, rimpicciolite, ruotate , capovolte, moltiplicate, deformate oppure avere uno spettro con aberrazioni, a seconda della peculiare disposizione geometrica dell'allineamento, delle caratteristiche spaziali della sorgente sullo sfondo, dell'intensità e della distribuzione del campo gravitazionale dell'oggetto in primo piano, Il fenomeno può quindi mettere in luce numerose caratteristiche che altrimenti non sarebbero rilevabili della sorgente dell'immagine, dell'oggetto in primo piano e dello spazio che li separa. L'osservazione di tali fenomeni potrebbe dunque contribuire a risolvere un gran numero di problemi fondamentali della cosmologia. Nella speranza di concretizzare un giorno il potenziale scientifico e curistico delle lenti gravitazionali vari gruppi di ricerca, compreso quello a cui appartengo, stanno svolgendo indagini sistematiche sull'esistenza di lenti. Per il momento, comunque, anche la semplice scoperta di un sistema a lente gravitazionale costituisce un progresso molto significativo. La storia dello studio delle lenti gravitazionali ha avuto inizio, in circostanze invero solenni, da quella pietra miliare che fu l'articolo di Einstein del 1915 sulla relatività generale; in esso venivano poste tre verifiche empiriche della nuova teoria, la più famosa delle quali è appunto l'osservazione della deviazione della luce stellare radente il margine del Sole. La teoria newtoniana classica prevede che nel campo gravitazionale solare la luce sia deviata di una certa quantità, mentre secondo la relatività generale la deflessione dovrebbe essere pari al doppio di questo valore. La conferma della previsione di Einstein ottenuta da Sir Arthur Eddington durante un'eclissi solare del 1919 valse alla relatività generale l'approvazione unanime. Tranne che in quest'occasione, la focalizzazione gravitazionale della luce ricevette scarsa attenzione fino al 1936, anno in cui Einstein pubblicò un breve calcolo per dimostrare che se due stelle, che si trovino a distanze diverse dall'osservazione, coincidessero esattamente nel cielo, l'immagine della seconda formerebbe un anello. Egli liquidava però l'eventualità di un simile allineamento perché troppo poco probabile per rivestire un interesse pratico. L'anno successivo Fritz Zwicky del California Instute of Technology e Henry Norris Russel della Princeton University prospettarono altre situazioni più probabili. In particolare Zwicky, con la preveggenza che gli era abituale, sottolineò che probabilmente fenomeni di focalizzazione in oggetti extragalattici come galassie e ammassi di galassie avrebbero potuto risultare osservabili e anche di notevole interesse scientifico. La storia degli studi moderni sulle lenti gravitazionali ha inizio nei primi anni sessanta con le ricerche teoriche di Sjur Resfdal, che oggi lavora all'Università di Amburgo, e altri, i quali discussero le modalità di analisi dell'immagine formata da una lente gravitazionale, se mai ne fosse stata scoperta una, e avanzarono l'ipotesi che le lenti gravitazionali potessero rivelare informazioni cosmologiche importanti, come per esempio la velocità di espansione dell'universo e la densità della materia oscura. Queste idee, tuttavia, finirono per essere relegate nel campo dei giochi fantasiosi dell'immaginazione dei teorici, perché nessuno aveva mai osservato nella realtà un sistema a lente gravitazionale. Poi, nel 1979, l'interesse per l'argomento esplose con la scoperta di un sistema a lente(0957+561) nella costellazione dell'Orsa Maggiore (si veda l'articolo La scoperta di una lente gravitazionale di Frederic H Chaffe Jr. in «Le scienze» n.149, gennaio 1981). Proprio come aveva previsto Zwicky. sia in questo sistema, sia in quelli scoperti in seguito si assiste all'allineamento di due o più oggetti extragalattici, nella maggior parte dei casi un quasar estremamente lontano come sorgente e una galassia o un ammasso di galassie a minore distanza come lente focalizzatrice in primo piano. Negli ultimi 10 anni la ricerca teorica e osservativa sulle lenti gravitazionali si è sviluppata rapidamente e senza soste. Al momento un cui scrivo queste pagine, sono stati discussi nella letteratura almeno 17 sistemi che potrebbero comprendere una lente gravitazionale, fra cui alcuni giganteschi archi luminosi, appena scoperti, e una sorgente che sembra un «anello di Einstein» quasi perfetto. Oggi i telescopi e i radiotelescopi più potenti del mondo dedicano alla scoperta e allo studio di questi oggetti, notevoli quantità di tempo. A prima vista le lenti gravitazionali possono sembrare nulla più che una curiosità divertente: forniscono ben pochi dati sperimentali sulla relatività generale e la gravitazione che non si possano ottenere con maggiore facilità e attendibilità tramite studi condotti sullo stesso sistema solare. Ma allora perché gli astronomi dovrebbero interessarsi a queste «stranezze» cosmiche? Per rispondere a questa domanda occorre esaminare con maggiore ricchezza di particolari un tipico fenomeno di focalizzazione gravitazionale. La radiazione emessa da un quasar all'inizio della storia dell'universo viaggia verso la nostra galassia. Con il passare del tempo, l'espansione dell'universo ne aumenta la lunghezza d'onda, nel fenomeno ben noto dello spostamento verso il rosso, e inoltre allarga il fascio di luce nel corso della sua propagazione. In qualche punto della traiettoria la radiazione passa vicino a una galassia e si flette nel campo gravitazionale di quest'ultima. L'entità del fenomeno dipende dalla regione del campo che la radiazione attraversa, proprio come l'angolo di deflessione della luce che attraversa una lente ottica dipende dal punto esatto nel quale essa incide sulla lente. Di conseguenza il fascio può scindersi in numerose componenti con percorsi diversi e può dare origine a immagini multiple, finora tre o cinque (l'immagine originale più quelle aggiuntive che, secondo la teoria, dovrebbero prodursi a coppie). Ciascuna immagine compare in una posizione leggermente diversa del cielo e può risultare ingrandita o distorta in varia misura. Alcune delle immagini possono essere anche riflesse, come in uno specchio, oppure risultare capovolte. L'immagine prodotta da una lente gravitazionale deriva quindi da un'interazione complessa del fascio di luce con il campo gravitazionale della galassia focalizzatrice, il quale a sua volta dipende dalla distribuzione nello spazio della materia che a esso dà origine. Secondo i dettami della relatività generale, sotto questa etichetta si annoverano tutte le forme di materia e di energia, e quindi l'oggetto che funge da lente può essere luminoso od oscuro, composto da materia comune oppure anomala o persino di tipo sconosciuto, da materia condensata in stelle o rarefatta in un gas di particelle elementari. Per di più tutte le irregolarità nella distribuzione della materia vicino alla traiettoria della radiazione apportano ulteriori piccole deflessioni, perturbando così le immagini osservate. Le lenti gravitazionali sono quindi oggetti unici tra quelli astronomici; non solo le loro immagini portano il segno delle proprietà della sorgente originaria, ma racchiudono anche informazioni sulla geometria e l'evoluzione dello spazio-tempo su grande scala e sulle disomogeneità dell'universo. E' la speranza di decifrare alcune di queste informazioni che stimola gli astronomi a studiarle. Le informazioni che gli astronomi sperano di racimolare si dividono in tre categorie generali. Innanzitutto come Zwicky propose inizialmente, una lente gravitazionale può fungere da telescopio naturale di dimensioni cosmiche; può cioè ingrandire l'immagine della sorgente rivelando particolari della sua struttura che altrimenti risulterebbero troppo piccoli per poter essere distinti. In secondo luogo, l'immagine prodotta dalla lente darebbe informazioni sulle proprietà medie dell'universo su grande scala, compreso il valore della costante cosmologica. In terzo luogo, l'immagine permetterebbe ai ricercatori di individuare la presenza di disomogeneità nell'universo, soprattutto quelle dovute alla cosiddetta massa mancante, la materia oscura cui, a quanto si crede, andrebbe attribuita la maggior parte della densità totale dell'universo. In due applicazioni si prospettano possibilità di sfruttare le lenti gravitazionali come strumenti nuovi per affrontare problemi classici. Per fare un esempio della seconda categoria di informazioni le osservazioni delle lenti gravitazionali potrebbero permettere agli astronomi di stabilire le dimensioni e l'età dell'universo per via diretta. Questa applicazione deriva dalla teoria cosmologica del big bang, la quale si basa sull'osservazione che, su grandi scale di distanza, tutti gli oggetti si allontanano reciprocamente con una velocità proporzionale alla loro distanza. Si può spiegare il dato empirico supponendo che l'universo sia in espansione uniforme, poiché in una struttura di questo tipo le velocità di recessione degli oggetti seguirebbero proprio un andamento del genere. Nei quasi 60 anni trascorsi dalla scoperta dell'espansione, gli astronomi hanno cercato di misurare la «costante di proporzionalità» (o costante di Hubble) che correla la velocità alla distanza e che darebbe una misura diretta sia delle dimensioni, sia dell'età dell'universo (ossia il tempo trascorso dal big bang). Per determinare tale costante tuttavia, occorre conoscere la distanza assoluta di un certo numero di oggetti extragalattici lontani. Questo compito risulta davvero ardue dato che le tecniche consuete di misurazione delle distanze astronomiche non riescono ancora a fornire un valore indiscussi: i risultati migliori sono in disaccordo di un fattore 2. Le lenti gravitazionali forniscono un sistema radicalmente nuovo per misurare le distanze astronomiche e quindi anche la costante di proporzionalità; questa nuova tecnica, a differenza di tutte le precedenti, può funzionare ugualmente bene per le grandi distanze e per le piccole. Risulta possibile calcolare la geometria del fenomeno di focalizzazione; supponiamo che questa analisi stabilisca che il cammino di un'immagine è lungo, per esempio un miliardesimo più di quello dell'altra. La luce che segue i due cammini impiega perciò tempi diversi per giungere alla lastra. Se il quasar presentasse un brillamento (un brusco aumento di luminosità), come spesso accade, si osserverebbe il fenomeno prima in un'immagine e leggermente più tardi nell'altra. La differenza di lunghezza tra i due cammini risulta allora semplicemente il prodotto dell'intervallo di tempo osservato per la velocità della luce; poiché questa distanza è pari a un miliardesimo di quella totale, se ne può dedurre la distanza associata sia della galassia, sia del quasar. Le lenti gravitazionali sono però particolarmente adatte alla risoluzione dei problemi della terza categoria: lo studio della materia oscura dell'universo. A partire dalle ricerche pionieristiche condotte da Zwicky negli anni trenta, gli studiosi hanno costantemente continuato ad accumulare indicazioni dell'esistenza di campi gravitazionali su grande scala molto più intensi di quanto si possa calcolare in base alla massa delle stelle e del materiale interstellare osservabile (ossia luminoso). La maggior parte degli astronomi interpreta questa circostanza come un'indicazione del fatto che una frazione compresa tra il 90 e il 99 per cento della massa totale dell'universo sia costituita da una qualche componente non rilevata, l'ipotetica materia oscura. Tuttavia le ricerche tese a evidenziare un'emissione o un assorbimento di radiazione e bassa intensità su vasta gamma di lunghezze d'onda non riescono ancora a fornire alcuna indicazione diretta dell'esistenza di questa materia oscura. Nell'impossibilità di un rilevamento diretto, diventa necessario studiare le proprietà della materia oscura esclusivamente tramite i suoi effetti gravitazionali, donde il legame immediato con gli studi sulle lenti. La più semplice osservazione significativa è forse quella della frequenza stessa dei fenomeni di focalizzazione gravitazionale. Sulla base di considerazioni esclusivamente statistiche, infatti, il numeri di sistemi a lente gravitazionale tra tutti gli oggetti posti a una certa distanza dovrebbe essere proporzionale alla densità degli oggetti che esercitano un'attrazione gravitazionale nell'universo. Nella pratica i limiti a cui si deve sottostare nelle osservazioni è soprattutto il potere risolutivo dei telescopi disponibili riducono i tipi di fenomeni di focalizzazione rilevabili: si possono studiare solo sistemi nei quali l'oggetto che funge da lente possieda una massa sufficiente a produrre immagini distinte, separabili l'una dall'altra. D'altra parte anche il mancato rilevamento di questi fenomeni può fornire informazioni preziose, ponendo un limite superiore alla densità di determinati tipi di lenti di cui si ipotizza l'esistenza. Per esempio, l'osservate frequenza di sistemi a lente esclude la possibilità che esista un numero molto grande di galassie oscure e buchi neri di grande massa. Questi esempi non sono altro che l'inizio di un elenco delle potenziali applicazioni delle lenti gravitazionali. In linea di principio l'osservazione di questi fenomeni potrebbe permettere anche una misurazione indipendente delle masse galattiche e potrebbe facilitare lo studio della struttura spaziale del mezzo intergalattico. Un effetto di ingrandimento dovuto alla focalizzazione gravitazionale potrebbe spiegare perché presso galassia con piccolo spostamento verso il rosso si scopre un numero più alto del previsto di quasar con grande spostamento verso il rosso: piò darsi che la galassia aumenti la luminosità dell'immagine del quasar lontano, rendendolo più facile da osservare. Lo stesso fenomeno potrebbe spiegare anche la luminosità o la variabilità eccezionale di certi quasar, l'esistenza di oggetti simili a quasar con uno spettro di emissione peculiare e quella di componenti «supraluminali» di certi quasar, componenti che sembrano in moto a velocità superiore a quella della luce. Il limite alle possibilità è dato solo dall'ingegnosità del teorico. Eppure queste prospettive, per quanto siano entusiasmanti, rimarranno sempre al di là della nostra portata finché agli astronomi continuerà a mancare un campione statisticamente significativo di fenomeni di focalizzazione. La ricerca sistematica di sistemi a lente gravitazionale su tutto il cielo è appena cominciata; quasi tutti quelli conosciuti fino a oggi sono stati scoperti per caso e, dal punto di vista statistico, costituiscono un campione altrettanto poco significativo di quanto sarebbe, per un sondaggio d'opinione, quello costituito dalle persone incontrate facendo quattro passi dopo pranzo. Rendendosi conto dei potenziali benefici degli studi sulle lenti gravitazionali, vari gruppi di ricerca hanno intrapreso rilevamenti ambiziosi, nella speranza che questi offrano campioni statisticamente validi oltre singoli fenomeni di particolare interesse. Alcuni si sono concentrati su una attenta selezione dei quasar noti, soprattutto di quelli più lontani che hanno le maggiori probabilità di venire focalizzati da una galassia frapposta tra loro e la Terra. Altri gruppi stanno estendendo le ricerche a quasar ancora non conosciuti oppure ad altri oggetti molto lontani. Per quanto mi riguarda io mi sono impegnato in una collaborazione relativa a un progetto di quest'ultimo tipo, condotto da astronomi del California Institute of Technology, dello Haystack Observatory e della Princeton University. La prima grande difficoltà che questi gruppi si trovano a dover affrontare è che, innanzitutto, le lenti gravitazionali sono fenomeni assai poco comuni. Tra le categorie conosciute di oggetti astronomici, infatti, solo i quasar sono di norma abbastanza lontani da avere una probabilità significativa di trovarsi allineati con un oggetto in primo piano. Anche tra i quasar, poi, i sistemi a lente sono rari: prima che venisse scoperto per caso, nel 1979, il primo quasar soggetto a focalizzazione ne erano stati già catalogati circa 2000. Un attento vaglio dei quasar conosciuti può aumentare la percentuale di successi, ma probabilmente non più di una frazione di punto. Per complicare ulteriormente il problema, i quasar sono di per sé difficili da distinguere dalle stelle della Galassia, assai più numerose, alle quali a prima vista somigliano. In effetti fin dalla scoperta dei quasar, avvenuta 25 anni fa, gran parte degli studi si concentrano proprio sul miglioramento delle tecniche per scoprirli e identificarli. Il primo passo per il rilevamento della (******) sta nei programmi osservativi volti alla realizzazione di campioni utili di quasar normali. Lo studio delle lenti gravitazionali si trova perciò gravato fin dall'inizio dalla necessità di cercare una sorta di quadrifoglio cosmico. La nostra ricerca di sistemi a lente gravitazionale comincia alle lunghezze d'onda delle emissioni radio. Uno dei motivi è che le stelle comuni in generale risultano radiosorgenti deboli, mentre una percentuale elevata delle radiosorgenti di grande luminosità conosciute è costituita da oggetti extragalattici, tra cui i quasar. Una seconda ragione è che oggi i radioastronomi hanno a disposizione molti degli strumenti e delle tecniche più potenti di tutta l'astronomia. L'elevata risoluzione angolare dei radiotelescopi permette di conoscere la struttura su piccolissima scala degli oggetti di grande importanza per l'interpretazione di un sistema a lente la scelta di concentrarsi sulle radiosorgenti ha però un suo prezzo: solo una piccola percentuale di tutti i quasar produce emissioni radio rilevabili. Dal momento che anche sorgenti che non emettono onde radio hanno la medesima probabilità di allinearsi formando un sistema a lente, il rilevamento radio esclude senza dubbio una buona parte delle lenti gravitazionali esistenti. Il primo passo del rilevamento radio è in corso ad opera di un gruppo del Massachusetts Institute of Technology sotto la direzione di Bernard Burke e impiega il radiotelescopio da 100 metri diametro a Bank, nel West Virginia, gestito dal National Radio Astronomy Observatory. Si ispezionano vaste zone del cielo alla ricerca di sorgenti di radiazione alla lunghezza d'onda dei sei centimetri e se ne stabiliscono posizione e luminosità. Sono state già catalogate molte migliaia di queste sorgenti. In seguito ne selezioniamo un determinato sottoinsieme da sottoporre ad osservazioni «istantanee» con il Very Large Array (VLA).

Si tratta di un radiotelescopio a interferometria costituito da 27 antenne paraboliche mobili distribuite su un'area del diametro di circa 10 km su un altopiano del New Mexico e risulta per molti scopi il più potente del mondo: ha la capacità stupefacente di ottenere buone immagini di una radiosorgente lontana in pochi minuti soltanto di osservazione (normalmente si può ottenere una risoluzione di 0,4 secondi d'arco unita a una sensibilità tale da valutare appena una variazione di luminosità di 50 volte. Quattro delle 17 probabili lenti discusse in letteratura sono state scoperte nel rilevamento condotto al VLA; l'estrapolazione di tale risultato conduce a ritenere che il progetto fornirà, una volta che sarà completato, un numero di candidati al ruolo di lente gravitazionale compreso tra (*******) ....sulla distribuzione in specifici oggetti e sui limiti alla sua abbondanza totale in determinate (*****). Si è potuto accertare, per esempio, che non esistono molti buchi neri di massa paragonabile a quella di una galassia. (Questi risultati sono utili, ma finora si limitano a confermare conclusioni o ipotesi già esistenti. Alcune informazioni sulla distribuzione della massa mancante in una galassia, per esempio si possono ricavare dalle modalità di rotazione. In almeno un caso (il sistema 2016?112) è divenuto realtà il sogno di Zwicky di un telescopio costruito che permetta di gettare uno sguardo su un quasar anomalo che altrimenti risulterebbe troppo debole per essere rilevato. L'elenco dei risultati scientifici ottenuti è breve, ma considerato che questo settore di studi è ancora agli inizi forse non scoraggiante. Quale potrà essere, alla fine, il vero valore degli studi sulle lenti gravitazionali resta un problema di discussione. Nel mondo ideale della teorizzazione astrofisica si possono escogitare numerose applicazioni eleganti e potenti delle lenti gravitazionali per rispondere ad altrettante domande fondamentali, ma nella realtà dei casi complessi che si osservano effettivamente non tutte queste applicazioni saranno mai suscettibili di realizzazione pratica. In una certa misura, le difficoltà sono insite nella natura delle lenti gravitazionali cosmiche, e anzi derivano forse dagli effetti stessi che le rendono in potenza così ricche di informazioni. Le immagini delle lenti, per esempio, contengono informazioni sia sulla distribuzione della massa totale della galassia che funge da lente, sia sulle proprietà medie su grande scala dell'universo. Vorremmo approfondire le nostre conoscenze in entrambi gli argomenti, ma spesso risulta difficile dire alcunché sull'uno senza conoscere qualcosa sull'altro. Nonostante questi ostacoli formidabili, sembra che le applicazioni delle lenti gravitazionali siano degne di studio, se non altro perché offrono un nuovo strumento per affrontare problemi fondamentali che continuano in gran parte a resistere all'attacco dei «ferri del mestiere» tradizionali.


G.A.M.   materiale di astronomia   by N.L.