Notizie dalla lotta di classe |
Marzo 2002 |
Unire quello che il capitalismo divide. |
Nell'auditorium del liceo Calini, i metalmeccanici bresciani hanno discusso a lungo di come unificare la resistenza con una piattaforma offensiva che rilanci su salario, orario e sul controllo operaio. «In provincia ci sono stati, e ci saranno, scioperi che la Fiom ha indetto sia da sola che assieme a Fim e Uilm - spiega Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale dei metalmeccanici Cgil - all'Iveco, ad esempio, sono programmate assemblee con sciopero per confrontarsi con le altre organizzazioni sindacali». Gli scioperi spontanei non si contano, conferma Greco annunciando il decollo di una campagna di controinformazione in vista dello sciopero indetto a livello provinciale per il 12 marzo prossimo, primo momento verso la manifestazione del 23 e verso lo sciopero nazionale del 5 aprile. L'idea dei bresciani per il giorno dell'astensione nazionale dal lavoro, dopo aver ascoltato il racconto di un "piqueteros" argentino, è quella di picchettare l'Italia a partire dalle aziende non sindacalizzate. Nel bresciano su un milione di abitanti ci sono 210mila addetti all'industria e almeno 90mila metalmeccanici.
Anche da Torino, giungono notizie di nuovi scioperi per lo stralcio dell'articolo 18 dalle trattative, per lo sciopero generale e contro le deleghe del governo. La Fiom torinese fa sapere di astensioni unitarie con cortei interni, alla Embraco Riva di Chieri, all'Alessio Tubi, alla Flexider, all'Ilva Microtecnica, alla Acciai Speciali Terni di Torino e oggi all'Alenia e all'Iveco. L'8 marzo l'agitazione toccherà la Vlm di Buccinasco (Mi) le cui Rsu Cgil, Cisl e Uil hanno annunciato pieno sostegno alle posizioni della Cgil. Anche gli stabilimenti Fiat di Rivalta si sono fermati per 2 ore. Uno sciopero indetto unitariamente da tutte le Rsu - Fim, Fiom, Uilm, Fismic - che ha avuto successo con adesioni altissime nei diversi reparti: 80% Fiat auto, 90% Turinauto (ex Presse), 90% Marelli, e 80-90% anche alla Tnt e al Comau service. Alle tre del pomeriggio, fabbriche ferme e un corteo di oltre 500 persone ha raccolto quelli che uscivano sulla statale fino a Rivalta, per poi riunirsi in assemblea nel piazzale di fronte alla porta 7.
Il Pet Coke non inquina più, anzi inquina eccome, ma l'Agip
Petroli di Gela potrà continuare a smaltirlo, quindi a bruciarlo a cielo aperto
avvelenando la città siciliana. La decisione, una sorta di legalizzazione, è
stata presa dalla conferenza stato regioni che ieri ha dato il via libera al
decreto del ministro dell'ambiente con il placet dei ministri della salute e
delle attività produttive. Un decreto che di fatto spazza
via i sigilli della magistratura che la settimana scorsa ha posto sotto
sequestro proprio depositi e serbatoi di coke della raffineria dell'Eni per
violazione delle norme sull'inquinamento ambientale e sullo smaltimento dei
rifiuti industriali.
Da ora in poi, dunque, il problema non esiste più. Il decreto, ad hoc,
riguarderà soltanto l'impianto gelese, unico in Italia a usare il Pet Coke -
scarto delle lavorazioni della raffineria - come combustibile. Il governo ne
"consente l'impiego nel luogo dove viene prodotto", recita il
provvedimento che dovrà ora essere approvato dal consiglio dei ministri per il
via libera definitivo. I dipendenti del petrolchimico - circa tremila persone
con l'indotto - che dal giorno del sequestro giudiziario
all'Agip petroli sono in assemblea permanente contro la decisione della
magistratura, hanno ovviamente accolto positivamente la decisione del governo,
approvata, sembra, da tutti i rappresentanti delle regioni italiane. Del resto,
proprio a causa delle inadempienze Eni verso le norme del decreto Ronchi,
rischiano il posto di lavoro.
Opposto è invece il commento di Legambiente, che parla di "salvacondotto
concesso all'Agip di Gela, che indisturbata potrà così continuare a fare
quello che fino a oggi è stato illegale". "Bruciare
il Pet Coke - spiega Francesco Ferrante, direttore dell'associazione - residuo
di raffinazione ad alta concentrazione di zolfo e metalli come nickel, vanadio,
cromo (tutti cancerogeni e mutageni) non è come bruciare un normale
combustibile. Il prodotto deve rimanere classificato come
rifiuto, e se utilizzato come combustibile si devono adottare misure che
abbattano le pericolosissime emissioni di zolfo e metalli pesanti che finiscono
nell'atmosfera".
I lavoratori non debbono legarsi mani e piedi alle decisioni padronali e
governative: prima vengono sfruttati per inquinare il territorio; poi vengono
licenziati e ricattati con il timore per il futuro; infine accettano il peggio
per tornare ad essere sfruttati e a inquinare peggio di prima. I lavoratori
devono organizzarsi contro il ricatto occupazionale, lo sfruttamento e la
distruzione dell'ambiente. Sono i padroni che devono pagare il prezzo di quanto
hanno fatto.
Secondo i dati dell'Istat - riferiti al 1999 - i lavoratori
irregolari ammontano a 3 milioni e mezzo (per la precisione 3.486.000). Lo
studio dell'Istat, che annualmente fornisce il suo rapporto sul lavoro
irregolare, quest'anno si arricchisce per la prima volta delle stime regionali.
Il termine "irregolari" comprende non solo quelli che prestano - in
tutto o in parte - la propria opera in nero, ma anche tutti i lavoratori
stranieri non residenti e non registrati. Per focalizzare ancora meglio le
dimensioni del fenomeno, un dato per tutti: se gli occupati nel 1999 ammontano a
23 milioni e 112 mila unità, quei tre milioni e mezzo rappresentano il 15,1%
del totale. Insomma, oltre un lavoratore su dieci è in nero. Cifre che
raggiungono dimensioni preoccupanti nel Sud, dove vivono in pratica quasi la
metà degli irregolari, ovvero un esercito di 1 milione e 451 mila lavoratori
sommersi - e la percentuale sul totale, analogamente, lievita al 22,6%, ovvero
oltre due lavoratori su 10. A portare la "bandiera" del lavoro nero
è, come già negli anni passati, la Calabria, con il 27,8% degli irregolari.
Seguono la Campania (25,9%) e la Sicilia (24,1%). Il record "buono",
quello della regione con meno lavoro irregolare, tocca
invece all'Emilia Romagna (10,4%).
Il settore con il più alto tasso di irregolarità è quello agricolo; seguono
le costruzioni e i servizi. E proprio guardando all'agricoltura, vengono fuori
le cifre "da brivido" del Mezzogiorno: in Calabria il 46,6%, in
pratica la metà degli addetti, lavora in nero. Sempre nel settore agricolo, si
distinguono la Sicilia (40,6%) e la Campania (39,9%). Fatta la media su tutto
il Sud, risulta un poco confortante 38,4%. L'industria in senso stretto (il solo
manifatturiero senza le costruzioni), registra uno dei dati più bassi:
"solo" il 5,7% di media nazionale. Contando le costruzioni, però, il
dato risale: al Sud, è irregolare il 28,8% degli edili, al Nord il 10,7%. L'Emilia
Romagna ha il dato più basso (2,1%).
Nei servizi le differenze tra Nord e Sud sono meno forti di quelle, basandosi il
settore su un'organizzazione del lavoro ancora molto
frammentata e che rende il fenomeno mediamente diffuso su tutto il territorio
nazionale (in particolare nei comparti degli alberghi e dei pubblici esercizi,
del trasporto in conto terzi e dei servizi domestici). Il Mezzogiorno si attesta
su un 21,2% di irregolari, mentre il Nord si aggira intorno al 14% e il centro
al 17%. La regione con il tasso di irregolarità più elevato nel settore dei
servizi è la Campania (25,9%), mentre quella con il tasso più basso (ma
comunque in sé abbastanza alto) è ancora una volta l'Emilia Romagna (13,3%).
Per quanto riguarda la crescita del lavoro nero dal 1995 al 1999, infine, il
maggior aumento si è registrato nel Sud, e in particolare in Sardegna, Sicilia,
Basilicata e Campania.
Le malattie professionali cambiano rapidamente insieme al
sistema produttivo. Ma restano centrali. Anzi, dal confronto internazionale dei
dati, si coglie addirittura una crescita del fenomeno. In Italia ci sono almeno
due milioni di persone che sono vittime di malattie professionali o di
infortuni. Tra gli infortuni, che sono almeno un milione l'anno, 1.354 sono
mortali. E almeno il 10 per cento degli infortuni avviene in situazioni al nero,
ovvero in posti dove il lavoro è ancora "sommerso".
Alcune malattie professionali sono state definitivamente superate (si sono
"perse" dicono in gergo i medici del lavoro) e quindi sono state
cancellate dalla lista dell'Inail che riconosce appunto la malattia
professionale. Ma molte nuove malattie hanno fatto il loro ingresso sulla scena
e tante altre sono in lista di attesa per essere riconosciute tali e dare quindi
ai lavoratori che le contraggono la possibilità di avere la relativa rendita.
Una delle novità in vista riguarda lo stress, a quanto pare una delle malattie
professionali più diffuse. Lo stress non è ancora una malattia professionale e
non appare quindi nelle liste ufficiali, ma a livello scientifico
è un tema che risulta all'ordine del giorno già da due anni. Un altro terreno
di ricerca degli istituti internazionali è quello dei tumori. Ci sono infatti
neoplasie direttamente legate al lavoro, come nel caso dell'esposizione
all'amianto. Ma ci sono anche tanti altri tumori che non hanno una sola causa,
ma che sicuramente tra le concause hanno anche il lavoro, soprattutto per quanto
riguarda l'esposizione e l'uso di materie nocive. Ci sono centinaia di nuovi
prodotti chimici che vengono introdotti in produzioni di tipo diverso. Gli
esperti, ha spiegato ieri il direttore dell'Ispesl, Moccaldi, stanno studiando
le relazioni tra queste nuove sostanze e i tumori. Alcune stime parlano di una
incidenza fino al 15% delle attività professionali nella
formazione di neoplasie. In altri termini si suppone che la causa dei molti
tumori sia da addebitare - almeno per il 15% - alle condizioni di lavoro.
"Occorre ricordare - ha spiegato poi il professor Foà - che l'ambiente di
lavoro è una delle voci più importanti per la definizione dello stato di
salute di una persona, insieme al suo stile di vita".
Alenia Spazio si prepara a sbattere in mezzo alla strada 400 dipendenti. A comunicare ai sindacati le eccedenze di organico, sui 3000 dipendenti che lavorano negli stabilimenti di Roma, Torino, Milano, L'Aquila, Taranto, è stata mercoledì sera l'azienda del gruppo Finmeccanica. I motivi della scelta, ha precisato la società, sono da attribuire alla flessione della domanda dei satelliti commerciali sui mercati internazionali e ad una mancanza delle scelte di programmazione nel settore spaziale da parte del Governo.
Il sindacato degli elettrici (Kepo) è rimasto da solo a sostenere lo sciopero contro le selvaggie privatizzazioni in atto, dopo che martedì sono rientrati al i dipendendenti del settore gas e mercoledì quelli delle ferrovie. "Non vogliamo mollare su alcun punto contro la privatizzazione" ha affermato Kim In, portavoce della Kepo, in seguito alla firma del premier Kim Dae-jung per riformare la terza più grande economia dell'Asia. Intanto il ministro del commercio, Shin Kook-hwan, per tentare di fermare lo sciopero, ha scritto in una lettera al sindacato che "il governo manterrà la sua promessa di garantire tutti i posti di lavoro dopo la vendita alle compagnie elettriche private". Al momento comunque gli elettrici si sono detti convinti a continuare l'astensione ad oltranza.
Otto giorni di scioperi, fitti nelle fabbriche
metalmeccaniche, indetti dai delegati e dalle rsu unitariamente. Ora dagli
scioperi spontanei si passa alle mobilitazioni indette dalle strutture della
Cgil, che, rifiutata la "trattativa trappola", si prepara alla
manifestazione nazionale del 23 marzo e allo sciopero generale del 5 aprile.
Via via si snodano gli scioperi regionali di marzo: 4 ore per tutte le categorie
e territori, ha deciso subito la Cgil del Piemonte; 4 ore la Cgil dell'Emilia
Romagna, che concentra una manifestazione generale per il 9 marzo contro la
legge Bossi-Fini sull'immigrazione, e oggi a Bologna aderisce, assieme alla
Camera del lavoro, alla manifestazione contro il Centro di via Mattei. Scioperi
articolati anche in Lombardia, dove si prosegue anche contro le scelte della
giunta Formigoni sulla sanità e promovendo incontri con tutte le comunità di
migranti per caratterizzare contro la legge Bossi-Fini la manifestazione del 23.
Il 12 marzo c'è lo sciopero generale provinciale proclamato dalla Camera del
lavoro di Brescia.
Scioperi di fabbrica. La Fiom delle Marche ha proclamato uno sciopero articolato
di 4 ore dei metalmeccanici contro il mancato stralcio dell'art.18 e le deleghe
sul lavoro e la previdenza. Le prime a fermarsi sono le le aziende del molo sud
di Ancona e Fincantieri. E poi a Torino: alla Alenia 1500 operai e impiegati
sono usciti in corteo per andare a volantinare al mercato di corso Brunelleschi;
e sciopero oltre l'80% all'Iveco, conclusosi con 7-800 lavoratori in assemblea
in corso Giulio Cesare. Chiusura di settimana in Toscana con lo sciopero alla
Breda di Pistoia e nel Lazio con le fermate alla Schneider e alla Eems a Rieti.
Scendono in piazza i lavoratori dei call center di Blu, contro
i licenziamenti minacciati - e alcuni già attuati - dall'azienda. I giovani (la
media è di 30 anni di età) vengono da Calenzano (Firenze), Palermo, Padova,
Napoli, Milano e dalla stessa Roma. Nel frattempo, i colleghi rimasti nelle
diverse sedi sosterranno la protesta con scioperi e manifestazioni locali. Già
parecchie decine di lavoratori non hanno avuto il rinnovo del contratto di
formazione lavoro. Una lunga coda Blu attraversa Roma, piena di giovani che
sembrano in festa, ma che in realtà manifestano per i
propri posti di lavoro, minacciati da una vendita "a spezzatino"
dell'azienda di telecomunicazioni.
Secondo i sindacati Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, che hanno organizzato la
protesta, sono scese in piazza 1500 persone. Una delegazione di lavoratori ha
incontrato il ministro Gasparri.
A licenziare è un'azienda che non è in crisi, ma che ha superato gli obiettivi
che gli azionisti si erano dati. Più esposti di tutti sono i 750 contratti cfl
in scadenza nel 2002, quasi la metà degli operatori Blu. Poi, ci sono 800
contrattisti a tempo indeterminato, che rischiano soprattutto se la società
verrà liquidata. Tutti gli altri sono interinali, anche loro a rischio di non
rinnovo, ovviamente. Nessuno dei dipendenti ha diritto agli ammortizzatori
sociali, perché l'azienda ha meno di tre anni.
La Fiom rilancia dalla Fiat di Melfi la sua strategia di lotta
per le prossime settimane.
L'occasione è stata la presentazione della ricerca di Davide Bubbico
"L'indotto auto della Fiat-Sata di Melfi", promossa dalla Fiom e dalla
Cgil regionale e pubblicata dalle edizioni Meta. Un'analisi che si ferma, per
ora, alla produzione e all'occupazione nelle 25 aziende con 3400 addetti, senza
scendere nel merito della qualità del lavoro, che sarà invece oggetto di
alcuni interventi del dibattito.
Nelle aziende dell'indotto che aderiscono all'Acm (Consorzio Autocomponentistica
Mezzogiorno) aumenta lo sfruttamento. La SATA ha deciso che si va avanti con
l'intensificazione dei ritmi e l'aumento dei turni, non vuole saperne di
innovazione. La FIOM intende partire proprio da Melfi con la diminuzione dei
turni da 18 a 17. E' da ottobre che la FIOM scrive lettere e chiede incontri per
la piattaforma dell'indotto Acm. Adesso presenta la piattaforma ai lavoratori e
si va alle votazioni.
Nel dibattito, dove ha di nuovo fatto capolino la questione delle 35 ore
rilanciata da un delegato, è venuta fuori la realtà di una condizione operaia
nelle fabbriche dell'indotto, dove lo sfruttamento aumenta sempre di più,
facendo rimpiangere la già non lieve condizione nella fabbrica madre della Sata.
Nella raffica di mobilitazioni che stanno approssimando lo
sciopero generale del 5 aprile, non poteva mancare lo sciopero dei ferrovieri.
Sono scesi in sciopero su convocazione dell'Orsa - la confederazione in cui sono
confluiti numerosi sindacati autonomi e di base - che ha scelto di rompere gli
indugi dopo un anno e mezzo di trattative senza alcuna conseguenza pratica.
Trattandosi di un giorno festivo non avrebbero dovuto esserci "servizi
minimi garantiti", ma la Commissione di garanzia, presieduta da Gino
Giugni, ha preteso che fossero comunque fatti circolare 42 treni nella fascia
oraria tra le 18 e le 21 di stasera. Per Trenitalia - come si chiama ora la
società che gestisce il traffico passeggeri dopo essere stata scorporata dalle
Fs - dovrebbe comunque circolare "un treno su due tra quelli a percorrenza
medio-lunga". Lunedì, invece, incroceranno le braccia gli addetti agli
impianti fissi (chiusi nei giorni festivi).
Il contratto è scaduto nel dicembre '99. E, mentre si fa finta di discutere del
nuovo, Confindustria e governo procedono con privatizzazioni, liberalizzazioni
ecc.
La materia del contendere, su cui viene registrata una grande lontananza di
posizioni con la controparte, viene divisa dall'Orsa in due parti, entrambi
fondamentali. Dal '98 i salari sono completamente fermi, senza neppure il
recupero dell'inflazione; ma di aumenti in busta paga non se ne parla dal '95.
In più, c'è da discutere sulle pretese di aumento della flessibilità, sugli
orari, ecc. L'altro capitolo è quello che riguarda la sicurezza, ossia:
definizione dei limiti massimi dell'orario di lavoro e le scadenze temporali per
la manutenzione dei macchinari.
Su tutto c'è la questione della "clausola sociale", ovvero l'obbligo
per i nuovi gestori - quelli che avranno concessioni a operare, diversi dalle Fs
(ndr) - di applicare il contratto delle attività ferroviarie. Con lo
spezzettamento delle attività tra diversi soggetti, infatti, esiste
praticamente la certezza che si verificherebbe un'analoga frammentazione di
formule contrattuali, profili professionali, orari di lavoro, salario e
quant'altro la fantasia padronale, ossessionata dal "taglio dei
costi", riuscirebbe a escogitare. L'esempio dei lavoratori
negli appalti delle pulizie, ormai disperati davanti alla prospettiva di 4.000
licenziamenti, balla davanti agli occhi di ogni ferroviere.
La "ristrutturazione" delle ferrovie ha una storia lunga, che ha
diviso fortemente i vari sindacati presenti.
Ci sono voluti cinque mesi di trattative. Ora il contratto dei
tessili è stato firmato dai sindacati di categoria e dalla Federtessile.
L'accordo riguarda il biennio economico 2002-2003. Rispetto al contratto
precedente firmato con la Confapi, la confederazione delle piccole e medie
aziende, ci sono novità che riguardano i lavoratori e le lavoratrici, che sono
la maggioranza, del secondo e terzo livello della scala parametrale. La
retribuzione media che viene identificata poco sopra il terzo livello, sarà
aumentata di 71,5 euro al mese. L'aumento - su precisa richiesta delle aziende -
verrà diviso in tre tranches: la prima in aprile di 26 euro, la seconda da
ottobre di 23 euro, la terza e ultima di 22,2 euro dall'aprile del 2003. Vista
la suddivisione saranno recuperati i livelli di inflazione con ritardo, cosa che
peserà quindi sul recupero stesso e sulle buste paga.
Ma rispetto al contratto della Confapi sembra che siano favoriti leggermente i
salari del secondo livello dove si concentra il grosso dei 600.000 addetti del
settore tessile. I sindacalisti spiegano che rispetto all'aumento medio della
Confapi (73 euro) si è perso qualcosa. Ma si è guadagnato invece proprio per
le lavoratrici del secondo livello. L'accordo precedente premiava invece
maggiormente il terzo e quarto livello parametrale.
I sindacati di categoria, Femca (Cisl), Filtea (Cgil) e Ulita hanno deciso di
recovocare le iniziative di lotta che erano state programmate. A partire da
domani saranno invece organizzate assemblee nei luoghi di lavoro di informazione
e consultazione di tutti i lavoratori. Le assemblee si concluderanno il 22 marzo
con la riunione dei direttivi nazionali dei tre sindacati.
La ratifica definitiva ci sarà solo dopo aver verificato il consenso dei
lavoratori.
La firma del contratto mette fine a tre anni di attesa e uno
di trattativa. Ora i 50.000 lavoratori del settore "gas e acqua",
impiegati in oltre 750 aziende sia pubbliche che private, dovranno ratificare
l'intesa. L'elemento che sindacato e imprese mettono in evidenza è per
l'appunto il fatto che riguarda sia il settore pubblico che il privato; con
l'avvio della liberalizzazione del mercato del gas - ormai
prossima, in base alla legge del maggio 2000 - questo contratto dovrebbe almeno
definire la cornice comune a tutto il settore.
La parte economica e salariale è composta da una parte comune, una
differenziata e un'"una tantum" per il recupero del pregresso. Per il
biennio in corso (fino a dicembre 2003) l'aumento medio parametrato al - 4
livello - sarà pari a 69 euro al mese, in tre tranche (27,6 euro subito). La
parte differenziata - che scatta anch'essa da gennaio 2002) è di 11 euro nelle
imprese aderenti ad Anfida, 16,75 per quelle di Federgasacqua e 17,75 in Anigas.
L'una tantum - anch'essa media e parametrata - che va a coprire i tre anni di
vacanza contrattuale sarà di 1,295 euro (metà ad aprile e metà dal 1 luglio.
Nelle imprese Anfida, il cui contratto era scaduto da "solo" due anni,
sarà di 863 euro.
Confermato il doppio livello di contrattazione (nazionale e aziendale), mentre
vengono "regolamentate" - ma non si sa ancora in che modo - le forme
di lavoro precario (interinale, telelavoro, apprendistato), mentre viene
introdotto il "laovoro condiviso" (job shearing). A livello aziendale,
come quota variabile del salario, verrà discusso il "premio di
risultato", legato progetti di produttività. qualità, ecc. Il
sindacato trova anche importante il punto sulla previdenza complementare, con
l'espansione dell'esperienza dei fondi pensione in atto, che dovranno però
subire qualche processo di aggregazione e fusione (par di capire). Le
novità maggiori arrivano sul fronte dell'orario, fissato in 38,30 ore
settimanali, con l'introduzione della "banca delle ore". I lavoratori
potranno cioè recuperare come permessi retribuiti le ore di straordinario.
Bisognerà vedere in pratica quali modalità "flessibili" assumerà
questa nuova possibilità di giocare sull'orario di lavoro.
Il governo ha chiesto tre deleghe per decidere motu proprio
sullo smantellamento dello stato sociale e dei diritti del lavoro. Centinaia di
migliaia di lavoratori hanno riempito le piazze in modo "articolato",
cioè a giorni e città alterne, ma con intenzioni comunque chiarissime. E il
cosiddetto centrosinistra che dice?
E' solo un caso che stia all'opposizione, e che sia Berlusconi il responsabile
del massacro sociale in via di preparazione. Ds e rami d'Ulivo vari si
barcamenano tra chi è contro le politiche berlusconiane, e chi è contro questo
governo ma sarebbe disposto a farne uno simile. E' lo stesso senatore diessino
Cesare Salvi, ex ministro del lavoro nei governo D'Alema e Amato, a lasciarsi
scappare una rivelazione illuminante: "Quando divenni ministro al posto di
Bassolino, trovai sul tavolo una bozza di Dpef (Documento di programmazione
economica e finanziaria, l'ossatura della legge finanziaria) - non so se
proveniente dal Tesoro (cioè Amato) o dalla presidenza del consiglio (ossia D'Alema)
- in cui il tema della licenziabilità, iil superamento dell'art. 18, era
previsto e motivato, `per aumentare l'occupazione'". Come dicono Berlusconi
e D'Amato.
I relatori Roberto Pizzuti, sulle delega previdenziale, e Massimo Roccella, su
quella relativa al mercato del lavoro avevano illustrato i conti della
previdenza sociale dopo i tre interventi di riforma degli anni `90: conti ormai
a posto, anche sul lungo periodo, ma copertura pensionistica ormai limitata al
50% dell'ultimo stipendio (per i lavoratori dipendenti). La forzatura
berlusconiana si spiega perciò solo con la volontà di "obbligare" i
lavoratori a cedere il tfr - l'accantonamento per la liquidazione - a favore dei
fondi pensione privati che, vista la ristrettezza della borsa italiana,
finirebbero per investire all'estero quei 30.000 miliardi annui di raccolta.
Roccella si era soffermato sull'art. 18 ("il punto massimo di modernità
nel risarcimento del danno e di protezione della dignità della persona"),
ricordando come in Germania esista lo stesso meccanismo, esteso però alle
imprese con più di 5 addetti. E aveva attaccato duramente il disegno
governativo sull'"arbitrato" - "la possibilità per l'arbitro di
dirimere una controversia anche senza tener conto delle leggi vigenti".
Salvo dover poi a sua volta rivelare che una proposta simile viaggia anche in
una fantomatica bozza di "Statuto dei lavori" in discussione in alcuni
ambienti del centrosinistra, ma ancora tenuto segreto.
Su questo piano, così come su quello dell'abbassamento delle aliquote fiscali,
tra destra e sinistra è possibile solo una concorrenza sulla
"quantità" delle concessioni da fare, non sul segno sociale della
politica economica.
Perciò non bisogna cadere in trappole frontiste, in nome del "comune
nemico", la destra, perchè dopo la giusta lota del '94 contro Berlusconi,
ci hanno rifilato 5 anni e più di governi "amici dei lavoratori" che
hanno fatto l'impossibile per soddisfare i padronie hanno lasciatoc ampo facile
al Centro destra.
I dati diffusi da Confinterim la confederazione delle associazioni del lavoro interinale in Italia dicono che il 47% dei lavoratori interinali utilizzati nel corso del 2001 ha un diploma di scuola media superiore, il 36,6% un diploma di licenza media inferiore, il 5,2% la licenza elementare e solo il 4% ha una laurea in tasca. L'età media del lavoratore interinale tipo si attesta sui 29 anni. Nel dettaglio il 39,2% ha un'età inferiore ai 25 anni, il 25,9% dai 25 ai 29 anni, il 25,3 tra i 30 e i 39 anni, il 7,7% dai 40 ai 49 anni e solo l'1,9% va oltre i 49 anni. I settori dove il lavoro interinale è più utilizzato sono, principalmente, l'industria metalmeccanica con il 32,2%. Nelle altre industrie viene utilizzato il 22,9%. Stessa percentuale nel terziario e una cifra simile negli altri settori con il 22%. Il 67% dei lavoratori interinali ha solo una missione nel corso del 2001, il 25% fino a tre missioni. Il 6% da 4 a 6 missioni e il 2% oltre sei missioni in un anno. Il grosso delle missioni è legato alla sostituzione dei lavoratori assenti.
I call center crescono. Le tendenze più moderne richiedono
l'evoluzione dalla vecchia struttura, fatta di cornette, videoterminali e
cuffiette, verso il più moderno "web call center", dove le nuove
tecnologie multimediali si integrano con quelle più "antiche",
incrociando voce, fax, e-mail, sms, navigazione sul web. E per evolversi, i call
center hanno bisogno di studiare, preparando responsabili, supervisori, manager.
E' per questo motivo che la Cmmc - Customer Management Multimedia Callcenter,
che associa 130 aziende e 26 società che lavorano nel settore o che hanno un
call center al proprio interno - ha organizzato un grosso workshop che si
conclude oggi all'Olgiata di Roma. Tra loro, Omnitel, Tim e Telecom, Atesia,
H3G, Atento-Telefonica, Banca 121, Seat PG, Enel.it. Un'evoluzione che prevede
per i lavoratori soltanto nuovi carichi di lavoro senza in cambio ottenere tempi
di lavoro e retribuzioni migliori. E non è che già oggi siano messi bene.
Che i lavoratori dei call center siano tra le vittime sacrificali della
precarizzazione e dell'alienazione odierne, non è un mistero. Vivono attaccati
alle loro macchine anche per 6 ore di seguito (reggerne di più è impossibile),
bombardati da un sistema automatico che smista le telefonate: i tempi, dunque,
sono dettati dall'automazione. Nel frattempo, i capi li controllano in modo
pressante, potendo ricostruire, telefonata per telefonata, durata, esito,
modalità delle chiamate. Allo stress psicologico legato a questo sistema, si
aggiunge in molti casi la precarietà contrattuale, che moltiplica a dismisura
il disagio: chi ha dei contratti di collaborazione, ad esempio - e molti
telefonisti sono capifamiglia - è spesso pagato a singola chiamata, tanto che
non può programmarsi nessuna forma di futuro che non sia limitata ai due-tre
mesi successivi. Mutui casa, acquisti di automobili, prestiti dalle banche,
ormai alla portata di qualsiasi cittadino medio, diventano pure utopie. Come la
pensione, la maternità, le ferie retribuite. Di fronte
alla lobby dei call center si profila la nuova coscienza sindacale dei
lavoratori del telefono: in questi ultimi mesi, dalla Atesia di Telecom alla
Atento di Telefonica, dai dipendenti di Blu a quelli della Tim, senza tacere
ovviamente i metalmeccanici di Omnitel, seppure per diversi motivi e partendo da
situazioni contrattuali diverse, i giovani della new economy stanno mostrando di
saper organizzare le proprie proteste.
I padroni sanno distinguere, quando serve loro, tra gli immigrati che creano problemi e quelli che creano profitti, sapendo fare i conti concretamente con i problemi del lavoro e della sua organizzazione in fabbrica e nelle aziende di ogni tipo. Da molte parti del nostro paese si comincia a levare una sorta di grido di dolore da parte degli imprenditori. Ci manca gente per determinate mansioni. Facciamo arrivare più immigrati. Le ultime in questo senso arrivano dalla Cna di Bologna e dalla Confartigianato delle Marche. La Cna chiede che sia data la possibilità agli imprenditori italiani di assumere più facilmente i lavoratori stranieri che hanno frequentato uno stage di formazione professionale. Una altra dichiarazione analoga è stata fatta dalla Confartigianato delle Marche. Il 20% della domanda di lavoro in provincia di Ancona è rivolto agli immigrati e la richiesta supera sempre l'offerta. Il decreto per l'ingresso degli stagionali fissa però dei limiti molto rigidi che non soddisfano le esigenze produttive. E' la differenza tra sovrastruttura e struttura.
Nessuna tregua per i lavoratori elettrici sudcoreani in lotta
da più di otto giorni. Il governo ha ordinato l'arresto di 27 sindacalisti,
leader di questo sciopero a oltranza che è stato proclamata contro le
privatizzazioni di cinque centrali elettriche. Per l'ennesima volta si è rotto
il tavolo delle trattative tra i dirigenti aziendali e i rappresentanti dei
lavoratori della Kepiu, dopo che la compagnia ha ribadito di voler vendere parte
della quote azionarie, che per il 51% sono ancora di proprietà dello stato.
Così i 5.200 lavoratori - su un totale di 5.600 dipendenti - hanno deciso di
continuare il blocco delle centrali che sta provocando da più di una settimana
un black-out parziale della fornitura di energia elettrica. Complessivamente i
lavoratori del settore sono 16 mila.
Quando scoppiò la protesta, otto giorni fa, contro il progetto di
privatizzazioni nella Corea del sud, lo sciopero era stato proclamato da altre
due categorie del settore pubblic, ferrovieri e lavoratori del gas e la paralisi
del paese fu - specie nei trasporti - quasi totale. L'agitazione era stata
indetta dai due più grandi sindacati del paese, la Fkctu e la più combattiva
Kctu, per chiedere sia migliori trattamenti salariali e, soprattutto,
l'accantonamento delle ipotesi di smantellare i servizi pubblici per darli in
mano ai privati. Il governo sudcoreano non ha esitato ad usare la mano forte. Ha
dichiarato lo sciopero illegale e su ordine della corte di Seul ha predisposto
l'arresto di più di cento sindacalisti. Dopo cinque giorni, un accordo è stato
raggiunto tra le parti però solo per il comparto delle ferrovie e quello del
gas. Mentre è rimasta aperta la vertenza degli elettrici, che riguarda la
dismissione di cinque centrali che producono circa 48 milioni di kilovattori di
elettricità al giorno.
Contro questi lavoratori il governo del premio nobel della pace Kim Dae-jung sta
operando con ogni mezzo repressivo: minacce, arresti mirati e il ricorso ai
crumiri per fare funzionare le centrali, per costringere i dipendenti a tornare
al loro posto di lavoro. La polizia è intervenuta per sciogliere il sit-in che
da otto giorni hanno organizzato i leader nei pressi della cattedrale di Seul,
nella centralissima Myongdong. Un sit-in che è diventato luogo-simbolo di
un'agitazione che sta utilizzando tutti le più moderne tecnologie per andare
avanti; non esclusa Internet e la telefonia cellulare.
Una delle lotte più aspre tra governo Blair e sindacati è
quella contro la Private Finance Initiative. Il premier inglese ha definito i
sindacati "disfattisti", "un ostacolo alla modernizzazione"
del sistema sanitario nazionale per la loro opposizione alla svendita ai privati
degli ospedali o di parte dei servizi sanitari. Nei posti di lavoro la lotta
alle privatizzazioni si è tradotta in decine di scioperi e manifestazioni in
tutto il paese. Perché naturalmente vendere al privato non significa per il
pubblico risparmiare, i sindacati denunciano anche altri due aspetti negativi
della privatizzazione: da una parte i servizi sono spesso inferiori (vedi il
caso di Norwich con i posti letto ridotti) se non peggiori, e dall'altra, il
destino dei dipendenti pubblici è tutt'altro che chiaro, una volta consumato il
passaggio di consegne dal Nhs al privato.
La lotta forse più importante (anche per la sua durata nel tempo, dieci mesi di
sciopero) è stata quella dei lavoratori del Dudley Nhs Trust. La storia è la
stessa che si ripete in molte zone del paese: PFI per i servizi sanitari di
Dudley. Il personale ausiliario, sostenuto da Unison (il sindacato del pubblico
impiego) ha cominciato una battaglia durata fino al giugno dell'anno scorso. La
richiesta principale dei dipendenti era semplice: volevano chiarezza sul loro
futuro e chiedevano di rimanere dipendenti pubblici. Dopo un braccio di ferro
durato dieci mesi, i lavoratori hanno finalmente potuto cantare vittoria. Il
ministro della sanità Alan Milburn ha infatti annunciato, poco dopo le elezioni
politiche dello scorso giugno, che gli ausiliari (che si occupano dei servizi di
catering, pulizie, portineria) rimarranno inquadrati come dipendenti pubblici,
anche se lavoreranno presso un ospedale privatizzato. Questo vale, naturalmente,
per tutti gli ausiliari e non solo per quelli di Dudley.
A Londra, uno dei progetti più consistenti di privatizzazione è quello che
riguarda St Bartholomew e il Royal London NHS Trust. Anche qui, diecimila
dipendenti (iscritti a Unison) rischiano il trasferimento in mani private. La
vittoria di Dudley infatti ha un risvolto poco piacevole: il governo ha sì
accettato di considerare dipendenti pubblici gli ausiliari, ma ha
successivamente detto che questa situazione dovrà essere verificata in progetti
pilota (ce ne sono già almeno tre). In altre parole, il governo deve prima
verificare che al consorzio privato vada bene avere sotto di sé dipendenti che
formalmente rimangono sotto il National Health Service. In queste ultime
settimane, il governo sembra aver optato per una nuova inversione di rotta. Una
mossa che non piace a Unison che ha annunciato battaglia. (4 continua)
Migliaia di lavoratori licenziati hanno assediato ieri gli
edifici del gigante statale petrolifero che ha sede a Daqing, nella provincia
nordorientale cinese dell'Heilongjiang. Senza lavoro, non hanno neppure i
sussidi: nessuna copertura sanitaria, niente cassa integrazione, nessuna
pensione. La loro rabbia era già esplosa venerdì scorso, pare con una violenza
assai maggiore rispetto a ieri, quando hanno deciso di protestare ancora,
probabilmente anche in concomitanza con l'apertura a Pechino dei lavori
dell'Assemblea nazionale del popolo, che inizia oggi la sua plenaria annuale.
Un tempo indicata da Mao Zedong come la città industriale modello, Daqing paga
oggi con decine di migliaia di licenziati proprio quel passato di grande centro
petrolifero, insieme a tutto il nord-est cinese squassato dalla ristrutturazione
dell'industria statale che deve oggi rispondere ai nuovi criteri di redditività
e competitività imposti dalle riforme. Secondo le dichiarazioni dei funzionari
della società petrolifera, i lavoratori avevano accettato
"volontariamente" di lasciare il lavoro ricevendo in cambio solo una
sorta di liquidazione complessiva, senza ulteriori garanzie. L'asprezza delle
condizioni di vita ha evidentemente condotto gli operai alla protesta e a
chiedere maggiori coperture.
Il vero, grande problema del governo è il finanziamento delle misure sociali
che dovrebbero "asciugare le lacrime" dei perdenti, esasperati
ulteriormente dall'alto livello di corruzione nella pubblica amministrazione. Un
programma pilota di assistenza sociale è stato varato lo scorso anno nella
provincia nord orientale del Liaoning. Si tratta di un insieme di misure che
cercano di ristabilire una sia pur minima struttura di sostegno finanziario e
sanitario per tutti.
Un analista della Ubs PaineWebber - Chung Wu - aveva raccomandato via e-mail i clienti da lui curati di vendere le azioni Enron all'indomani delle dimissioni di Jeff Skilling; troppo chiari, per lui, i segnali di dissesto finanziario. Kenneth Lay non gradì, e fece "pressione" perché la Ubs si liberasse di questo suo troppo efficiente adviser. E vi riuscì in 24 ore. La seconda notizia riguarda invece i lavori del General accounting office del Congresso, che sta indagando sullo scandalo. Al centro dell'ultima seduta sono stati i legami tra la Enron e la Casa Bianca. Con tanto di prove. Il "sospetto", bisogna ricordare, è che la società texana stesse per ottenere grandi vantaggi dalla politica energetica voluta dalla presidenza, in cambio dei generosi finanziamenti elettorali erogati al ticket repubblicano. La battaglia istituzionale sarà ancora lunga, ma ogni giorno Bush e Cheney devono registrare una sconfitta.
Marconi Communications ha annunciato un ulteriore taglio dei livelli occupazionali in Italia. Sono 300 i nuovi esuberi che si aggiungono ai precedenti 500. In Italia la Marconi ha ridotto la forza lavoro di 800 unità nell'arco di sei mesi: 360 a Genova, 400 a Caserta, il resto sul territorio nazionale. La società giustifica la decisione con la "determinazione a ridurre la propria dipendenza dalla ripresa del mercato, che permane critico, per riportare il gruppo al profitto".
I dipendenti di Blu, scesi in piazza l'1 marzo scorso a Roma contro i licenziamenti, dovranno ancora aspettare. Il consiglio d'amministrazione della società ha rinviato le decisioni sulla cessione dell'azienda al prossimo 20 marzo, affermando di muoversi "nell'ottica complessiva del mantenimento dell'integrità aziendale". Niente "spezzatino" insomma? Vari operatori si sono già fatti avanti per "smembrarne" i diversi asset, e ultimamente uno scambio di battute a distanza sull'esistenza o meno di uno straniero a trattare l'acquisto, affermata dall'azionista Gaetano Caltagirone e negata dal ministro delle telecomunicazioni Gasparri, ha solo contribuito a diffondere confusione tra i dipendenti. E intanto un centinaio di loro, tutti contratti di formazione lavoro, hanno già perso il posto, e altre decine rischiano di perderlo nelle prossime settimane se non verrà trovata una soluzione coerente.
Il gruppo britannico Charter ha riferito di aver licenziato 550 dipendenti nel 2001 e annuncia che nei prossimi mesi ridurrà la forza lavoro di altre 100 unità. Le riduzioni di personale, pari al 3,5% della forza lavoro, sono state compiute negli stabilimenti esistenti in Australia, Argentina, Italia, Canada, Olanda e Gran Bretagna.
Secondo una indagine della Camera di Commercio a Milano le donne guadagnano la metà rispetto ai colleghi uomini: il reddito medio è, in proporzione a quello maschile, del 54%. La percentuale è inferiore a quella della Lombardia (60%) e dell'Italia nel suo complesso (62%). Nel capoluogo lombardo 5 anni fa il reddito femminile era il 57% di quello maschile, mentre in Lombardia e in Italia la quota è rimasta sostanzialmente invariata. Nel complesso Milano diventa comunque sempre più ricca, con un reddito individuale medio di 34 milioni contro un valore di 25 milioni in Lombardia e 22 milioni a livello nazionale.
Da cinque mesi lavorava saltuariamente come muratore a Modena, attività che non gli garantiva un reddito tale da poter mantenere la famiglia: per questa ragione un uomo di 48 anni si è suicidato ieri mattina a Foggia, impiccandosi a un albero nei pressi della propria abitazione. Le ragioni del suicidio, l'uomo le ha scritte su un bigliettino. Il muratore, che lascia moglie e tre figli, si era licenziato da una cooperativa sociale di Foggia ed era emigrato a Modena dove aveva trovato occupazioni saltuarie. Lo stipendio non bastava però a garantire tranquillità economica alla famiglia; stanco della precarietà e dei continui viaggi cui si sottoponeva per potere lavorare, l'uomo ha quindi deciso di uccidersi.
Continuano a fioccare le prove che il sistema pensionistico
italiano - che nelle ultime tre "riforme" in 10 anni ha ridotto
abbastanza nettamente le prestazioni - tutto sommato "tiene". E,
quindi, che gli allarmi quotidianamente lanciati dalla Ue, dal Fmi e dalla
Confindustria hanno tutt'altre ragioni o finalità.
Una ricerca della Cgia (associazione artigiani e piccole imprese) di Mestre,
condotta sul periodo 1995-2000, rivela come la quantità delle pensioni erogate
sia aumentata di appena 17.000 unità sull'intero territorio nazionale. E come,
al contrario, il numero degli occupati sia salito (quasi un milione in più). Il
risultato è perciò che il tasso di attività della popolazione italiana (il
rapporto tra quanti lavorano e la popolazione complessiva) sia decisamente
migliorato: + 4,6% a livello nazionale. I dati disaggregati per regione
consentono inoltre di dire che solo in Calabria, nello stesso periodo, la
situazione è peggiorata. E che solo in due regioni - Molise e Calabria - il
numero degli occupati resta inferiore a quello degli "inattivi" a
carico della collettività.
L'obiettivo finale del governo di destra è la riduzione dei
contributi previdenziali (con effetti devastanti sull'Inps), ulteriore
indebolimento della pensione pubblica e cancellazione del Tfr. Il lavoratore -
se passasse la riforma Maroni - sarebbe privato della facoltà di disporre della
propria liquidazione e avrebbe solo il contentino di poter "scegliere"
a quale Fondo destinare i suoi soldi.
Le due precedenti riforme delle pensioni (Amato e Dini) hanno già ridotto il
grado di copertura della pensione stessa. Per capire i fondi pensione, bisogna
prima di tutto rispondere alle domande più frequenti. E' vero che nessuno
potrà mai dare la sicurezza dei rendimenti? E' vero che un lavoratore potrebbe
rischiare perfino di non recuperare i soldi che ha versato?
"Noi siamo contro la delega del governo Berlusconi - spiega Beniamino
Lapadula della Cgil nazionale - proprio perché impone l'obbligo della cessione
del Tfr. Siamo sempre stati a favore della scelta libera. Ma abbiamo lavorato
per costruire i fondi di categoria come sistema di integrazione della pensione
pubblica e con precise caratteristiche di salvaguardia". Lapadula spiega
che i fondi pensione "negoziali" ovvero quelli di categoria sono stati
pensati come difesa del valore solidaristico (è una forma di risparmio
collettivo che dà una forza maggiore rispetto al risparmio individuale),
insieme al valore della contrattazione nazionale e al basso costo della gestione
finanziaria, cosa che non si può avere con un risparmio affidato alle banche,
alle assicurazioni o alle Sgr.
Ma anche i fondi negoziali dei sindacati sono basati su forme di investimento
finanziario e che quindi hanno un rischio insito. Dipende sempre dal momento in
cui si "esce". Se un lavoratore che ha risparmiato negli anni dovesse
uscire in un momento di crollo delle borse sarebbe ovviamente penalizzato. Si
sta studiando però un sistema di protezione che consiste nel ridurre
progressivamente l'esposizione finanziaria e la volatilità man mano che ci si
avvicina al momento della pensione. "Per i fondi chiusi - ci spiega un
operatore di una Sgr - non potrà comunque mai capitare un caso alla Enron
perché i fondi non sono mai basati solo sulle azioni di una singola
società". La garanzia di base starebbe proprio nel modello della
diversificazione degli investimenti, nel controllo e nel modello della
tripartizione dei poteri. "Un fondo negoziale - ci dice ancora l'operatore
- ha infatti un gestore finanziario scellto con gare pubbliche, un service
amministrativo (che gestisce i versamenti) e una banca depositaria". Tutte
le attività e le scelte di un fondo chiuso sono sottoposte al controllo
permanente della Covip (commissione di vigilanza sui fondi pensione). Se un
fondo avesse voluto fare scelte a rischio come quelle della Enron, la Covip
sarebbe intervenuta molto prima del disastro. Ma questa è più che altro una
"ipotesi", forse anche una pia intenzione.
Le scelte dei singoli fondi sono comunque molto diverse tra loro. Basta
analizzare i dati della Covip sui rendimenti dei fondi chiusi per scoprire che
ce ne sono di più "aggressivi" dal punto di vista finanziario e di
più tranquilli. I metalmeccanici di Cometa, per esempio, hanno operato scelte
più prudenti del fondo dei chimici. Diversi anche i gradi di rendimento medio
tra fondi chiusi e fondi aperti. Nella relazione del 2000, la Covip stimava un
rendimento medio del 3,6% dei fondi sindacali e un rendimento del 2,9% per
quelli aperti. Alla fine del 2001 gli iscritti ai fondi aperti (nella maggior
parte lavoratori autonomi) erano 285 mila. Ai fondi di categoria erano invece
iscritti 1.013.320 lavoratori. Ma il bacino potenziale degli aderenti ai fondi
chiusi è di circa 9 milioni di lavoratori dipendenti e circa 4 milioni di
lavoratori autonomi.
Continuano i blocchi stradali attorno a Gela. Proprio sotto le
ciminiere ormai spente, lungo la statale per Vittoria, c'è uno dei cinque
blocchi stradali degli operai in lotta contro il sequestro dell'impianto. Gli
altri quattro sono sparsi in altrettanti punti chiave della città da tre giorni
isolata dal resto della Sicilia, quindi sulla superstrada per Catania, in quella
per Agrigento e nelle arterie per Butera e Mazzarino. I lavoratori ricordano che
questo è un blocco civile, che non è vero che impediscono il passaggio alle
ambulanze. I giornali gettano fango su questa lotta, ma la ragione non è
perchè gli operai sono contro l'ambiente, è solo perchè la stampa si schiera
comunque con il padrone.
Il clima è arroventato e rispecchia la tensione che si respira in città. I
blocchi stradali, che da domenica tengono Gela prigioniera di se stessa, da ieri
sono in effetti meno rigidi dei primi giorni. La protesta dei contadini, che
l'altra sera si sono rivolti ai carabinieri per poter portare i loro prodotti
nei mercati provinciali, ha indotto gli operai ad allentare la morsa, ma non la
presa. Si attende quello che accadrà a Roma nell'incontro tra il presidente
della Regione Siciliana Cuffaro e i ministri dell'ambiente Matteoli,
dell'interno Scajola e delle attività produttive Marzano. L'oggetto
dell'incontro, che potrebbe essere decisivo, è il decreto che salva Pet Coke,
il residuo delle lavorazioni petrolifere che l'Agip utilizza come combustibile
violando le normative ambientali e sullo smaltimento dei rifiuti industriali.
Il petrolchimico non è una pineta, dicono i lavoratori, ma è sotto i limiti di
legge. Cosa accadrà se domani non avrete il decreto dal governo? "Se oggi
siamo civili, domani diventeremo talebani", taglia corto un giovane operaio
con il volto bruciato dal sole. "Siamo disposti a tutto per difendere il
nostro lavoro, il pane delle nostre famiglie _ aggiunge un altro _. La nostra
lotta non riguarda solo gli operai dello stabilimento, ma tutta la città,
perché senza petrolchimico Gela non ha futuro".
Tutta Gela è solidale con le loro rivendicazioni.
Alla Fiat di Pomigliano d'Arco ci sono in azione un po' tutte
le forme contrattuali che solo fino a qualche mese fa venivano chiamate
"atipiche", ma che il governo attuale vorrebbe tanto far diventare
"normali". Interinali, a termine, in formazione-lavoro. Ma anche la
fabbrica non è più terreno operativo di un'unica società. La Fiat ha "terziarizzato"
un sacco di segmenti produttivi, affidandoli a società formalmente autonome. Il
caos societario e contrattuale - come anche il meno brillante dei marcatempi
poteva prevedere - si va traducendo in caos organizzativo e ragazzi che corrono
avanti e indietro come forsennati. Ieri mattina, alle 6 e 20, in mezzo a tanto
correre, c'è alla fine scappato il morto. Un ragazzo poco
più che ventenne, assunto in "formazione-lavoro" come carrellista
dalla Logint - la società "terza" che fornisce la movimentazione di
materiali e la logistica all'interno dello stabilimento - ha investito con il
suo pesante mezzo Antonio D'Amico, operaio di 57 anni, padre di tre figli,
residente nelle provincia di Napoli. L'uomo è stato spinto a vari metri di
distanza, ed è rimnmasto colpito alla testa. I soccorsi sono stati immediati, e
l'operaio è stato caricato su un'ambulanza che è corsa in direzione
dell'ospedale San Giovanni Bosco di Napoli.
L'incidente mortale è avvenuto all'interno dell'area dello stabilimento dove
opera la Stola Sud, altra azienda terziarizzata che produce parti mobili in
lastroferratura (cofani, portiere, ecc). E qui si può vedere chiaramente cos'è
diventata la fabbrica automobilistica nel corso di questi anni: parti
fondamentali del prodotto finale - e non solo gli specchietti retrovisori della
Ficomirrors - non sono più "roba Fiat", ma sono subappaltate a
mini-imprese nate per gemmazione dalla casa-madre. In queste imprese, dice la
Fiom r gli altri sindacati, i contratti "atipici" sono la regola, il
potere contrattuale dei lavoratori è bassissimo e l'ordine quotidiano è
"correre!". Alla faccia della qualità e della sicurezza. Nel
comunicato emesso dalle Rsu aziendali si dice che "il principale colpevole
è il contesto in cui si svolge l'attività lavorativa, le condizioni e i ritmi
di lavoro degli addetti, che sembrano tutti impegnati in una corsa ad ostacoli
contro il tempo".
La risposta della fabbrica è stata un'ora di sciopero su ogni turno, sia nel
"ramo Fiat" dello stabilimento che in tutte le altre aziende
collegate. Un corteo interno, cui hanno partecipato anche i giovani - qualli che
più soffrono la condizione precaria e i rischi ad essa connessa - ha
attraversato l'impianto. Le Rsu hanno anche chiesto un incontro urgente con la
direzione Fiat, che sulle prime ha provato a trincerarsi dietro una sorta di
"che c'entriamo noi?", come se l'organizzazione del lavoro e la
sicurezza dello stabilimento non dipendessero dalla casa-madre, ma dalle singole
società "terze".
Ora è ufficiale: l'Agip Petroli può inquinare Gela per legge. Il Pet Coke non è più un rifiuto industriale. Lo sanno tutti che non è così, ma il governo gli ha cambiato i connotati, classificandolo come combustibile, utilizzabile quindi per alimentare il petrolchimico fuorilegge. Il decreto, approvato da Palazzo Chigi mentre la città - tutta la città di Gela - scioperava contro il sequestro della raffineria, è un duro colpo ai sigilli della magistratura. Lo voleva l'Eni, lo chiedevano i sindacati, lo invocavano i lavoratori. A Gela ora è finito un incubo. Un incubo cominciato il mese scorso, quando i magistrati sono entrati nell'impianto dell'Eni e ravvisato un "reiterato comportamento criminoso" relativamente alle norme sulla tutela dell'ambiente e sullo smaltimento dei rifiuti industriali. I gelesi adesso respirano. Respirano veleno, come fanno da quarantanni, ma hanno salvato il posto di lavoro a tremila operai, l'economia di mezza città. Quanto durerà è tutto da vedere.
Le parole degli scioperi non si fermano, e si fanno più fitte
al Sud. Oggi a Napoli, partono gli scioperi nelle fabbriche del Porto, nella
zona nord, e sciopera l'Alenia di Fusaro, a chiudere una sequenza settimanale di
fermate indette unitariamente dalle Rsu, già segnata dai successi, dalla grande
manifestazione di mercoledì nella zona orientale della città: qui i delegati
hanno chiamato insieme allo sciopero, alla Whirlpool, alla Ansaldo, alla
Magnaghi e in altre aziende minori. Uno sciopero di due ore riuscito al 100%,
quasi 3800 i lavoratori coinvolti, di cui ben 3000 sono usciti in corteo, fin
sui binari della stazione, per "sensibilizzare i viaggiatori sull'art.18,
la previdenza, il fisco", insomma gli attentati "ai diritti"
nelle deleghe di Berlusconi. Ma al sud si finisce in corteo anche in modo meno
previsto. Nei giorni scorsi, alla Fiat di Melfi, una assemblea convocata dalla
Fim sui regimi di orario, in cui arrivano i delegati Fiom, e tra i due gruppi
sindacali non è che ci sia identità di vedute sugli "orari", ma sono
i lavoratori a produrre una propria unità, decidendo di sfociare dall'assemblea
in un corteo, sui "noti temi" caldi dei licenziamenti.
Nelle Marche, dove la Fiom ha proposto scioperati articolati fabbrica per
fabbrica, "fino al 23 marzo", si susseguono le fermate, aperte anche
qui da un corteo per le vie di Ancona mercoledì: in sciopero i lavoratori della
Fincantieri e dei cantieri minori e delle ditte d'appalto, che in corteo si sono
fermati alla stazione e poi in uno degli incroci nevralgici della città con
sit-in e comizio per "comunicare con la città sulle libertà e i
diritti".
Oggi a Livorno, Fim, Fiom, Uilm, scioperi indetti unitariamente dai tre
sindacati, che in un documento chiedono "alle strutture nazionali" di
fare "tutti gli sforzi per compattare il movimento unitario contro le
pretese della Confindustria e del governo". E in Emilia Romagna, dove la
Cgil ha indetto 4 ore di sciopero per tutte le categorie e territori, domani una
manifestazione regionale si concentra a Parma contro la Bossi- Fini, per i
diritti dei migranti. La Cgil di Imperia al Festival di San Remo prosegue con
iniziative e volantini creativi; non da meno quelli della Fiom di Sesto San
Giovanni: "Diritti a Roma".
Domani in tutt'Italia la Cisl articola mobilitazioni "a sostegno della
trattativa" e contro le modifiche all'art.18. La Fim del Triveneto, sceglie
invece di proclamare sciopero in Veneto, trentino e Friuli.
Una lettera di un rappresentante sindacale a "Il manifesto" mette a nudo un meccanismo da rapina
Caro manifesto,
è facile dimostrare, conti alla mano, che se una parte del tfr fosse
semplicemente devoluta all'INPS si potrebbero centrare i seguenti obiettivi:
1) salvaguardare il principio della pensione pubblica;
2) mantenere l'attuale grado di copertura della stessa;
3) garantire anche nel futuro la continuità di erogazione e la buona salute
dell'INPS;
4) continuare a percepire la buonuscita, anche se ridotta.
Invece gli scopi che si vogliono perseguire nel medio periodo costringendo i lavoratori a mettere i loro tfr nelle tasche del capitale finanziario sono i seguenti:
1) abbassare gradatamente il grado di copertura della pensione
pubblica;
2) trasformare il "diritto" alla pensione in un "prodotto"
finanziario che il lavoratore deve acquistare, assumendosi tutti i rischi del
mercato;
3) trasferire coercitivamente migliaia di miliardi ogni anno nelle casse delle
banche e delle assicurazioni private;
4) abbassare i salari e le pensioni;
5) costringere i lavoratori a sostenere con i loro soldi le politiche
antisociali e colonialistiche - compresi i traffici di armi e l'aggressione ai
paesi in via di sviluppo - che le multinazionali e le banche attuano ogni
giorno.
Il recente fallimento Enron e la crisi dei fondi Calsper, che
hanno defraudato della loro pensione decine di migliaia di lavoratori americani,
dimostrano qual è il meccanismo in cui saranno costretti a entrare i
lavoratori, obbligati per legge ad avere il privilegio di condividere le perdite
del capitale finanziario senza avere il diritto di condividerne i profitti.
Rimane consegnata alla storia l'enorme responsabilità del nostro
centrosinistra, incapace culturalmente e politicamente di costruire possibilità
diverse da quelle indicate dai postulati neoliberisti, e sempre pronto - si
tratti di fondi pensione o di sistema maggioritario - a parlare inglese senza
saper guardare né al nostro passato né al domani.
Ma grande è anche la responsabilità dei sindacati confederali, che proprio
recentemente (ipotesi di accordo del 4 febbraio u.s., punto n.9) chiedono lo
smobilizzo del tfr anche nel settore pubblico, fornendo alibi e forza al
progetto berlusconiano che mira a impoverire lo stato, mettere in crisi l'INPS e
favorire l'ingresso di "soggetti privati" (cioè Berlusconi, Moratti,
Agnelli e altri) nel mercato delle pensioni.
Carlo D'Adamo
(delegato Cobas rsu ISIS "Archimede" - S. Giovanni in Persiceto)
Secondo l'Inail e l'Anmil, nel 2001 oltre 221 mila lavoratrici
hanno subito un incidente, il 2% in più rispetto al 2000. Gli infortuni mortali
sono stati 107, in crescita dell'8%. Aumento, quello degli infortuni, meno
sostenuto rispetto a quello dell'occupazione femminile (+3,8%), ma non per
questo meno preoccupante.
Si fa ancora poco per garantire la sicurezza sul lavoro, e l'attuale governo si
prepara a smantellare la già scarna legge 626/94 senza offrire un progetto
alternativo.
E se le donne dimostrano di essere in generale più attente degli uomini verso
la sicurezza (nel 2001, rispetto a una percentuale di lavoro femminile pari a
circa il 30% della forza lavoro, gli infortuni delle lavoratrici rappresentano
una quota inferiore al 20% del totale), è anche vero che in vari settori
l'aumento degli infortuni femminili ha superato nel 2001 quello di uomini e
donne insieme. Nell'industria e nei servizi gli infortuni di uomini e donne
diminuiscono dello 0,9%, ma quelli delle sole donne sono aumentati del 3,1%;
così, se per uomini e donne le morti sono aumentate del 2,7%, per le donne sono
cresciute addirittura del 16,7%, Insomma, è l'uomo ad abbassare quelle medie,
ma guardando solo al dato femminile l'aumento è davvero preoccupante.
Nella sola Lombardia, ad esempio, gli infortuni delle donne sono aumentati
addirittura del 13% dal `99 al 2000. Tra le cause degli infortuni delle donne
c'è sicuramente il lavoro interinale. Esso presuppone, infatti, una minor
formazione, oltre ad implicare un minore impegno in chi sa che cambierà presto
attività e quindi un abbassamento della soglia di attenzione. Tra le altre
cause, c'è anche il numero di ore lavorative in costante aumento e una scarsa
prevenzione, perché le imprese considerano la spesa per la sicurezza come un
costo aggiuntivo da ridurre.
Ma il lavoro è anche carriera. Le donne come sono messe rispetto agli uomini?
Una ricerca dell'Eurispes dice che sono ancora pesantemente svantaggiate,
soprattutto quando si guarda ai ruoli dirigenziali. A dispetto della diminuzione
del tasso di disoccupazione che le vede surclassare gli uomini (-1,7% dal `95 al
2000 per le donne, -0.9% per gli uomini), solo lo 0,9% delle lavoratrici
dipendenti riveste un ruolo da dirigente, contro il 2,1% degli uomini. Secondo
la Confcommercio, infine, dal '93 al 2000 il lavoro femminile ha contribuito per
il 96% alla crescita occupazionale totale. Le donne sono oggi il 45% dei
lavoratori con laurea o specializzazione (nel `93 erano il 39,5%), e tra gli
impiegati ormai la maggioranza è donna (il 52%).
"Oggi si sono presentate due signore sedicenti 'sindacaliste' ed asserendo di averci comunicato via fax di aver indetto un'assemblea retribuita nei nostri locali. Ovviamente sono state mandate via". Esordisce così la lettera di Filippo Guerra, titolare dell'azienda metalmeccanica Siti spa di Monteveglio, in provincia di Bologna, indirizzata il 4 marzo alla Fiom-Cgil e per conoscenza "alla Uilm di Bologna, agli on. Berlusconi, Maroni, Bossi". Ieri mattina all'alba, un gruppo di "sedicenti sindacaliste della Fiom e della Cgil di Bologna", cariche di mimose, occupavano l'area davanti alla fabbrica per scambiare "due parole sull'accaduto" con le donne e gli uomini che lavorano alla Siti, e due righe scritte da dedicare a padron Guerra, a cominciare da "pensi, siamo qui senza magistratura o carabinieri...".
Il titolare della Siti spa, annunciando ai dirigenti della
Fiom che non riscuoterà più le quote per le tessere sindacali, così conclude
la sua missiva: d'ora in avanti "le tessere ai vostri iscritti gliele
dovrete mandare a casa...Al riguardo ci ritorna in mente che nel famoso
ventennio era stata istituita la 'tessera del pane' e vi invitiamo a coglierne
il nesso". Una fascinazione, quel "ventennio", per il sig.
Guerra, tale da suggerirgli il nesso finale: "P.S. Per tornare in Siti
d'ora in poi dovrete presentarvi con l'ordinanza di un magistrato e se del caso
accompagnati dai carabinieri".
La Siti chiarisce anche che le assemblee "dovranno essere tenute fuori
dallo stabilimento in caso di partecipanti non graditi all'azienda, quali per
l'appunto i soggetti 'esterni' rappresentanti, o meglio, agenti di qualsiasi
sindacato".
E' inesauribile di trovate, la lettera di padron Guerra. Il nocciolo è chiaro:
"non faremo più gli esattori per associazioni che, nascondendo i loro veri
obiettivi dietro lo Statuto dei lavoratori fanno l'impossibile per affossare le
aziende e invitano i lavoratori a occupare piazze...aeroporti...".
La Fiom va diretta al nocciolo: "continueremo la nostra battaglia a difesa
dell'articolo 18, proviamo a immaginare cosa succederebbe in questa azienda se
non ci fosse tutela dai licenziamenti individuali illegittimi" - reagisce
dalla segreteria bolognese Ivana Sandoni. (E gli scioperi che anche ieri hanno
costellato l'Italia, dalla Fiat Sevel alle fabbriche marchigiane, indetti da
delegati, dalla Fiom, e da Fim e Uilm, hanno il suono di democratiche ridenti
promesse).
Oltre 100 dipendenti del call center palermitano dell'azienda di telecomunicazioni, hanno manifestato ieri davanti al Teatro Biondo di Palermo, dove la Cgil festeggiava l'8 marzo. Un cartello con una croce nera e la scritta Blu, manifesti funebri in cui si dava "il triste annuncio dell'imminente scomparsa di 2000 posti di lavoro" (quelli che potrebbero sparire in tutta Italia se l'assemblea del 20 marzo prossimo dovesse decidere la liquidazione della società), a Palermo rischiano di perdere il lavoro circa 600 giovani, quasi tutti con contratti di formazione lavoro. Sul fronte delle voci sul possibile acquirente salva-Blu, intanto, si parla sempre più insistentemente di Tim, che poi dovrebbe a sua volta rivendere parte degli asset per questioni di concorrenza. L'amministratore delegato di Tim, Marco De Benedetti, però ha ribadito che finora "non c'è niente di deciso".
Il coordinamento nazionale di Fim, Fiom e Uilm del gruppo Fincantieri ha esaminato lo stato di applicazione dell'accordo di gruppo del 28 ottobre 2000 e ha affrontato il tema della privatizzazione dell'azienda. I sindacati si sono detti "contrari a qualsiasi ipotesi di smembramento o vendite frazionate di singoli cantieri, o la separazione tra cantieri civili e militari, perché lo spezzatino di Fincantieri provocherebbe la messa a rischio dell'attuale configurazione produttiva del gruppo stesso".
Troppe mimose possono essere soporifere, e le 500 pulitrici
delle ditte Vega, Polignano e Bolognini di Taranto non possono certo permettersi
il lusso di dormire. Il loro 8 marzo è stato un giorno di lotta, per difendere
il proprio posto di lavoro. Un'assemblea nella scuola Acanfora, una delle sedi
in cui si affaticano per 18 o 24 ore a settimana per portare a casa al massimo
750 mila lire al mese.
Le donne - tra di loro c'è anche una minoranza di colleghi uomini - rischiano
di rimanere senza lavoro dal prossimo giugno, quando scadrà l'ennesima proroga
dei contratti di appalto per la pulizia di diverse scuole della provincia
pugliese. Contratti attualmente attivati dal ministero della pubblica
istruzione, ma che, grazie all'autonomia scolastica, da giugno passeranno ai
singoli istituti. Le lavoratrici verranno dunque licenziate, dovranno attendere
qualche mese in attesa dei rinnovi e poi chissà quante di loro e a quali
condizioni (peggio delle attuali è possibile?) verranno riassunte. Già oggi, a
parte il magrissimo stipendio e monte ore lavorativo, non vengono pagate durante
le vacanze estive, a Natale, a Pasqua, insomma quando tutti i dipendenti
"garantiti" hanno diritto alle ferie retribuite.
"Con la lotta che simbolicamente ricomincia proprio l'8 marzo - spiega
Margherita Calderazzi, dello Slai Cobas - le lavoratrici vogliono uscire dalla
precarietà selvaggia cui sono costrette da molti anni a questa parte. Avanziamo
una richiesta precisa alle autorità, al ministero innanzitutto. Già tre mesi
prima della scadenza di giugno bisogna scrivere dei precisi regolamenti
attuativi in base ai quali dovranno essere bandite le nuove gare. E' necessario
che tutte le lavoratrici abbiano una base di certezza e di continuità da questi
contratti: una durata di 5 anni senza sospensioni, e almeno 30 ore a settimana.
Sono le condizioni minime di dignità per donne che portano avanti anche intere
famiglie, dovendosi spesso sobbarcare altre ore di pulizie extra presso i
privati".
Le donne di Taranto sono decise a proseguire la loro lotta: già nell'autunno
scorso, dopo il licenziamento di 127 di loro, quelle che non si sono arrese
hanno avuto la meglio e ottenuto di nuovo il proprio posto.
Il prossimo 15 marzo le pulitrici manifesteranno davanti alla prefettura di
Taranto, per spingere le autorità - il governo soprattutto - a dare una
risposta chiara al proprio bisogno di certezze. E si augurano anche che le
scuole della provincia, consorziandosi insieme e bandendo delle gare serie,
diano a loro volta un senso positivo alla autonomia che hanno di recente
acquistato.
Nelle assemblee unitarie delle più grosse fabbriche metalmeccaniche molti
lavoratori ammonivano i sindacati a riportare la discussione che li divide
"dalle pagine dei giornali ai luoghi di lavoro". La Fim di Brescia si
unisce allo sciopero di 4 ore in provincia.
Gli scioperi si addensano in questa settimana in tutte le regioni, fino alla
manifestazione nazionale del 23.
In Veneto, "contro la svolta involutiva che il governo tenta di imprimere
alla società italiana", c'è stato di nuovo sciopero a Marghera. Più di
mille lavoratori degli appalti e dei subappalti dell'Agip sono scesi per le
strade ieri mattinae nel pomeriggio si è proseguito con l'assemblea sciopero
dei chimici nel capannone del Petrolchimico. E in Fincantieri ripartono gli
scioperi metalmeccanici.
Centomila fazzoletti bianchi contro il disegno di legge di riforma degli organi collegiali. E' stato un altro successo andato oltre le migliori previsioni, l'iniziativa lanciata la scorsa settimane da quattro riviste scolastiche on-line - Fuoriregistro, Didaweb, Educazione&Scuola e Proteofaresapere - che avevano invitato i docenti a rendere evidente la loro contrarietà al disegno di legge proprio in concomitanza con la discussione in Aula del provvedimento, anche se l'esame del testo dovrebbe slittare alla prossima settimana.
"Il disegno di legge prevede una feudale commistione di poteri - spiega il documento che ha lanciato l'iniziativa di ieri - Il dirigente scolastico sarà contemporaneamente organo di controllo, indirizzo ed esecutivo; i docenti da paritetici diventeranno minoranza nel consiglio scolastico; il personale Ata (tecnici e amministrativi, ndr) non sarà più presente nel consiglio; saranno aboliti i consigli di classe; saranno liquidate le assemblee per genitori e studenti e verrà cancellato il comitato di valutazione come emanazione del collegio docenti". Oltre a questo, proseguono gli organizzatori "sarà istituito un nucleo di valutazione - in cui la presenza dei docenti è minoritaria e schiacciata tra un genitore garante ed un non ben definito esperto - che dovrà, tra l'altro, confermare l'aassunzione definitiva del personale della scuola". Un modello che "stravolge i principi basilari della democrazia nella scuola, principi che dovrebbero fondarsi sulla separazione dei poteri, rappresenta l'umiliazione dell'autonomia professionale e prefigura forme di reclutamento che, negando le competenze professionali, mettono in serio dubbio le garanzie costituzionali sulla libertà d'insegnamento". In occasione del dibattito parlamentare Cgil, Cisl e Uil annunciano picchetti unitari di protesta.
Francesca Furfaro, segretario nazionale della Falcri, uno dei sette
sindacalisti che firma i contratti nazionali di lavoro - la settimana scorsa
aveva firmato la parte economica del rinnovo attualmente in corso - è stata
licenziata dalla Carime (Cassa di risparmio del Mezzogiorno). La Falcri è un
sindacato autonomo che conta 25.000 iscritti, e in quanto tale ammesso a tutti i
tavoli negoziali. La motivazione del licenziamento viene definita da tutti i
sindacati "grottesca e inconsistente", e comunque è "senza
precedenti nella storia del sindacato del credito". In pratica la Furfaro
è stata licenziata per aver commentato pubblicamente i risultati di una
indagine commissionata dalla banca stessa sul grado di commercializzazione dei
prodotti finanziari della banca (che però continuava a offrire ai clienti i
prodotti di Banca Intesa) e sulla scarsa soddisfazione dei clienti. I risultati
della ricerca erano stati diffusi in teleconferenza (tutt'altro che segreti,
insomma), ma il commento pubblico ha fatto egualmente scattare il licenziamento
per la Furfaro, "venuta meno al dovere di diligenza e fedeltà".
Numerose iniziative - legali e sindacali - sono in questo momento allo studio
per costringere la Carime a ritirare il provvedimento.
Un operaio genovese di 57 anni, Sergio Bellini, è morto cadendo dall'impalcatura che aveva appena finito di montare nella centrale Via Assarotti. L'incidente è avvenuto poco prima della pausa pranzo del pomeriggio di ieri. L'uomo è scivolato e ha fatto un volo di una decina di metri. Trasportato all'ospedale, è morto durante il tragitto a seguito delle ferite riportate al capo. L'operaio non indossava il casco, né era assicurato a funi.
La dirigenza della Galbani, che rimarrà immutata nel passaggio dalla francese Danone alla nuova proprietà - i fondi inglesi Bc Partners -, ha rassicurato i sindacati sul mantenimento del piano industriale e commerciale presentato già nell'estate del 2001, aggiungendo che non verranno operate ristrutturazioni né ridimensionamento di organici (i dipendenti sono circa 4.200). I sindacati restano comunque perplessi e hanno chiesto una serie d'incontri (il primo il 4 aprile prossimo) per analizzare il piano industriale. Inoltre, è stato deciso il blocco degli straordinari e della flessibilità e sono state proclamate 4 ore di sciopero per il prossimo 22 marzo, in merito al premio di partecipazione del 2001: poco più di cento euro che l'azienda dice di aver già erogato sotto forma di anticipo, mentre per i sindacati deve essere ancora versata.
"Temiamo di più di non fare nulla", dice il governo, per bocca di
Maurizio Sacconi sottosegretario del ministro Maroni. Prosegue il presidente
della Confindustria Antonio D'Amato: "Avere il consenso e non fare le
riforme può essere letale: questa è una partita in cui bisogna essere
coraggiosi". E non manca, D'Amato, di rivangare quegli "ultimi 10-15
anni" in cui "l'incapacità di fare riforme" ha prodotto tanti
danni alla "competitività del Paese...". Agli uomini di Berlusconi
interessano gli ultimi "5 anni", loro non faranno come gli incerti e
inetti Amato e d'Alema, sbalzati di sella per titubanza.
Questa è la linea prevalsa, dopo tutta la ridda di ipotesi, le cosiddette
"mediazioni" sulle modifiche all'art.18 già introdotte nella delega
sul mercato del lavoro, fatte balenare in una serie estenuante di incontri alla
Cisl e alla Uil, i sindacati che Maroni, e anche Fini, coccolavano come parti
sociali "ragionevoli". D'altra parte, i temuti raduni di piazza, e lo
sciopero generale, proclamati da tempo dalla Cgil, sono così vicini da rendere
difficile una ricetta in extremis che metta al riparo il governo dalla
fastidiosa manifestazione di "dissenso degli italiani".
"Vogliono imporci zero diritti, zero regole, zero libertà.
Fermiamoli!", dice lo striscione sul palco. Ugo Verzeletti, delegato all'Iveco:
"Stiamo solo scaldando i muscoli, perché questa roba qui non finirà il 5
aprile. Un punto l'abbiamo segnato, ci sono le condizioni per passare
all'attacco, per estendere l'articolo 18 a chi non ce l'ha".
Lo sciopero è stato un successo. Alla conceria Abip di Torbole per la prima
volta tutti i pakistani sono usciti in massa. Alla Federalmobil di Desenzano il
problema dell'unità è stato risolto alla radice: "la Fim aveva solo 8
iscritti e da qualche settimana sono passati alla Fiom". Alla Cobo di Leno
"non è entrato nessuno, il picchetto l'abbiamo fatto con quelli della
Fim". All'Inse cilindri sono entrati solo quelli in contratto di
formazione. Alla Metalwork di Concesio, 300 dipendenti, si contano sulle dita di
una mano quelli che hanno scioperato. "Egoismo, egoismo allo stato
puro", commenta un operaio, "non pensano ai figli e a quelli che
l'articolo 18 non ce l'hanno". Paola, anche lei della Metalwork, soffia la
sua rabbia nel fischietto: "Ci stiamo carburando per il 23 a Roma. Non ci
credo che si sono presi paura e faranno marcia indietro. Finché ci sarà questo
governo di padroni, non avremo vinto niente".
La spiegazione che Mohammed El Malawany, operaio alla Cf Gomma, dà del suo
primo sciopero: "Lo faccio per i cittadini italiani di domani, perché non
c'è giustizia se si lavora con una pistola puntata alla testa. Certo che a Roma
ci andrò. Per fare qualcosa per l'Italia che ha fatto qualcosa per me".
Non sono tantissimi, o forse non si dichiarano, quelli che hanno votato a
destra. Uno lo troviamo, un operaio dell'accieria Ori Marti. Ha votato per Fini
e si è pentito. "La prossima volta il voto lo darò a Bertinotti, l'unico
che pensa agli operai. Gli altri ci pensano quando è troppo tardi. Se continua
così, ci fanno regredire a terzo mondo". Problemi a sfilare in corteo con
quelli che vengono da lì? "Nessuno. Io non ce l'ho con gli immigrati...
purché lavorino".
A fronte di una gestione della sanità tutt'altro che lusinghiera (5 anni di
controriforma hanno già prodotto un deficit di 6.500 miliardi di lire), la
giunta di Formigoni approva il nuovo piano socio sanitario della Lombardia. Il
concetto chiave - la salute in quanto merce si pagherà e i privati passeranno
all'incasso - è bene impresso nelle menti dei mille lavoratori della sanità
che hanno circondato il Pirellone con un presidio/girotondo targato Cgil
Lombardia.
Non è facile allargare la partecipazione, nemmeno contro un piano socio
sanitario all'americana che punta alla privatizzazione degli ospedali, alla
riduzione dei servizi sociali e alla trasformazione delle Asl da gestori a
semplici acquirenti di prestazioni fornite dai privati. Gianni Confalonieri,
consigliere regionale del Prc, sa quanto è difficile tradurre la battaglia per
la sanità pubblica in azione politica capace di coinvolgere. Eppure il peggio
è già successo: "Con l'aumento dei privati accreditati in Lombardia in 5
anni ci sono state 40 milioni di prestazioni in più". Tutta salute? No,
business. E adesso con questo nuovo piano il processo di aziendalizzazione si
affinerà sempre più spacciando per modernizzazione ciò che si prefigura come
un ulteriore attacco alla sanità pubblica. La privatizzazione degli ospedali
avverrà innanzitutto con la trasformazione dei grandi centri clinici in
Fondazioni private: "I soldi investiti dovranno rendere e quindi è
evidente che si perpetuerà all'infinito il meccanismo dell'offerta, questo è
mercato e non salute". Confalonieri individua nel necessario taglio di
5.400 posti letto (per adeguarsi allo standard nazionale) l'ennesimo escamotage
per un'altra picconata: "I vecchi ospedali pubblici con 300 posti letto
verranno demoliti e al loro posto, con finanze private, costruiranno nuovi
ospedali". E' già lunga la lista dei piccoli ospedali di provincia
"pericolanti", e non a caso la scure di Formigoni mette più paura nei
centri minori piuttosto che a Milano, dove l'offerta bene o male riuscirà a
coprire la domanda di cura. Altra nota dolente: la privatizzazione dei servizi
territoriali, con la conseguente nascita di nuovi soggetti privati che
forniranno prestazioni per anziani o portatori di handicap. Inoltre c'è da
tener conto del "costo del lavoro" e per questo la giunta ha già
messo in conto, negli anni a venire, il taglio di 8.000 lavoratori nelle Asl
lombarde.
Per la prima volta all'Alfa di Arese hanno scioperato anche i giovani del call center Fiat. Quattro ore di sciopero, proclamate da tutte le sigle sindacali (Fim, Fiom, Uilm, Slai Cobas e Flmu), perché "Arese viva". Duemila lavoratori hanno bloccato dalle 7 alle 11 le quattro portinerie, compresa quella del centro direzionale dove ha sede il call center. Molti dei 500 giovani che ci lavorano -i precari della nuova catena di montaggio - sono rimasti fuori mescolandosi con le tute blu delle carrozzerie e delle meccaniche che alternano una settimana di lavoro a una di cassa integrazione.
La Goldman Sachs è pronta per una riorganizzazione completa delle sue attività. Questo per i dipendenti significa una riduzione del 10% della forza lavoro. Lo scrive il Guardian precisando che saranno più di 2000 gli impiegati che saranno sbattuti fuori nei prossimi mesi. La decisione rientra in una nuova fase di tagli di costi delle istituzioni finanziarie di WS e della City colpite dalla riduzione delle attività economiche dopo l'11 settembre
I sindacati si oppongono alla svendita di Alitalia a Air France e chiedono un incontro urgente al governo. La svendita della compagnia configura il rischio di un ridimensionamento dell'azienda e contraddice gli impegni assunti dal governo in occasione dell'accordo del 23 gennaio a Palazzo Chigi. I sindacati però fanno a gara con il governo e con l'azienda per gestire la ristrutturazione impegnandosi a definire, niente di meno che, misure di contenimento anche del costo del lavoro
I camionisti francesi sono di nuovo sul piede di guerra per l'applicazione delle 35 ore nel settore, che ha già dato luogo all'ultima ondata di protesta nel 2000. I blocchi delle raffinerie e delle zone industriali si sono ridotti a una decina in tutta la Francia, perché il ministro dei trasporti, il "comunista" Jean Claude Gayssot, ha promesso un incontro con i sindacati in azione (Cgt e Fo, ma non la Cfdt, principale sindacato del settore) per la prossima settimana. La situazione di relativo stallo, però, potrebbe non durare. Infatti, ieri alcuni camionisti in sciopero si sono sentiti minacciare dalle forze dell'ordine di un ritiro della patente "per intralcio alla circolazione". "E' un modo indecente di fare pressione" sostengono alla Federazione trasporti della Cgt. "L'ordine è arrivato dal governo" precisano. I camionisti rischiano di perdere il posto di lavoro con il ritiro della patente. Il ministero cerca di minimizzare il movimento parlando di semplice "malinteso" sul contenuto del decreto di applicazione delle 35 ore. I sindacati non sono d'accordo tra loro sull'interpretazione del testo. La Cfdt lo accetta. Per la Cgt e Fo, invece, il contenuto non è chiaro e permetterà al padronato di scegliere un'applicazione delle 35 ore molto sfavorevole ai dipendenti. Le equivalenze (cioè i tempi di attesa, di carico e scarico) non sono contenute nel decreto, che non specifica chiaramente che nell'orario di lavoro di 35 ore è compreso anche il tempo occupato da questa attività. Secondo il ministero (e la Cfdt), invece, le "equivalenze" sono comprese, nel senso che a partire dalla trentaseiesima ora la tariffa oraria deve essere del 25% superiore, pagata cioè come straordinario. Negli ultimi quindici anni ci sono stati almeno cinque grandi movimenti di camionisti in Francia, che hanno coinvolto, di volta in volta, sia i padroncini che i lavoratori dipendenti. L'applicazione delle 35 ore è l'ultima scintilla che rischia di far riesplodere l'incendio. Nel decreto si fa un passo indietro rispetto a quelle che avrebbero dovuto essere le conquiste della protesta del 2000: il calcolo dell'orario di lavoro non è più settimanale (56 ore la settimana al massimo con gli straordinari), ma mensile (220 ore), cosa che permette al padronato un maggior ricorso alla flessibilità.
Due gravi infortuni con tre operai feriti, a Sirone (Lecco) e a Pontevesme,
nel cagliaritano. Il primo è accaduto nell'acciaieria Rodacciai di Sirone, e ha
coinvolto due operai. L'altro nella fabbrica di alluminio Alcoa Italia di
Pontevesme, dove un'esplosione ha prodotto il ferimento di un lavoratore.
Alla Rodacciai, che dà lavoro a 110 lavoratori divisi su tre turni, i sindacati
hanno proclamato uno sciopero di due ore per ogni turno.
All'Alcoa Italia di Portovesme è esploso un serbatoio che contiene 30 mila
litri di olio combustibile, durante le operazioni di travaso del materiale da
un'autobotte. Il serbatoio, situato vicino agli altiforni che traggono
alimentazione dall'olio combustibile dei silos posizionati all'esterno, è
esploso dopo che è saltato il tappo di sicurezza. Le fiamme si sono propagate
velocemente e l'onda d'urto dello scoppio ha investito anche l'autista
dell'autobotte che si stava occupando delle operazioni di scarico.
Il grande sogno dei fondi pensione ha un precedente nei cosiddetti fondi
pensione "preesistenti". In Italia esistono infatti oltre 80 mila
persone che ricevono tutti i mesi un assegno da un vecchio fondo pensione
aziendale. I fondi preesistenti sono quelli creati - ognuno per sé - prima che
il legislatore decidesse di mettere le basi per sviluppare su larga scala la
previdenza complementare. Cioè prima del decreto 124 del 1993, la pietra
miliare della normativa sui fondi, non a caso legato ai primi provvedimenti
Amato per il contenimento della previdenza pubblica.
I fondi preesistenti costituiscono la maggioranza dei fondi italiani (sebbene
come numero di iscritti siano ormai meno rilevanti), ma anche perché hanno già
compiuto il ciclo completo, sfornando pensionati veri. Secondo la relazione per
l'anno 2000 della Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) - una
miniera di dati, per i fan dei temi previdenziali reperibile sul sito
www.covip.it - risultano iscritti all'albo dei fondi 577 soggetti (417 vigilati
dalla Covip, 160 da Banca d'Italia o Isvap perché interni a banche o
assicurazioni), pari all'80% dei fondi pensione italiani. Le risorse finanziarie
gestite da questi antenati dei grandi fondi negoziali sono pari a 54.000
miliardi, una cifra di tutto rispetto, che per ora è la parte preponderante del
denaro raccolto in tutto il settore della previdenza complementare.
Gli iscritti, considerando solo i 417 fondi sorvegliati dalla Covip, sono circa
580.000 a fine 2000. Niente in confronto ai moderni fondi Cometa dei
metalmeccanici o Fonchim dei chimici che a fine 2000 avevano rispettivamente
oltre 330 mila e oltre 100 mila iscritti. Ma il valore del campione sta nel
fatto che ci sono anche 80.000 pensionati.
Passiamo ora ai contributi pagati e alle pensioni erogate. In media ogni
iscritto attivo versa - guarda guarda - 6,7 milioni di lire. Il contributo è
quindi decisamente superiore a una annualità di Tfr. Quanto alla prestazione
pensionistica, appare dignitosa. In media 10,8 milioni di lire. Un milione
scarso al mese, concepito però come una pensione davvero integrativa. Le
persone che fruiscono delle rendite erogate dai fondi preesistenti devono
infatti avere verosimilmente una copertura pensionistica pubblica come era una
volta, cioè pari circa al 70-80% della retribuzione.
Ma da dove vengono fuori i 6,7 milioni di lire versati all'anno, necessari per
avere in futuro una decente sommetta mensile di pensione complementare?
Guardiamo con la lente di ingrandimento, pur restando su valori medi: il 54% è
a carico del datore di lavoro, circa il 30% a carico del lavoratore e la parte
meno consistente, il 16%, è grattata via dall'accantonamento annuale per il
Tfr. Morale: le nozze non si fanno con i fichi secchi. I lavoratori iscritti ai
fondi preesistenti appartengono a categorie forti che nel passato sono riuscite
a contrattare un sostanziale impegno da parte delle aziende nel finanziamento di
forme di pensione complementare. E non hanno dovuto rinunciare, se non in minima
parte, alla liquidazione. In sostanza per questi fondi pensioni sono state messe
in campo risorse aggiuntive.
Gli iscritti ai fondi negoziali di oggi versano invece un contributo pari a
circa 2 milioni all'anno, che per circa il 50% deriva dal Tfr e solo per il 20%
è di origine datoriale.
Ultima sorpresa. I fondi preesistenti - che hanno dalla loro anche un rapporto
tra iscritti attivi e pensionati ancora molto elevato - non si buttano affatto
nel mercato azionario. Vanno invece sul sicuro: oltre il 50% sono obbligazioni,
il 21% è investito nel caro vecchio mattone, e solo il 7% in azioni. I vecchi
fondi fanno quello che sarebbe il vero mestiere della previdenza complementare:
una previdenza di nicchia, che garantisce qualcosa in più rispetto alla
pensione pubblica e che si alimenta non erodendo la contribuzione obbligatoria
ma trovando nuove forme di finanziamento.
Il Globo giornale in distribuzione gratuita nelle metropolitane romane ha
licenziato in tronco tutti i giornalisti che hanno scioperato in solidarietà
con alcuni dipendenti extracomunitari cui era stato rifiutato il compenso per il
lavoro svolto.
Il 5 marzo 6 addetti alla distribuzione si presentano in redazione per chiedere
il pagamento dovuto, in arretrato da 5 mesi. Una somma ritenuta però troppo
"esosa" per la testata, attualmente in difficoltà economiche: 400.000
lire a testa. Ai dipendenti - tutti extracomunitari (tra cui iraniani e kurdi in
Italia, con l'asilo politico) - viene negato ogni riconoscimento, e dopo un
intero pomeriggio di anticamera, quando iniziano a protestare per il trattamento
ricevuto, l'amministrazione chiama le forze dell'ordine e li fa portare via di
forza, in questura. I giornalisti presenti, indignati per il comportamento dei
"capi" e preoccupati anche per le proprie sorti, presentano al
direttore una lettera di protesta e indicono uno sciopero di 24 ore. Al loro
ritorno la "bella sorpresa": 11 lettere di licenziamento per tutti i
dipendenti per "abbandono del posto di lavoro". I giornalisti
denunciano il comportamento illegale della testata. Sono mesi, infatti, che
lavorano in redazione senza percepire lo stipendio; molti hanno lavorato anche
senza contratto. Agli stagisti venivano imposti turni di notte e straordinari
che non erano assolutamente nei loro compiti.
I dipendenti della Omnitel hanno proclamato uno sciopero di un'ora negli 8 call center nazionali (dalle 11 alle 12 e dalle 18 alle 19), per il deteriorarsi dei rapporti sindacali con l'azienda, che ha deciso di applicare un nuovo part-time di 6 ore con criteri scelti unilateralmente, mentre impone ai nuovi assunti una turnistica su tre fasce orarie, anche questa non concordata con i sindacati.
L'elegante ufficio di Marilù Faraone Mennella, fidanzata ufficiale di D'Amato e responsabile di Confindustria per il Mezzogiorno, per 5 ore è stato occupato da una sessantina di operai dell'impresa edile Icar, che da tre mesi non ricevono lo stipendio. La compagna dell'acerrimo nemico dell'articolo 18, titolare della Icar stessa - secondo il sindacato ha in mano il 70%, lei nega di essere proprietaria - non solo ha "dimenticato" di pagare a 14 impiegati le mensilità di gennaio e febbraio e si accingerebbe a "soprassedere" anche su quella di marzo (per i 60 operai "saltano" per il momento solo febbraio e marzo), ma non è neppure in regola con i contributi Inps. E dal settembre scorso non versa alla Cassa edile il 23% trattenuto ai lavoratori. L'Icar è titolare di un appalto del Comune di Napoli, per le fognature di Chiaiano (14 miliardi di lire), di uno per la rete fognaria di Castellammare di Stabia (12 miliardi), di uno per la Fincantieri di Castellammare (20 miliardi), e qualche settimana fa si è aggiudicata anche i lavori del Palazzo di Giustizia di Torre Annunziata (50 miliardi). In più, c'è in programma un consorzio con la municipalizzata romana Acea per un acquedotto che servirà molti paesi del vesuviano (investimenti per 2500 miliardi di lire).
VARATA LA DELEGA SUL MERCATO DEL LAVORO
Lo Statuto dei lavoratori si potrà smontare. Nei prossimi quattro anni
l'articolo 18 sarà sospeso per situazioni determinate e come conseguenza si
potrà licenziare anche "senza una giusta causa". Il governo
Berlusconi va allo scontro sui problemi del lavoro e dice di non temere né gli
scioperi, né la fase di conflitto che si è aperta. Anzi ieri il presidente del
consiglio si è permesso una battuta: "Ormai - ha detto Berlusconi,
riferendosi alla manifestazione organizzata dai sindacati europei a Barcellona -
ogni occasione è buona per fare festa: i professionisti dei girotondi che si
spostano hanno trovato un nuovo modo per passare il tempo e per campare la
vita". Poi ha attaccato i sindacati e ha detto che lo sciopero generale
sarà contro i giovani perchè in realtà il suo governo non vuole dare la
libertà di licenziare agli imprenditori, ma la libertà di assumere. Dopo
quattro mesi di negoziati più o meno camuffati, di braccio di ferro mediatici,
con qualche tentazione di ripensamento e di divisione della maggioranza di
governo, ieri il consiglio dei ministri ha varato il testo della delega sul
mercato del lavoro senza alcuna modifica rispetto alla prima stesura. Anzi
l'unica novità proposta e scritta dal ministro del lavoro Roberto Maroni,
riguarda un ulteriore peggioramento dal punto di vista dell'universalità dei
diritti, dato che si fa una differenza tra i lavoratori del nord e quelli del
sud. Un punto della delega che modifica l'articolo 18 introduce infatti la
possibilità di licenziare anche senza giusta causa solo nel caso dei contratti
che vengono trasformati da tempo determinato e tempo indeterminato nel sud
dell'Italia.
L'articolo 18 dello Statuto, che prevede il reintegro in azienda per il
lavoratore licenziato senza un motivo verrà sospeso per quattro anni nelle
aziende che oggi hanno 15 dipendenti e che decideranno di ampliare l'organico,
nelle aziende al nero che decidano di "emergere" e (solo per il
Mezzogiorno) nelle aziende che decideranno di modificare i contratti a tempo
determinato in assunzioni a tempo indeterminato. Il governo arriva a teorizzare
l'inevitabilità dello scontro. il guaio è che ha ragione, la lotta di classe
non si ferma mai: sono i sindacati concertativi che auspicano la sospensione
dello scontro sociale. Infatti, è proprio grazie alla pace sociale da essi
praticata (benchè con importanti lotte condotte da altri settori sindacali e di
base) che si è giunti a questa situazione.
Ancora vale l'insegnamento che chi non lotta ha già perso...!
Cambiano gli scenari urbani, Nizza, GÖteborg, Laeken ed ora Barcellona, ma
la rivendicazione non cambia: giù le mani dai diritti. Ieri, per ricordare ai
15 che deve esistere anche un'Europa sociale e non solo quella delle
liberalizzazioni e della flessibilità che si vuole perfezionare in Catalogna,
sono sfilati per le strade del centro di Barcellona oltre 110.000 persone, più
del doppio del previsto.
Un crogiolo di bandiere, anche una della Palestina, e sigle da tutta la Spagna,
dalla Francia, dall'Italia, dal Belgio, dal Portogallo, dal Regno Unito, dalla
Slovacchia, a rappresentare i milioni di lavoratori europei per un progetto di
un'Europa differente ma anche portatori di rivendicazioni precise e concrete. Da
quella nostrana a difesa dell'articolo 18 - "Berlusconi non ci
licenzierai" - a quelle dei 6.500 francesi che non digeriscono l'idea di
Bruxelles di aprire il mercato dei servizi elettrici e del gas e che
protestavano contemporaneamente ad altre decine di migliaia scesi in piazza a
Parigi; ma anche oltre 150 portuali belgi calati da Anversa con il rituale
corredo di petardi per urlare il loro no alle riforme volute dalla Commissaria
ai trasporti Loyola de Palacio.
Il corteo si è chiuso con un augurio urlato dal palco da una commossa Marina
Rosset, cantante catalana: "Che le forze repressive non reprimano nessuno
questi giorni, che non reprimano le manifestazioni".
Un augurio che non si è realizzato.
Tutti i sindacati di categoria, impegnati nel rinnovo del contratto nazionale, si presenteranno martedì 19 marzo, all'incontro con l'associazione dei banchieri (Abi), ponendo come pregiudiziale l'annullamento della decisione della Carime. Se questo non avverrà, dice il comunicato congiunto, "si procederà all'immediato blocco delle trattative a livello nazionale e alla attivazione di altre iniziative di lotta che coinvolgeranno l'intero settore del credito".
I piloti di Alitalia Express incroceranno le braccia per otto ore il 18 marzo, interrompendo tutti i voli con partenza dal territorio nazionale, dalle 10 alle 18. Lo rende noto con un comunicato l'Anpac. "Questa azione - spiega il sindacato - si rende necessaria a causa del perdurare di numerose violazioni contrattuali, e di un clima di relazione industriali di completa chiusura verso la positiva risoluzione delle vertenze".
I dipendenti di Blu presidiano il ministero dell'industria, per tenere alta l'attenzione sulla situazione dell'azienda che è cresciuta sul mercato delle Tlc mobili raggiungendo tutti gli obiettivi.
Sono ormai 50mila i lavoratori licenziati che assediano il quartier generale
della maggiore compagnia petrolifera di Daqing, nell'Heilongjiang, nord-est
cinese, protagonisti di quella che appare come la più grande protesta operaia
degli ultimi anni in Cina. Tutto è iniziato l'1 marzo, con poche migliaia di
disoccupati che protestavano contro la rescissione unilaterale degli accordi di
fine rapporto da parte dei dirigenti della società, parte di PetroChina. Il
gigante cinese del petrolio, insieme alla società affiliata China National
Petroleum Corp, dopo aver deciso di quotarsi in Borsa nell'aprile del 2000, ha
iniziato l'opera di ristrutturazione e solo a Daqing, un tempo indicata da Mao
come città modello, ha licenziato 50mila dipendenti.
I lavoratori erano stati licenziati con un accordo di liquidazione complessivo
che non prevedeva né pensione né copertura sanitaria, ma garantiva un sussidio
aggiuntivo di circa tremila yuan l'anno (poco più di 400 euro) per le spese di
riscaldamento durante il freddissimo inverno del nord est cinese. Il 12 febbraio
scorso la società annunciava la sospensione del sussidio e l'aumento dei
contributi che i lavoratori devono versare a un fondo comune di sicurezza
sociale.
I disoccupati avrebbero costituito un loro sindacato indipendente, denominato
Comitato sindacale provvisorio dei lavoratori del petrolio licenziati di Daqing.
In aperta polemica contro l'Acftu, la All-China Federation of Trade Unions, la
confederazione sindacale ufficiale, unica riconosciuta in Cina.
Una protesta come quella di Daqing mette il dito su un punto dolente: la rotta
di collisione tra equità sociale ed espansione economica che le scelte attuate
finora sembrano tracciare.
La Piana del Sele sembra un'isola felice, ad attraversarla velocemente in
macchina. Figure chine sulla terra riempiono cassoni di verdura che partiranno
poi per le altre regioni d'Italia. Avvicinarsi a parlare con loro è
impossibile: i campi sono recintati e se c'è qualche viuzza aperta, lo sguardo
dei padroni dei campi ti scoraggia subito. Il fatto è che chi raccoglie quei
carciofi non può "comparire", sono "fantasmi", immigrati
clandestini che lavorano dalle 8 alle 10 ore al giorno per 40-50 mila lire.
L'unico modo per dialogare con loro è andare a trovarli a "casa",
molto spesso nulla di più di vere e proprie stalle, senza luce, acqua,
riscaldamento, servizi igienici.
Nel territorio di Eboli vivono circa 1800 raccoglitori immigrati, e solo 400 di
loro sono regolari. Il resto sono clandestini, costretti a vivere in condizioni
drammatiche.
Amil vive in una stanza di circa 20 metri quadrati, fredda e senza luce
elettrica, con un cucinino sgangherato e i buchi dei muri tappati con vecchi
vestiti. I raccoglitori guadagnano in media tra le 800 mila e un milione di lire
al mese, nei casi di maggiore lavoro anche 1 milione e 200-300 mila. Nei periodi
di "picco" accettano anche di lavorare 10 ore anziché 7-8, per 70
mila lire giornaliere. Molti di loro raccontano che in estate si spostano in
Puglia, per la raccolta dei pomodori, dove lavorano però a cottimo: un cassone
viene pagato 7-8000 lire, e lavorando fino a 13 ore si riescono a fare anche
150-200 mila lire al giorno. In ogni caso, c'è sempre la quota da versare al
"caporale", il 10% della giornaliera per il trasporto nel posto di
lavoro.
Penetrare con il sindacato tra gli immigrati è molto difficile, e bisogna
rendersi conto che non hanno bisogno soltanto di un sostegno sul piano
contrattuale (in realtà, da clandestini, o accettano quello che viene offerto o
non lavorano), ma necessitano di assistenza per l'abitazione, la sanità, la
formazione, la scuola. Mai come nel caso degli immigrati clandestini, privi di
qualsiasi diritto di cittadinanza, si vede come il lavoro si leghi
immediatamente a tutto il resto, ed essere scoperti in un versante è
automaticamente esserlo in tutti gli altri. I raccoglitori locali - quei pochi
che sono rimasti - prendono ad esempio 54 mila lire a giornata, in base ai
cosiddetti "contratti di riallineamento" concordati per l'emersione
dal nero: poco più della giornata di un clandestino, dunque, ma hanno tutta una
serie di tutele di cui gli altri sono totalmente privi.
Dopo i lavoratori delle ferrovie, quelli degli ospedali, i dipendenti
pubblici e perfino i poliziotti, ieri è stata la volta degli insegnanti. Almeno
cinquemila docenti, secondo gli organizzatori, hanno manifestato per le vie del
centro di Londra: uno sciopero di un giorno che ha costretto alla chiusura oltre
la metà delle scuole della capitale. Gli insegnanti chiedono rimborsi adeguati
per poter continuare a vivere a Londra, la città più cara d'Europa. Quello di
ieri per la capitale è stato il primo sciopero di docenti in trent'anni ed è
stato proclamato dalla National Union of Teachers (Nut), il sindacato dei
professori, dopo aver consultato (con voto a scrutinio segreto) 41mila iscritti.
Protestano perché sembra ridicola e quasi offensiva la proposta del governo di
aumentare del 3.5% l'anno i rimborsi previsti per chi vive e lavora nella
capitale. La Nut, infatti, aveva chiesto al governo un aumento di almeno un
terzo dell'attuale rimborso per poter arrivare a 4.000 sterline l'anno (poco
più di 6.000). I poliziotti prendono 6.000 sterline (circa 9.000 euro) in
rimborsi.
Per un insegnante appena laureato la vita è certamente dura a Londra: con un
salario che non arriva alle 18.000 sterline l'anno (circa 27.000 euro) c'é poco
da stare allegri.
Le unions, sempre molto attente al rapporto con i cosiddetti utenti, hanno
informato dello sciopero anche attraverso spazi acquistati nei principali
quotidiani. Da oltre un mese la vertenza degli insegnanti è stata discussa
anche con studenti e genitori e si sono tenute anche assemblee volute dai
coordinamenti genitori sulla mancanza di personale, che è ormai un problema che
affligge un numero altissimo di scuole nella capitale e non solo.
Ieri gli studenti e i genitori, come era del resto già accaduto in passato,
hanno dimostrato il loro sostegno agli insegnanti: molti ragazzi si sono uniti
al corteo dei docenti per le vie del centro. Lo sciopero degli insegnanti sui
rimborsi per chi vive e lavora nella capitale sarà probabilmente ben presto
seguito da quello dei dipendenti pubblici, che denunciano lo stesso problema.
Moltissime fabbriche ieri si sono fermate spontaneamente contro la decisione
dell'esecutivo di procedere con la delega per la sospensione dell'articolo 18
dello statuto dei lavoratori. Scioperi, fermate, blocchi degli straordinari
convocazioni permanenti delle Rsu. A cominciare dal Mezzogiorno (negli
stabilimenti Fiat, alla Marelli, alla Alenia, alla Ansaldo). A Milano migliaia
di metalmeccanici hanno aderito allo sciopero di 4 ore proclamato dalla Fiom. A
Genova si sono fermate le aziende di riparazioni navali. A Torino si sono uniti
anche i dipendenti del pubblico impiego. In Toscana oltre alle aziende
metalmeccaniche si sono fermate quelle chimiche. Ovunque è stata forte la
richiesta a Cgil, Cisl e Uil di procedere unitariamente verso lo sciopero
generale.
Il fronte sindacale procede ora verso l'unità. Questo produrrà senz'altro un
appiattimento su contenuti deboli, mentre già viene spostato lo sciopero
generale del 5 aprile per compiacere quei sindacati che fino ad ora stavano a
guardare.
Nell'area napoletana all'Ansaldo gli operai hanno presidiato la fabbrica
bloccando gli straordinari, e vanno avanti anche oggi; a Caivano sciopero alla
Magneti Marelli, e alla Mecfond con manifestazione ai cancelli; alla Fiat auto
di Pomigliano e in tutte le aziende collegate hanno bloccato subito gli
straordinari, e le rsu hanno stilato già il programma per lunedì: due ore di
sciopero per ogni turno. Alla Fiat Avio di Acerra fermata immediata di un'ora e
mezza; alla Alenia di Casoria, su invito della Fiom, un'ora per turno.
Si sono fermati a sera a Melfi (su invito dei delegati Fiom) si è scioperato a
Cassino, sui due turni, per iniziativa di Fim, Fiom, Sincobas e Ugl.
A Milano due grandi cortei metalmeccanici hanno occupato le 4 ore di sciopero
indette dalla Fiom per raggiungere, l'uno la sede della Rai di corso Sempione,
l'altro la sede Mediaset a Cologno Monzese, chiedendo che le loro parole e
pratiche di scioperi e assemblee non vengano oscurate dai media. Oggi pomeriggio
a Milano nella sala Cgil, Cisl, Uil di Sesto S. Giovanni è convocata anche
un'assemblea sul referendum sullo Statuto, indetta dal "Comitato per le
libertà e i diritti sociali ". A Solaro Brianza hanno scioperato gli
operai della Zanussi, assieme agli altri del gruppo Electrolux che si sono
fermati a Treviso, nello stabilimento di Susegana, e alla Zanussi di Porcia a
Pordenone, nella giornata dello sciopero di 4 ore del Friuli Venezia Giulia
indetto dalla Fim.
Gli scioperi metalmeccanici si sono diffusi anche nel fiorentino, dalla Nuovo
Pignone alla Galileo Avionica, chiamati da Cgil, Cisl, Uil. Ma anche quelli dei
chimici, nelle aziende farmaceutiche, del vetro, della ceramicadalla Syrom alla
Richard Ginori. A Genova hanno scioperato per 8 ore nelle oltre 100 aziende
della navalmeccanica. Scioperi a Bergamo, presidio di metalmeccanici e
dipendenti pubblici a Torino.
Procede a tappe forzate il programma indiano di privatizzazioni. Il ministro delle privatizzazioni indiano, Arun Shourie, ha annunciato che il gruppo privato Tata ha acquisito per circa 300 milioni di dollari il 25% della Vsnl, la compagnia nazionale per i collegamenti telefonici di lunga distanza ed i servizi Internet, assicurandosi peraltro un'opzione su un ulteriore 20% del capitale. La Indian Oil Corporation, il colosso pubblico nel settore petrolifero, si e' aggiudicata per circa 200 milioni di dollari il 33,58% della Indian Bharat Petroleum la societa' pubblica di distribuzione dei carburanti. Diverse, poi, le operazioni minori concluse negli ultimi tempi: 4 alberghi a Mumbai, Udaipur, e Delhi sono stati ceduti a catene alberghiere private. E, per il futuro, c'e' nell'aria la vendita di imprese in diversi settori: per i fertilizzanti andranno sul mercato la Barthia Phosphatic Fertilizer e la Jessibs, per il settore elettrico la Gipcl, per la chimica la Hindustan Zinc, per il settore automobilistico sara' ceduta la Maruti India, associata alla Suzuki. Per il prossimo esercizo finanziario, infine, sara' messa in cantiere la privatizzazione di 2 importanti compagnie petrolifere indiane: Hpcl e Bpcl.
I benzinai confermano le date e le articolazioni degli scioperi sulle autostrade gia' programmati per martedi' e mercoledi' prossimi. La vertenza e' stata indetta per contrastare il progetto del gruppo Benetton, nelle sue articolazioni Autostrade e Autogrill, di procedere in tempi brevi alla estromissione dei gestori della parte petrolifera (entro il 2003).
Il governo sudcoreano ha deciso di impiegare l'esercito per far funzionare le
centrali elettriche bloccate dai 19 giorni dallo sciopero degli operai. I primi
200 militari saranno utilizzati da lunedì prossimo mentre gli altri 300
verranno impiegati entro il 15 aprile.
Questa misura è stata presa di comune accordo tra i vertici della compagnia di
stato Korea Electric Power corp.(Kepco) ed il governo del presidente Kim
Dae-jung per fare fronte all'emergenza dopo l'agitazione, scoppiata lo scorso 25
febbraio, dei lavoratori del settore che non accettano il piano di
privatizzazione. 5.600 operai sono scesi in lotta - su di un totale di 8.000
dipendenti - per rigettare il progetto di smantellamento delle centrali che
causerebbe sia la perdita dei posti di lavoro e l'aumento delle tariffe. Contro
di loro il governo non si è risparmiato nessun comportamento antisindacale: li
ha minacciati di ritorsioni, li ha fatti pestare dalla polizia dentro
addirittura un tempo buddista della capitale, si è ripromesso il licenziamento
dopo il rientegro. Non solo. Il presidente e premio nobel per la pace, Kim
Dae-jung, non ha esitato a ricorrere ai crumiri e a ex-dipendenti in pensione
pur di mandare avanti le centrali. Dopo più di due settimane di sciopero, ieri,
è arrivata la notizia dell'impiego dell'esercito. La Kepco ha chiesto alla
Corte di giustizia di Seul l'arresto o, comunque, la punibilità di 519 leader e
il licenziamento immediato per almeno per 49 di loro. Ai mille lavoratori che
sono ancora in lotta, il ministro del commercio Shin Kook-hwan ha detto che
"vuole addebitare i danni derivati dal blocco parziale dell'erogazione di
energia elettrica. Un danno che è stato quantificato in circa 15 miliardi di
won (la moneta sudcoreana) ovvero pari a circa 11 miliardi di dollari.
Quando l'agitazione è partita, in sciopero erano entrati anche i lavoratori del trasporto su rotaia e quelli del gas. La protesta era stata promossa dai due grandi sindacati sudcoreani di categoria appartenenti alla Fkctu e alla più combattiva Kctu. La trattativa è riuscita a strappare un'intesa con i ferrovieri e i lavoratori del gas, ma non per i dipendenti delle centrali. Da qui la decisione dei lavoratori di continuare la lotta che sta coinvolgendo l'insieme delle famiglie è si sta servendo di tecniche della comunicazione che non disdegnano, ad esempio, l'uso di Internet per dare messaggi o convocare la "piazza".
Prove tecniche di un mondo del lavoro senza Statuto dei lavoratori. Così si
potrebbero riassumere gli ultimi mesi della lunga vertenza degli operai Sec, il
cantiere navale storico della Darsena viareggina. Ormai da tempo dichiarato
fallimentare il cantiere, centosessantasette lavoratori sono ora in
cassaintegrazione in attesa che si decida il futuro della Sec, oggi nelle mani
del curatore fallimentare.
In questa situazione agli operai Sec vorrebbero tornare a lavoro per completare
le navi iniziate per una società svedese. Ma per tornare al lavoro i lavoratori
viareggini non intendono sottostare a qualsiasi condizione. E così, per ben due
volte, l'assemblea dei dipendenti Sec ha respinto la proposta messa sul tavolo
della trattativa dalla società Azimut-Benetti, ansiosa di mettere le mani
sull'area. L'offerta di affittanza aveva condizioni che il sindacato, i
lavoratori e l'amministrazione comunale hanno ritenuto inaccettabili e contrarie
ad un futuro di vero sviluppo industriale dell'ex area Sec. Azimut-Benetti,
infatti, avrebbe assicurato un posto di lavoro solo a 89 dei 167 dipendenti del
cantiere, ma solo 45 di questi 89 sarebbe stati assunti direttamente
dall'azienda madre. Per i restanti 44 il posto di lavoro sarebbe stato nelle
aziende appaltatrici che lavorano intorno e per la cantieristica.
Sessanta, infine, i lavoratori che sarebbero finiti in mobilità e che
Azimut-Benetti si riservava di richiamare a seconda delle esigenze e con
espresso diritto di scelta, in base alle informazioni prese sulle singole
persone. Per incentivare questa scelta ciascuno di loro avrebbe ricevuto la
cifra di 30 milioni di lire che il curatore fallimentare Claudio Del Prete.
A tutto questo gli operai viareggini hanno detto no, facendo saltare
l'affittanza e proclamando tre ore di sciopero martedì 12 marzo e lanciando lo
sciopero generale che si terrà, probabilmente, già nel mese di aprile.
"Licenziamenti senza giusta causa" alle ferrovie. Anche se nella
lettera viene scritto esattamente il contrario, ben venti ferrovieri
(macchinisti e capitreno) si sono visti recapitare in questi giorni altrettanti
avvisi di «interruzione del rapporto di lavoro». Motivo? Questi ferrovieri
tempo fa avevano avanzato un ricorso cui il giudice ha dato parere positivo per
il pagamento di alcuni emolumenti. L'avvocato per errore avrebbe inviato alle Fs
lo stesso ricorso. Una volta accortesi dell'errore i lavoratori hanno scritto
all'azienda per scusarsi dell'accaduto. Le ferrovie per tutta risposta ne hanno
deciso il licenziamento in quanto ravvisavano in tale comportamento «la
compromissione del rapporto fiduciario». «Le scuse per l'errore» sono state
interpretate, volutamente, come ammissione di colpa.
Le ferrovie sollecitate dalla durezza della posizione del governo sull'articolo
18 e un contratto aperto da due anni intendono indurire i rapporti con i
lavoratori.
In un grande gruppo industriale il cartellino segnatempo
elettronico è in grado di memorizzare al secondo gli istanti di ingresso e di
uscita dei dipendenti, ma l'ufficio personale lo fa scattare solo ogni 15
minuti. Perciò chi entri alle 9.03 risulterà transitato alle 9.15, con un
"furto" di 12 minuti. Viceversa i minuti di lavoro erogati in più non
vengono conteggiati a recupero. E' un esempio di una
flessibilità nelle prestazioni di lavoro dipendente che da normale oggi come
oggi diventa ad uso e consumo del padrone: il fatto è che i piccoli soprusi
padronali sono utili nel rafforzare la catena di comando, nella convinzione che
i dipendenti abbiano sempre da essere tenuti alla frusta, sennò se ne
approfittano.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con le teorie sulla valorizzazione delle
persone che si leggono nei saggi di management, che si insegnano nei master
universitari e che dipingono un mondo in cui il sapere e
l'entusiasmo dei dipendenti è il principale patrimonio delle aziende.
Il piccolo esempio serve per entrare nel merito sulla questione calda del
momento, guardandola dal punto di vista delle nuove tecnologie, nella nuova
economia e dei nuovi mestieri e saperi. L'abuso dell'aggettivo nuovo è
ovviamente voluto, per segnalare che sovente si tratta di un simulacro, di un
panno sventolato da un ventilatore artificiale, senza alcun vento di vera innovazione.
Lo slogan pubblicitario di Silvio Berlusconi ("Chi
sciopera lo fa contro i suoi figli") consacra questa
mistificazione.
Anche a "sinistra" c'è chi apprezza la mobilitazione sociale e di
piazza perché fa gioco contro il governo, all'interno di una battaglia politico
generale più vasta, ma in fondo al cuore si pensa che sia davvero una battaglia
conservatrice e poco lungimirante: utile oggi perché governa Berlusconi, ma
inutile e sbagliata se governassero costoro. Come è stato nel governo Prodi-D'Alema.
In Lombardia, in Piemonte, in Liguria. La scuola pubblica
sciopera contro i tagli di Letizia Moratti. 8.500 insegnanti in meno per il
prossimo anno scolastico, ha quantificato lo scorso febbraio, dando seguito alla
legge finanziaria, il decreto ministeriale. 1.185 toccano alla Lombardia dove è
previsto un aumento della popolazione scolastica di almeno 9 mila unità.
Vittime destinate i precari e la qualità della scuola pubblica, dove saranno a
richio il tempo pieno (in provincia di Milano lo fa l'82% degli alunni delle
elementari), il sostegno ai portatori di handicap, l'integrazione di bambini e
adulti stranieri. Nella regione del trio Moratti-Formigoni-Berlusconi, culla del
buono scuola, lo sciopero proclamato da Cgil, Cisl e Uil è andato bene. A
Milano l'adesione tra gli insegnati, ammette la direzione regionale del
ministero dell'istruzione, è stata del 60%, il doppio della norma.
Tagliare significa togliere qualità alla scuola pubblica: nelle elementari si
tagliano 375 posti, nelle medie 274, 536 nelle superiori a fronte di un aumento
previsto di 9 mila studenti. Si tagliano 119 insegnanti di lingua straniera
nelle elementari. Nella regione con più studenti extracomunitari
si dimezzano i 208 progetti già in corso per l'integrazione.
E' solo la prima sforbiciata. L'intenzione del ministro Moratti e del governo è
di cancellare in un triennio 36 mila insegnanti su scala nazionale. Come se non
bastasse, si dà il ben servito ai precari per assumere personale delle scuole
private. I regali, per queste ultime, non finiscono mai.
Il buono scuola alla Formigoni - con in trucco che lo destina esclusivamente a
chi frequenta le private - resta il regalo più consistente, l'aratro che ha
tracciato il solco per spostare una quota d'utenza dalla scuola pubblica a
quella privata. Le destre, con la passata connivenza del centro sinistra, hanno
già fatto danni.
Il ministro Letizia Moratti ha annunciato di voler procedere ad un contratto separato per i docenti. La CGIL chiederà al governo "di ripristinare i contenuti dell'intesa facendo rientrare le intenzioni espresse dal ministro Moratti. Per la secondo volta Moratti approfitta di un'assemblea per dire come intende ulteriormente affrontare i problemi della scuola. Il ministro dovrebbe sapere che il governo nella sua interezza, con l'accordo del 5 febbraio, ha riconfermato il valore della contrattazione e dal sistema contrattuale previsto da protocollo di luglio. Il ministro, inoltre, dovrebbe sapere che la definizione dei comparti di contrattazione è esclusiva titolarità delle parti, cioè dell'Aran e delle organizzazioni sindacali.
Il cantiere navale è una delle realtà lavorative più affascinanti e, al tempo stesso, più complicate da capire. La costruzione di una nave, infatti, mette in campo un grande quantità di professionalità tra di loro anche molto diverse. Poi ci sono i lavoratori di serie A e i lavoratori di serie B, italiani i primi, gli altri est-europei, nordafricani, asiatici. Se i padroni potessero decidere di testa loro, i cantieri sarebbero vere e proprie giungle in quanto a salari, orari, normative. Diritti, insomma. La cosa preoccupante è che la deregulation sta trasportando questo modello nella grande industria - a parità di lavoro, diritti differenziati - grazie anche ai processi di globalizzazione e alle terziarizzazione. Al cantiere navale di Marghera sono 1.250 i dipendenti della Fincantieri, ma sono quasi il doppio quelli che lavorano per le imprese appaltatrici, tra lo scafo e l'arredamento della nave. Grazie alla legge 1369 del `60, i lavori in appalto vengono regolamentati proprio per arginare la giungla e tutelare i diritti dei dipendenti in tutti gli scomparti della filiera. La legge può essere così riassunta: Nessun lavoratore delle imprese d'appalto può avere un trattamento inferiore a quello garantito nell'azienda appaltante, nel nostro caso la Fincancantieri. In più, la legge 1369 garantisce i lavoratori, in quanto del rispetto delle condizioni normative, economiche e contributive risponde l'azienda appaltante, responsabile della filiera. Le inadempienze delle imprese sono molte, e in questi casi il sindacato, rifacendosi alla legge, può chiamare in campo Fincantieri che è costretta a tutelarsi. Fincantieri vincola le aziende dell'appalto con una garanzia fidesjussoria (pari al 20% del valore del contratto) al momento della stipula dell'accordo.
Ma esiste una seconda legge, del febbraio 2000, che
regolamenta il lavoro in affido a società straniere. Prima dell'approvazione di
questa legge, Fincantieri poteva appaltare a società croate,
rumene, moldave, libere di inquadrare i loro dipendenti secondo i contratti dei
paesi d'origine. L'effetto era il dumping sociale: per fare lo stesso lavoro
degli italiani guadagnavano di meno per un orario più lungo.
Per non parlare del mancato rispetto delle norme di sicurezza. Quella del 2000
è una legge che blocca gli appalti al massimo ribasso perché impone il
rispetto delle norme contrattuali italiane per tutti i lavoratori, italiani e
stranieri, per il periodo in cui lavorano in Italia. E riconosce la
responsabilità dell'azienda che decentra. Altra conquista importante, strappata
con una vertenza nazionale della cantieristica, è il riconoscimento del diritto
delle Rsu della Fincantieri di intervenire nelle imprese dell'appalto non
sindacalizzate. Ora, il governo Berlusconi che fa propri i
borbottii dei padroni contro i vincoli posti dalle suddette leggi, pretende di
scardinare regole e diritti e punta contro la 1360. A questo tema il Libro
bianco di Maroni dedica un capitolo preciso. Si tratta per il governo di
`liberare' le grandi imprese industriali che decentrano ed esternalizzano da
ogni vincolo o responsabilità diretta verso il lavoro in appalto da esse
attivato. In particolare, a rischio sarebbero i lavoratori delle imprese di
pulizia, settore a non elevata imprenditorialità, esposto a rischi di
infiltrazioni malavitose e soggetto a repentine crisi e cambi d'appalto. E' qui
che spesso si creano situazioni di illegalità contrattuale e contributiva. E'
ovvio che eliminare la responsabilità dell'impresa che terziarizza (è questo
il regalo che il governo si appresta a fare con le deleghe sul mercato del
lavoro), significherebbe abbandonare i lavoratori all'arbitrio
dell'ultimo padroncino. In un settore dove più alta è l'incidenza di infortuni
e malattie professionali come, appunto, negli appalti, la deregolazione proposta
dal governo abbatte le difese e apre a prospettive di caporalato e di diffusione
della pratica del subappalto.
Tempi duri per i disoccupati. Se si erano illusi di potersi
cullare sull'amaca dello stato sociale all'ombra di un cancelliere
socialdemocratico, dovranno ricredersi. Gerhard SchrÖder non è disposto a
aiutare chi non si aiuta da sé, e si accinge a falcidiare il welfare con una faccia
tosta che difficilmente un conservatore si potrebbe permettere. Al
cancelliere brucia la mancata promessa di ridurre il numero dei disoccupati
sotto i tre milioni e mezzo: invece di diminuire, sono saliti a 4,3 milioni. In
vista delle elezioni di settembre non basta dare la colpa alla fiacca
congiuntura. Così SchrÖder ha trovato altri due responsabili: la burocrazia
dell'ente federale del lavoro, e la pigrizia di chi non si da abbastanza
da fare per smettere di essere disoccupato. Il 22 febbraio
SchrÖder ha annunciato tre propositi: un repulisti al vertice del Bundesanstalt
für Arbeit, da affidare non più a funzionari ma a manager; un maggior ruolo
dei privati nel collocamento; la nomina di una commissione che presenterà prima
delle elezioni una proposta di "servizi moderni" per il mercato del
lavoro.
Il nuovo dirigente del BdA annuncia i suoi intenti: taglio delle prestazioni per
i disoccupati più anziani (adesso hanno diritto al sussidio fino a 32 mesi, per
Gerster 12 mesi bastano e avanzano); Meno "occasioni di lavoro"
finanziate dal Bundesanstalt: si tratta di 120.000 ingaggi in lavori di utilità
sociale, che a Gerster (il nuovo direttore) sembrano superflui almeno a ovest.
Meno programmi di riqualificazione professionale, visto che c'è semmai bisogno
di impieghi a basso salario: "Ci vogliono più flessibilità, part-time,
lavoro interinale, rapporti di lavoro entro la soglia di 326 euro", al di
sotto della quale non si pagano tasse e si è solo parzialmente coperti dalle
assicurazioni sociali. Il 15 marzo il Bundestag ha
approvato il nuovo statuto "manageriale" per il vertice dell'Ente del
lavoro e una riforma del collocamento che, invece di migliorare quello pubblico,
lo appalta di fatto alle agenzie private. A partire dal terzo mese di
disoccupazione l'Arbeitsamt compenserà in caso di successo i collocatori
privati, con un onorario da 1500 a 2500 euro (dopo nove
mesi di disoccupazione).
Il ministro del lavoro Walter Riester, già vicepresidente del sindacato
Ig-Metall, vuole cancellare dalle statistiche circa 1,2 milioni di disoccupati,
che a suo parere non cercano davvero una nuova occupazione (per esempio i più
anziani in attesa della pensione). Siccome ha diritto ai sussidi solo chi è
disposto a lavorare, gli esclusi rischiano di vedersi negare l'Arbeitslosengeld.
Niente modelle sulla scalinata di Piazza di Spagna. I 2.000 lavoratori di Blu - il quarto gestore di telefonia in Italia - hanno dato vita alla loro spettacolare protesta contro le prospettive di smobilitazione o vendita (frammentata o tutt'intera non si sa, regna la massima incertezza e un mare di voci molto interessate). Schierati in file compatte hanno alzato ognuno una tessera di cartone, a comporre - alla maniera degli orientali, la scritta "Blu". Presenti un po' tutti i dipendenti, a prescindere dalle qualifiche funzionali (dall'ingegnere ai ragazzi dei call center) e dalle forme contrattuali (dai contratti a tempo indeterminato fino agli interinali). Dopodomani l'azienda riunirà i soci in assemblea per decidere il futuro. Sul tavolo ci sono ufficialmente tutte le ipotesi, dalla liquidazione alla vendita. In realtà la prima non appare avere senso, visto che l'azienda non è affatto "decotta" e possiede, soprattutto, le frequenze su cui opera. Più probabile la vendita, e il fatto che Gilberto Benetton - azionista con posizione dominante in Blu - sia anche vicepresidente di Tim lascia pochi dubbi su quale potrà essere la scelta privilegiata.
Per ottenere il riconoscimento del diritto a chiedere - e ottenere - di lavorare nel turno di notte alla Fiat di Pomigliano, un lavoratore ragazzo-padre è dovuto ricorrere addirittura al tribunale. Vittorio Zuccherino, 35 anni, padre di un bambino di 10 e separato dalla moglie, aveva infatti chiesto da ben due di lavorare di notte per poter accudire il figlio di giorno. Niente da fare, secondo i dirigenti dello stabilimento.
"Imparare da Daqing", incitava un tempo il
presidente Mao. Così sembrano aver fatto gli oltre 30mila operai che ieri hanno
circondato il quartier generale del governo e della polizia nella città di
Liaoyang (provincia del Liaoning) per chiedere il pagamento dei salari arretrati
e la liberazione di un organizzatore della protesta, Yao Fuxin, disoccupato,
arrestato dalla polizia.
L'agitazione degli operai di Liaoyang, provenienti dall'industria metallurgica
statale della zona e vittime del processo di ristrutturazione di un settore che
domina l'economia del nord est cinese, va infatti avanti da tempo. Come del
resto quella di Daqing, la vecchia città modello maoista dell'Heilongjiang
(ancora nel nord-est), dove protagonisti delle proteste in corso
sono i lavoratori licenziati di una delle più grandi compagnie petrolifere
cinesi, i quali chiedono il pagamento di sussidi che gli erano stati garantiti
al momento del licenziamento e poi concessi solo per qualche tempo.
La protesta della classe operaia del settore pubblico cinese, spinta ai margini
del sistema (anzi quasi espulsa) a causa degli attuali processi di riforma, si
estende e approfondisce.
I lavoratori vogliono i salari arretrati e la punizione dei dirigenti corrotti
della loro fabbrica, considerati responsabili del mancato pagamento di quanto è
loro dovuto. Già il 12 marzo scorso in 10mila avevano circondato la sede del
governo municipale chiedendo di essere ricevuti dalle autorità. Alla fine, dopo
alcune ore di assedio, una delegazione era stata ricevuta
dal vice segretario generale del comitato locale Partito, dal vice sindaco, dal
procuratore generale, dal capo della polizia e da altri funzionari. L'incontro
non aveva avuto uno sbocco concreto, dal momento che la maggior parte dei
vertici si trovava in quel momento a Pechino, per la sessione plenaria annuale
dell'Assemblea nazionale del popolo. Ma gli operai erano
stati rassicurati: i colloqui sarebbero ripresi al ritorno dei capi e nessuno
sarebbe stato arrestato. Così non è stato. Di qui la nuova protesta di ieri,
che si è sciolta pacificamente dopo quattro-cinque ore, sotto gli occhi della
polizia che presidiava massicciamente. Nel maggio del 2000 i lavoratori
infuriati, oltre ad assediare il municipio avevano anche bloccato un'autostrada
e si erano scontrati con la polizia. Anche allora chiedevano
due anni di salari arretrati e i contributi per l'assistenza sociale.Yao Fuxin,
53 anni, è stato arrestato domenica ed è un operaio metallurgico licenziato da
una fabbrica locale. Dal momento dell'arresto, nessuno ha più saputo nulla di
lui. "E' un rappresentante scelto dai lavoratori per trattare con il
governo. Alcuni di noi non vengono pagati da 24 mesi"
ha dichiarato un operaio. La polizia tuttavia nega di aver arrestato l'uomo,
anche se afferma che le proteste sono illegali, in quanto chi le ha organizzate
non ha chiesto il permesso alle autorità, secondo la procedura in vigore.
Secondo uno studio recente dell'istituto della Commissione per la
pianificazione, svolto in 11 grandi città, il pagamento delle pensioni arriva a
coprire appena il 40% degli aventi diritto. Solo il 15% di famiglie il cui capo
non lavora godono di una qualche copertura.
Visto il momento, poche volte le forze di polizia intervengono. In genere ciò
avviene quando la protesta comincia ad avere una sua organizzazione e leader
riconosciuti.
Mentre il presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi inaugurava l'anno accademico dell'Università di Padova, un gruppo di "Studenti in movimento" è stato picchiato dalla polizia. I ragazzi, in mattinata, erano entrati nella sala delle cerimonie e avevano appeso alcuni articoli della Costituzione italiana ai muri. Poi hanno organizzato un presidio all'esterno per ricordare al presidente "le deliberate e ripetute violazioni costituzionali da parte dei governi di centro sinistra e centro destra che si sono susseguiti durante il suo mandato, quali la violazione dell'articolo 33 della Costituzione da parte delle leggi regionali sui buoni scuola, la violazione dell'articolo 11 sul ripudio della guerra, la violazione dei più elementari e fondamentali diritti sociali e di cittadinanza nei confronti dei migranti e delle fasce più deboli della società". Gli studenti volevano anche consegnare una lettera a Ciampi ma, nonostante gli accordi, non è stato possibile incontrarlo e per questo un gruppo di loro lo ha seguito in prefettura. Qui, appena aperto uno striscione, una decina di poliziotti e carabinieri hanno alzato i manganelli e picchiato gli studenti. Alcuni di loro sono caduti a terra e riportando numerose contusioni.
Dopo più di 3 anni dalla scadenza dei precedenti contratti
per le aziende del settore acqua-gas le organizzazioni sindacali Fnle-Filcea
Cgil/Femca Cisl e Uilcem Uil hanno siglato in questi giorni un'ipotesi di
accordo unico che raggruppa i 5 precedenti contratti in cui era diviso il
settore.
Sui risultati contenuti in questa ipotesi su cui è convocato oggi martedì 19/3
un attivo nazionale dei delegati delle tre organizzazioni sindacali confederali
circolano molte perplessità: in alcune aziende, come all'Italgas di Roma è
nato "appello per una consultazione democratica e vincolante tra tutti i
lavoratori interessati " che si schierano per respingere questa ipotesi.
All'Amia di Carrara ne sono promotori rsu Uilcem e Fnle e all'Asa di Livorno Rsu
S.in.Cobas.
Secondo questi lavoratori, "l'obiettivo del contratto unico è stato posto
fin dall'inizio come una necessità accettata dalla
maggioranza dei lavoratori nella consultazione di tre anni fa per la definizione
della piattaforma per unificare i lavoratori del settore, raggiungendo
l'uniformità salariale e normativa a vantaggio dei settori più deboli.
Nell'ipotesi di accordo invece si configura un adeguamento al ribasso dei 37.00
lavoratori di Federgasacqua ed Anigas (i contratti più avanzati) alle
condizioni normative e di inquadramento salariale dei 4.400 di Anfida, Assogas e
Federestrattiva a scapito di tutti".
La parte datoriale è stata fin dall'inizio estremamente rigida, volendo con
questo contratto crearsi mano libera per le ristrutturazioni che deriveranno
dalla liberalizzazione del mercato.
Per quanto riguarda la parte salariale si costruisce un inquadramento con i
minimi tabellari allineati al contratto più arretrato, con conseguenze non solo
relative ai futuri nuovi assunti, ma anche con il congelamento con un assegno ad
personam del maggior salario percepito negli attuali inquadramenti per la
maggioranza della categoria (90%). C'è inoltre una riduzione del peso
dell'accantonamento per il Tfr e sono stati ridotti il numero degli scatti di
anzianità da 12 a 10 con una riduzione anche del 30% del loro importo. Sono
infine eliminate o ridotte una serie di indennità. L'orario di lavoro viene
aumentato a 38,5 ore.
"C'è un forte arretramento delle relazioni industriali e dei diritti di
contrattazione in azienda con la libertà delle imprese con meno di 250
dipendenti (la stragrande maggioranza!) di ristrutturare senza informare le Rsu,
così come spostare in mobilità orizzontale i lavoratori entro 50 km senza
nessuna informazione".
Ma una delle parti più negative riguarda la gestione degli appalti e della
flessibilità del lavoro. Infatti l'uso, la quantità ed il tipo di attività
appaltabili non sono più oggetto di contrattazione e non si precisa
l'estensione ai lavoratori delle ditte appaltatrici dello stesso contratto
gas-acqua. Inoltre nell'ipotesi di accordo si prevede un uso esteso dell'apprendistato
(fino a 4 anni a paga ridotta e sotto la costante minaccia di licenziamento),
del lavoro temporaneo, del telelavoro e del contratto ripartito. Questo
processo porterà inizialmente allo scorporo delle precedenti aziende in più
imprese ed alla progressiva estensione delle attività appaltate che
coinvolgeranno inoltre non altri lavoratori ma in gran parte gli stessi che sono
già oggi nel settore essendo questi già più che eccedenti (42.000) in un
quadro di mercato privato. E' lo stesso percorso seguito dai padroni nel settore
della telefonia, con il rischio di una maggiore accelerazione se gli forniamo
dagli inizi gli strumenti contrattuali. Cosa propongono i
lavoratori che si stanno autorganizzando? "Intanto è necessario che la
consultazione sia democratica, generale e verificabile per permettere un'ampia
informazione dei lavoratori con la libertà di circolazione delle proposte
alternative. solo un collegamento dal basso può permettere un controllo
dell'informazione e dell'andamento della consultazione. Per questo abbiamo
promosso un appello con cui invitiamo lavoratori e delegati del settore a
coordinarsi per controllare l'effettuazione di una consultazione realmente
democratica. Nell'appello, su cui abbiamo raccolto per ora le firme di delegati
e lavoratori di una dozzina di aziende e che stiamo
inviando alle Rsu ed Rsa di tutte le aziende del settore, invitiamo i lavoratori
a bocciare l'ipotesi di accordo".
Bisogna praticare una rottura e ripartire con la ridefinizione della piattaforma anche sulla base di quella del 1999 ma con la garanzia del mantenimento dell'adeguamento al livello migliore dei diritti sindacali e di contrattazione a livello aziendale, individuazioni dettagliate delle attività appaltabili e garanzia di applicazione anche a questi lavoratori del ccnl unico di settore, limitazione dell'uso dell'apprendistato ed altre forme di lavoro flessibile, mantenimento al livello migliore degli istituti salariali.
Segue l'appello:
Dopo tre anni di vacanza contrattuale Flne-Filcea Cgil/Femca Cisl e Uilcem Uil
hanno siglato una ipotesi contrattuale che peggiora complessivamente le
relazioni sindacali e i diritti e tradisce le aspettative che i lavoratori delle
cinque aree contrattuali coinvolte si aspettavano dal contratto unico di
settore.
Non a caso in una loro circolare i padroni del settore vantano di aver ottenuto
con questa intesa:
- erogazione di aumenti retributivi inferiori a quelli dei
più recenti rinnovi contrattuali a partire da quello dei chimici;
- ridimensionamento di molti istituti saalariali;
- forte ridimensionamento dell'attività sindacale a livello aziendale;
- mano libera completa su ristrutturaziooni, mobilità del personale e sull'uso
di tutte le forme di lavoro flessibile e sull'apprendistato.
Condividendo pienamente questa valutazione dei padroni
riteniamo appunto indispensabile che questa intesa venga respinta dai
lavoratori.
La premessa è che il testo di questo accordo venga fatto ampiamente conoscere
ai lavoratori interessati e che venga effettuata una reale e vincolante
consultazione.
Per questo i sottoscritti delegati Rsu e lavoratori di alcune aziende del
settore fanno appello per costruire un coordinamento che permetta di richiedere
e controllare questa consultazione.
Gli oltre seicento lavoratori dell'azienda di telecomunicazioni Blu di Palermo tornano in piazza oggi per tutelare il posto di lavoro, contro la decisione della società di cedere rami dell'azienda. Secondo il sindacato «il governo regionale deve difendere con tutti i mezzi gli oltre 600 occupati di Palermo che rappresentano oltre un terzo della forza lavoro di Blu».
Miramax Films, potente casa di produzione in lizza per gli Oscar con film come "Amelie", "In the bedroom" e "Iris", ha licenziato il 14% circa dei suoi dipendenti. I tagli interessano per il 75% i quadri medi e bassi della "Walt Disney" in servizio a New York, Los Angeles, Londra e Roma. La notizia arriva dal "Daily Variety".
Sospeso lo sciopero nazionale dei benzinai sulle autostrade, previsto per il 19 e il 20 marzo, dopo la convocazione per mercoledì prossimo da parte del ministro delle Attività Produttive Antonio Marzano. All'incontro sono invitati, oltre alle associazioni dei gestori autostradali, anche la società Autostrade, l'Anas, l'Unione Petrolifera e il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
CATEGORIE IN LOTTA: POSTE, DOCENTI E MARITTIMI
A partire dal 22 marzo, tornano poi gli scioperi nei trasporti: quattro ore nel trasporto pubblico locale, che verrà effettuato con modalità diverse a livello territoriale. Lunedì 25 marzo tocca ai marittimi di Cgil, Cisl e Uil che sciopereranno per 24 ore contro la cancellazione del Governo, degli aiuti previsti in passato per le imprese di cabotaggio marittimo e i fondi necessari alla formazione
Se fosse per i lavoratori, una data comune per lo sciopero generale la si sarebbe già trovata. Lo dimostrano le mobilitazioni unitarie di questi giorni. La più importante di ieri si è svolta a Pomigliano d'Arco (Napoli), dove oltre 2500 lavoratori hanno bloccato, per oltre un ora, sia al mattino che al pomeriggio, le strade di accesso alla zona industriale per protestare «contro il governo che, con arroganza e protervia inaudita, porta avanti l'attacco ai diritti e alle conquiste di civiltà conseguiti in anni di lotta». La manifestazione si è tenuta nell'ambito delle due ore di sciopero per turno indette dalle Rsu aderenti a Fim, Fiom, Uilm e Fismic della Fiat Auto e delle altre aziende ubicate nel perimetro (Marelli, Comau, Logint, Atuostamp, Lifi, ecc.).
Stop di 4 ore ieri per gli addetti dell'industria e dei
servizi della zona ovest di Torino che hanno dato vita a cortei di protesta a
Venaria, Collegno, Orbassano ed Avigliana. Percentuali tra l'85 e il 90% si sono
registrate allo sciopero unitario dei postelegrafonici con presidi ad
Alessandria, Novara, Ivrea ed Asti. A Torino un migliaio di lavoratori in corteo
sono arrivai sotto la sede della Rai.
A Bologna ci sono state 4 ore di astensione dal lavoro per varie categorie, con
tre concentramenti (davanti alla Prefettura, davanti alla sede Rai e in piazza a
San Pietro in Casale) ai quali hanno partecipato complessivamente circa 3.000
persone.
Sit-in unitario di Cgil, Cisl e Uil davanti a Montecitorio contro «il progetto di riforma degli organi collegiali». Progetto che «non garantisce più la rappresentanza di tutte le componenti del mondo della scuola». Scuole chiuse in Liguria per lo sciopero proclamato da Cgil-Cisl-Snals contro i tagli agli organici del personale docente e tecnico amministrativo. La protesta è finalizzata - si legge in una nota - alla difesa dei diritti di coloro che studiano e lavorano nella scuola e per ribadire il valore della scuola pubblica statale.
Oltre mille lavoratori hanno partecipato ieri a Roma ad un presidio sotto la sede dell'Unione industriali in Via Po per dire «no alle leggi delega, no alla modifica dell'articolo 18, sì all'estensione dei diritti ai lavoratori delle imprese con meno di 15 dipendenti e ai lavoratori atipici». Sempre in difesa dell'articolo 18, 5mila persone hanno preso parte ieri ad una manifestazione per le vie di Ivrea. In testa al corteo, i giovani della Pininfarina di San Giorgio Canavese e quelli del call center Omnitel Infostrada. Sempre in Piemonte, sono scesi in sciopero i metalmeccanici della provincia di Asti, nell'ambito di una iniziativa di lotta indetta dalla Cgil. Adesioni dell'80%.
"Sono un lavoratore interinale, non più tanto giovane e
da oltre un anno e mezzo sono in forza alla Tnt. Dopo l'accordo firmato dal
sindacato e dall'azienda sulla mobilità, dove si parlava di 80 assunzioni a
tempo indeterminato ho pensato [...] "finalmente si apre anche per noi
qualche spiraglio [...].
Ma poi, all'improvviso, arriva la classica doccia fredda a farti ritornare alla
cruda realtà e ti senti dire, che le 80 assunzioni a tempo indeterminato sono
diventate assunzioni con Contratto di formazione lavoro (C.F.L.). Io ho un'età
che non mi permette di accedere a questo tipo di contratto e di colpo mi ritrovo
rigettato nella solita e permanente condizione di precario.
Oggi, ho capito - e questo dovrò dirlo anche alla mia famiglia - che quelli
come me ormai vecchi, non possono sperare in un futuro lavorativo più sereno.
* * * Lettera aperta di un lavoratore della Tnt della Mirafiori carrozzeria resa nota (in forma anonima) dalla Fiom con un volantino
Le notizie preoccupanti per i lavoratori della Fiat si
accavallano e rafforzano l'impressione di chi da tempo denuncia l'intenzione
della multinazionale torinese dell'automobile di ridurre drasticamente, e
rapidamente, la produzione di vetture a Torino.
I dati forniti dalla Fiom sul prossimo crollo della produzione e
dell'occupazione a Mirafiori - analizzati nell'inchiesta pubblicata dal
manifesto la scorsa settimana - sembrerebbero confermati dalle notizie diffuse
negli ultimi due giorni. La Fiat ha annunciato ieri che ricorrerà alla cassa
integrazione per tre settimane tra il 15 aprile e il 5 maggio. Obiettivo,
produrre 5.800 veicoli in meno. I lavoratori colpiti dal provvedimento saranno
4.000 nelle prime due settimane e 4.900 nella terza. La seconda notizia, diffusa
on line dalla Fiat nel suo sito, informa della decisione, presa insieme al socio
nordamericano General motors, di produrre il primo cambio della joint venture
Powertrain non a Mirafiori, ma nello stabilimento austriaco della Opel (che è
poi la Gm tedesca). La cassa integrazione riguarderà i lavoratori delle
carrozzerie e delle presse occupati nelle linee produttive della Marea, della
Lybra, della Multipla e della 166. Per quanto riguarda
Marea e Lybra la multinazionale torinese sta creando le condizioni per ridurre
la produzione su un solo turno e non più su due, come aveva promesso
annunciando il trasferimento di tutta la produzione di Rivalta a Mirafiori,
garantendo il mantenimento dei livelli occupazionali
precedenti. Si prefigura un'eccedenza strutturale di 1.200 unità. Il messaggio
è chiaro: 1.200 carrozzieri di Mirafiori, tra non molto saranno esuberanti, di
troppo per la Fiat.
Tre leader delle proteste operaie di Liaoyang (centro industriale del Liaoning, nord est cinese) sono stati arrestati ieri dalla polizia alla fine di un'altra giornata di manifestazioni. Sono ormai tre giorni che migliaia di lavoratori licenziati dalle industrie statali dell'area scendono nelle strade della città per chiedere stipendi e pensioni arretrati, la punizione dei direttori corrotti delle loro fabbriche e ora anche la liberazione degli organizzatori delle proteste. Un altro leader era stato infatti incarcerato domenica scorsa, evento che aveva dato nuovo alimento a una rivolta che per la verità sembra non avere bisogno di nuovo combustibile e che tocca ormai parte del nord-est del paese. Un'altra città, Daqing (nell'Heilongjiang), è infatti in ebollizione dall'1 marzo. Anche qui migliaia di disoccupati, stavolta dell'industria petrolifera, accerchiano il quartier generale della loro impresa chiedendo salari e sussidi. Proteste sparse avvengono ormai in tutta la Cina, dove il problema della disoccupazione, e soprattutto quello della mancanza di ammortizzatori sociali, si sta facendo acuto. E non si è che all'inizio, visto che, come anche il governo ammette, con la piena entrata nell'Omc la situazione è destinata a peggiorare. Un fatto nuovo, e preoccupante per l'attuale leadership cinese, si sta tuttavia verificando nel nord-est: la protesta si organizza ed emergono nuovi capi, fuori dal controllo dei sindacati ufficiali. Da qui la repressione che mira a decapitare il movimento per scoraggiarlo.
PROPOSTA DELL'UNIONE EUROPEA SUI LAVORATORI INTERINALI
I lavoratori assunti attraverso le agenzie di lavoro interinale per oltre sei settimane non devono essere discriminati rispetto a un dipendente a tempo indeterminato. Hanno dunque diritto allo stesso trattamento per quanto riguarda salario, tempo di riposo, ferie e pagamento delle ore notturne. Lo stabilisce una proposta di direttiva adottata ieri dalla Commissione europea che per diventare legge dovrà essere approvata dal Parlamento. I lavoratori interinali continueranno, per la futura legge europea, a non avere contributi per la pensione e la previdenza sociale, ma anche questa proposta per un'eguaglianza minima ha suscitato una levata di scudi del padronato europeo. Il lavoro interinale riguarda attualmente l'1,4% dell'intera forza lavoro dei 15 paesi membri Ue. Nella maggior parte dei paesi Uem il 90% dei contratti di lavoro di questo genere dura meno di sei mesi. In Spagna e Francia, l'80% dei contratti interinali dura meno di un mese, dunque neppure rientrerebbe in questa normativa.
Restano differenze tra i sindacati di base. Il nodo è
rappresentato dalla manifestazione di Roma del 23 marzo. Sabato scenderanno in
piazza i Sin. cobas insieme ad altre organizzazioni come il Sulta, il Cnl, l'Ucs
mentre i Cobas e le Rappresentanze sindacali di base non aderiranno alla
manifestazione promossa dalla Cgil. «Ma questo - precisa Pietro Bernocchi,
leader dei Cobas - non significa non esprimere comunque tutto il nostro sdegno
per il delitto di Marco Biagi che era un avversario "politico" non un
nemico da abbattere. Dobbiamo andare avanti decisi - dice ancora - verso un
grandioso sciopero generale contro l'intera politica governativa prevedendo
anche una grande manifestazione nazionale durante la giornata di sciopero». E'
e resta questo l'obiettivo principale per i comitati di base. «Da parte nostra
- sottolinea Pierpaolo Leonardi, membro delle Rdb - c'è una condanna senza
appello dell'omicidio del professor Marco Biagi. Questo delitto è avvenuto nel
momento in cui milioni di lavoratori riassumevano il conflitto come strumento di
regolamentazione democratica dei propri interessi rilanciando il movimento di
fronte al proseguire dell'attacco ai diritti e alle tutele del mondo del lavoro.
Ciò non toglie che la nostra lotta sindacale si diversifica per modalità e
contenuti politici dalle altre. Per questo non scenderemo sabato in piazza».
Il S. in. Cobas esprime, invece, un parere diverso. E' Luciano Muhlbauer ad
annunciare la ferma partecipazione alla manifestazione del 23: «Occorre non
solo mantenere la mobilitazione in corso, ma
intensificarla, proprio a partire dal 23 marzo, a difesa della democrazia e
della libertà di espressione e di sciopero, a difesa dei diritti dei
lavoratori». Ripensare il confronto sociale nell'ottica
di una nuova concertazione «sarebbe un catastrofico suicidio politico e
sociale, si farebbe il gioco di Berlusconi, della Confindustria e di chi, sparando
o mettendo bombe, vuole scompaginare la mobilitazione di massa ed impedire che
il movimento si allarghi pacificamente fino a raggiungere i risultati che si è
prefisso». Restano ancora una denuncia unitaria contro la campagna d'odio
promossa senza scrupoli dalla presidenza del Consiglio e da Confindustria e un
nuovo momento "storico" su cui riflettere senza intimidazioni.
Lg Philips Displays, una joint venture tra l'olandese Philips Electronics e la coreana Lg Electronics, chiuderà entro fine anno l'impianto di Lebring, in Austria, tagliando 560 posti di lavoro. La decisione di interrompere l'attività dello stabilimento che produce monitor per computer ricadrà anche su 120 lavoratori interinali.
I sindacati dei lavoratori della Daewoo non intendono accettare il compromesso proposto da General Motors che sta trattando l'acquisto della casa automobilistica coreana in bancarotta. «Gm ha verbalmente chiesto di inserire una clausola nel contratto finale garantendo l'occupazione se sarà rivisto il contratto collettivo di lavoro», ha riferito un portavoce sindacale di Daewoo, sottolineando che «garantire il lavoro non è sufficiente». Secondo i sindacati una soluzione è possibile solo se vengono riassunti i lavoratori licenziati e viene messo nero su bianco il futuro dell'impianto Pupyong, il più importante.
La giunta regionale veneta ha espresso parere favorevole alla procedura di consultazione sindacale relativa alla richiesta di cassa integrazione guadagni straordinaria per i dipendenti delle Società Tecnosistemi Spa e Cultura e Comunicazione Spa. Quest'ultima è stata creata nel 1999 dai gruppi Coin e Fnac per l'utilizzo di alcuni negozi ex Standa.
Toghe in sciopero il prossimo 5 aprile. Assemblee in tutti i
tribunali e sospensione dalle udienze di 15 minuti. Lo ha deciso l'Associazione
nazionale magistrati, per protestare contro la riforma dell'ordinamento
giudiziario voluta dal ministro Castelli. Il nuovo presidente dell'Anm Patrono
attacca i "modelli di verticismo e gerarchizzazione dell'ordine giudiziario
in contrasto con il ruolo assegnato dalla Costituzione ai magistrati, tramite il
depotenziamento del Csm".
Il ministro della Giustizia ha provato a ricucire con i magistrati, dicendosi
disponibile ad un confronto sul suo testo di riforma dell'ordinamento
giudiziario. Ma le toghe sanno bene che c'è il rischio di modifiche anche
peggiorative di un testo già brutto: in parlamento sono pronti gli emendamenti
degli ultras di Forza Italia. Sarà sciopero, quindi. Con buona pace di
Castelli, che ieri ha parlato di "una scelta un po' eccessiva".
Volete scioperare? E noi vi pignoriamo lo stipendio, e se
continuate, pure la casa. Quanto alle centrali, poco male: in mancanza di
lavoratori, saranno mandate avanti dall'esercito. Situazione esplosiva in Corea
del Sud. Mentre il premier giapponese Koizumi è in visita ufficiale per cercare
di ammorbidire - in vista del concubinaggio calcistico di giugno - relazioni mai
state così tese tra Tokyo e Seoul, e mentre Usa e Corea del Sud, con tempismo
rimarchevole, lanciano le più grandi esercitazioni militari dal dopoguerra
(oltre 650.000 militari coinvolti) lo sciopero ad oltranza dei lavoratori della
Kepco, la privatizzanda azienda elettrica sudcoreana, sta segnando drammatici
sviluppi.
Giunti oramai alla terza settimana di sciopero - dichiarato illegale dal
management e da una prima sentenza del tribunale di Seoul - 1449 lavoratori, sui
5000 che avevano iniziato lo sciopero, sono rientrati al lavoro. Ma tutti gli
altri, dopo una drammatica assemblea svoltatsi all'interno della cattedrale
Myongdong di Seoul - tradizionale luogo d'incontro tra studenti e operai
- hanno reiterato la loro volontà di prooseguire lo sciopero ad oltranza. E dopo
un breve e tumultuoso incontro con i rappresentanti dell'azienda, alcuni leader
del sindacato hanno annunciato lo sciopero della fame. "La nostra risposta
democratica e non violenta al clima di intimidazione
dell'azienda - ha dichiarato ai giornalisti Lee Hoo Dong - un clima che
l'attuale governo sembra non solo permettere, ma anche appoggiare".
In un ricorso urgente presso il Tribunale di Seoul, è stato chiesto il sequestro conservativo degli stipendi di tutti i lavoratori coinvolti. Per ora: se l'agitazione proseguirà, anche le proprietà personali degli scioperanti saranno a rischio. "Lo sciopero è illegale - recita un comunicato dell'azienda - e sta provocando ingenti danni. Ad oggi si tratta di 25 miliardi di won (circa 19 milioni di dollari). Non possiamo permettere che la rivolta di alcuni sobillatori provochi il collasso di un'azienda e si ripercuota sui consumatori. Se lo sciopero è illegale, è giusto che i responsabili risarciscano l'azienda". Il management ribalta dunque le accuse del sindacato, secondo il quale la privatizzazione, oltre a tagliare posti di lavoro, provocherà un aumento delle tariffe. Che il management abbia intenzione di stroncare a qualsiasi costo la protesta è provato - oltre che dal ricorso in tribunale - dall'annuncio di aver assunto 67 nuovi operai "per aiutare gli eroici lavoratori che hanno sinora mandato avanti le centrali", come spiega il comunicato della Kepco. Ma che ci sia anche grande preoccupazione - i Mondiali di Calcio sono alle porte, e lo sciopero rischia di provocare imbarazzanti black-out - è dimostrato dal piano d'emergenza del governo. Se lo sciopero dovesse proseguire, il regolare funzionamento delle centrali coinvolte (31 in tutto il paese) sarà garantito da personale militare precettato. L'addestramento, rivela la stampa sudcoreana, è già iniziato ed i primi 198 militari prenderanno servizio lunedì prossimo, se l'ultimatum dell'azienda non verrà raccolto dagli scioperanti. Grande attesa per la decisione, sabato, della commissione interna dei lavoratori delle centrali nucleari (che fornisce quasi la metà del fabbisogno di energia elettrica), che sinora non hanno ancora aderito allo sciopero e che, secondo il sindacato, sono oggetto di pesanti intimidazioni.
In tutto il mondo si va sviluppando una forte iniziativa sulla utilizzazione di un bene fondamentale come l'acqua. Nel nostro Paese si tenta, attraverso una norma, inserita dal governo Berlusconi nell'ultima finanziaria, di privatizzare nel giro di 6 mesi, e cioè entro l'estate, il più grande acquedotto d'Europa (che è anche il terzo del mondo). Si tratta dell'Acquedotto Pugliese (Aqp) che accumula, trasferisce e serve 4.623.349 abitanti di 4 regioni (Basilicata, Campania, Puglia e Molise), in una parola: 309.416.113 metri cubi di acqua potabilizzata e 19.635.000 chilometri di rete idrica gestita. Attualmente l'Aqp Spa, che è controllato dal ministero del Tesoro (ma le cui quote azionarie dovrebbero essere trasferite alle regioni interessate in percentuale rispetto agli abitanti), ha un capitale sociale di 78.154.5500.000 di vecchie lire (pari a euro 40.363.456). Negli ultimi anni, anche a seguito delle attività di risanamento del commissario Pallesi, dopo la scellerata gestione del presidente Emilio Lagrotta, i bilanci sono stati approvati in pareggio e negli ultimi due anni addirittura hanno scaricato attivi per circa 18.5 milioni di euro. La scelta di privatizzare l'Aqp non è generata solo dalle decisioni del governo Berlusconi, che ha accelerato le procedure, ma vanno rintracciate in alcuni orientamenti definiti dall'ex ministro Antonio Di Pietro, in uno con il sottosegretario Bargone, e successivamente dal governo D'Alema. Il disegno era l'accumulo dell'acqua affidato a consorzi pubblici e la distribuzione, la depurazione, la chiarificazione ai privati, che in parte operano attualmente in regime di sub appalto su alcuni impianti in Puglia e Basilicata. Una grande operazione a sostegno di 3 o 4 gruppi di imprese ex edili che hanno riciclato la loro attività nel ciclo delle acque. Tutto questo assetto rischia adesso di finire sotto il maglio di una privatizzazione senza logica messa in piedi al solo scopo di sostenere gli interessi di gruppi privati che si vogliono spostare nel settore del ciclo dell'acqua per fare profitti. Tutto questo accade in un momento particolare dove, in presenza di una grave crisi idrica derivante anche dalla siccità, ma originata pure dalle perdite di acquedotti comunali che dovrebbero essere oggetto di ristrutturazione e risanamento, invece di affrontare le questioni del rafforzamento dell'intervento pubblico per realizzare strutture, aumentare l'utilizzo di sorgenti ed accumuli e salvaguardare la salute dei cittadini attraverso il potenziamento dei depuratori si pensa al business di gruppi privati.
La General Electric ripropone nelle fabbriche che acquista la strategia a base di esternalizzazioni delle attività produttive, licenziamenti di dipendenti da sostituire con giovani «atipici», mantenimento della sola attività progettuale e soprattutto del marchio. Il logo con cui certificare i manufatti prodotti altrove, naturalmente lì dove il lavoro vale meno e ha minori diritti. A tre anni dal caso del Nuovo Pignone - 221 esuberi, a fronte di mille miliardi di utili nel solo 1999 - ora tocca alla ex Siliani, altra storica fabbrica dell'area, passata di mano lo scorso anno e diventata Gets, General Electric Trasportation System. Anche qui ci sono bilanci in attivo, e un fatturato previsto in ulteriore aumento nel 2002. E anche qui arriva la richiesta di cassa integrazione straordinaria per 60 dei 200 dipendenti, divisi nei due poli produttivi di Firenze e Genova. Con in più un progetto che prevede il completo smantellamento dell'officina elettromeccanica. Dopo i primi scioperi è arrivato il volantinaggio dei lavoratori sotto gli uffici della provincia, proprio mentre gli enti locali incontravano i sindacati e la Rsu. Sono arrivate anche le delegazioni delle Rsu di Nuovo Pignone, Matec, Gkn, Laika, Officine Galileo e delle piccole aziende dell'indotto. I grandi gruppi arrivano nel comprensorio non per realizzare nuovi insediamenti, ma per acquistare realtà produttive che già esistevano. Comprano le aziende, e poi decidono cosa conservare e cosa chiudere. Senza tenere in alcun conto le ricadute sociali.
La flessibilità del lavoro, secondo la teoria dominante, dovrebbe condurre
ad aumenti dell'occupazione in quanto la domanda di lavoro è inversamente
correlata al costo del lavoro. Se il mercato del lavoro è lasciato aggiustarsi
come qualunque mercato, la concorrenza dei disoccupati nei confronti degli
occupati condurrebbe il costo del lavoro a collocarsi ad un livello tale per cui
tutti coloro che vogliono lavorare al salario di equilibrio troverebbero un
impiego. E' evidente che la concorrenza dei disoccupati nei confronti degli
occupati si può esercitare solo se i datori di lavoro sono in grado di
minacciare di licenziamento i lavoratori che non accettassero riduzioni del
costo del lavoro - non solo del salario - ma anche delle garanzie su orari,
diritti, sicurezza sul lavoro ecc che pure incidono sul costo del lavoro. Dunque
flessibilità, nelle sue varie declinazioni, è sostanzialmente sinonimo di
licenziabilità. L'abolizione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori non
è che la punta di diamante della flessibilità.
In realtà ragioni teoriche ed empiriche portano a respingere l'idea che il
sacrificio salariale e normativo induca una crescita dei posti di lavoro, come
invece sostenuto dal governo e dai padroni. L'unico effetto sarebbe una crescita
dei profitti. Per molte settimane la Confindustria e il suo governo hanno
accusato i sindacati di attribuire valore eccessivo alla cancellazione
dell'articolo 18, che dopotutto si applica solo a una quota limitata di imprese
italiane, quelle con più di 15 addetti. Numericamente poche, esse impiegano
però oltre 60% degli addetti del settore manifatturiero, e più del 40% del
totale degli occupati. Di fronte all'obiezione che era la Confindustria per
prima a fare dell'articolo 18 questione di vita o di morte, i suoi esponenti
hanno ripiegato negli ultimi giorni verso l'argomento che vi sarebbero nel paese
migliaia di imprese sotto i 15 addetti pronte a fare il balzo verso la crescita,
con centinaia di migliaia di assunzioni (D'Amato, Il Sole, 13/3/02) solo che
fosse rimossa la famigerata norma sui licenziamenti. Dati Istat del 1999 (La
"questione dimensionale" nell'industria italiana, Il Mulino, a cura di
F.Traù) mostrano come si ripartiscono in percentuale le imprese italiane per
dimensione e non c'è nessun affollamento delle imprese attorno ai 15 addetti
(quelle pronte al balzo). Lo stesso studio conclude che è difficile pensare ad
una rilevanza estrema delle normative a tutela del lavoro nello spiegare il
nanismo delle imprese italiane. Citando Maurizio Zenezini lo studio adombra
l'idea che le imprese aggirino di fatto la soglia dei 15 dipendenti
costituendosi in piccoli gruppi di imprese. I dati Istat dicono però che alla
fine del 1997 solo il 4,6% delle imprese manifatturiere fra 1 e 20 addetti era
parte di una piccola holding. Naturalmente molte imprese possono esser parte di
un gruppo in maniera informale (per esempio, una impresa di 30 addetti si
suddivide in due, la prima intestata alla moglie e la seconda al marito). La
verità è che l'abolizione dell'articolo 18 non è importante per le piccole
imprese, ma per attaccare i diritti dei lavoratori, e dei sindacalisti in
particolare, nel loro nucleo più duro, le imprese medio-grandi dove, per dirne
una, vengono nei fatti strappati i contratti nazionali che vanno a beneficio
anche delle fasce di lavoratori meno garantite.
Vittoria di una battaglia sindacale: la Banca Carime revocherà il licenziamento deciso nei giorni scorsi per Francesca Furfaro, segretario generale della Falcri, che aveva diffuso i risultati di un sondaggio che metteva in evidenza alcune carenze dell'istituto di credito. Inoltre, è stato anche revocato il provvedimento di sospensione di due sindacalisti della Fabi, ugualmente «puniti» dalla banca. Francesca Furfaro, nell'esprimere soddisfazione per l'esito della vicenda, ha ricordato che alla revoca del licenziamento e delle sospensioni «si accompagna l'avvio di una importante trattativa volta a riportare Banca Carime sul piano dell'osservanza delle norme contrattuali e di legge, così come richiesto da più mesi da tutte le organizzazioni sindacali, con il coinvolgimento della capogruppo Comindustria che si è finalmente attivata per una positiva soluzione».
L'Alitalia ha accettato la proposta di riduzione del costo del lavoro elaborata dalle organizzazioni sindacali per risolvere la questione degli oltre 2500 esuberi dichiarati dall'azienda nel piano d'impresa. I lavoratori della compagnia contribuiranno per gli anni 2002-2003 per un totale complessivo di 276, 5 miliardi di lire. Vengono destinati alla riduzione del costo del lavoro i benefici derivanti dai rinnovi contrattuali in corso fino al 31/12/2003. Inoltre, 12.700 lavoratori di terra dovranno fare ricorso anche ai contratti di solidarietà, avranno il blocco della previdenza integrativa per tutto il biennio e la rinuncia delle festività soppresse.
La Lombardia vanta un esponente di Forza Italia «salvato» dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. E' Sergio Fedeli, 51 anni, ex sindaco di Sordio, consigliere comunale di Fi a San Zenone. Lavora da ventidue anni ai Supermercati Gs, è direttore della filiale di Vizzolo Predabissi, in provincia di Milano. Senza l'articolo 18 oggi sarebbe o disoccupato o costretto ad accettare un lavoro con qualifica e stipendio più bassi. Invece, continua a fare il direttore del supermarket Gs. Il giudice Antonio Ianniello l'ha reintegrato in via cautelare nel posto di lavoro con una sentenza che definisce il suo licenziamento privo di «giusta causa» e «crudele». Fedeli è stato licenziato per aver sponsorizzato un'opera di bene senza l'autorizzazione «giusta». In attesa della sentenza di merito, Fedeli resta un militante di Forza Italia, non partecipa a girotondi e a manifestazioni contro il governo. Ma sull'articolo 18 non segue Berlusconi: «E' giusto tutelare prima di tutto il lavoratore. Quell'articolo non va modificato. Non c'è risarcimento che possa ripagare la perdita del lavoro e della serenità». Soldi in cambio del licenziamento? No, grazie. Due anni di stipendio sono una mancia che non risolve niente. Aldilà dell'aspetto economico, «chi mi avrebbe restituito la dignità di fronte alla gente?» Quella che il governo spaccia per «sperimentazione» è la prima tappa per smantellare l'articolo 18, che andrebbe esteso, non ristretto.
Berlusconi ha sostenuto che sarebbero scesi «in piazza i padri contro i
figli». Franca Torrini ha 67 anni, e sfila accanto alla figlia Paola Lai, di
42, che a sua volta è madre di Manuele e Lorenzo, di 15 e 9 anni. Tre
generazioni in piazza, con gli stessi slogan. Paola da ben 23 anni va avanti a
contratti di collaborazione di 3 o 6 mesi, eternamente rinnovati e mai
trasformati in un posto fisso, già esperta di formazione per il Comune e la
Provincia di Roma, per una commissione del Senato e una sfilza di altri enti.
I precari, dai Cococo agli interinali, in piazza ci sono tutti, insieme ai
ragazzi di McDonald's, American Express, Virgilio, Omnitel, Blu, Tim e di tutto
il nuovo universo che raccoglie in sé l'atipico e il flessibile. E se con
l'articolo 18 ci si può sentire insicuri, figurarsi senza.
Dalle 13 di domenica 24 marzo l'incendio divampato a Torino, in corso Regina
Margherita, presso lo stabilimento Acciai Speciali Terni, ex Ilva, del gruppo
tedesco Tyssen Krupp, ha distrutto la fabbrica. Si tratta di uno dei 119
impianti piemontesi considerati a rischio. Al momento dello scoppio del rogo
nello stabilimento c'erano un centinaio di operai, ma non ci sono state vittime.
Il fuoco ha provocato un'immensa nuvola di fumo nero che ha invaso parte della
città. Le vasche contenenti l'olio di raffreddamento hanno ceduto, l'olio si è
sparso nei cunicoli e nelle condutture sottostanti gli impianti di lavorazione
rendendo inaccessibile ai soccorritori l'intera area. Timori emergono anche per
la stabilità complessiva delle strutture.
Oltre allo spegnimento delle fiamme, i vigili del fuoco e i tecnici ieri hanno
provveduto a misure precauzionali, come quella di spostare dalla zona d'incendio
le cisterne di acido cloridrico e di acido fluoridrico, utilizzati nell'ex Ilva
per la pulitura di acciai lavorati.
Da ieri mattina i 513 dipendenti della Acciai Speciali Terni sono stati posti in
cassa integrazione ordinaria per 13 settimane. Venti operai saranno trasferiti
immediatamente nell'impianto di Terni, dove è previsto un aumento della
produzione. Data la situazione ancora di emergenza, i tecnici impegnati nelle
operazioni di soccorso non sono riusciti a fornire una stima precisa dei danni
causati all'impianto dalle fiamme. Va tenuto presente, però, che l'Acciai
Speciali Terni è un laminatoio a freddo, specializzato nella produzione di
acciai utilizzati poi dall'industria elettrodomestica. Una fabbrica in
espansione che aveva superato brillantemente i problemi causati dall'alluvione
subito nel 2000, non a caso acquistata di recente dal gruppo tedesco Tyssen
Krupp.
Avevano detto che undicimila persone avrebbe perso il posto di lavoro. Ed era
(quasi) crollato il mondo. Ieri hanno annunciato che gli esuberi saranno
quindicimila e che nei prossimi tre anni altre migliaia di posti di lavoro
salteranno. Ed è stato il caos. Autori di questa vera e propria decapitazione
Consignia, ovvero le poste britanniche. Ma il governo inglese per bocca della
ministra dell'industria Patricia Hewitt ha fatto sapere che «gli esuberi sono
inevitabili». Colpa delle politiche dei precedenti governi conservatori, ha
detto Hewitt. Una giustificazione che ha irritato i sindacati che invece puntano
l'indice contro le politiche di questo governo. La ministra ha cercato di sedare
gli animi dicendo di rendersi conto che «la perdita così consistente di posti
di lavoro sarà un duro colpo per i dipendenti e le loro famiglie, ma - ha
aggiunto - questo episodio segna anche una svolta radicale nel futuro delle
poste».
Gli esuberi: quarantamila dipendenti considerati in qualche modo l'agnello
sacrificale del nuovo corso delle poste britanniche. Alle quali il governo ha
confermato di aver dato «mano libera» per cercare di rovesciare in meglio le
sorti di un'azienda che perde un milione e mezzo di sterline al giorno. I
quarantamila licenziamenti dovrebbero servire, ha spiegato il governo, a far
recuperare almeno una parte del miliardo e duecento milioni di sterline
necessari per far ritornare a galla una azienda altrimenti destinata ad affogare
nei debiti. Ma poiché la priorità è quella di «garantire la creazione di un
servizio postale di alta qualità - ha spiegato ancora la ministra - abbiamo
dovuto riconoscere, pur soffrendo, che esuberi della portata enunciata sono
inevitabili».
Sono iniziati gli scioperi di avvertimento organizzati dall'Ig Metall, il secondo sindacato metalmeccanico tedesco, uno dei più potenti d'Europa con i suoi 3,6 milioni di iscritti. Hanno iniziato oltre 4mila lavoratori di Berlino, del Brandeburgo e della Sassonia, che hanno sospeso il lavoro per un'ora. Altri operai in altri luoghi li seguiranno nel corso della settimana. Il sindacato chiede un incremento dei salari del 6,5%. Il padronato ha contro proposto un 2%. Se gli avvertimenti di questa settimana resteranno inascoltati, sarà sciopero generale, probabilmente entro maggio. Gli scioperi si tengono solo nei laender che un tempo facevano parte della Germania dell'est. Nella Germania occidentale la legge sindacale proibisce ai lavoratori di attuare azioni di protesta fino al 28 marzo, giorno in cui finisce il periodo «di grazia» di quattro settimane dopo la scadenza del contratto.
E' scaduto ieri alle 9 ora locale l'ultimatum lanciato dalla società elettrica pubblica ai suoi dipendenti in sciopero da un mese contro le privatizzazioni. Adesso, contro i 3.500 lavoratori (su 5.000) che ieri non sono tornati al lavoro sono partite le lettere di licenziamento. Così almeno la Kepc ha affermato ieri di aver fatto, senza ripensamenti né cedimenti. Il governo aveva dichiarato lo sciopero fuori legge e aveva già licenziato 196 tra sindacalisti e semplici dipendenti. Altri 100 sono stati arrestati ieri all'alba nel campus dell'università di Seoul dove si erano riuniti 2.500 lavoratori e dove nel cuore della notte 2.000 poliziotti hanno fatto irruzione.
I lavoratori del catering ex-Ligabue hanno bloccato ancora una volta, ieri mattina, il varco merci dell'aeroporto di Fiumicino. La protesta ha preso le mosse dal tentativo di far firmare loro - in cambio dello stipendio di febbraio e marzo - un documento contenete in pratica l'accettazione di un percorso di licenziamento. Secondo gli accordi sottoscritti all'atto della privatizzazione del catering, infatti, i lavoratori dovevano tornare alle dipendenze degli Aeroporti di Roma nel caso di «fuga» dell'acquirente privato. E così era infine stato deciso al «tavolo istituzionale» riunito dal prefetto. Ieri, infine, il tentativo dell'AdR di scaricare la patata bollente.
Sciopero generale di otto ore il 16 aprile contro le modifiche dell'articolo
18 dello Statuto dei lavoratori, l'arbitrato e la decontribuzione prevista nella
delega previdenziale. Non accadeva da vent'anni. L'ultimo sciopero generale di
otto ore è stato quello del 25 giugno 1982. Allora furono Luciano Lama, Pierre
Carniti e Giorgio Benvenuto a proclamarlo contro la disdetta della scala mobile
decisa dalla Confindustria. Questa volta lo sciopero generale unitario è in
difesa dello Statuto dei lavoratori e contro una serie di «riforme» della
destra che, se divenissero legge di stato, stravolgerebbero il sistema fiscale,
quello previdenziale, nonché tutte le norme che regolano il mercato del lavoro.
Certo è significativo che in vent’anni questi sindacati non abbiano mai
sentito la necessità di una mobilitazione generale dei lavoratori (ma non
solo): d’altra parte è anche per questo che siamo arrivati a questo punto.
I sindacati hanno anche replicato in serata al premier Berlusconi, che - appresa
la notizia dello sciopero - ha detto che il fatto non lo preoccupa e che
comunque lo sciopero non sarà generale, ma parzialissimo, visto il seguito dei
sindacati nella società. La Cgil giudica gravi e preoccupanti le affermazioni
di Berlusconi. La Cisl risponde che lo sciopero riuscirà e che il presidente
del consiglio dovrebbe imparare a moderare i termini.
Con tutta la gradualità connaturata al sindacalismo tedesco, i
metalmeccanici hanno cominciato questa settimana a mobilitarsi per il rinnovo
del contratto. Il 25 marzo nell'est della Germania 5300 operai hanno interrotto
il lavoro in 15 stabilimenti, un'ora prima della fine del turno, per uscire in
corteo. Ieri questi piccoli Warnstreiks (scioperi di avvertimento) si sono
ripetuti in Sassonia, in Brandeburgo e a Berlino. Il contratto è scaduto a fine
febbraio, ma a ovest l'Industrie Gewerkschaft Metall - il sindacato
dell'industria metalmeccanica - si è impegnato sin dal 1979 a rispettare un
assoluto «obbligo di pace sociale» per le quatto settimane successive. Questo
impegno non è mai stato sottoscritto nelle regioni orientali. La IG-Metall
chiede aumenti salariali del 6,5%, l'avvio dell'inquadramento unico tra
impiegati e operai (che comunque richiederà diversi anni per la sua
realizzazione), un impegno per la riduzione d'orario a est. Nelle regioni della
ex Rdt è stato concordato fino alla primavera del 2003 un orario settimanale di
38 ore, di tre ore più lungo che a ovest. «A est si lavora per un mese
gratis», commenta il vicepresidente della IG-Metall Jürgen Peters.
Un aumento del 6,5% può sembrare una rivendicazione estremista in una fase di
stagnazione economica, con 4,3 milioni di disoccupati. Ma rituali consolidati
vogliono che, all'inizio di una stagione contrattuale, i sindacati chiedano
sempre il doppio di quello che contano realisticamente di ottenere. Nel 1999 l'IG-Metall
rivendicò il 6,5% e accettò il 3,2%. Nel 2000 chiese il 5,5%, ma firmò un
responsabilissimo contratto biennale con aumenti del 3% nell'anno in corso e del
2,1% l'anno seguente.
Certo è che la pazienza degli operai è arrivata al limite, e nelle fabbriche
ci si aspetta un risultato consistente. Gli ultimi quattro anni dell'era Kohl
sono stati catastrofici per i salari operai, che al netto di tasse, contributi
assicurativi e inflazione sono continuamente diminuiti tra il 1994 e il 1997. Le
speranze che questo andazzo cambiasse con il governo rosso-verde sono andate
ampiamente deluse. I reddito netto medio di un lavoratore dipendente è
aumentato in termini reali solo dello 0,1% nel 1998 e dello 0,6% nel 1999, è
rimasto fermo nel 2000, per poi salire dello 0,9% nel 2001.
Un piccolo sconto sulle sue aspettative salariali la IG-Metall è però disposta
a concederlo pur di varare l'inquadramento unico per operai e impiegati, un
progetto che si trascina irrisolto da decenni. Le fabbriche metalmeccaniche
lavorano ormai con macchine a guida elettronica, capaci di fresare, trapanare o
levigare un pezzo con fantastica precisione. In certi reparti chi programma
queste macchine è un «operaio», in altre un «impiegato». La differenza è
che il primo per queste «difficili mansioni specializzate» guadagna un
«salario» tra 2110 e 2300 euro al mese (lordi). Il secondo, a stare alla
tabella degli «stipendi» per compiti difficili, percepisce da 2650 a 3020
euro.
A Mariglianella, a due passi da Pomigliano d'Arco, c'è un'azienda di
cablaggio che si chiama Valeo Cablauto, indotto Fiat. E' il prodotto di una
terziarizzazione Fiat, fatta nel `96, per togliersi dai piedi un settore
marginale rispetto alla produzione, i cui 370 operai svolgono mansioni a basso
contenuto professionale. All'atto della vendita la Fiat garantisce l'occupazione
per 5 anni, ma in quest'arco di tempo di dipendenti ne sono rimasti soltanto
150, grazie all'utilizzo della mobilità e dei pensionamenti. Ora, la Valeo ha
comunicato ai lavoratori sopravvissuti la sua intenzione di chiudere baracca e
burattini, così risolvendo alla radice il problema. Dice che nel napoletano i
costi del lavoro sono troppo elevati e dunque lo stabilimento sarà chiuso e la
produzione trasferita altrove. Parte la lotta: la Fiat, ex proprietaria e
attuale acquirente della nostra produzione, impone prezzi e condizioni che
legittimano le scelte di trasloco (globalizzazione) della Valeo. Dal canto suo,
la Fiat si dice disinteressata al problema: prendetevela con i vostri padroni,
noi garantiamo le commesse e dunque avete sbagliato indirizzo. Convinti invece
che l'indirizzo scelto sia quello giusto, ieri un centinaio di operai della
Valeo Cablauto sono entrati in corteo all'Alfa di Pomigliano e hanno bloccato
per protesta le linee di montaggio.
La risposta della Fiat non si è fatta attendere: «Ritiro della direzione
aziendale» dallo stabilimento di Pomigliano «fino a quando si saranno
ripristinate le normali condizioni di agibilità». E «messa in libertà» di
tutti i dipendenti a partire dalle 16». Al Lingotto, la direzione Fiat precisa
che «non avevamo alternative, essendo impedita la produzione e non potendo
garantire la sicurezza delle persone e degli impianti». Il rischio di mettere
gli operai dell'Alfa contro quelli dell'indotto attraverso la sospensione dal
lavoro dei primo è stato scongiurato da un immediato moto di solidarietà:
questa mattina, dicono alla Fiom di Pomigliano, gli operai dell'Alfa
manifesteranno insieme ai loro più sfortunati e tartassati compagni della Valeo
Cablauto.
Atesia, call center controllata da Telecom, è stata bloccata per due ore da un'agitazione indetta contro il licenziamento di oltre 100 lavoratori. Lo sciopero ha completamente bloccato tre delle «campagne» principali e, a seconda dei settori, ha coinvolto tra il 40 e il 90% dei telefonisti, al punto che spesso è stato mandato in onda un disco pre-registrato (il che comporta il pagamento di pesanti penali ai committenti da parte dell'azienda). I licenziamenti, vista la forma contrattuale «atipica», sono formalmente dei «mancati rinnovi», tutti rigorosamente individuali e per i motivi più vari. L'agitazione è stata indetta da Cgil, Cisl e Uil.
In Italia aumenta il numero delle persone che lavorano e diminuiscono i
disoccupati. Il risultato è la discesa - in gennaio - del tasso di
disoccupazione al 9,1%, il livello più basso dal 1993. I dati Istat dicono che
l'emersione del sommerso è stata richiesta da appena un centinaio di imprese;
la Tremonti-bis ha prodotto addirittura risultati negativi, avendo bloccato gli
investimenti in attesa della sua approvazione e gli investimenti stanno
diminuendo e gli industriali (come risulta da una inchiesta di Bankitalia) non
sembrano assolutamente disposti a impegnarsi. E ancora: lo scudo fiscale non sta
riportando in Italia quei capitali che avrebbero dovuto alimentare il processo
di accumulazione, mettendo a disposizione del sistema produttivo enormi risorse.
I dati Istat dimostrano perfettamente che la crescita può essere trainata
unicamente dal lavoro regolare e stabile, che garantisce anche le imprese più
dinamiche. La conferma si ha dai dati territoriali sulla disoccupazione: al Nord
il tasso di disoccupazione è sceso al di sotto del 4%, mentre nel Mezzogiorno
il tasso dei senza lavoro (anche se in riduzione) rimane appena al di sotto del
19%. Poter licenziare al Sud, con l'abolizione dell'articolo 18, chi è appena
emerso non creerà nessun nuovo posto di lavoro, mentre al Nord, a questo punto
e salvo poche realtà territoriali, il problema è solo quello della carenza di
manodopera. Il problema, insomma, non è quello della flessibilità e della
precarietà, ma dell'accumulazione in un'area dell'Italia, puntando a
conquistare quote di mercato nelle produzioni tecnologicamente avanzate. Tutto
il contrario della flessibilità e dei bassi salari, che con l'abolizione
dell'articolo 18 rilancerebbero unicamente le produzioni a basso valore
aggiunto.
Sciopero e assemblea generale alla Fiat di Pomigliano d'Arco deciso unitariamente dai metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil. La protesta è stata decisa dopo che l'azienda ha messo in libertà gli operai e gli impiegati Valeo Cablauto che avevano preso parte alla manifestazione di martedì dei lavoratori. In particolare la Fiat accusa i 100 lavoratori della Valeo-Cablauto di avere impedito l'attività lavorativa. In una nota diffusa dai tre sindacati e dalla Fismic viene accusata la Fiat di «atto ignobile e volgare» e denunciano la latitanza dell'impresa che non interviene presso la francese Valeo per fare sospendere i licenziamenti e avviare un tavolo delle trattative.
Alitalia riesce ad evitare il dissesto economico e finanziario grazie anche a
un accordo, siglato giovedì notte da tutte le componenti del sindacato, che
prevede in sostanza un prestito `forzoso' da parte dei lavoratori, finalizzato
ad alimentare un piano di risanamento di natura finanziaria più che
industriale. Il testo dell'accordo, basato in particolare su costo del lavoro e
warrant, è stato consegnato nelle mani dell'amministratore delegato della
compagnia Mengozzi, che a sua volta lo ha poi presentato al Consiglio di
amministrazione. Si tratta di un accordo pieno di ombre e di incertezze per il
futuro, che cade poi in un momento drammatico per la compagnia aerea italiana.
Ieri, subito dopo l'intesa sindacale, il consiglio di amministrazione di
Alitalia ha dato il via libera ad una gigantesca operazione di
ricapitalizzazione che avrà il valore di 1,4 miliardi di euro, previo
completamento dell'operazione di ricapitalizzazione del `97 per circa 370
milioni di euro. In che cosa consiste l'accordo sindacale? In base alle prime
indicazioni prevede il riconoscimento, e dunque la compensazione, dell'80% dei
sacrifici a carico delle categorie interessate alla riduzione del costo del
lavoro in Alitalia (piloti, assistenti e tecnici di volo, personale di terra)
con il ricorso a warrant, obbligazioni convertibili che alla scadenza del piano
2002-2003, consentono la sottoscrizione di azioni ad un prezzo di favore oppure
la liquidazione diretta del controvalore.
Per dirla in altri termini i lavoratori sono diventati parte integrante del
salvataggio della compagnia grazie a un prestito dai contorni finanziari non
ancora noti e comunque poco chiari.
La vicenda dovrebbe insegnare qualcosa ai liberisti e a tutti coloro che
vorrebbero mettere i beni pubblici nelle mani del Dio mercato. Anche il Cda,
ovviamente ha accolto con entusiasmo l'accordo sindacale: il consiglio di
amministrazione in una nota della compagnia ha sottolineato che l'accordo
costituisce un «elemento costitutivo della politica di implementazione del
Piano Biennale 2002-2003».
Il decennio di moratoria contrattuale è iniziato. Con indiscutibile piglio
governativo, il management di Micron Technology ha compiuto nei giorni scorsi i
primi passi volti a mostrare urbi et orbi che l'avvio dell'epoca di moratoria
contrattuale coincide con una impennata dell'occupazione, essenzialmente a
favore dei giovani. Prima, l'incontro con Fiom, Fim, Fismic (la Uilm è enturage
dell'azienda più che sindacato metalmeccanico). Alla delegazione, che aveva
chiesto l'incontro per aprire un tavolo di negoziato in materia di contratto
integrativo, il management si è limitato a rispondere che Micron non ha alcun
interesse alla trattativa né sul sistema dei turni né sull'organizzazione del
lavoro. Poi, l'annuncio dell'inizio di una magnifica epoca di felicità. Nella
sede aquilana dell'Unione industriali, il management Micron ha infatti
annunciato un programma di nuove assunzioni con contratti di formazione-lavoro.
Nei prossimi mesi entreranno in Micron 225 giovani (150 impiegati di produzione;
45 impiegati tecnici di quinto livello; 25 impiegati tecnici di terzo livello; 5
amministrativi). Queste 225 assunzioni a cfl devono essere sommate ad altre 100
legate a un accordo precedente. Lo stabilimento presenterà un profilo giovane e
una struttura del rapporto di lavoro flessibile.
L'interfaccia di questa politica di incremento di organico in fabbrica è
costituito dalla linea sulla quale il management persegue la strisciante
rottamazione degli addetti anziani. Per anziani s'intendono dipendenti di 37-38
(avete letto bene) anni. Fino a dicembre scorso, l'azienda ha convinto 60 di
costoro a rassegnare spontaneamente le dimissioni, dietro corresponsione di 24
mensilità di salario. Non sarebbe male gettare una lunga occhiata a una
qualunque delle lettere di assunzione a contratto di formazione-lavoro, spedita
dall'azienda ai giovani in ingresso. Molto istruttivo, dal momento che il
management specifica che il primo giorno successivo alla scadenza dei 24 mesi a
cfl, il giovane tecnico sarà utilizzato nei turni di 12 ore - il che significa
che i cfl sono una forma giuridica in cui la vera natura del rapporto di lavoro
in Micron è dissimulata ma è chiarissima.
Mercoledì 20 marzo un corriere ha consegnato una lettera ad Antonella Barbi, l'operaia dell'Avicola Monteverde di Rovato licenziata perché controllava troppo (secondo il padrone) la qualità dei fegatini di pollo. Il titolare del macello aveva fatto marcia indietro, comunicava alla dipendente di presentarsi al lavoro il giorno seguente. Il 21 gennaio il tribunale di Brescia, applicando l'articolo 18 dello Statuto dei diritti dei lavoratori, aveva giudicato illegittimo, perché senza «giusta causa», il licenziamento di Antonella Barbi e ordinato il suo reintegro nel posto di lavoro. Cosa che l'azienda non aveva fatto, preferendo pagare l'operaia perché stesse a casa. I due mesi liberi Antonella li ha messi a frutto. Ha rilasciato interviste, del caso «dei fegatini» hanno parlato i giornali e Sciuscià; il 12 marzo, allo sciopero generale della Cgil a Brescia, dal palco in piazza Loggia lei, al suo primo comizio, aveva conquistato 30 mila manifestanti. «Lavorare è fatica, lavorare con la paura è fatica doppia. L'articolo 18 ci protegge dalla paura. Per questo va difeso ed esteso a tutti». All'Avicola Monteverde devono aver fatto due conti sul danno d'immagine causato dal tener fuori un'operaia diventata «famosa» e per di più licenziata perché faceva troppo bene i controlli di qualità. Meglio riprenderla. La prima persona che Antonella ha incontrato rimettendo piede in azienda è stata la nipote del padrone. Fa l'avvocatessa e ha difeso l'Avicola in tribunale. «Mi ha salutato lei per prima», racconta Antonella, e altrettanto ha fatto il titolare. Poi, in reparto, abbracci festosi e complimenti dai colleghi. Maschi, precisa Antonella. Freddine, invece, le donne. All'Avicola sono una decina e con loro il rapporto non era buono anche prima del licenziamento (l'autorevolezza e il protagonismo femminile - vere ragioni del licenziamento - urtano più le donne degli uomini?). Piccolo neo nel trionfale ritorno: ad Antonella è stata assegnata una mansione diversa. Ora toglie i fegatini e i ventrigli dai polli che girano sulla catena di «smontaggio», i controlli li fanno altri operai a valle. All'Avicola Monteverde solo Antonella e un altro lavoratore sono iscritti «pubblicamente» al sindacato. Altri cinque sono tesserati «di nascosto». I padroni vogliono cambiare l'articolo 18 «per essere liberi di fare quel che vogliono». Se ci riusciranno, il vantaggio «andrà tutto nelle loro tasche». Quell'articolo dello Statuto è importantissimo perché «garantisce il diritto d'aprire bocca senza avere paura». Senza di quello, anche il sindacato «avrebbe meno forza».
Adesioni ovunque superiori al 60%, con punte oltre l'80%, allo sciopero per il rinnovo del contratto integrativo, scaduto da oltre un anno, per i 30 mila dipendenti del gruppo Rinascente-Auchan. Rinascente ha spostato dirigenti e personale amministrativo dietro casse e banconi e ha fatto ampio ricorso a lavoratori in affitto (cosa proibita in caso di sciopero). L'azienda, denunciano i sindacati del commercio, si è impegnata al massimo con ricatti e intimidazioni per fare fallire lo sciopero. Alla Città Mercato Auchan di Vimodrone il clima è stato da botte. La vigilanza interna ha «insultato» e «usato violenza» contro il presidio dei lavoratori, mettendo a rischio l'incolumità dei clienti, afferma Fabio Sormanni, segretario della Filcams Lombardia. Alla Città Mercato di Merate, dove erano stati reclutati numerosi lavoratori esterni, il sindacato ha fatto intervenire l'Asl per verificare se erano provvisti del libretto sanitario (obbligatorio per chi opera nel settore alimentari). A Torino commesse e lavoratori hanno fatto un presidio davanti alla Rinascente. Rinascente rifiuta l'armonizzazione del trattamento economico e normativo (solo i dipendenti di alcune divisioni godono del premio fisso di 93 euro) e non vuole trattare sull'utilizzo dei contratti part time e a tempo determinato. In compenso pretende che il lavoro festivo sia considerato ordinario, cioè pagato senza maggiorazioni salariali.
L'Adecco, multinazionale leader del lavoro in affitto, in Italia ha più di
500 filiali e oltre 2 mila dipendenti. Il 20 marzo Enrica Torresani ed Erica
Belingheri, selezionatrici del personale in due filiali bergamasche, hanno
descritto il «dietro le quinte» dell'Adecco. Un mondo a parte che si fregia
dello slogan «le persone fanno la differenza» e dove tutti si chiamano per
nome e danno del tu al direttore generale. Ma dove nei front office si lavora
dalle 9 alle 19, si salta la pausa pranzo, lo straordinario è abbondante,
coatto e non retribuito, le violazioni della privacy e le pressioni psicologiche
sono all'ordine del giorno, il turn-over è volutamente alle stelle per avere
materiale umano sempre fresco da sfruttare e per tenere lontano il sindacato.
I primi risultati di queste rivelazioni sono stati di costringere alle
dimissioni la coordinatrice Adecco della Lombardia orientale (che comprende la
provincia di Bergamo); hanno scatenato una tempesta di e-mail tra i dipendenti
Adecco; hanno costretto l'azienda a tenere riunioni di zona per censire le
ragioni del «disagio» dei lavoratori, con il chiaro intento di risolvere la
cosa in famiglia, senza l'intervento del sindacato. I dipendenti di diverse
filiali (tra cui Roma) hanno contattato la Filcams di Bergamo (a cui Enrica ed
Erica sono iscritte) per far decollare una vertenza di gruppo. Il megadirettore
si è reso disponibile a incontrare nel suo ufficio in piazza Diaz a Milano chi
avesse qualcosa da dirgli.
Le prime a farsi avanti sono state Enrica e Erica.