Notizie dalla lotta di classe |
Aprile 2002 |
Unire quello che il capitalismo divide. |
Un'altra settimana di scontri tra il governo e i sindacati si è aperta in Corea del sud, dove le autorità hanno ribadito il loro rifiuto di tornare al tavolo delle trattative con i lavoratori del settore elettrico in sciopero da cinque settimane finché i loro sindacati non accetteranno il piano di privatizzazioni deciso dal governo e già approvato dal parlamento, dunque non negoziabile. Immediata la risposta della Confederazione coreana dei sindacati (Kctu), la seconda organizzazione sindacale del paese, che ha deciso di gettare di nuovo tutto il peso dei suoi 600mila iscritti sul tavolo di trattative che sembrano ormai arrivate a un punto di totale inconciliabilità delle posizioni. Inizia dunque una nuova tornata di scioperi. I primi ad annunciare uno sciopero di solidarietà sono stati i lavoratori dell'automobile, quelli della Hyundai Motor, dell'affiliata Kia e della Ssangyong Motor, che oggi fermeranno il lavoro per quattro ore. A loro si uniranno anche 19mila operai dei più grandi cantieri navali del mondo, quelli di Hyundai Heavy Industries Co. In tutto, saranno non meno di 60mila le persone che manifesteranno oggi, fermando le fabbriche, il loro appoggio alle istanze difese dai lavoratori elettrici. Altre categorie, dagli insegnanti ai tassisti, si uniranno alla protesta nel corso della settimana. Alcuni altri, come i dipendenti delle compagnie aeree, decideranno entro oggi cosa fare. I piani di privatizzazione dei servizi pubblici sono il cardine delle politiche del presidente Kim Dae-jung, in un anno di elezioni presidenziali, fissate per dicembre. Si sa già che Kim non si ripresenterà, ma è la politica economica del suo partito, il Millennium Democratic Partry (Mdp) in gioco, insieme alla sua tenuta elettorale. La repressione di questa tornata di lotte è già stata molto dura. Nove leader sindacali sono stati arrestati finora e 344 lavoratori elettrici hanno perso il posto in seguito agli scioperi, iniziati il 25 febbraio scorso. Senza contare l'azione di crumiraggio promossa dal governo, che ha assunto lavoratori provvisori e ha persino fatto addestrare unità dell'esercito per mandare avanti le centrali elettriche e gli impianti di distribuzione.
«Imparare da Daqing» è uno slogan che tutti i cinesi
conoscono. Durante gli anni di Mao, i campi petroliferi in quell'area furono
trasformati, (a quanto si sa oggi, a suon di false cifre e sovvenzioni statali)
in un'area pioniera della trasformazione socialista nell'organizzazione
dell'industria. A Daqing, un nuovo egualitarismo nel calcolo e nella
distribuzione dei «punti» salario poneva tutti
idealmente un passo più avanti nella realizzazione del comunismo. In questi
ultimi mesi, Daqing, e molte altre aree di tradizionale concentrazione
industriale, sono invece il luogo dello scontro sociale, della ribellione contro
la rapace appropriazione di risorse da parte dei governi locali a scapito dei
salari e delle condizioni di vita dei lavoratori. Ma
evidentemente è "ancora da daqing che bisogna imparare". Che non sia
un periodo facile per la transizione cinese è chiaro oramai da qualche tempo.
La profonda trasformazione della gestione dell'economia necessaria per
proseguire sulla strada intrapresa con le riforme economiche e con l'apertura
dei mercati al commercio globalizzato e alle regole dell'Organizzazione mondiale
del commercio non può essere immune da conseguenze sociali. Il deterioraramento
della situazione in questi ultimi mesi, con manifestazioni in tutte le
principali aree industriali del paese, hanno ancora una volta messo in
discussione quell'immagine di sottomissione e fatalismo spesso appiccicata sul
cliché dell'operaio cinese. Le proteste si sono concentrate soprattutto nel
nord-est del paese - l'area di tradizionale concentrazione dell'industria
pesante, quella che i Giapponesi occuparono e industrializzarono nella prima
metà del secolo scorso - e nei settori tradizionali dell'industria cinese
(metallurgia, miniere, ma anche settori ad alta intensità di lavoro come il
tessile).
Nonostante la mancanza di strutture che li rappresentino direttamente e
nonostante i timidi tentativi di organizzare sindacati indipendenti non sembrino
fornire un volto più unitario alla classe operaia, in questa fase come in altre
della storia cinese contemporanea, gli operai giocheranno un ruolo attivo nelle
decisioni che daranno forma alla Cina di questo secolo. Tuttavia è difficile
immaginare che una forza politica alternativa e unitaria emerga da questi
movimenti spontanei di protesta. Le questioni sul tappeto riguardano certo la
legittimità a governare di questo partito, ma sono radicate nella gestione del
quotidiano, a volte addirittura nelle strategie di sopravvivenza. Alla recente
riunione plenaria del parlamento cinese, numerosi delegati
hanno denunciato le condizioni vicine alla disperzione di molti disoccupati,
ridottisi a mendicare o a rubare il cibo destinato agli animali.
Le manifestazioni dei metallurgici di Liaoyang e dei minatori di Daqing
rappresentano la protesta di occupati e disoccupati. Protestano perchè le
condizioni economiche non sono più sostenibili, nè dentro nè fuori la
fabbrica. Il Governo continua a fornire dati incoraggianti
sullo sviluppo della situazione, con una disoccupazione urbana sotto controllo
al 3,1% e un programma di reinserimento al lavoro che reimpiega
percentuali altissime di nuovi disoccupati. E' noto che le statistiche ufficiali
non considerano veri «disoccupati» i lavoratori che pur licenziati, conservano
parte dei benefici offerti dalle loro unità di lavoro, o sono semplicemente
contemplati in qualsiasi forma tra i membri formali dell'unità di lavoro (anche
se solo dal punto di vista amministrativo). Anche quando i benefici esistono,
questi sono in molti casi al di sotto della soglia di sussistenza per i
lavoratori urbani.
Il timore di un estendersi della protesta è chiaramente visibile nel tentativo
del governo centrale di evitare per quanto possibile scontri di piazza e l'uso
della forza contro le manifestazioni. In alcuni casi esemplari la corruzione dei
quadri locali è stata riconosciuta e punita, ma la fiducia nell'intervento
istituzionale sembra essere molto bassa tra gli operai. Nonostante le pressioni
anche al suo interno, il sindacato non è in grado di superare le barriere
impostegli dalla legge nella difesa degli interessi dei lavoratori e sindacati
autonomi rimangono ancora un tabù nel gergo e nella pratica politica del
partito.
Le proteste operaie del 1957, degli anni della Rivoluzione Culturale, del 1977 e
della metà degli anni ottanta favorirono cambiamenti di rotta nelle politiche
del governo sul lavoro, non sempre in favore degli operai.
Licenziata perché non ha voluto abortire. E' la denuncia fatta da una ragazza comasca di 28 anni che lavorava «in nero» come cucitrice in una ditta di confezioni. La giovane, F.R., dopo aver chiesto al titolare dell'azienda di poter stare a casa in maternità, si sarebbe sentita dire che nel caso avesse portato avanti la gravidanza, avrebbe perso il posto di lavoro. Inizialmente sarebbe stata intenzionata a sottostare al ricatto, ma dopo essersi consultata con una volontaria del Centro aiuto alla vita, avrebbe cambiato idea. Immediato il licenziamento: si è vista riconsegnare il libretto di lavoro con il consiglio di cercarsi un altro posto. Sempre secondo quanto riferisce la ragazza, il datore di lavoro non avrebbe mai versato i contributi e avrebbe trattenuto per un lungo periodo il libretto per poter dire, in caso di controlli, che la giovane era in prova e che stavano per essere avviate le pratiche di assunzione.
Una regolarizzazione più salata per datori di lavoro e lavoratori extracomunitari per finanziare la realizzazione di nuovi centri di permanenza. E' una delle ipotesi che saranno all'esame della commissione Affari costituzionali. «Non vi e' ancora nulla di definitivo - ha precisato Giampaolo Landi, responsabile immigrazione di An - ma occorre seriamente riflettere sulla necessità di ampliare il numero dei centri di permanenza, soprattutto dopo l'annuncio della modifica delle norme della legge Bossi-Fini in materia di espulsioni». Da qui l'ipotesi di alzare il costo delle regolarizzazioni di colf e badanti (stimate in circa 200 mila persone). Le norme approvate dall'assemblea di palazzo Madama prevedono una quota una tantum pari a tre mesi di contributi sia per il datore di lavoro che per il lavoratore per sanare il pregresso. A questa cifra, secondo la proposta di Landi, potrebbe aggiungersi una cifra orientativamente stimata intorno a 700 euro, proprio per finanziare la realizzazione di nuovi centri di permanenza.
Il sindacato degli insegnanti, Nut, ha votato all'unanimità in favore di scioperi per la riduzione dell'orario di lavoro. Alla conferenza nazionale della union più grande degli insegnanti, i delegati hanno anche deciso di continuare a non coprire i buchi di organico, in segno di protesta per la cronica carenza di docenti. La reazione del governo alla posizione «dura» dei sindacati è stata immediata: «Questa politica - dice la ministra all'istruzione Estelle Morris - è controproducente e le minacce non influenzeranno in alcun modo le decisioni del governo». Una battaglia a tutto campo, quella del governo Blair, che cerca la pacificazione sociale (intesa come la intendeva la signora Thatcher, silenzio o pagherete le conseguenze) rinunciando senza alcuno scrupolo alla importante tradizione laburista del suo partito. Così: «Gli scioperi danneggiano l'istruzione dei bambini e la reputazione degli insegnanti», va ripetendo la ministra Morris. Il sindacato però non si fa intimidire, anche se questo clima da caccia alle streghe non gli piace. «Il voto per lo sciopero - ha dichiarato il segretario della National union of teachers, Doug McAvoy - deve essere di monito al ministro del tesoro Gordon Brown, che non può pensare di relegare l'istruzione all'ultimo posto della lista di priorità di questo governo». Nonostante lo scontro verbale, il ministero della pubblica istruzione sembra ormai rassegnato all'idea di arrivare a un accordo con il sindacato. Si parla di un'offerta di cinque ore alla settimana, durante l'orario scolastico, che verrebbero designate come ore di preparazione per gli insegnanti. Questi ultimi chiedono la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali. Secondo una recente indagine condotta da un organismo indipendente, in media un insegnante lavora fino a 53 ore alla settimana. Secondo i sindacati la carenza di organico è strettamente legata alla «cultura dell'orario di lavoro lungo» che influenza il ministero. La ministra Morris da parte sua ha detto di voler affrontare il problema riducendo del 20% il lavoro attualmente svolto dagli insegnanti: attraverso l'introduzione di staff di sostegno si dovrebbe arrivare a una settimana lavorativa di 42 ore. Il sindaco ribatte dicendo che il compromesso sulle 35 ore può esserci, ma fissa a 38 l'obiettivo minimo delle unions. Quanto al personale di sostegno, il sindacato chiede che si tratti di persone qualificate e non di soluzioni temporanee e che alla lunga rischierebbero di trasformarsi in controproducenti.
A poco più di una settimana dal terribile incendio che ha seriamente danneggiato lo stabilimento della Acciai Speciali Terni, l'ex Ilva di corso Regina Margherita a Torino, sono arrivati i primi segnali positivi per la ripresa della produzione e, di conseguenza, sul futuro degli oltre 500 dipendenti dell'impianto. Ieri mattina, infatti, si è tenuto un tavolo di concertazione tra proprietà, sindacati e l'assessore regionale all'Industria Gilberto Picchetto per trovare una soluzione che permetta all'Ast di tornare in piena attività al più presto. L'incendio scoppiato nella tarda mattinata di domenica 24 marzo e protrattosi per 36 ore, ha fatto ripiombare nell'emergenza una realtà sana, uno dei pochi fattori produttivi diversificati dall'auto sul territorio della provincia torinese. Un'azienda in piena crescita e sviluppo, che proprio il giorno dopo l'incidente avrebbe dovuto assumere dieci giovani lavoratori con contratto di formazione. Il rischio da scongiurare, per i sindacati, è quello dello spostamento in Germania, sede del gruppo Thyssen Krupp proprietario dell'Ast, di parte della produzione finora garantita dal laminatoio a freddo di corso Regina Margherita.
Sciopero per l'articolo 18, ma non solo. Se i sindacati hanno
stabilito una mobilitazione generale unitaria per il 16 aprile prossimo, i
precari e gli atipici ci tengono a farsi sentire e scenderanno in piazza non
solo il 16, ma anche domani, 5 aprile. A Bologna, Roma, Napoli e Frosinone sono
state organizzate una serie di manifestazioni, accomunate da un solo slogan - «Stesso
lavoro, stessi diritti» - che campeggerà su centinaia di adesivi rossi
rettangolari preparati per l'occasione.
Il caso della Tim di Bologna è esemplare. I ragazzi del call center vivono la
precarietà in pieno: al servizio 119, su 600 telefonisti, ben 200 sono
interinali, con contratti di sei mesi che vengono rinnovati anche per due anni
di seguito. Una percentuale superiore a quella consentita dal contratto di
settore (11%), tanto che c'è una causa in corso, e la Tim è stata citata per
comportamento antisindacale. Inoltre, è aperta anche una vertenza sui premi di
produzione, che agli interinali non vengono erogati, come invece imporrebbe la
legge Treu e come avviene già in altre aziende, ad esempio la Omnitel. Alcuni
interinali, dopo due anni di rinnovi, vengono finalmente
assunti a tempo indeterminato, ma molti altri finiscono invece in mezzo a una
strada. I sindacati chiedono la stabilizzazione di tutti gli interinali di Tim
(1570 su 9340 dipendenti nazionali) e il pagamento dei premi di produzione dal
'98 a oggi.
Buoni motivi per scendere in piazza li avranno anche i precari di Atesia, il
call center romano di proprietà della Telecom, dove si lavora addirittura a
cottimo, con il «travestimento» dei contratti da Cococo: tante telefonate,
tanto guadagno - alcuni mesi portano a casa anche solo 100-150 euro, andando in
rosso con le spese dei pasti e della benzina. E se a Bologna a organizzare i
precari sono gli interinali della Tim e il Collettivo Kontroverso, a Roma con i
ragazzi di Atesia manifesterà la Camera del lavoro e del non lavoro, il gruppo
«Agire contro la precarietà», i lavoratori della ex
Ligabue e i precari dell'indotto di Fiumicino. A Frosinone si mobiliteranno
precari e Cobas, a Napoli gli Lsu, che parteciperanno anche alla manifestazione
di sabato 6 per la pace in Medio Oriente.
Fiom e Rsu non hanno sottoscritto il verbale di cessione della Magneti Marelli After Market di Corbetta (Milano) alla RGM, società di Torino costituita ad hoc da banche, imprenditori sconosciuti e dalla stessa Fiat che, per far fronte ad un indebitamento senza precedenti, fraziona e vende le sue proprietà. Fim e Uilm, invece, hanno approvato la cessione a scatola chiusa. Un altro accordo separato, commenta il segretario della Fiom lombarda Maurizio Zipponi, e l'ennesima lesione dei diritti dei lavoratori che non sono stati consultati. La Fiat non ha fornito informazioni sul piano industriale, sull'insieme del gruppo Marelli e sui livelli occupazionali. L'accordo non prevede garanzie per i lavoratori «ceduti» in caso la società acquirente entri in crisi o fallisca. La Fiat non risponderà in alcun modo del futuro dei 150 lavoratori di Corbetta, in prevalenza impiegati.
Michele Di Santo, l'operaio di Lecco rimasto gravemente ustionato in un incidente sul lavoro alla Roda di Sirone, il 12 marzo scorso, è morto. L'operaio era stato travolto da un nastro d'acciaio ad altissima temperatura.
Per i mercati è stata un colpo duro: l'aumento delle
richieste iniziali di sussidi di disoccupazione negli Usa ha colto di sorpresa
gli analisti.
Secondo i dati (destagionalizzati) comunicati dal Dipartimento al lavoro nella
settimana (terminata sabato 30 marzo) 460 mila neo disoccupati (un nuovo massimo
da dicembre del 2001) si sono messi in fila agli uffici di collocamento in cerca
di un nuovo lavoro e per avanzare la richiesta iniziale di sussidio di
disoccupazione. Rispetto alla settimana precedente l'aumento è di 64 mila
richieste, mentre era prevista una flessione di 16 mila domande. Più che il
numero di nuove richieste, a preoccupare maggiormente è la crescita delle
richieste «continuative», vale adire i sussidi di disoccupazione che vengono
pagati da più settimane: al 23 marzo le continued claims ammontavano a 3,608
milioni, oltre centomila in più della settimana precedente a conferma della
crescente difficoltà dei disoccupati a reinserirsi nel mondo del lavoro. Anche
se alla crescita del numero dei percettori di sussidi di disoccupazione sta contribuendo
l'estensione (temporale) dei benefici decisa da molti stati, proprio in
considerazione della crescente difficoltà a trovare lavoro. In ogni caso
l'indennità di disoccupazione seguita a coprire solo una parte dei disoccupati,
come conferma il Dipartimento al lavoro secondo il quale a fronte di un tasso di
disoccupazione che in febbraio era del 5,5%, la copertura con i sussidi
interessa solo il 3,2% delle forze di lavoro. In pratica, il 40% dei senza
lavoro Usa non è coperto da assicurazione.
Da Ponte Galeria giurano che «assolutamente non mi risulta».
Eppure 15 persone che fanno lo sciopero della fame non dovrebbero sfuggire
all'ispettore del centro di detenzione per immigrati senza permesso di soggiorno
di Roma. Secondo quanto riferisce l'avvocato di quattro ragazze nigeriane, nel
centro di detenzione da venerdì è in corso un digiuno contro un provvedimento
di espulsione illegale. Del resto nei centri lo sciopero della fame è una forma
di protesta piuttosto consueta, anche se è difficile che si venga a sapere
visto che ormai da un anno a questa parte nessuna associazione riesce a varcare
le sbarre di Ponte Galeria. Troppo complicato, troppi
intralci, troppo faticoso mantenere viva l'attenzione su uno dei capitoli più
indecenti, e "bipartisan", della legge sull'immigrazione. Anche per
Emilia Squillanoti, il legale che ha impugnato un provvedimento di espulsione
nei confronti di quattro ragazze che hanno presentato domanda di asilo politico,
è complicato entrare a Ponte Galeria; e l'altro giorno le guardie hanno negato
l'ingresso anche a un medico che lavora al Policlinico Gemelli: si sa che la
gestione poco trasparente dei centri di detenzione compete solo al personale
della Croce Rossa Italiana...
Le quattro ragazze che hanno dato il via allo sciopero della fame sono
spaventate per quello che è successo a Fiumicino lo scorso 25 marzo, quando
nonostante la loro richiesta di asilo politico i poliziotti hanno cercato di
caricarle a forza sul primo aereo per la Nigeria. L'avvocato Squillanoti in un
primo momento era riuscita a far sospendere l'espulsione appellandosi al fatto
che le ragazze sono state private del diritto di difesa, «la legge prevede
che ai richiedenti asilo venga rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo in
attesa che la loro richiesta venga esaminata». Invece i poliziotti le hanno
riaccompagnate a Ponte Galeria e adesso l'aria che tira non è certo delle
migliori. Adesso la loro paura è condivisa da molte altre prigioniere, e le
adesioni allo sciopero della fame - quello che all'ispettore «non risulta» -
si allungano di ora in ora. Sono terrorizzate dall'idea di dover rientrare in
Nigeria e non mangiano perché non si fidano di quello che trovano nel piatto.
In piazza contro il precariato. Ieri in diverse città
italiane - Roma, Napoli, Bologna, Frosinone, Torino, Napoli, Milano - centinaia
di precari hanno manifestato per chiedere più diritti e tutele per Cococo,
interinali, partite Iva, Lsu, e tutto quanto fa l'universo dell'atipico.
Lavoratori esclusi dall'articolo 18, dal diritto a una pensione dignitosa, alle
ferie e alla maternità, dalla certezza di un salario e dall'accesso a molti
servizi sociali. A Roma, insieme ai lavoratori della ex Ligabue, dell'Alitalia e
dell'indotto aeroportuale, sono scesi in piazza i ragazzi del call center Atesia
(di proprietà della Telecom), contrattualizzati «a cottimo». Marcello
Barberini, della delegazione unitaria di Atesia, parla della sua ultima busta
paga, con la quale ha percepito un netto di 10 euro: «In dicembre mi è scaduto
il contratto e per 15 giorni di gennaio non ho avuto il rinnovo. A metà mese mi
hanno chiamato per un corso di formazione di 10 giorni, non retribuito, e alla
fine ho lavorato solo per 5 giorni, rispondendo a pochissime telefonate. Ecco il
netto di 10 euro». I 5000 contratti da Cococo dei telefonisti di Atesia scadono
ogni tre mesi, ed essere riconfermati è una lotteria: «Se hai un nuovo
contratto te lo dice il computer, con un messaggio, qualche giorno prima. In
marzo, 100 di noi non hanno avuto il rinnovo, senza nessuna spiegazione da parte
dell'azienda. Per questi motivi, chiediamo un salario a ore, e non a telefonata,
l'allungamento del contratto, una commissione che verifichi la reale necessità
del turn-over, per il momento gestito in maniera assolutamente arbitraria da
parte dell'azienda».
Nella capitale c'erano anche i precari dell'Istat e quelli delle cooperative
sociali.
A Bologna i ragazzi del call center Tim, l'Rdb dell'Università, gli studenti
hanno manifestato partendo da via Ranzani, dove il 21 marzo scorso è morto Reuf
Islamj, operaio immigrato di 29 anni che lavorava in nero in un cantiere
dell'Ateneo. Precarietà è anche lavorare senza diritti di cittadinanza.
E'morto nella notte all'ospedale fiorentino di Careggi l'operaio edile Antonio Caruso, 43 anni, di Montemurlo, precipitato giovedì pomeriggio a Prato da un ponteggio allestito per la ristrutturaziione di un immobile. Caduto da un'altezza di dieci metri, Caruso aveva riportato gravissime fratture in varie parti del corpo. Subito dopo il sopralluogo, l'Asl locale aveva denunciato gravi violazione alle norme di sicurezza nella sistemazione delle impalcature, poste sotto sequestro dall'autorità giudiziaria. Sempre giovedì un altro lavoratore, Antonio Maggini, 40 anni, livornese, era morto schiacciato da un muletto sul piazzale di una fabbrica di prodotti chimici a Signa.
Le aziende Usa continuano a tagliare i costi per recuperare competitività e un colosso del calibro di Levi Strauss ha annunciato il taglio del 20% della forza lavoro complessivamente impiegata (resteranno a casa circa 3.300 lavoratori) e la chiusura di sei stabilimenti americani (la produzione verrà trasferita all'estero, soprattutto nei Paesi che offrono manodopera a basso costo). Rimarranno in funzione i due stabilimenti di Sant'Antonio ma anche questi passibili di essere decurtati nell'organico di 300 dipendenti. La società che produce gli storici jeans e i pantaloni Dockers non è la sola ad aver deciso di applicare misure draconiane. In tutt'altro settore, quello dei computer, anche Enterasys ha annunciato un maxi-taglio dei posti di lavoro: circa il 30% dei dipendenti, ossia 1.700 lavoratori. La società produttrice di apparecchiature di rete per computer ha precisato che già nel corso di questa settimana la riduzione del personale sarà completata.
Deutsche Bank intenderebbe procedere alle ristrutturazione del gruppo anche in Italia, chiudendo 19 sportelli su 261, gli uffici periferici ed alcuni servizi, evidenziando esuberi complessivi per 280 unità, che dovrebbero diventare 210 con la mobilità interna per 70 persone. I lavoratori interessati alla riduzione di organico sono 73 al Nord, di cui 57 nella sola Lecco, 95 al Sud, concentrati quasi tutti in Campania, e 112 tra Toscana e Liguria.
Andersen annuncia il taglio di 7.000 posti di lavoro, pari a circa un quarto delle maestranze negli Usa, a causa dei problemi derivanti dal ruolo svolto dalla società nello scandalo della Enron. Le sezioni revisione e i servizi amministrativi saranno le più colpite dalla decisione che sarà attuata nei prossimi mesi. Andersen potrebbe essere ceduta a Deloitte & Touche.
La disoccupazione tedesca cala poco a marzo portando il tasso al 10% rispetto
al 10,4% di febbraio. Il numero dei disoccupati è di 4.156.000 unità, 140.100
in meno rispetto a febbraio, ma 156.400 in più rispetto al marzo 2001. In
termini destagionalizzati il tasso a marzo è fermo rispetto a febbraio al 9,6%:
il numero dei disoccupati è sceso di 8 mila unità rispetto a febbraio (5 mila
all'ovest e 3 mila all'est). Confermata la previsione di 3,9 milioni di
disoccupati in Germania nel 2002.
Intanto, grande partecipazione dei lavoratori metallurgici ieri in Germania agli
scioperi di avvertimento indetti dal sindacato di categoria IG Metall a sostegno
della vertenza per il rinnovo contrattuale. Solo in Baviera sono stati più di
30 mila i metallurgici che hanno incrociato le braccia. A Ingolstadt oltre 12
mila lavoratori dell'Audi hanno interrotto l'attività per un'ora a turno
inscenando una manifestazione e un corteo. Le proteste vanno avanti da un paio
di settimane con le posizioni fra le parti in una situazione di stallo. Mentre
il sindacato infatti chiede aumenti salariali del 6,5%, i datori di lavoro sono
disposti a concedere maggiorazioni del 4% in due anni, il 2% quest'anno e un
altro 2% nel 2003.
Il Gruppo Zoppas, nei prossimi giorni, annuncerà il licenziamento di 115 dipendenti e il ridimensionamento della propria presenza nel territorio trevigiano. I lavoratori licenziati percepiranno indennizzi da 5.500 a 14mila euro a seconda dell'anzianità di servizio e dell'età.
Giuseppe Bonaducce, un operaio edile di 48 anni è morto dopo essere caduto dal primo piano di uno stabile in costruzione a San Salvo (Chieti). L'uomo ha perso l'equilibrio mentre stava lavorando e dopo un volo di alcuni metri ha sbattuto la testa a terra ed è morto sul colpo. I carabinieri hanno messo il cantiere sotto sequestro.
Nello stabilimento Emarc 2 di Chivasso un operaio è stato coinvolto in un grave incidente causato dalla fuoriuscita di un cilindro da una pressa che è caduto sulla postazione nella quale operava. Tutti i lavoratori degli stabilimenti Emarc hanno aderito allo sciopero proclamato dalle Rsu in seguito all'incidente. La Fiom e la Uilm denunciano le condizioni in cui è costretto a lavorare il personale della Emarc 2 , da poco trasferito da Castellette nell'area dell'ex-Lancia di Chivasso. I sindacati richiamano la direzione al rispetto delle normative di legge sulla sicurezza e chiedono alle autorità di accertare le responsabilità dell'azienda.
La delega berlusconiana sul lavoro non si occupa solo di art. 18 (anzi di
questo non se neoccupa per niente, in modo diretto): essa si occupa del mercato
del lavoro dal punto di vista dell'orario, del lavoro a chiamata (job on call),
del part time e del lavoro interinale. Per la precisione lo fa negli articoli 6,
7 e 8 della delega, che con l'articolo 10 prevede anche la modificazione dello
Statuto dei lavoratori per quanto attiene al reintegro nel posto di lavoro del
dipendente licenziato senza giusta causa. Il filo conduttore di questa legge è
di peggiorare le condizione dei lavoratori camuffando ciò come un aumento della
libertà di scelta (che poi è l'ideologia liberista). Va in questa direzione il
processo di individualizzazione dei rapporti di lavoro, che passa sia attraverso
il tendenziale svuotamento dei contratti nazionali collettivi, sia attraverso
l'incentivo e il massimo sviluppo del rapporto individuale tra lavoratore e
azienda. L'articolo 7 della delega prevede per esempio l'estensione e comunque
l'agevolazione della stipula di contratti di lavoro part time. Una norma che
apparentemente favorisce i lavoratori che effettivamente desiderano lavorare a
mezzo tempo, dimezzando l'orario e quindi la retribuzione. Ma nella formulazione
della delega del governo emerge più che la valorizzazione della scelta libera
del dipendente (che comunque resta tale e che non si può spacciare per libero
professionista), l'elasticità delle prestazioni di lavoro, secondo le esigenze
aziendali.
La delega prevede anche la modificazione delle norme che regolano l'orario di
lavoro, finora ordinate secondo i contratti e la legislazione nazionale ed ora
europea (la famosa direttiva sugli orari, per esempio). Nella delega, da una
parte si vuole dare massima libertà alle aziende di organizzare gli orari di
lavoro in base alla produzione e alle esigenze (mutevoli) del mercato (articolo
6); dall'altra si vuole dare alle aziende la possibilità di ricorrere sempre di
più a contratti part time, contratti atipici, contratti flessibili in deroga ai
contratti nazionali di categoria e anche alle normative vigenti. In questo senso
viene affidato il primato al rapporto individuale. Il lavoratore (dipendente)
rischia così di essere sempre più solo (e quindi debole) nei confronti
dell'azienda, che gli chiederà prestazioni di orario in base alle sue
necessità economiche. C'è il rischio che vengano abrogati i limiti attuali
dell'orario di lavoro. Una flessibilizzazione totale a favore delle aziende, che
magari verrà spacciata per riduzione dell'orario di lavoro.
Dal punto di vista dell'impresa la novità più rilevante che potrebbe essere
introdotta con le deleghe (trasformate in leggi) riguarda l'estensione e
liberalizzazione del lavoro a chiamata e del lavoro interinale applicabile ora
anche ai lavoratori handicappati o invalidi. Con l'articolo 8 della delega si
prevede la «razionalizzazione» di tutte le tipologie «atipiche», ovvero la
normalizzazione e quindi generalizzazione del «lavoro a chiamata, temporaneo,
coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite».
La notte di lunedì tre minatori sono entrati per protesta con le mogli in una galleria della miniera di rame "El miramar" a Tocopilla, nel Cile settentrionale, facendo poi crollare l'ingresso con la dinamite. Lo riferisce Radio Cooperativa di Santiago. I minatori hanno scelto la clamorosa forma di protesta per sottolineare che il governo ha disatteso tutte le promesse fatte lo scorso anno. Il presidente dell'Associazione dei minatori di Tocopilla, Julio Tapia, ha detto che i tre si dirigono verso il fondo della miniera, 1.600 metri sotto il livello del mare, hanno cibo e acqua, ma anche molti candelotti di dinamite nel caso qualcuno cercasse di portarli fuori contro la loro volontà.
Alla "St-M" di Catania si è svolta una grande assemblea in
preparazione dello sciopero del 16 aprile. Quasi duemila partecipanti, su poco
più di quattromila dipendenti. Sala strapiena e clima "a mille". Qui
si lotta come nella "vecchia" economia: contro i ritmi e
l'allungamento dei turni, per la difesa del posto di lavoro. Le
"azioni" del sindacato sono risalite da quando i rappresentanti di
Fim, Fiom e Uilm si sono "presi a cuore" la mancata riconferma di sei
precari.
Insomma, anche negli avamposti della "new economy" c'è bisogno di
sindacato. Paghe per gli ingegneri nettamente inferiori a quelle dei loro
colleghi del nord, ecco il tentativo di introdurre il lavoro domenicale, ecco le
"prove di forza" per reprimere gli atteggiamenti
"esuberanti" dei dipendenti.
Ieri i lavoratori dell'università di Bologna hanno proclamato lo stato di agitazione per protestare contro le decisioni contrattuali della Direzione amministrativa in merito ai buoni pasto e agli aumenti salariali.
Giorni di sciopero in Venezuela. La Ctv (Confederacion de Trabajadores de
Venezuela) e la Fedecamaras (la «Confindustria» venezuelana) hanno prolungato
di 24 ore la protesta contro il presidente Chavez, dopo averlo accusato di
intransigenza ed intolleranza. Approfittando del conflitto che oppone una parte
dell'alta dirigenza della società nazionale venezuelana del petrolio (Pdvsa) al
governo del presidente Hugo Chavez, la Confederacion de Trabajadores de
Venezuela (Ctv) il 9 aprile ha proclamato uno sciopero nazionale. Una seconda
dimostrazione di forza nello spazio di quattro mesi che ha come unico scopo
quello di voler cacciare un governo la cui politica viene considerata troppo
sociale. Questo atteggiamento paradossale da parte della principale
organizzazione sindacale venezuelana si spiega con gli stretti rapporti che la
legano con i vertici del precedente regime. Il suo segretario generale, Carlos
Ortega, è l'uomo di paglia di Carlos Andrés Pérez, capo storico dell'ex
partito di governo. Inoltre, la Ctv si segnala ancora una volta per il suo
cinismo, accettando il sostegno di Fedecamaras, la principale organizzazione
padronale del Venezuela, e chiama i lavoratori a mobilitarsi per difendere i
privilegi degli alti dirigenti della compagnia del petrolio.
La politicizzazione del conflitto localizzato dà la prova della logica «a ogni
costo» di un'opposizione assai eterogenea, che cerca di mettere il governo con
le spalle al muro, ignorando le conseguenze di tutto ciò per l'insieme della
società. Se il sindacato ha prolungato lo sciopero, il presidente Chavez ha, da
parte sua, riaffermato l'intenzione di continuare nella sua politica di riforme
e di giustizia sociale.
Come si può vedere più avanti, il risultato è stato un tentativo di
"golpe", abortito grazie alle proteste popolari. Ma un sindacato servo
dei padroni fino a questo punto, quanto può ancora resistere?
Doveva essere un'altra assemblea sul nodo di un contratto integrativo che
alla Piaggio non viene rinnovato da due anni. Si è trasformata invece in una
durissima presa di posizione contro la direzione aziendale, ma soprattutto
contro l'attuale assetto della Rsu, eletta appena lo scorso anno. Con seicento
lavoratori - sui tremila complessivi - che hanno chiesto al consiglio di
fabbrica di disdire gli accordi del 1995. Risultato: muro contro muro con il
management, e spaccatura interna alla Fiom. Mentre Fim e Uilm hanno già
anticipato che non ci sono più le condizioni per andare a trattative unitarie.
Appena tre mesi fa l'ennesimo piano di ristrutturazione progettato dalla
direzione aziendale - con 315 esuberi fra impiegati e operai - è stato
accettato dal 63% dei lavoratori e da Fim, Uilm e Ugl. Mentre è rimasta sola e
sconfitta la Fiom, che pure aveva denunciato delle irregolarità nello
svolgimento delle consultazioni. Ora, alla vigilia dello sciopero generale, una
spaccatura ancora più profonda, che sembra nascondere un vero e proprio
tentativo di regolare i conti all'interno della stessa Fiom, accusata dai
seicento lavoratori in assemblea e da una parte dei delegati di avere assunto un
atteggiamento troppo «morbido» nelle trattative con il management.
La richiesta di disdire gli accordi del `95 va a toccare l'organizzazione delle
pause lavorative, tempi e ritmi di lavoro, premi di produzione. C'è anche
quello che le voci dissenzienti definiscono «un problema di
rappresentatività» della Rsu. E se pure i lavoratori sono unanimi
nell'accusare il management di essere il principale responsabile del lunghissimo
ritardo per il rinnovo del contratto integrativo, e inoltre di aver condotto
Piaggio a durissime ristrutturazioni con migliaia di esuberi senza in cambio
presentare piani industriali degni di questo nome, nondimeno il risultato
dell'assemblea apre una spaccatura profonda.
Fim, Fiom e Uilm sono soddisfatte per l'accordo siglato martedì con la società Marconi. Dopo le numerose iniziative di lotta e gli incontri alla presidenza del consiglio è stata dunque raggiunta un'intesa che prevede il ricorso alla cassa integrazione per 13 settimane per 190 dipendenti per il sito di Genova e 250 per Marcianise (Ce). Le parti esamineranno a luglio la situazione per definire le eventuali misure da adottare successivamente. Scongiurato dunque il pericolo di un forte ridimensionamento della Marconi.
A due anni dal licenziamento un operaio dell'azienda tessile Klopman è stato
reintegrato nel posto di lavoro grazie all'articolo 18. E' accaduto ad Enrico
Vittiglio, operaio di Frosinone e sindacalista del S.in. Cobas.
L'operaio, come ha spiegato il sindacato, era stato sospeso in un primo tempo
per tre giorni per essersi rifiutato di svolgere un compito che non rientrava
nelle sue competenze, cosa anche questa riconosciuta illegittima dal giudice.
Vittiglio, che intendeva ricorrere contro il provvedimento, su invito dei
dirigenti aziendali aveva scontato la sospensione ma immediatamente gli era sta
contestata questa assenza come ingiustificata e quindi licenziato. L'uomo si è
rivolto alla magistratura del lavoro chiedendo di essere reintegrato -
rifiutando le proposte dell'azienda di diverso contenuto - per l'illegittimità
del provvedimento disciplinare a suo carico. Il giudice gli ha dato ragione e
Vittiglio non solo è ritornato al suo lavoro, ma ha ottenuto anche il pagamento
di tutte le retribuzioni maturate in questi anni. Per i Cobas la sentenza è uno
stimolo in più «alla lotta per la difesa dell'articolo 18, che deve proseguire
ripartendo dallo sciopero generale»
Il nuovo amministratore delegato di Bull Italia Maurizio Tucci ha comunicato ai sindacati che l'azienda sta per avviare le procedure di licenziamento per 239 dipendenti. I motivi della decisione per l'amministrazione dipendono dai risultati economici del 2001 che sono in forte passivo. I sindacati chiedono un tavolo di confronto e invitano i dipendenti a partecipare alle assemblee informative e a tutte le iniziative proposte, nonché allo sciopero generale del 16 aprile.
I 320 lavoratori dell'Alessio tubi di La Loggia (Torino), ieri hanno incrociato le braccia per otto ore in seguito ad un tragico incidente che ha causato la morte dell'operaio Calogero Squillace, investito da un camion in retromarcia. La Fiom chiede alla magistratura di «operare tutte le indagini necessarie per accertare eventuali responsabilità e verificare che siano state ottemperate tutte le disposizioni sulla tutela della salute dei lavoratori». Gli operai dell'Alessio tubi hanno deciso di devolvere alla famiglia Squillace il corrispettivo di alcune ore di lavoro.
Dall'indagine Isfol, l'Emilia con il 7,9%, il Trentino e il Friuli con il 7,5% risultano essere le prime tre regioni d'Italia per tasso di mobilità nel mercato del lavoro, mentre agli ultimi posti - su una media nazionale di 5,6% - ad esclusione della Liguria (3,7), ci sono le regioni del Centro-Sud: Campania 3,2% e Lazio 2,8%. Quest'ultimo risultato, secondo la Cgia di Mestre, è dovuto all'elevatissimo numero di dipendenti pubblici e ministeriali presenti nella capitale.
Il gup Pasquale Sibilia ha spostato al 20 maggio la conclusione dell'udienza preliminare per il processo sulle morti per amianto nell'azienda Casaralta di Bologna. Solo allora si deciderà se i dirigenti della Casaralta e della Firema (attuale proprietaria delle ex officine di costruzione treni) dovranno rispondere oppure no dell'accusa di essere i responsabili della morte di 20 dipendenti delle officine esposti per anni all'amianto. Tra il 1989 e il 2001 questi ex operai sono tutti morti di mesotelioma pleurico, un tumore che le ricerche scientifiche avevano associato all'esposizione all'amianto dalla metà degli anni '60. Eppure per anni loro, come la maggior parte degli operai della Casaralta, hanno lavorato alla coibentazione dei vagoni ferroviari. «Vuol dire - spiega Guido Canova, ex dipendente dellla Casaralta - che l'amianto veniva spruzzato all'interno dei vagoni per coibentarli, cioè isolarli dagli agenti esterni. Quando era asciutto entravamo all'interno del treno per rivestirlo con i materiali di abbellimento e metterci tutto il resto». L'utilizzo dell'amianto nei treni è proseguito fino agli anni `80, prima che una legge ne vietasse esplicitamente l'uso nel 1992. Ma i primi studi sulla pericolosità di questa sostanza risalgono agli anni `40. È per questo che Giorgio Regazzoni, amministratore delegato delle officine dal 1960 al `75, e Carlo Farina, direttore generale con delega alla sicurezza sul lavoro, sono accusati di omicidio colposo plurimo. Ieri il gup ha accettato la richiesta di costituzione di parte civile della Cgil e della Fiom, respingendo le richieste della difesa che chiedeva una nuova perizia medica prima dell'apertura del processo e quella dell'avvocato di Carlo Farina, che proprio ieri ha dichiarato di non aver mai ricevuto la delega alla sicurezza che lo inchioda come principale responsabile delle condizioni di lavoro dei dipendenti della Casaralta tra il `72 e il '79. L'avvocato ha confermato che parallelamente al processo penale stanno proseguendo le trattative con i rappresentanti della Firema per ottenere un risarcimento per i familiari delle vittime nel più breve tempo possibile.
Il governo ha varato il decreto che riforma il collocamento pubblico.
Ecco cosa prevede il nuovo provvedimento:
ADDIO ALLE LISTE: il decreto "sopprime" le liste di collocamento
ordinarie e speciali ad esclusione della gente di mare, di quella dello
spettacolo e degli elenchi dei disabili. Per chi è senza lavoro o ha intenzione
di cambiarlo C'è un elenco anagrafico per contenere i dati del lavoratore senza
che abbia però importanza la data di iscrizione come accadeva per la lista di
collocamento. Rimane in vita anche la lista dei lavoratori in mobilità perché
per questa è più opportuno intervenire con la delega di riforma degli
ammortizzatori sociali.
CHIAMATA DIRETTA PER TUTTI: si estende il principio della assunzione diretta.
Non C'è bisogno di rivolgersi al collocamento per trovare la persona. La
chiamata è nominativa, basterà una comunicazione per dare notizia
dell'avvenuta assunzione.
STATO DI DISOCCUPAZIONE: è la condizione di una persona priva di lavoro che sia
«immediatamente disponibile allo svolgimento o alla ricerca di una attività
lavorativa». Sono considerati disoccupati di lunga durata i soggetti alla
ricerca di un'occupazione da più di 12 mesi. Le Regioni stabiliscono i modi di
accertamento e di verifica periodica dello stato di disoccupazione.
SCHEDA PROFESSIONALE: con un nuovo decreto del ministero sarà definito il
formato di trasmissione e il sistema di classificazione dei dati contenuti nella
scheda professionale del lavoratore (che sostituisce il vecchio libretto di
lavoro). I dati della scheda saranno la base per la costituzione del Sistema
informativo lavoro (Sil).
COLLOQUI DI ORIENTAMENTO: i servizi per l'impiego per favorire l'incontro tra
domanda e offerta di lavoro sottoporranno le persone senza lavoro a interviste
periodiche e ad altre misure di politica attiva. In particolare è previsto un
colloquio di orientamento entro tre mesi dall'inizio dello stato di
disoccupazione e una proposta di adesione a iniziative formative entro sei mesi.
LAVORO TEMPORANEO: si perde lo stato di disoccupazione in caso di rifiuto delle
iniziative formative o di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno e
indeterminato o di un lavoro a termine di durata superiore a otto mesi (quattro
per i giovani) nell'ambito del territorio regionale. In caso di accettazione di
un contratto di durata inferiore lo stato di disoccupazione viene sospeso.
ATTIVITA' CON REDDITO BASSO: si conserva lo stato di disoccupazione anche in
caso di svolgimento di attività lavorativa che assicura un reddito annuale non
superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione.
ASSUNZIONI: i datori di lavoro devono dare comunicazione contestuale
dell'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato ma anche di una
collaborazione coordinata e continuativa e di un contratto per i soci lavoratori
di cooperativa. Entro dieci giorni invece vanno comunicate le variazioni del
rapporto di lavoro. Vengono semplificati gli adempimenti riducendo assunzione e
cessazione a una unica comunicazione che varrà per tutti gli enti interessatI.
LICENZIAMENTI COLLETTIVI: il diritto alla precedenza nella riassunzione presso
la medesima azienda in caso di licenziamento collettivo viene limitato a sei
mesi.
Per il ministro del welfare, Roberto Maroni, si tratta di un passo importante
verso la razionalizzazione del mercato del lavoro ed è stata una decisione del
governo per onorare la memoria di Marco Biagi che aveva lavorato al testo. In
realtà il decreto somiglia molto anche al testo che aveva presentato Cesare
Salvi al tempo del centro sinistra. La fine del collocamento si potrebbe però
oggi sposare alla modifica dello Statuto dei lavoratori e alla precarizzazione
di tutti i rapporti di lavoro che viene riproposta nelle deleghe al senato.
Con la riforma del collocamento il governo Berlusconi cerca quindi di mettere a
segno un colpo. In attesa di far passare le misure che premono di più alla
Confindustria (l'articolo 18, la limitazione dei diritti sindacali, il
superamento dei contratti nazionali, ecc.) si cerca di colmare degli evidenti
vuoti nel mercato del lavoro, lasciato pressocché alla deriva.
I risultati servono dato che la famosa emersione dal sommerso inventata dal
ministro Tremonti, tanto per fare un esempio noto, è per ora un vero e proprio
flop: su una previsione di emersione di almeno 900.000 lavoratori al nero ne
sono emersi finora 400 (quattrocento).
I ministri sono quindi ora alla invenzione continua dei mezzi diversi per
arrivare al fine che interessa la coalizione di palazzo Chigi (e di viale
Astronomia): la totale liberalizzazione del mercato, il superamento delle norme
del diritto che per definizione dovrebbe garantire soprattutto i più deboli, il
tentativo di lasciare mano libera alle aziende perché così finalmente
aumenterà l'occupazione.
La riforma di ieri era stata pensata e scritta anche dagli uomini del centro
sinistra. Il testo è infatti quasi identito a quello che giaceva nei cassetti
parlamentari da parecchi mesi e che proprio il governo di cui Salvi era ministro
del lavoro non fece in tempo a portare in porto. Con l'avvento del governo
Berlusconi i problemi del collocamento pubblico sono stati messi in cantina.
Censura al Nuovo Pignone di Firenze, con divieto di entrata per cronisti e teleoperatori durante l'assemblea dei lavoratori in vista dello sciopero generale. Fuori anche la troupe della Bbc, che in questi giorni sta realizzando dei servizi sullo scontro fra sindacati e governo italiano. Alla decisione della direzione aziendale targata General Electric, gli operai e gli impiegati del Pignone hanno risposto con uno sciopero di mezz'ora in difesa della libertà di cronaca. Nei giorni scorsi non c'erano stati problemi per i cronisti ad assistere all'assemblea con Sergio Cofferati all'Electrolux Zanussi. Mentre sempre ieri qualche piccola resistenza è arrivata dalla direzione aziendale delle Officine Galileo, dove era in corso un'altra assemblea dei lavoratori. Protesta la Federazione nazionale della stampa, che parla di un gravissimo errore e di un brutto segnale.
Mobilitazioni durante la Settimana della Cultura, dal 15 al 21 aprile, e poi sciopero il 27 aprile, a soli dieci giorni da quello generale. Questa la strategia di Cgil, Cisl e Uil del settore beni culturali per protestare contro la mancata regolarizzazione dei 2.300 precari. Le organizzazioni ritirano anche la firma dall'accordo siglato con il ministero per le aperture straordinarie dei musei.
«Cè cu mancia ....e cu talìa», «lo sviluppo dei padroni produce morte e
disoccupazione», «no al controllo elettronico mondiale», «Palestina rossa»,
«resistenza», «siamo tutti clandestini». Con questi slogan i no global
siciliani hanno sfilato contro l'e-government per le vie di Palermo. Moltissimi
i giovani ma tanti anche i meno giovani che hanno partecipato alla
manifestazione. Impossibile stabilire quante persone abbiano preso parte al
corteo: per la questura le presenze erano duemila, per gli organizzatori
cinquemila, sempre meno, comunque, del grande dispiegamento di forze intorno al
corteo e dietro le transenne, con poliziotti e carabinieri in assetto da guerra
pronti a intervenire. La manifestazione di ieri pomeriggio ha incluso tutto,
dall'e-government alla Palestina, dalla disoccupazione alla lotta per la casa,
all'invito a partecipare allo sciopero nazionale di aprile.
L'e-government fa soltanto finta di essere un vertice a favore dei paesi in via
di sviluppo, in realtà si tratta di una mera speculazione legata alle
multinazionali. In testa al corteo il rappresentante dell'Autorità palestinese
Alì Rashid.
Per contestare il progetto di riassetto dell'Enel in Basilicata che prevede la chiusura di tre «zone», due unità operative e 11 squadre di pronto intervento, Cgil, Cisl e Uil hanno indetto per oggi uno sciopero di quattro ore. In concomitanza con lo sciopero vi sarà a Potenza una manifestazione. Cgil, Cisl e Uil hanno contestato in cinque anni la perdita di 600 posti di lavoro e la riduzione di gran parte delle strutture della società.
I Champs Elysées sono stati ribattezzati «avenue del precariato» dai
lavoratori delle grandi multinazionali che si affacciano su uno dei luoghi più
turistici del mondo.
McDonald's, Fnac, Virgin, Disney Store, Monoprix, Sephora, Morgan, Club Med,
Swatch hanno una cosa in comune: assumono precari, pagati al minimo e
moltiplicano le pressioni sui lavoratori perché accettino orari prolungati la
sera e la domenica. Un movimento di protesta, nato alla McDonald's, si sta
estendendo alle altre grandi marche. Sabato scorso, la Fnac Champs Elysées era
chiusa per sciopero e il conflitto continua, non solo sull'avenue parigina ma
anche nei magazzini delle città di provincia. Dal `94, i Champs Elysées sono
stati classificati «zona turistica» e quindi i grandi magazzini hanno il
diritto di tenere aperto la domenica. Del resto, per il sindaco (di destra)
dell'VIII arrondissement, «le abitudini di acquisto sono cambiate, un turista
straniero deve poter comprare delle scarpe la sera o la domenica». Così, la
congiunzione di contratti a part-time e a tempo determinato con l'estensione
degli orari (McDonald's chiude alle 2 del mattino, Virgin, Fnac o Sephora sono
aperti dalle 10 a mezzanotte) si sono tradotti in una vita impossibile per i
dipendenti. Va aggiunto che le 35 ore in questo settore hanno portato
soprattutto facilità nell'imporre la flessibilità dell'orario. Addirittura, da
Virgin, uno dei pochi grandi magazzini che pagava la tredicesima, le 35 ore sono
state scambiate con una soppressione della tredicesima. I lavoratori dei Champs
Elysées denunciano le diverse pressioni a cui sono sottoposti. I ticket
ristorante sono quasi del tutto assenti, mentre i prezzi dei sandwitch e di un
caffé sui Champs Elysées sono fuori portata per chi guadagna appena lo Smic
(il salario minimo, 990 euro mensili).
In Francia lavorare la domenica non è obbligatorio, ma le direzioni vedono di
mal occhio chi si rifiuta. In alcuni di questi grandi magazzini (come Sephora,
per esempio), i dipendenti sono obbligati a portare una divisa (nera, nella
fattispecie). Il 30% dello stipendio, che resta inchiodato allo Smic, è
negoziato direttamente tra dipendente e direzione del negozio ed è considerato
«premio» di vendita, legato quindi alle performance del lavoratore. Alla Fnac,
per esempio, la catena di vendita di libri (creata da due ex sessantottini
trotzkisti, poi ceduta al grande gruppo Pinault-Printemps-Redoute) i commessi
devono vendere in primo luogo i libri che figurano nella «selezione« della
catena - perché è su questi libri che la Fnac ha negoziato con gli editori dei
margini di guadagno più consistenti sul prezzo di copertina - e lasciare da
parte le loro competenze di librai, di consiglieri dei lettori.
Anche in gennaio, mentre l'occupazione nel complesso dell'economia seguita a
registrare una crescita, l'occupazione nelle grandi imprese (quelle con almeno
500 dipendenti) è nuovamente crollata: -4% nell'industria su base annua; -0,5%
nei servizi.
Di più: al netto della cassa integrazione guadagni, la discesa dell'occupazione
è ancora maggiore: -4,6% per l'industria; -0,6% nei servizi. Secondo l'Istat,
che ha diffuso i nuovi dati, in termini assoluti in soli dodici mesile
l'occupazione nelle grandi imprese industriali è diminuita (al netto della Cig)
di 32 mila unità. La caduta dell'occupazione sta registrando una progressiva
accentuazione dall'inizio del 2002. Su base tendenziale nel gennaio 2001 la
caduta infatti ancora limitata al 2%. Da febbraio dello scorso anno la discesa
è stata progressiva e il dato destagionalizzato di gennaio 2002 segna
addirittura una felssione dello 0,5% rispetto a dicembre 2001. Andamento simile
nei servizi che a gennaio del 2001 mostravano un incremento tendenziale
dell'occupazione dello 0,1%.
In forte incremento il ricorso alla cassa integrazione con una crescita di ore
del 63,2%. La discesa degli occupati interessa un po' tutti i settori
dell'industria con una punta del 10,7% nel settore della produzione di energia
elettrica, gas e acqua. Male anche il settore della produzione di mezzi di
trasporto: -5,7% e -8,3% al netto della Cig. Tra le grandi imprese dei servizi i
dati sono, invece, contrastanti con vari settori che registrano variazioni
positive. Negativo, al contrario, l'andamento dell'occupazione nel settore dei
trasporti, magazzinaggio e comunicazioni che hanno perso il 3,9% degli occupati.
Nel tardo pomeriggio di ieri, a Scarmagno, presso Ivrea, si è verificato un incidente tragicamente esemplare del tipo di mercato del lavoro che piace ai padroni. Una lavoratrice di circa 40 anni, assunta da appena due giorni con contratto interinale, ha perso due dita mentre usava una piegatrice. La donna era in servizio presso la Finmek Sistem, specializzata in lavorazioni meccaniche per l'Olivetti Informatica. Più volte i sindacati hanno denunciato l'utilizzo di lavoratori non specializzati, privi di qualsiasi formazione che vada al di là di alcune sommarie indicazioni, quasi sempree «interinali», presso macchinari che possono presentare rischi. La Fiom della zona ha chiesto immediatamente che sull'episodio venga fatta piena luce. Subito dopo il fatto si sono verificati alcuni scioperi spontanei nell'area di Scarmagno.
Gli addetti alla pulizia di treni e stazioni si fermeranno il 23 e il 24 aprile per uno sciopero nazionale di 48 ore, proclamato dalle organizzazioni sindacali Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Salpas e Ugl. La decisione è stata presa dopo l'incontro di ieri con le controparti e i rappresentanti del ministero dei Trasporti e del Lavoro che, secondo i sindacati, «ha fatto registrare ancora una volta una situazione di grande confusione, di mancanza di responsabilità e di indeterminatezza rispetto al futuro occupazionale e salariale dei lavoratori del settore». A pochi giorni dalla scadenza degli appalti dei servizi di pulizia, prevista per il prossimo 6 maggio, i sindacati chiedono la salvaguardia dei livelli occupazionali, attraverso la clausola sociale, e la tutela del reddito, con l'applicazione a tutti i lavoratori del settore del contratto collettivo nazionale di riferimento.
Lavoro interinale, leasing di manodopera, lavoro a chiamata. Come si
trasformerebbe concretamente il mercato del lavoro se i principi esposti nella
delega al governo diventassero legge? Il progetto del governo è quello di
introdurre tutta una serie di nuovi rapporti che contribuiranno a precarizzare
sempre di più il mondo del lavoro: dallo staff leasing al lavoro a chiamata. Lo
stesso lavoro interinale, sulla spinta di questi nuovi istituti competitivi,
oltre che della nuova normativa sui contratti a termine, resi a questo punto
più convenienti, sarà sempre più svuotato delle garanzie attuali. Inoltre, le
stesse agenzie di lavoro temporaneo cambieranno funzione, superando l'esclusiva
e diventando vere e proprie agenzie di collocamento. E se adesso soltanto loro
possono svolgere l'intermediazione, che se non altro hanno un'autorizzazione,
l'obbligo di essere capitalizzate, di versare una fideiussione forte e di
finanziare un fondo di formazione per i lavoratori, la riforma futura punta
invece a liberalizzare il mercato: la concorrenza abbasserà ancora di più la
qualità complessiva del sistema. Si approderà di fatto a un caporalato
legalizzato. Sul lavoro interinale, i progetti del governo sarebbero quelli di
estendere la durata dei contratti (oggi limitati a un massimo di sei mesi, con
l'impossibilità di andare oltre quattro proroghe) e di allargare il più
possibile le occasioni di utilizzo di questi lavoratori, attualmente limitate
soltanto ad alcuni casi e con precise quote massime fissate dai diversi
contratti collettivi. In realtà queste limitazioni non vengono per niente
applicate e i lavoratori in affitto vanno a ricoprire sempre più le mansioni
più basse. In questo senso è assurdo parlare di un settore di lavoro
interinale, perchè esso è trasversale ad ogni attività; e ancora più assurdo
nonchè pericoloso è considerarlo alla stregua di un comparto produttivo, e
fare un sindacato di categoria per i precari (come il Nidil). La vera lotta
sindacale è nell'abolizione della precarietà, non nella sua "categorizzazione".
In più l'associazione europea delle agenzie interinali starebbe facendo
pressione per ottenere un contratto ad hoc, con una retribuzione specifica per
gli interinali, più bassa di quella delle altre categorie. Se si verificasse
questo scenario, agli industriali converrebbe una volta per tutte assumere
eserciti di interinali, per il tempo che vogliono e con quote più o meno libere
rispetto al complesso dei dipendenti. Attualmente, invece, gli interinali sono
pagati nello stesso modo dei dipendenti, e, a parte le quote e le limitazioni di
legge, il fatto che le aziende utilizzatrici devono pagare anche il costo
dell'intermediazione alle agenzie di lavoro temporaneo, dissuade da un uso
generalizzato di questi lavoratori.
Un altro strumento che si fa avanti è quello dello staff leasing, ovvero
l'affitto di lavoratori esterni - perché dipendenti di altre aziende - non a
tempo determinato come gli interinali, ma in modo continuativo e a tempo
indeterminato. E le novità non finiscono qui. Per i lavoratori italiani c'è
infine all'orizzonte il trionfo della precarietà: il lavoro a chiamata. Ovvero,
sono assunto da un'azienda che mi retribuisce pienamente quando lavoro, ma devo
anche dare la disponibilità alla stessa azienda nei periodi di non lavoro,
pagato soltanto con una indennità di disponibilità, certamente imparagonabile
a uno stipendio pieno. In pratica, devo stare sempre attaccato al telefono,
attendendo di rientrare nel ciclo di produzione. Né è ancora chiaro con quale
preavviso potrò essere chiamato, ma pare ovvio che, risultando io appunto
dipendente, l'impresa vorrà avermi disponibile (se possibile) dall'oggi al
domani. E' un po' come avviene già con gli interinali dipendenti a tempo
indeterminato dalle agenzie di lavoro temporaneo: hanno un'indennità di
disponibilità, pari a 620 mila lire mensili.
Lo sciopero di martedì 16 aprile sarà davvero generale. I segnali che arrivano da tutte le camere del lavoro e dalle strutture periferiche di tutti i sindacati fanno prevedere una riuscita eccezionale della mobilitazione contro le deleghe del governo. Lo sciopero sarà di otto ore in tutti i settori produttivi, dall'industria ai servizi, dal commercio al pubblico impiego. Scioperano anche tutti i settori dei trasporti, la sanità pubblica, i servizi quali luce, acqua, gas. Scioperano anche giornali, le televisioni le radio. I quotidiani non saranno in edicola martedì, mentre le televisioni si fermeranno martedì stesso. Come prevede la legge saranno garantiti i servizi minimi essenziali in tutti i settori, soprattutto nella sanità, ma anche nei trasporti. Sono previste manifestazioni, cortei e comizi in quasi tutte le città italiane dato che lo sciopero è organizzato per regioni. In quasi tutte le città, soprattutto in quelle più grandi, sono previsti due o tre cortei dei sindacati confederali, più altri cortei e manifestazioni dei sindacati extraconfederali, dei Cobas, delle rappresentanze di base e di tutto il mondo dei No global e dei Disobbedienti. Ancora una volta, dopo la manifestazione del 23 marzo della Cgil, la più grande del dopoguerra, le piazze d'Italia si riempiono di milioni di persono che combattono contro la politica iperliberista di attacco ai diritti.
Leucemie e tumori vescicali fra i parrucchieri: questo il nuovo fronte di inchiesta aperto dalla procura di Torino che si occupa di malattie professionali. I primi casi segnalati hanno dato vita ad alcuni procedimenti giudiziari (per lesioni e omicidio colposo) coordinati dal pubblico ministero Raffaele Guariniello. L'indiziato numero uno è la parafenilendiammina, un derivato dall'anilina largamente utilizzato nelle tinture per capelli e in prodotti analoghi come i riflessanti. Per adesso, in attesa delle conclusioni delle indagini, gli inquirenti invitano alla cautela: il nesso è ancora da dimostrare.
Proroga al 15 maggio per la presentazione della domanda per il
rimpatrio dei capitali all'estero, proroga al 30 novembre (la scadenza era il 30
giugno) per la presentazione della domanda di emersione da parte delle aziende
al nero, sospensione per tre anni di tutti i diritti sindacali per i lavoratori
che verrano regolarizzati dall'attuale situazione di contratti al «nero». E'
questo il succo del decreto su cui il governo Berlusconi ha posto la fiducia e
che si voterà a Montecitorio questa mattina a partire dalle 9. Il governo vuole
comunque procedere spedito sulla sua strada senza dare ascolto alle proteste
dell'opposizione, né tenere conto del grande sciopero generale unitario di
ieri. Il governo e in particolare alcuni suoi ministri hanno estremo bisogno
oggi di raggiungere almeno alcuni dei risultati che si erano prefissi e che
invece pare si allontanino sempre di più. In questo senso il decreto su cui si
pone oggi la fiducia è davvero emblematico perché tratta di due materie su cui
la propaganda di palazzo Chigi aveva puntato molte delle sue carte. Ma i
risultati concreti non si vedono - almeno per ora - dato che il famoso rientro
dei capitali dall'estero marcia a ritmi molti ridotti (da qui la proroga) e per
l'emersione dal sommerso è peggio che andar di notte, visto che finora
sarebbero emersi solo 400 lavoratori rispetto all'obiettivo che il ministro
Tremonti aveva fissato: 900 mila lavoratori regolarizzati.
Quindi, il giorno dopo una grandissima mobilitazione contro le politiche del
governo in materia di mercato del lavoro, fisco e pensioni, il pericolo si
concretizza e non è certo dissimile dalla minaccia all'art. 18.
Bisogna ora che tutti si chiedono se uno sciopero generale non basti a placare
la furia della borghesia; così come non è pensabile che si affidi la difesa
dei diritti conquistati da decenni di lotte all'opposizione parlamentare di un
centro sinistra che quando era al governo ha fatto "l'apripista" per
Berlusconi, o allo sbrigativo tentativo di Ulivo e PRC di rifondare "il
frontismo" per "battere le destre".
Mario Bertolo, 49 anni di cui 31 passati come operaio alla
Pininfarina di Grugliasco. Nel 1975 prende la prima tessera della Fiom-Cgil, un
anno dopo diventa delegato sempre per la stessa organizzazione sindacale. La
Pininfarina l'ha licenziato per insubordinazione: non si sarebbe fatto trovare
nel momento in cui gli si doveva notificare un periodo di cassa integrazione,
lavorando così indebitamente il giorno di inizio della cassa stessa. Spiega
Bertolo che nessuno prima di mercoledì scorso gli aveva presentato alcuna
lettera di annuncio della cassa integrazione. Entrato in fabbrica, gli viene
consegnata sul momento la notifica. Non si è opposto al procedimento ma ha solo
chiesto che la data di inizio della cassa fosse posticipata di ventiquattrore,
visto che era già entrato al lavoro. Mario Bertolo era l'unico a lavorare in
famiglia. Da sempre operaio metalmeccanico, aveva vissuto alla Pininfarina le
crisi e le trasformazioni a queste seguite del 1980 e dei primi anni `90.
Rappresentava un punto di riferimento per i lavoratori dell'azienda, una sorta
di «memoria storica» per i tanti giovani entrati in fabbrica negli ultimi
dieci anni. Una solidarietà resa esplicita da un'intera giornata di sciopero
spontaneo nello stabilimento di Grugliasco e da due ore di fermo a San Giorgio
Canavese. Il tutto è avvenuto lunedì scorso, proprio alla vigilia dello
sciopero generale indetto per bloccare le modifiche all'art. 18. In molti hanno
letto nel provvedimento preso dall'azienda che fa capo ad Andrea Pininfarina,
presidente dell'Unione Industriale torinese, un segnale chiaro in relazione a
quanto sta accadendo in questi giorni.
Da parte sua la Fiom, tramite il suo segretario provinciale Giorgio Airaudo,
dichiara «del tutto sproporzionato tale provvedimento, se questo nasce da una
semplice vicenda di carattere aziendale. Saremmo di fronte ad un fatto
gravissimo, invece, se dietro all'accaduto si nascondessero motivazioni di
carattere generale».
Tra l'80 e il 90% di adesioni alla Fiat Sata, verso il 100%
nelle industrie dell'indotto. Questi sono i dati della partecipazione allo
sciopero generale nell'area industriale di San Nicola di Melfi. E' stato
sicuramente lo sciopero più riuscito nella storia ormai decennale della Fiat in
Basilicata. Nonostante i successi delle assemblee dove la componente Fiom è
riuscita a trascinare gli altri sindacati, Melfi resta una realtà industriale
difficile anche se ormai da tempo sono finite le illusioni legate al mito del
prato verde e della fabbrica integrata. La gioia si legge negli occhi degli
operai e dei delegati che hanno poi partecipato al lungo corteo per le strade di
Potenza, con i comizi conclusivi nella piazza stracolma (circa 20mila persone,
una cosa che non si vedeva da anni). Tra gli operai entrati in fabbrica molti
sono interinali o a contratto di formazione, a dimostrazione del precario e
ricattatorio equilibrio su cui si regge l'impianto Fiat. Gli autobus di linea
che trasportano al lavoro gli operai dai paesi lucani e da quelli delle regioni
vicine giungono davanti ai cancelli vuoti o semivuoti. In compenso si riempiono
quelli messi a disposizione dai sindacati che portano a Potenza i manifestanti
provenienti dai paesi del Vulture, del Lagonegrese, del Materano, della Val
d'Agri.
In tutti i partecipanti al corteo c'é la consapevolezza della grande sfida
messa in moto. Dice un operaio della Sata: «La battaglia non termina con questo
sciopero. Forse sarà più lunga e complessa del previsto, ma indietro non si
può tornare. Sicuramente non potrà farlo la Cgil». Un altro esprime il suo
disagio e la sua rabbia: «Ho coltivato, non lo nego, l'illusione di esser parte
di un grande stabilimento. Ma mi è bastato poco per capire che si tratta di una
realtà di merda. La Sata non è la fabbrica più innovativa d'Europa, è semmai
la fogna d'Europa».
Ora la lotta a Melfi si fa più interessante. Del resto i delegati Fiom della
Fiat e dell'indotto erano stati, nei giorni scorsi, molto chiari. In due attivi
avevano ribadito: 1) il rigetto complessivo di tutta l'impostazione del Governo,
che non può essere considerata base per alcuna trattativa; 2) la lotta contro
qualsiasi proposta di differenziare le condizioni dei cittadini del sud da
quelli del nord sotto ogni profilo, sociale, civile ed economico.
Semideserta la statale 13, la Pontebbana, solitamente gremita
già dalle cinque del mattino. E' il primo segno che lo sciopero sta fermando
tutti. Lo colgono delegate e delegati di Susegana in picchetto all'entrata della
Zanussi, un ampio varco da cui non passerà nessuno, se non il vento gelido, se
non un addetto della cooperativa di spedizioni, accolto da un ironico applauso.
Più tardi anche di impiegati se ne vedranno ben pochi, qualcuno aspetta in
macchina, appostato dietro l'angolo, che finisca il picchetto, ma l'autobus che
solitamente li porta, alle 8, arriva vuoto. Produzione ferma, anche se nelle
piccole fabbriche qui attorno c'è chi lavora anche oggi. Ma l'animazione del
picchetto la stronca d'improvviso la notizia che arriva dall'ospedale, è morta
Luisa Ciampi, il corpo mangiato dalle ustioni, dopo cinque mesi dal rogo nella
linea 3, l'esplosione per la fuga di gas che colpì otto operai lo scorso 12
novembre. Sono lacrime, ma anche rabbia, l'ultima parola spetta all'inchiesta ma
via via che la notizia arriva agli operai che si avviano alla manifestazione di
Padova molti hanno da dire la loro: «non hanno fermato la linea», «era una
settimana che gli segnalavamo l'odore di gas». Al picchetto si piange.
La moderna azienda «partecipata» si è assunta l'onere dello sfondamento sul
piano dei diritti dei lavoratori, tentando due anni fa di introdurre il «lavoro
a chiamata», la «reperibilità» per tutto l'anno dei lavoratori, chiamati al
lavoro per giorni o mesi, o mai, la vita quotidiana a totale disposizione
dell'impresa. Respinto dai lavoratori in un referendum. E' il job on call che
Federmeccacnica aveva tentato invano nel contratto nazionale, oggi è nel
programma del governo.
Ma di parole libere riecheggia il grande corteo in cui la gente Zanussi entra a
Padova, nel luogo d'approdo, piazza dell'Insurrezione 28 aprile, un enorme
lenzuolo della Fiom di Padova, «Senza diritti non c'è libertà», copre
l'intera facciata della sede della Camera di commercio. Ma solo la testa dei
manifestanti riuscirà a entrarci, si dice 80 mila, 100 mila i presenti, e il
corteo è tutto imbottigliato dalla partenza lungo il Corso, nel rumore di ogni
tipo di strumento improvvisato, nel sound del grande spezzone dietro lo
striscione «Disobbedienza sociale», che raccoglie sindacati di base, Cobas e
rdb, studenti, associazioni, ma vi si mischiano le bandiere di tutti i colori
presenti in ogni dove. Tanti gli operai, ma anche tecnici, insegnanti, commercio
e vigili del fuoco, ferrovieri, dipendenti pubblici, tutto il Veneto democratico
sfila nello sciopero sotto gli occhi dei negozi del centro padovano,
pervicacemente aperti. Tanti i migranti. Da Venezia con la bandana rossa attorno
alla testa sfilano 130 del Bangladesh dalla Fincantieri.
Nelle piazze di solito occupate dai sindacati confederali i
Cobas hanno giocato d'anticipo, e questa volta le hanno occupate loro, S.
Giovanni a Roma, e in Piazza Duomo, a Milano, divisi da Cgil, Cisl e Uil, ma
«virtualmente uniti», perché la battaglia comunque è comune, contro
l'attacco di governo e Confindustria ai diritti dei lavoratori. E con le
manifestazioni di Firenze e Napoli si parla di quasi 500 mila persone in tutta
Italia. Eppure le differenze sono troppe per manifestare insieme, e quindi
cortei diversi. La Palestina, innanzitutto, che nel corteo di Roma ha
decisamente prevalso sul tema articolo 18, prendendo per sé quasi tutta la
scena. La manifestazione era un fiume di kefiah e bandiere palestinesi, nessuna
stella di Davide. La scelta di campo è precisa, a differenza dei confederali
che solo qualche settimana fa hanno deciso di non scendere in piazza a Roma per
non venire accusati di essere schierati solo da una parte: «Non possiamo essere
equidistanti», ha detto dal palco Piero Bernocchi, responsabile dei Cobas
scuola. «Non siamo contro lo Stato di Israele né antiebraici, ma contro il
governo Sharon che sta opprimendo il popolo palestinese. I palestinesi possono
aver scelto in certi casi metodi discutibili di lotta, ma noi siamo dalla parte
di chi resiste per la propria autodeterminazione».
Parole d'ordine su lavoro: no alla precarizzazione - individuata a partire dalla
legge Treu, che ha introdotto i contratti flessibili già con i passati governi
di centrosinistra; no alle modifiche dell'articolo 18, e sì, anzi,
all'estensione di questo mezzo di tutela a tutti i lavoratori; no alla
concertazione portata avanti da Cgil, Cisl e Uil, i sindacati maggiori, che
accordandosi con il governo e con i padroni tradiscono i loro stessi iscritti. E
no al Libro bianco e alle deleghe al governo su lavoro, fisco e pensioni; no
alla privatizzazione della scuola e della sanità pubblica; sì a una nuova
scala mobile, a un reddito sociale per i disoccupati, a salari europei. Insomma,
non c'è solo Berlusconi nel mirino di Cobas, Sin. Cobas, Cub, Usi, Flm, Sulta,
ma anche D'Alema, il centrosinistra e Cofferati, rei di realizzare
un'opposizione politica e sindacale «concertativa e non di conflitto».
Per i Cobas, «il conflitto è tornato a diventare protagonista della vita
politica». «E' già il terzo sciopero generale dei Cobas in pochi mesi - dice
Piero Bernocchi - e i numeri raggiunti alle manifestazioni di oggi ci rendono
particolarmente orgogliosi. I lavoratori si sono resi conto della profonda
ipocrisia dei padroni, liberisti quando vogliono erodere i diritti e statalisti
quando chiedono sostegni pubblici». Oltre ai rappresentanti dei Cobas scuola,
in piazza sono scesi i precari dell'Alitalia, con le bandiere del Sulta, le Rdb
Sanità, i Cub, i Cnl Trasporti, i Sin. Cobas, gli operai della Fiat di Cassino.
E poi molti studenti medi - tantissimi i 15-16 enni - e i centri sociali di
Roma. Pochi i rappresentanti del Roma social forum, che ha aderito in parte al
corteo dei confederali e ha poi partecipato alla manifestazione dei no global
del pomeriggio.
Al corteo Cobas di Milano hanno sfilato 50 mila persone, tra lavoratori dei
sindacati di base, circoli giovanili, centri sociali e Rifondazione comunista.
Anche qui, uno dei bersagli preferiti è stato Sergio Cofferati: «Cofferati,
con i suoi amici - ha detto Piergiorgio Tiboni, coordinatore nazionale dei Cub -
ha liquidato i diritti fondamentali dei lavoratori, dall'elezione dei delegati
alla possibilità di convocare le assemblee. Il governo durerà e Cgil, Cisl e
Uil non cambieranno la loro politica concertativa. Rispetto al passato, però, i
lavoratori non sono più soli. Oggi c'è il sindacato di base». Tiboni ha anche
annunciato una nuova manifestazione dei Cobas «per un primo maggio alternativo,
per riattualizzare la centralità della lotta al liberismo». Ribadito nel
capoluogo lombardo il no alla concertazione, per non giocare sulla difensiva,
accontentandosi solo dello stralcio dell'articolo 18: «bisogna puntare ad
estendere i diritti e a ridurre il precariato»; deciso l'appoggio alla causa
del popolo palestinese.
Le altre città, infine. A Napoli hanno sfilato 40 mila persone; a Firenze, tra
Cobas e no global, circa 30 mila. Ad Ancona 30 mila, a Perugia 15 mila, e
parecchie migliaia hanno partecipato anche a Palermo.
E'stato il più grande sciopero contro le privatizzazioni finora visto in India: 10 milioni di lavoratori del settore pubblico hanno scioperato martedì contro una proposta di legge che dovrebbe rendere più facile i licenziamenti, cosa considerata indispensabile per vendere alcune delle mastodontiche aziende statali che il governo intende privatizzare. Lo sciopero era proclamato da tutti i maggiori sindacati indiani, dal All India Trade Union Confederation (Aituc) al piccolo sindacato espressione della destra nazionalista che guida il governo di New Delhi. Bloccate banche (90% di adesioni alla Banca Centrale, che da sola ha 32mila dipendenti), assicurazioni, servizi pubblici, ferrovie, miniere di carbone, porti - paralizzato il porto di Bombay. Appena due mesi fa il governo nazionalista aveva annunciato nuove riforme per rilanciare la liberalizzazione avviata ormai 11 anni fa, e in particolare nuove leggi sul lavoro (licenziamenti), il taglio di sussidi sul presso di carburanti e fertilizzanti, e 25 nuove privatizzazioni dopo quelle dell'anno scorso (18 vendite sono state completate in 10 mesi, tra cui il gigante delle telecomunicazioni Vsnl, la Hindustan Zinc, l'azienda di hardware e software Cmc). Ma poi gli aumenti dei prezzi di kerosene e gas da cucina sono stati revocati di fronte alle proteste popolari, e dopo una serie di batoste elettorali il partito di governo ora sembra orientato a obbligare il ministro delle finanze a rimangiarsi, o almeno rallentare drasticamente il suo programma di liberalizzazione.
«Con la presente vi diamo comunicazione del vostro
licenziamento con effetto immediato, in conseguenza del vostro comportamento di
grave nocumento per l'Azienda, costituito dalla diffusione di notizie
dispregiative, a mezzo di stampa e televisione, dell'azienda e dei suoi
dirigenti». Una lettera di benservito a 19 operai dell'industria di sanitari
Iris Biomedica di Senise (Potenza), «colpevoli» di aver raccontato a giornali
e tv il semplice fatto che non ricevevano lo stipendio da oltre un anno. La
lettera è del 21 gennaio scorso, seguita a una triste Epifania nella quale i
dipendenti della Iris avevano presidiato l'azienda parlando con i giornalisti.
Grazie all'articolo 18, gli operai sono stati, seppure a distanza di mesi,
reintegrati nel loro posto di lavoro. Il licenziamento, ha deciso il giudice del
lavoro del Tribunale di Lagonegro, non è sorretto da giusta causa, e dunque è
nullo. E nel frattempo, l'azienda è anche fallita. «Non è stato certamente
piacevole tutto quello che abbiamo passato - spiega Vincenzo Dragonetti,
delegato della Cgil - Per 6 mesi di seguito non abbiamo preso lo stipendio, e
poi pochi soldi sono arrivati a singhiozzo. Infine è arrivata la doccia fredda
del licenziamento, e adesso che siamo stati reintegrati in realtà ci aspetta la
cassa integrazione ».
Il territorio del Senise ha perso molti posti di lavoro nel settore agricolo a
causa della creazione della diga di Montecotugno, il secondo invaso più grande
d'Europa, comunque necessario per la Basilicata e per la Puglia. La Iris aveva
beneficiato dei fondi post-terremoto, negli anni `80, e da qualche anno è stato
avviato un patto territoriale. Per il momento, però, è stato realizzato
soltanto al 30%, e ha creato pochi posti di lavoro. I giovani continuano a
emigrare.
La Fiat ha annunciato altre due settimane di cassa
integrazione a Mirafiori, dopo le tre settimane che, a partire dal 15 aprile,
coinvolgono tutti gli addetti alle produzioni di Marea, Multipla, Lybra e Alfa
166: 6.000 lavoratori. In nuovo provvedimento di Cig fermerà la produzione di
Marea, Lybra e Multipla a Mirafiori dal 20 maggio al 2 giugno ed interesserà
5.000 addetti: 3.200 in Carrozzeria, 550 a Rivalta e 250 alle Presse tra i
diretti e circa 1.000 suddivisi tra gli indiretti come Tnt e Comau. In pratica,
dal 15 aprile al 2 giugno su sette settimane lavorative ben cinque saranno di
cassa integrazione. Alla crisi ormai conclamata del mercato dell'auto in Italia
e in Europa si aggiungono i problemi specifici della Fiat che riesce a perdere,
nonostante il lancio della Stylo, molto di più dei suoi concorrenti, passando
in Europa dal 9,8% del 2001, come quota di mercato, all'8% del 2002.
Dopo la chiusura di Rivalta e l'intenzione di lasciare a Torino la produzione di
una unica piattaforma, spostando il resto al sud - già 100.000 vetture su
200.000 sono state tolte a Mirafiori - e non rimpiazzando la produzione della
Panda, visto che la "nuova Panda" verrà realizzata in Polonia, il
futuro di Mirafiori con la produzione di modelli residuali rischia di essere
compromesso.
Dall'Italia, all'India, alla Grecia, poco varia delle ragioni
delle lotte dei lavoratori.
C'erano quasi tutte le categorie ieri in piazza ad Atene per manifestare contro
la riforma del sistema pensionistico, promossa dal governo di Kostas Simitis.
Pensionati, lavoratori in attività, impiegati con contratti precari, garantiti
e disoccupati. Chiuse anche le fabbriche, le banche, gli uffici del settore
pubblico, fermi i treni, gli aerei e i mezzi di trasporto pubblico, mentre gli
ospedali hanno lavorato soltanto per le emergenze. Ma il numero di coloro che
ieri hanno manifestato era molto inferiore rispetto all' anno scorso. Centinaia
di migliaia erano scesi in piazza esattamente un anno fa, per lo stesso motivo.
Stavolta solo dieci mila, secondo i sindacati. Molti di meno, a sentire la
polizia.
Nell' arco di dodici mesi, nonostante che la popolarità del premier Simitis
stia calando a livelli pericolosi per il partito governativo, mentre aumenta il
livello di povertà nel paese (1 greco su 6 vive sotto il livello europeo), la
gente sembra aver cambiato atteggiamento. La manifestazione era promossa da 45
Centri dei Lavoratori (unità locali che raccolgono tutte le categorie dei
sindacati) in tutto il territorio ellenico. Nemmeno i sindacati si aspettavano
un numero cosi esiguo di partecipanti, nonostante il successo dello sciopero.
Diverse sono le strategie sul tavolo delle trattattive, come diverse sono le
cause attribuite al problema. Un anno fa, le proposte dell'ex ministro del
lavoro per un aumento degli introiti degli enti, che doveva derivare da maggiori
finanziamenti, sono state respinte categoricamente dai sindacati. Categorico era
anche il premier greco, che deve fare i conti tra l'altro con la politica
economica e finanziaria dell'Ue, che limita i deficit degli stati membri. Nel
corso dei mesi, però, Simitis ha dovuto fare marcia indietro. «Non ci
fermeremo finché non avremo raggiunto i nostri obiettivi» aveva detto il
segretario della Gsee, Christos Polizogopoulos.
Il nuovo ministro del lavoro, Dimitris Reppas, molto piu abile, porta alla
trattativa proposte che, in linea di massima, sono accettabili dai sindacati,
cercando di rimandare la vera riforma al futuro. Non si tocca l'età di 65 anni
come il massimo per andare in pensione, e nemmeno si tocca il livello delle
pensioni per chi lascia il mondo del lavoro entro il 2007. Nonostante ciò, il
braccio di ferro continua. Una parte dei sindacati, aderenti alla destra e al
partito comunista, insiste, ed è decisa a dare la battaglia, mentre Simitis ha
bisogno di raggiungere almeno alcuni dei risultati che ci si era prefissi per la
riforma e che invece sembrano allontanarsi sempre di più.
I dipendenti romani della Sweet & Co, concessionaria in
franchising per l'Italia e la Germania di Dunkin'Donuts (multinazionale
americana delle frittelle) sono rimasti con un pugno di briciole in mano. I loro
datori di lavoro, una cordata di soci italiani presieduta da Gianluigi Contin,
li ha messi alla porta da un giorno all'altro, dandosela letteralmente a gambe.
I neodisoccupati sono in tutto una cinquantina, tra gli addetti al laboratorio
sull'Appia, dove venivano prodotte le frittelle, le segretarie, i fattorini e i
commessi dei punti vendita. Una doccia fredda li ha investiti mercoledì scorso,
quando la dirigenza li ha convocati tutti per un'assemblea straordinaria nel
laboratorio. «Ci dispiace - hanno detto due rappresentanti legali - i soci non
vogliono più finanziare l'azienda, dobbiamo dichiarare il fallimento. Faremo di
tutto per venirvi incontro».
Evidentemente il business delle frittelle americane, nei tempi del dietismo a
tutti i costi e con la concorrenza insormontabile del cornetto italiano, non
regge proprio.
I ragazzi della Sweet & Co, appena venuti a conoscenza del subitaneo
licenziamento, hanno cominciato ad occupare lo stabilimento di produzione,
dormendo a turno tra i macchinari che impastano le frittelle, le friggitrici e
le apparecchiature per il confezionamento. L'occupazione si è conclusa soltanto
due giorni fa, perché nel frattempo hanno deciso di attendere i primi esiti
della procedura fallimentare. I macchinari, tutti di proprietà dell'impresa,
sono infatti passati in mano al curatore fallimentare, mentre sembra che la
Sweet & Co italiana stia già cercando di vendere il marchio a qualche altro
imprenditore.
I dipendenti hanno diritto, in casi come questo, a un mese di preavviso e alle
proprie liquidazioni ma per il momento è davvero difficile stabilire quando
potranno entrare in possesso del dovuto. Sembrava infatti che fossero rimasti
300 milioni nelle casse dell'impresa, poi hanno detto che sono spariti anche
quelli. La Sweet & Co non è mai stata corretta con i sindacati, si limitava
a "tollerarli".
I concessionari della ciambella hanno insomma lasciato 50 dipendenti in un mare
di guai, dopo averli assunti in molti casi con contratti di formazione lavoro,
che ovviamente hanno beneficiato di sgravi fiscali e agevolazioni.
Torna l'incubo di dicembre in Argentina. Il "rischio paese" è tornato a crescere (4494 punti base) e il dollaro, ieri, veniva comprato a 2,96 peso. Quello che più preoccupa il peronista Eduardo Duhalde è che cresce la protesta sociale. Da due giorni si registrano agitazioni e manifestazioni in varie provincie del paese. La più grande protesta ha coinvolto 5.000 dipendenti pubblici della provincia di Jujuy, a nord del paese. Giovedì erano scesi in piazza - a San Salvador - per reclamare gli stipendi arretrati ma la polizia li ha dispersi con la forza. Cresce anche la povertà - il 25% della popolazione - e si rafforza l'inflazione. Alla fine dell'anno, il pil del paese decrescerà di un buon 15% (parola del Fmi!). Come se non bastasse, per bloccare il drenaggio di soldi dalle banche ormai esangui, il governo ha deciso di presentare al Congresso una legge che dovrebbe trasformare i depositi in buoni del tesoro. Il corralito tanto osteggiato dagli argentini, invece di scomparire, potrebbe con questa misura indurirsi. Il ministro Lenicov è andato a Washington per incontrare il segretario al tesoro Usa, Paul O'Neill e i massimi vertici del Fmi. La risposta che l'attende è già nota: senza «riforme» non arrivano i prestiti.
Sabato 4 maggio a Firenze si terrà la prima assemblea
nazionale dei dipendenti diretti dell'Adecco, una delle maggiori agenzie per la
fornitura di lavoro interinale. L'ha indetta la Filcams, il sindacato del
commercio della Cgil, che nelle ultime settimane ha tesserato numerosi
lavoratori Adecco. Un articolo del 20 marzo sul manifesto aveva suscitato un
fitto scambio di e-mail tra i lavoratori Adecco. I messaggi esprimevano
solidarietà alle due colleghe che avevavo permesso di aprire gli occhi sui
metodi di lavoro e reclutamento del personale in Adecco, confermavano il loro
racconto (salto della pausa mensa, straordinari coatti e non retribuiti,
violazioni della privacy, altissimo turn-over) e traboccavano di voglia di
«fare qualcosa» per migliorare le condizioni di lavoro.
I 7 mila dipendenti nella sessantina di agenzie interinali operanti in Italia
non sono coperti dall'articolo 18 dello Statuto del lavoratori perché le
filiali sono tutte sotto i 15 dipendenti.
E' l'ostacolo maggiore alla sindacalizzaione, all'elezione delle Rsu e alla
contrattazione integrativa. L'altro ostacolo è la politica del personale
adottata da tutte le big del lavoro temporaneo: identificazione totale con
l'azienda, siamo tutti una famiglia, del sindacato qui non c'è bisogno.
E' il modello americano del «siamo il team vincente», dove tutti si chiamano
per nome e danno del tu al megacapo. Sono cose che fanno una certa impressione
su chi ha poco più di vent'anni. L'entusiasmo dura un annetto, poi segue la
delusione. Dietro alla modernità fasulla di questi mondi a parte sperimentano
prepotenza, arroganza, stupidità, gerarchie incomprensibili. E si incazzano
terribilmente. Essendo giovani, in prevalenza donne, che devono provvedere quasi
tutti solo a se stessi, si dimettono; di qui, l'alto tasso di turnover. La
novità nel caso Adecco è la determinazione a restare per far valere i propri
diritti.
Per le agenzie il turnover è un vantaggio: tiene lontano il sindacato, i neo
assunti sono sempre collaborativi. E' anche un costo: va formata e addestrata in
continuazione gente nuova che dopo un anno, magari, passa alla concorrenza.
Le agenzie, infatti, hanno sottoscritto un patto di non concorrenza. Chi lascia
un'agenzia nei successivi 3 o 6 mesi non può andare a lavorare da un'altra. In
cambio di un ridicolo indennizzo, il 5% dello stipendio per i mesi di divieto.
Il patto è violato spesso e volentieri sottobanco. C'è una competitività
esasperata tra agenzie e anche all'interno della singola agenzia, che mette in
concorrenza tra loro le filiali e i lavoratori. La gente si logora e scappa.
In Italia il lavoro interinale è partito in ritardo rispetto agli altri paesi
europei e resta a percentuali più basse. Le agenzie riescono a guadagnare o no?
Come in tutte le imprese, ci vuole un po' di tempo per ammortizzare i costi di
avvio. Liberalizzando i contratti a tempo determinato il governo Berlusconi, pur
di fare un dispetto alla Cgil, ha dato un dispiacere alle agenzie di lavoro in
affitto che, alle imprese utilizzatrici, costa più dei contratti a termine. Per
«rimediare», il governo vuol dare alle agenzie interinali il collocamento
privato. L'obiettivo, indicato nel Libro bianco, è scritto nella delega sul
mercato del lavoro che spazza via la legge che vieta l'interposizione di
manodopera. Riconvertirsi dall'interinale al collocamento privato per le agenzie
sarà un'àncora di salvezza, ma non sarà una cosa semplice. Sono altri soldi
che ballano, figure professionali non coincidenti, personale da formare. I
dipendenti diretti delle agenzie hanno percepito questa situazione d'incertezza
e di crisi. L'hanno sommata al malcontento precedente e per questo è bastata
una scintilla per innescare la ribellione all'Adecco.
All'annuncio di possibili 200 esuberi dato due giorni fa dal
presidente Pierluigi Celli - che ha anche dichiarato che lascerà Ipse in maggio
- i giovani dipendenti hanno presentato ai giornalisti un sito:
www.ipsedosmil.it. Un modo per tenersi informati tra di loro, ma anche per
comunicare con quelli che loro stessi definiscono gli «sfigati della new
economy»: i ragazzi di Blu, le tute arancioni di Matrix-Virgilio, i giornalisti
di Lanetro, licenziati in poche ore dal titolare del portale che gestivano. I
lavoratori hanno presentato alla stampa un lungo dossier in cui raccontano la
«bolla» Ipse, il sostanziale flop del consorzio guidato dalla spagnola
Telefonica (che ha il 45%) e partecipato dalla finlandese Sonera ( 12%), da
Atlanet (Fiat, Acea e ancora Telefonica), da Banca di Roma (10%) e da altri
azionisti di minoranza (tra cui Edison, Falck, Guzzini, il gruppo Zoppas,
Marcegaglia, Beghelli, l'editore Euroclass). Tutti giovani professionisti, già
avviati in altre aziende di telefonia e ben retribuiti, letteralmente
«strappati» con il loro consenso, ed entusiasmo, ovviamente) da una azienda
che poco più di un anno fa, al momento in cui si aggiudicò la licenza per l'Umts
(3200 milioni di euro), prometteva grandi cose. «Abbiamo lavorato alcuni mesi
anche 16-18 ore al giorno per avviare la fase di start up - raccontano i giovani
di IpseDosMil - certamente la più difficile, quella che avrebbe dovuto
concludersi, alla fine del 2001, con il lancio dei servizi Gsm e Gprs. Invece,
da ottobre, abbiamo cominciato a rallentare. Il lancio di quei servizi è stato
rimandato di mese in mese fino a quanco in febbraio è stato definitivamente
abbandonato».
La partita dell'Umts non si può mollare facilmente e fra qualche anno (solo
dopo il 2005 secondo il disciplinare di gara) si può comunque rivendere
agevolmente la licenza italiana. Per mantenere quest'ultima, però, si deve
tenere fede al bando, che impone di restare su certi livelli di attività.
Livelli bassi, con il motore al minimo - spiegano i dipendenti, che oggi
ammontano in tutto a 540 unità -: i 200 a cui si riferiva Celli potrebebro
essere 130 ragazzi in contratto di formazione lavoro e una cinquantina di
dirigenti. Ma niente è più sicuro.
Blocchi stradali, tafferugli tra automobilisti e contadini,
polemiche tra esponenti del governo e di cooperative agricole è ciò che si
vede e si ascolta lungo il viaggio tra Atene e Salonicco. Da oltre dieci giorni
il paese è tagliato in due e chi decide di percorrere in auto i 500 chilometri
dalla capitele greca verso il nord, deve per forza passare da montagne, seguire
strade non asfaltate e «armarsi» di molta pazienza. In diversi punti
strategici, ponti, caselli, incroci, sia in autostrada, che nelle strade
secondarie, decine di trattori e macchine agricole impediscono il traffico. Il
mondo agricolo in Grecia è in rivolta. I contadini, specie in via di estenzione,
visto che i giovani della campagna preferiscono prendere la via dell'emigrazione
verso i centri urbani, da parecchi anni, vivono una situazione drammatica. I
loro introiti diminuiscono drasticamente, mentre le loro produzioni spesso
rimangono invendute. Nello stesso tempo, una parte dell'opinione pubblica, li
considera privilegiati, «perche vivono di rendita», grazie alle sovvenzioni
dell'Ue. Secondo questa stessa opinione, gli agricoltori fanno uso della mano
d'opera degli extracomunitari, tra l'altro mal pagata. Al centro della polemica
la Politica agricola dell'Unione europea. Una parte degli agricoltori,
sopratutto nelle regioni settentrionali di Tessalia e di Macedonia,
tradizionalmente zone agricole di cotone, di grano, di tabacco e di frutta, non
sono disposti ad adeguarsi alle direttive della Ue per cambiare le loro
coltivazioni oppure per mantenere la produzione ai livelli prestabiliti da
Bruxelles.
Non sono bastati né le sovvenzioni e tantomeno gli sforzi del partito
socialista al governo a convincerli. Al contrario, la campagna greca, un tempo
forza trainante del Pasok a livello elettorale, oggi, si schiera in gran parte a
favore del partito conservatore, «Nuova Democrazia» e dei comunisti del Kke.
Per ultimi sono stati i produttori di cotone a bloccare le strade, provocando di
nuovo caos nel traffico. «Perche dobbiamo pagare noi» e la solita frase degli
automobilisti. «Non abbiamo altro modo per far sentire la nostra voce»
rispondono agricoltori disperati. Uno di loro di fronte alle telecamere mette in
moto il suo trattore e lo fa precipitare nel burrone vicino.
Lo scontro è aspro anche con il governo. Simitis e stato chiaro, definendo
tutti coloro che bloccano le strade «fuori legge». Le mobilitazioni «sono
catastrofiche per gli stessi coltivatori, perche vanno contro le direttive dell'Ue
e il governo rischia di pagare delle multe immense» ha sottolineato il premier.
Inoltre, secondo il governo, un gran numero di agricoltori - si parla di 75.000
casi- ha cercato di ingannare lo stato, coltivando altri prodotti, pur avendo
denunciato alle autorità di avere cotone, per ottenere le sovvenzioni. Di fatto
la produzione di cotone ha superato quest'anno il livello di 200 mila
tonnellate, consentito dalla Ue e nessuno sa come sarà assorbita e a quali
prezzi. Intanto, il braccio di ferro con il governo (che ha dovuto fronteggiare
anche lo sciopero generale dei trasporti) continua.