Notizie dalla lotta di classe |
Maggio 2002 |
Unire quello che il capitalismo divide. |
Il silicone è la nuova arma contro il lavoro precario. Spruzzato dentro le serrature, richiede parecchio tempo per essere neutralizzato. Per questo ieri a Brescia, a metà mattina, diverse filiali delle più note agenzie di lavoro in affitto erano ancora chiuse. L'azione diretta ha colpito diciassette filiali ed è stata politicamente «rivendicata» dal centro sociale Magazzino 47. Che ha lasciato sulle vetrine un volantino intitolato «Primo Maggio 2002, la flessibilità non ci ha piegato. Facciamo la festa al precariato».
Carlo Scatturin, direttore generale di Adecco Italia, ha 35
anni, la faccia da bravo ragazzo, dirige 2.300 dipendenti e 520 filiali, l'anno
scorso ha affittato 220 mila lavoratori interinali e fatturato 772 milioni di
euro (+44% rispetto al 2000). Dopo le denunce dei lavoratori, pubblicate da il
manifesto nei giorni scorsi, come reagirà Adecco? «Con la massima
disponibilità ad ascoltare e a confrontarci», risponde Scatturin, «in Francia
e in Spagna il sindacato è presente in Adecco, non c'è ragione perché non lo
sia in Italia». Una presa in giro? No, garantisce il direttore, nelle aziende
ci sono dei «passaggi di fase»; se si registra un «disagio» tra i
lavoratori, un'azienda, soprattutto se si occupa di «risorse umane», deve
tenerne conto. «In quattro anni siamo passati da zero a 2.300 dipendenti,
dobbiamo fare una riflessione e dare risposte al malessere che si è
manifestato. Chiedo solo un po' di pazienza, perché modificare
un'organizzazione complessa richiede tempo».
A botta calda aveva incontrato personalmente Enrica ed Erica e molti altri
lavoratori. Aveva preso atto che nelle filiali in provincia di Bergamo «il
modello Adecco aveva subito delle forzature». Nel giro di poche ore era saltata
la dirigente di zona e nel giro di qualche giorno nella filiale di Cologno al
Serio, dove Enrica Torresani lavorava da sola, erano stati mandati tre rinforzi.
Sugli straordinari: «Noi non spingiamo per farli, le filiali devono essere
aperte dalle 9 alle 19, ma non si timbra il cartellino. Le persone si
autogestiscono l'orario come meglio credono. Ovviamente noi dobbiamo garantire
un organico sufficiente perché si possano fare i turni».
Il costo della formazione è quasi zero: gli stagisti - prima d'essere assunti -
lavorano tre mesi senza beccare un euro neppure per la benzina. «Lo stage è
così dappertutto. In Adecco è il canale privilegiato d'assunzione, sono ex
stagisti un terzo dei nostri dipendenti». Scatturin non dice a quanto ammonta
l'utile di Adecco Italia.
Sta succedendo qualcosa nei ministeri delle Infrastrutture,
del Tesoro, dei Beni Culturali, delle Comunicazioni. Dipendenti in agitazione,
dirigenti espropriati dalle loro deleghe prerogative e funzioni, direttori
generali che non contano un accidente. E tutto avocato alle funzioni di
Gabinetto del ministro (Lunardi, Tremonti, Urbani, Gasparri, eccetera) e
redistribuito tra una pletora di esperti, consulenti, consiglieri, segretari
particolari di dubbia e sconosciuta provenienza, se si escludono alcuni nomi
arcinoti come Alain Elkann, consigliere "particolare" del
sottosegretario Vittorio Sgarbi.
Chi nomina i consulenti, chi li sceglie, con che criteri, e per far che? Da
quali "bacini fiduciari" provengono i consiglieri particolari, e con
quali esperienze strettamente connaturate con il mandato che gli viene
assegnato? Nessuno lo sa. E nessuno sa quanti siano. A chi ha provato a chiedere
l'elenco o gli atti di nomina o i mandati di pagamento delle parcelle e delle
cospicue erogazioni a titolo di remunerazione dell'attività svolta, le
segreterie particolari e le ragionerie generali hanno opposto silenzio: gli
elenchi dei consulenti sono riservati, coperti, segretati. Non è difficile
immaginare cosa può voler dire in un ministero che comprende i grandi appalti
dei Trasporti e dei Lavori Pubblici, unificati sotto l'unica egida del ministro
delle Infrastrutture Lunardi, se a dare l'ok sono collaboratori ed esperti
"privati" di stretta nomina del ministro.
Il governo intanto assume decisioni sempre più allarmanti per la loro carica di
"espropriazione" e di svuotamento dei compiti legislativi e di
controllo da parte del Parlamento.
Un provvedimento, in nome di un presunto e demagogico decreto "salva
deficit", sta operando strani storni dai bilanci dei ministeri. Ad esempio,
nel bilancio 2002 del ministero delle Infrastrutture, sono "spariti"
430 mila euro (875 milioni di vecchie lire) destinati al personale per la
formazione, la riqualificazione e la copertura di figure professionali che
mancano, e stornati ai fondi discrezionali destinati al gabinetto del ministro
per il pagamento di incarichi e parcelle. Senza piani industriali, senza
programmazione delle attività, compiti, ruoli, priorità. E senza osservatorio
sui collaudi e sugli appalti, che pure era previsto e avrebbe già dovuto
decollare.
La segreteria regionale della Toscana del sindacato O. r. s. a. ha proclamato, per la giornata di venerdì 3 maggio, uno sciopero compartimentale di tre ore dei lavoratori delle Ferrovie. Per quanto riguarda la circolazione dei treni, lo sciopero avrà inizio alle 12 e terminerà alle 15.
Di fronte alla situazione relativa alla società di catering Ligabue, 400 lavoratori, ex dipendenti della società Adr di Roma si trovano senza lavoro e senza retribuzione. Allo scopo di far rispettare gli impegni assunti le segreterie nazionali e regionali del Sulta proclamano una azione di sciopero dalle 12,30 alle 16,30 dell'8 maggio.
La vittima del licenziamento è un sindacalista, Riccardo
Cacchione, iscritto alla Uil, che da tempo si stava battendo all'interno del
più grande call center italiano, l'Atesia di Roma - 5 mila telefonisti, di
proprietà della Telecom - per renderne più umane le condizioni di lavoro. E'
stato chiamato nella stanza dei dirigenti, che gli hanno chiesto di uscire
immediatamente dalla sede. Per non rientrarci mai più. Il 26 aprile lo hanno
convocato e gli hanno consegnato a mano la lettera e chiesto di restituire il
badge di entrata. Il sindacalista ha risposto che, come è previsto dal
contratto, intendeva aspettare la lettera a casa e i 15 giorni di preavviso, e
si è ritirato nella sala sindacale. Qui lo ha raggiunto il metronotte, che lo
ha accompagnato fino all'uscita. I metronotte nei call center diventano una
sorta di «buttafuori» da discoteca, all'Atesia servono pure per intimidire i
lavoratori.
Riccardo era un contrattista coordinato e continuativo. Durata del contratto,
tre mesi: doveva «esaurirsi naturalmente» a fine giugno, è stato
improvvisamente interrotto a fine aprile. Non era lì da pochi mesi: tutti i
telefonisti di Atesia, ben 5 mila come si è detto, sono collaboratori con
contratti di 3 mesi, alcuni anche da 6-7 anni. Lui è in Atesia già da 3 anni.
L'azienda li riassume a suo piacimento ogni tre mesi - se le stanno ancora bene
- e non dà loro neppure un fisso mensille. Lavorano a cottimo, pagati a singola
telefonata «utile», con retribuzioni differenti a seconda delle diverse
campagne che i committenti affidano all'azienda: per una campagna, magari,
prendi un euro a chiamata, mentre per un'altra, il telefonista che ti sta a
fianco prende 10 centesimi. E proprio sulle retribuzioni, ultimamente, è
scoppiato il putiferio.
I «collaboratori» di Atesia avevano già scioperato per due ore il 26 marzo
dopo che l'azienda aveva deciso di non rinnovare - senza ovviamente spiegarne i
motivi - oltre 150 contratti legati alla campagna di Stream. Quando è stata
decisa la retribuzione per la nuova campagna «Alice» di Telecom Italia
(servizio di Adsl veloce) a fermarsi per 5-6 giorni sono stati tutti e 200 gli
addetti alla promozione: Atesia offriva 15 cents a telefonata. Vale a dire, un
netto mensile minimo di 140-150 euro (calcolando che la singola telefonata con
relativa intervista al cliente dura circa 10 minuti, e che i ragazzi lavorano 5
ore al giorno per 20 giorni). Dopo la mobilitazione, guidata tra gli altri
proprio da Riccardo, Atesia ha deciso di portare la retribuzione a 40 cents a
telefonata. Ma poi ha licenziato Riccardo, accusandolo anche di furto (avrebbe
contabilizzato telefonate mai fatte) e di aver insultato un superiore.
La Uil ha promosso un'assemblea pubblica con tutti i delegati Atesia al X
municipio di Roma.
In un migliaio di città tedesche circa mezzo milione di
persone ha partecipato alle manifestazioni indette per il primo maggio dalla
confederazione sindacale Dgb. Due temi hanno dominato i comizi: l'inasprirsi
della stagione contrattuale con lo sciopero che i metalmeccanici stanno
preparando a partire dal 6 maggio e la scesa in campo dell'associazione degli
industriali Bdi nella campagna elettorale - si voterà a settembre - con un
programma di attacco frontale allo stato sociale. Tra i desideri della
confindustria tedesca c'è anche l'indebolimento delle norme che tutelano i
lavoratori tedeschi da lincenziamenti senza giusta causa.
Il governo Kohl aveva ridotto le tutele, facendole valere solo per le aziende
con più di 15 dipendenti, come in Italia. Il governo rosso-verde di Schröder
aveva annullato la controriforma, riportando la soglia di intervento delle
tutele alle aziende con più di 5 dipendenti. Il candidato democristiano alla
cancelleria, Edmund Stoiber, intende ripristinare la modifica peggiorativa
tentata da Kohl, ora nuovamente invocata dalla confindustria.
Per quanto riguarda la mobilitazione per il rinnovo del contratto
metalmeccanico, il 90% degli iscritti al sindacato IG Metall in
Baden-Württemberg ha votato per lo sciopero, l'85% a Berlino e in Brandeburgo.
I consensi hanno largamente superato la soglia del 75%, il cui raggiungimento è
necessario per avviare uno sciopero.
La presidenza dell'IG Metall ha comunicato che lunedì prossimo i primi a
scioperare saranno 50 mila addetti in 21 fabbriche del Baden-Württemberg. Nella
settimana seguente se ne aggiungeranno altri, per un totale di 80 fabbriche. Il
sindacato ha un piano flessibile, con fermate di un giorno, da attuarsi a
rotazione nelle aziende prese di mira. Tra queste, sin da lunedì prossimo, la
Porsche di Rastatt e la Daimler di Sindelfingen.
L'economia degli Stati uniti non decolla. Il Dipartimento al lavoro ha reso noto che il tasso di disoccupazione è salito ad aprile al 6% rispetto al 5,7% (già elevato) registrato nel mese di marzo. Questo conferma l'ipotesi che gli Usa non hanno superato la recessione. I disoccupati balzano ad otto milioni e, in poco meno di un anno, si registra una perdita di un milione di posti di lavoro. Complessivamente più di tre milioni di lavoratori statunitensi sono rimasti a casa a partire da ottobre del duemila. Una prima analisi del trend occupazionale mette in evidenza che la comunità nera, quella ispanica, le donne e i giovani sono quelli che più hanno pagato l'effetto della crisi. Cresce anche il numero dei disoccupati in cerca di una occupazione da più di 27 settimane: cade il mito Usa - tanto alimentato in Italia - della flessibilità in entrata. Ad aprile si è incrementato il numero delle persone (occupate e disoccupate) che cerca una nuova opportunità lavorativa, magari migliorativa: a marzo, questa categoria di lavoratori era pari a 206 mila unità, ad aprile sono passate a 565 mila unità. Rimane fisso il numero dei marginali (1,4 milioni contro 1,3 milioni di marzo).
A Scarmagno, patria del p.c. «made in Italy» e un tempo sede
dell'Op Computers, Fiom-Fim-Uilm hanno sottoscritto un contratto aziendale
destinato a fare discutere. Protagonista della vicenda la Cms, una delle due
costole in cui si divise proprio la Op Computers, azienda specializzata
nell'assemblaggio e nella produzione di personal computer per il Gruppo
Tecnodiffusione ma fornitrice anche di noti marchi quali Olivetti e Acer.
L'accordo in pratica prevede l'accettazione di una flessibilità, controllata e
programmata, concessa in cambio di una riduzione dell'orario di lavoro a parità
di salario.
La giornata di 8 ore in cui il dipendente non si recherà al lavoro verrà
pagata interamente dall'impresa. Questi sette giorni non lavorati, ma pagati,
verranno recuperati il sabato, da settembre in avanti. Ogni sabato di recupero,
però, sarà di sei ore lavorative invece delle otto non prestate in precedenza.
Inoltre è stato previsto un incentivo di 18 euro per ogni giornata di recupero
svolta. Sia le giornate di riposo che i recuperi sono già stati fissati in un
calendario che i sindacati hanno discusso con i lavoratori, i quali l'hanno
approvato a larghissima maggioranza.
E'cominciato lo sciopero dei lavoratori metalmeccanici tedeschi, che chiedono un aumento salariale del 6,5% nel nuovo contratto. Erano sette anni che l'Ig Metall, al quale sono iscritti 2,7 milioni di lavoratori, non proclamava uno sciopero generale. Nella sola regione del Baden-Wuttenberg, hanno incrociato le braccia già oltre 30 mila operai, mentre si prevede che entro la fine della settimana si asterranno dal lavoro oltre 50.000 addetti di circa 20 fabbriche, tra cui Mercedes Benz, Daimler Chrysler, Porsche e Audi; nei prossimi giorni la protesta si estenderà a 50 imprese. Allo sciopero si è arrivati dopo il fallimento delle trattative per il rinnovo del contratto. Gli industriali intendono concedere aumenti salariali solo fino al 3,3% per 13 mesi e un contributo «una tantum» di 190 euro. Una proposta che i lavoratori hanno giudicato inaccettabile, anche se recentemente il sindacato si era detto disposto ad accettare un incremento del 4%.
Organizzata dalla Filcams Cgil, si è tenuta a Firenze la prima assemblea nazionale dei lavoratori Adecco. Erano una cinquantina: un numero piccolo, se confrontato con i 2.300 dipendendenti diretti della multinazionale dell'interinale; ma va considerato che fino a pochi giorni fa il sindacato neppure esisteva. L'assemblea ha discusso la piattaforma da presentare all'Adecco per la vertenza integrativa. Al primo punto, il riconoscimento dei diritti sindacali (le filiali hanno meno di 15 dipendenti e lo Statuto dei lavoro non è applicato). Poi la questione dell'orario e degli straordinari, di fatto obbligatori e virtualmente pagati con un premio di produzione calcolato con parametri ballerini e poco trasparenti. I lavoratori, tutti giovani e in prevalenza donne, chiedono di sganciare gli straordinari dal premio e vogliono che quest'ultimo sia riferito a dati certi e verificabili. La piattaforma avanzerà richieste anche per gli stagisti (che lavorano tre mesi gratis) e per gli assunti con contratto di formazione lavoro.
A partire dall'8 maggio il governo, per effetto di una serie
di «non-decreti», metterà alla prova gli imprenditori virtuosi: saranno loro
a decidere, autonomamente, sulla base di singoli e personali parametri, quanto e
come siano a rischio i propri dipendenti. Questo significa, in pratica, che
saranno gli stessi datori di lavoro a stabilire se sia o meno necessario
aumentare i costi di produzione a beneficio della sicurezza. Tutto è scritto
nel decreto numero 25 del 2002, approvato nel febbraio scorso in attuazione di
una normativa europea. Le leggi «mancate» sono annunciate come corollario
all'articolo «72 terdacies», dove si formalizza anche l'ipotesi che non si
riesca a vararle.
Ma che succede? Completando il decreto 626 del `94, privo di indicazioni specifiche
in materia, la nuova normativa definisce circostanze ed obblighi generali
in merito alle speciali misure di sicurezza che le imprese sono tenute
ad adottare qualora sia accertata, negli ambienti di lavoro, la presenza
di sostanze chimiche considerate pericolose. Ciò avviene se il rischio
per il lavoratore è considerato «più che moderato»: il padrone, in tal
caso, dovrà comprare nuove attrezzature, revisionare e sostituire macchinari,
ristrutturare ambienti, pagare costanti assistenze sanitarie. In
Italia, nel 1997, sono state denunciate più di 31 mila malattie professionali,
delle quali solo il 13% sono state in seguito riconosciute tali
dall'Inail. E tra i casi non risarciti, molti riguardano nuove patologie
per le quali non esistono riferimenti scientifici e normativi. Su questa
già fitta nebulosa il governo poggia un'altra fonte di incertezza: il decreto
25, all'ultimo paragrafo degli «adeguamenti normativi», dice che «Scaduto
inutilmente il termine di cui al precedente periodo, la valutazione del
rischio moderato è comunque effettuata dal datore di lavoro». Qual
è quel «termine scaduto inutilmente»? E' ancora scritto nella nuova norma
qualche riga più in alto della postilla finale: riguarda una serie di ipotetici
decreti interministeriali, che avrebbero dovuto essere il frutto di
un'indagine medico-scientifica , ovvero basarsi sulle proposte congiunte dei
datori di lavoro. Nessuno di questi due eventi si è concluso. Esistono
una serie di dati, su un campione di 3.371 aziende in 13 regioni italiane,
sia al sud che al nord, che classificano le imprese nel complesso come
«appena sufficienti», che si diventa scarso o insufficiente se riferito a
piccole o piccolissime realtà imprenditoriali.
Secondo questi primi risultati, in particolare, la legge 626, entrata in vigore
otto anni fa, è tuttora applicata in modo più «formale che sostanziale».
Quasi tutte le imprese possiedono i documenti in regola, ma nel
quasi 60% delle aziende con più di 200 dipendenti il personale addetto alla
sicurezza manca di compiti specifici e di ruoli di responsabilità, in più
della metà del campione le procedure di sicurezza viaggiano con i passaparola,
e 54 aziende su cento non prevedono alcuna verifica. Troppo spesso
il lavoratore non viene informato dei rischi che corre. Questo accade soprattutto
nei confronti dei neo-assunti (44% del campione) e per chi cambia
mansione pur restando all'interno dell'azienda (40%). E non è un caso che
siano soprattutto lavoratori «in affitto» le più frequenti vittime degli infortuni
sul lavoro: 4.876 incidenti ai danni degli interinali quelli registrati
nel capoluogo lombardo durante l'anno 2000, con un'incidenza doppia
se confrontata con gli infortuni subiti dai lavoratori stabili . Il
governo, inoltre, prima ha sottratto le competenze esclusive ai medici del
lavoro. Poi ha proposto di depenalizzare alcune inadempienze.
Produrre armi è sicuramente uno dei settori più profittevoli per il capitale: il consumo di questa particolare merce infatti può essere "imposto" da un governo, tramite la guerra, intesa nelle varie accezioni spesso ossimoriche di moda oggi. Perciò il mercato improvvisamente si amplia, la produzione aumenta e soprattutto arrivano gli incentivi statali. Le mine sono un made in Italy di cui con riluttanza gli industriali e i governi si sono liberati (ma molte delle mine antiuomo ancora sparse per il mondo sono di marca italiana). Ma se almeno il commercio di mine in Italia sembra essersi interrotto, non altrettanto incoraggiante è lo scenario della produzione dei sistemi d'arma e degli investimenti che il ministero della Difesa sta mettendo in preventivo per i prossimi anni. Se negli anni `98 e `99 il bilancio della Difesa italiana ha avuto una leggera flessione, dall'anno 2000 ad oggi l'incremento è stato del 6,4 e - per il 2002 - del 7%, per portare la spesa complessiva a circa diciannove miliardi di euro. Molte delle spese non sono nemmeno conteggiate perché sono spesso finanziate dal ministero dell'Industria, sotto forma di sovvenzioni ai produttori. Si stima che la sola spesa per armamenti in Italia passerà da circa 2,75 miliardi di Euro a 3,25 miliardi nel 2002, con un incremento del 18%. Sono dati in linea con la tendenza generalizzata nel mondo occidentale. Solo negli Usa il bilancio di previsione presentato dall'amministrazione Bush assegna alla difesa 396 miliardi di dollari.
Il primo maggio è passato e sull'articolo 18 ancora non ci sono convocazioni. Questo forse è un bene, se consideriamo che l'art. 18 rischia di essere solo uno specchietto per allodole, e che una trattativa rimetterà in gioco la "concertazione". Il governo tira dritto per la sua strada, su cui già ha messo a posto nuove deleghe sull'emersione del sommerso (con annullamento dei diritti sindacali per quei lavoratori che vi incombono) e scorpori di articoli che permettano di patteggiare poi, in un tutt'uno, anche l'art. 18. La strategia del governo in questo momento è quella di tirare avanti finché è possibile e "mischiare" in un'unico calderone le deleghe con il Dpef. Solo così l'articolo 18 potrebbe avere la possibilità di "uscire" da una porta secondaria senza che nessuno se ne "accorga".
Per il momento c'è la convocazione per il tavolo sulla delega sul fisco. Una "provocazione imbarazzante", la definisce Guglielmo Epifani - che arriva proprio mentre il Parlamento sta procedendo al voto. «Non era mai successo che un provvedimento che incide così fortemente sulle retribuzioni dei lavoratori e sul livello delle pensioni - sottolinea il numero due della Cgil - non venisse discusso con le organizzaazioni sindacali». La partecipazione della Cgil all'incontro infatti sarebbe condizionata dall'andamento delle votazioni sulla delega fiscale che prenderanno il via oggi in aula a Montecitorio. Il problema è verificare se l'art.3 del provvedimento, quello più contestato che contiene la riduzione da 5 a 3 delle aliquote fiscali dell'Irpef, verrà approvato prima dell'incontro tra governo e sindacati. E' chiaro che il "prender tempo" del governo costringerebbe il sindacato a decidere sul "che fare". Cgil, Cisl e Uil, a parole, dicono di essere pronte a mettere mano alla mobilitazione, ma in realtà non c'è chiarezza su come andare avanti. Anzi, a leggere bene tra le righe riaffiorano le divisioni di prima dello sciopero generale. La Cisl ha voglia di discutere con il governo, e non perde occasione di farlo notare. «Il patto firmato a Milano (quello a cui ha partecipato anche la Cgil, ndr) e quello firmato nel Lazio dimostrano che dove c'è la volontà politica si può trovare una intesa con il sindacato sui grandi temi del lavoro». Intanto, però, l'intesa potrebbe già vacillare già con la stessa Cgil sugli ammortizzatori sociali. La proposta di Cofferati prevede i seguenti punti: estensione dei diritti fondamentali e delle tutele al lavoro atipico, soprattutto quello parasubordinato; ammortizzatori sociali, sostegno al reddito e formazione per ricollocazione dei lavoratori, consolidamento del rapporto di lavoro; gestione del contenzioso.
Prosegue all'Aeroporto di Fiumicino lo sciopero della fame e della sete per tre lavoratori dell'indotto del catering Ligabue. La protesta, animata anche da altri addetti delle ditte di lavaggio Laos e Paoletti, è ormai al quinto giorno consecutivo. Ieri i tre sono stati portati d'urgenza al Pronto soccorso e rianimati con delle flebo. Non appena si sono sentiti meglio hanno firmato la dimissione dall'ospedale e sono tornati al presidio. I tre ex addetti sono incatenati, al terminal partenze nazionali, ad un cartellone pubblicitario mentre altri addetti, a turno, si avvicendano nel presidio accanto ai colleghi. La mobilitazione è legata alla vertenza della "Ligabue" che ha determinato il 1 dicembre scorso la chiusura dello stabilimento del catering ovest e la messa in mobilità di circa 400 addetti. Inclusi i 63 addetti delle ditte che, prima della messa in fallimento, erano impiegate nello stabilimento Ligabue.
In Germania il tasso di disoccupazione è sceso in aprile al 9,7% dal 10% di marzo. Secondo i dati diffusi dall'Ufficio Federale del Lavoro, il numero dei disoccupati su base destagionalizzata e' pero' salito di 6000 unita' (di cui 5000 nella Germania orientale e 1000 in quella occidentale) per un totale di 3,974 milioni: le previsioni degli analisti indicavano un aumento mensile di 600 unità. Il tasso di disoccupazione, in termini destagionalizzati, secondo i dati della Bundesbank è invece rimasto stabile al 9,6%.
La multinazionale Gilbarco ha aperto le procedure di mobilità per 58 dei 238 dipendenti della ex Logitron, fabbrica dell'area fiorentina specializzata nella produzione di componenti meccaniche per distributori di benzina. Al management della multinazionale non sono bastati i buoni risultati certificati dal positivo bilancio 2001, ed ha deciso una «riorganizzazione» dell'azienda a senso unico, tagliando unicamente i costi del personale. La Rsu ha organizzato un'assemblea in fabbrica con sciopero. La Fiom denuncia, come nel caso della ex Siliani di proprietà di General Electric, l'atteggiamento predatorio delle multinazionali, che sempre più spesso stanno provocando devastanti ricadute sull'occupazione e sul tessuto produttivo del territorio.
I dipendenti del consorzio Ipse, aggiudicatario di una licenza Umts e a rischio chiusura, hanno manifestato davanti alla sede del ministero delle attività produttive. Le Rsa unite e i dipendenti hanno inviato una lettera all'assessore al lavoro e al sindaco di Roma perché valutino la possibilità di utilizzare gli 80 operatori del call center Ipse per il nuovo call center (120 posti previsti) del Comune. Il Comune, d'altra parte, è indirettamente coinvolto nella vicenda, in quanto è azionista di Ipse 2000 il consorzio Atlanet (Acea-Fiat-Telefonica), partecipato per un terzo dall'azienda municipalizzata Acea.
In Germania sono proseguiti gli scioperi di metalmeccanici e lavoratori delle tipografie. Nel Baden-Wuerttemberg (sudovest) hanno scioperato altri 20 mila metalmeccanici di 23 stabilimenti, mentre per oggi è prevista la protesta di altri 13 mila operai. Nei prossimi giorni gli scioperi dei metalmeccanici dovrebbero estendersi anche alla regione di Berlino-Brandeburgo (est). Le parti restano distanti, con il sindacato di categoria IG Metall fermo nel chiedere il 6,5% di aumenti salariali, mentre gli industriali offrono solo il 3,3% più un compenso una tantum di 190 Euro. Anche il sindacato dei tipografici chiede aumenti del 6,5%, mentre i datori di lavoro offrono il 2,5% il primo anno e il 2,8% il secondo. Intanto Bruxelles fa gli scongiuri sul fatto che il negoziato salariale in Germania possa contagiare gli altri paesi europei.
Da cinque mesi 400 lavoratori sono privi dello stipendio e del posto di lavoro, a seguito del fallimento della Ligabue, la società di cui erano dipendenti e che gestiva il servizio di catering all'aeroporto di Fiumicino. Responsabili di questo dramma sono la società AdR, che gestisce il principale scalo della capitale, e il governo, che non stanno rispettando gli accordi sottoscritti a suo tempo con i sindacati. Per questa ragione oggi a Fiumicino ci sarà uno sciopero di tre ore - dalle 13.30 alle 16.30 - di tutto il settore del trasporto aereo, accompagnato da due manifestazioni: il corteo organizzato dai sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Sulta) si incrocerà con quello promosso dal consiglio comunale di Fiumicino (il paese è governato da una maggioranza di centro sinistra più Rifondazione). Parteciperà anche una delegazione di lavoratori dell'Atesia, in stato di agitazione per l'illegittimo licenziamento di un loro delegato sindacale. Prosegue, nel frattempo, lo sciopero della fame e della sete di tre lavoratori delle ditte dell'indotto Ligabue. I fatti: nel '97 l'AdR, all'epoca società del gruppo Iri, esternalizza l'attività di catering. I lavoratori accettano di passare alle dipendenze della Ligabue in virtù di un accordo sottoscritto in sede ministeriale a garanzia dell'occupazione e dei diritti maturati per il futuro. Poi, dopo cinque anni, arriva il fallimento (secondo i lavoratori "pilotato") della Ligabue. E i lavoratori vengono scaricati. Il servizio viene gestito da aziende che, per risparmiare, hanno assunto precari nonché aumentato i turni e i carichi di lavoro.
Sciopero per otto ore (dalle 10 alle 18 del 9 maggio) dei lavoratori della società Cargo Fs in servizio a Brindisi, in difesa della "dignità" e della sicurezza sul lavoro. Per i sindacati, il calo di organico comporta «un calo dei livelli di sicurezza, e si rischia di annullare un altro settore chiave nel trasporto multimodale, rappresentato dal trasporto merci su rotaia».
Dopo lo sciopero del 27 aprile, l'Associazione Beni Culturali replica il 12 maggio, in sostegno della vertenza dei precari. «Il ministro Urbani - ricorda Abc - ha detto che la protesta era inutile perché c'era già un disegno di legge per l'assunzione dei precari. Ma il disegno di legge non è stato ancora messo in discussione alle Camere». Il 13 maggio è indetta anche un'assemblea nazionale dei lavoratori.
L'Ecofin, assemblea europea dei ministri economici e finanziari e dei banchieri centrali, ha dato il via libera alla privatizzazione dei servizi postali. La nuova normativa, che apre il mercato delle poste pur preservando il carattere universale del servizio, prevede la liberalizzazione, a partire dal primo gennaio 2003, dei servizi di spedizione e recapito.
IPSE E BLU: LAVORATORI A RISCHIO
Non è ancora chiaro il destino dei 600 dipendenti del consorzio Ipse, aggiudicatario di una delle licenze Umts, mai decollato. Il presidente Pierluigi Celli, dimissionario, ha poi specificato: 200 esuberi. Al ministero hanno assicurato la prossima apertura - entro la fine di maggio? - di un tavolo istituzionale, parallelo a quello di Blu, l'altra società di telecomunicazioni inguaiata proprio per il rallentamento dell'Umts, il telefonino di terza generazione che sembra non arrivare mai. Ma mentre Tim e H3G hanno già avviato le sperimentazioni e dato un'accelerata alle assunzioni, Ipse ha invece deciso di attendere l'Umts con meno dipendenti possibile. Il consorzio, neanche due anni fa, era partito in quarta per avviare il Gprs, il telefonino di transizione tra il Gsm e l'Umts, ma a cinque giorni dal lancio, lo scorso autunno, ha bloccato tutto. Una scelta suicida: pare difficile pensare che la società si possa tenere su semplicemente in attesa per altri 2 anni - per il 2004 l'Umts dovrebbe affermarsi - pur di conservare la licenza Umts. Trra gli azionisti c'è anche il consorzio Atlanet, composto dalla stessa Telefonica, da Fiat e dalla municipalizzata romana Acea. Per questo, i dipendenti di Ipse hanno chiesto al Comune di Roma di valutare la possibilità di impiegare gli 80 telefonisti di Ipse nel nuovo call center dell'ente (disponibilità, 120 posti). Intanto parte l'«allarme Blu»: nell'ordine del giorno della prossima assemblea degli azionisti compare per la prima volta l'«eventuale ricorso alla procedura fallimentare». Salterà dunque l'acquisizione da parte di Tim?
L'intervento del governo sulla rimodulazione delle aliquote serve solo a dare un taglio sostanzioso alle tasse sui redditi più elevati. L'effetto sui medi e bassi redditi, invece, quasi non si fa sentire. Senza contare, poi, che il costo netto per le casse dello Stato sarebbe non meno di 100mila miliardi di lire. Come intende rimpiazzarle il governo tutte le risorse che verranno a mancare con la riforma? Nonostante queste evidenti falle la Camera, ieri, ha dato il via libera all'articolo 3 del disegno di legge delega sulla riforma del fisco. La norma, che rappresenta il punto centrale della riforma, riduce a due le aliquote dell'imposta del reddito, rispettivamente del 23% fino a 100.000 euro e del 33% oltre tale soglia. Nuovo anche il sistema delle deduzioni, che sostituiranno progressivamente le detrazioni e saranno concentrate sui redditi medio-bassi, allo scopo, spiegano al ministero, di «meglio garantire la progressività dell'imposta». Sarà inoltre identificato «un livello di reddito minimo personale escluso da imposizione», che verrà individuato in funzione della soglia di povertà. L'esempio (calcolato in vecchie lire) parte da un reddito lordo annuo di 30 milioni, prodotto da lavoro dipendente. In base alle attuali aliquote l'Irpef ammonterebbe a 5,05 milioni. Con le nuove aliquote scenderebbe a 4,14 milioni con uno sgravio, quindi, di 910 mila lire. Senonché - avverte la tabella - questo risparmio si riduce drasticamente e potrebbe trasformarsi addirittura in un aggravio di imposta, tenendo conto delle agevolazioni fiscali già esistenti per la famiglia e i figli a carico. Le tasse si abbatterebbero così di 516.000 lire per il primo figlio, di 616.000 lire per i figli successivi al primo più 240.000 lire di detrazioni per ogni figlio di età inferiore ai 3 anni. Per il calcolo della nuova aliquota dell'imposta sul reddito si parte da un'ipotesi di fascia di esenzione totale dalle tasse pari a 15 milioni e deduzioni progressive fino a 40 milioni. Un reddito medio da 50 milioni lordi all'anno paga in base alle aliquote attuali 11,55 milioni di Irpef e verrebbe a pagare 11,50 milioni con la nuova Irpef, cioè 50.000 lire in meno. Il vantaggio diventa molto più consistente per i redditi alti. Con 350 milioni all'anno la vecchia Irpef è di 141,6 milioni, mentre la nuova Irpef è di 95,5 con un risparmio di 46,1 milioni. Per un reddito di 500 milioni la vecchia Irpef è di 209,1 milioni; la nuova è di 145,0 con uno sgravio di 64,1.
I "collaboratori coordinati e continuativi" per una legge di tutela in lotta davanti alla Camera. Una delegazione del Nidil, il sindacato, della Cgil, che si occupa dei collaboratori coordinati e continuativi chiederà di essere ricevuta dai gruppi parlamentari di opposizione per esporre le proprie rivendicazioni. Il governo Berlusconi ha proposto, nella legge delega sulla previdenza, l'aumento dei contributi per i lavoratori parasubordinati che versano al fondo Inps di gestione separata. L'aliquota dei collaboratori iscritti al fondo, deve - nelle intenzioni del governo, essere equiparata a quella dei lavoratori autonomi passando dal 14% del compenso lordo al 16.9%. Questo aumento non darà ai lavoratori parasubordinati né migliori prestazioni sociali (malattia, maternità, assegni familiari) né nuove e necessarie prestazioni come l'indennità per i periodi di inoccupazione e l'accesso alla formazione professionale pubblica. «Il governo non può salvarsi l'anima - scrivono i collaboratori coordinati e continuativi in un comunicato - sostenendo che l'aumento brusco dell'aliquota contributiva migliorerà la futura posizione pensionistica di questi lavoratori». I Co. co. co. vogliono l'estensione dei diritti, un lavoro che dia prospettive e certezze, l'approvazione di una legge che regolamenti i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che preveda tariffe retributive certe e che sancisca tutele specifiche per questi rapporti di lavoro. Inoltre, un fondo per il sostegno al reddito nei periodi di inattività dei collaboratori, l'istituzione di un fondo per l'accesso alla formazione professionale pubblica, e tutele certe in caso di maternità e in caso di malattia. Infine chiedono il ricongiungimento dei contributi versati come collaboratori con quelli versati con altri rapporti di lavoro e l'assicurazione contro gli infortuni a totale carico del datore di lavoro come avviene per gli altri lavoratori.
Uno sciopero provinciale di otto ore dei lavoratori dipendenti migranti contro la legge Bossi-Fini sull'immigrazione è stato annunciato ieri dalle segreterie provinciali Cgil Cisl Uil di Vicenza per il prossimo 15 maggio. Secondo un primo dato reso noto dalle organizzazioni sindacali i residenti immigrati nel vicentino sono oltre 43mila. Cgil Cisl e Uil «indicono questa straordinaria forma di lotta - è detto in una nota - affinché le istituzioni e le associazioni imprenditoriali comprendano quanto sia importante e determinante per l'economia vicentina il contributo dei lavoratori immigrati». Per i sindacati, «se, come vogliono i promotori della legge, il permesso di soggiorno venisse trasformato in contratto di soggiorno, il lavoratore migrante diventerebbe totalmente dipendente dal suo datore di lavoro, in quanto rischierebbe di essere cacciato dal nostro paese nel caso perdesse l'impiego e non si rioccupasse nel giro di sei mesi». Le rappresentanze sindacali stanno indicendo assemblee in tutti i luoghi di lavoro per illustrare i motivi della protesta.
I dipendenti di una delle maggiori "piazze virtuali" del Sud Italia hanno deciso di "mettersi all'asta" sul sito della propria società, che non riceve più finanziamenti e da sette mesi non paga gli stipendi. Sono trentaquattro, fra grafici, programmatori, responsabili marketing e vendite e altro ancora, i dipendenti di Bid. it! che hanno lanciato questa provocazione, per «invitare i soci istituzionali a risolvere la situazione e rispettare i diritti dei lavoratori». Attraverso il sito si può «adottare» un dipendente offrendo una somma, che aumenta secondo il meccanismo dell'asta online. Secondo i dipendenti, che dal 30 aprile sono in sciopero continuato, la crisi non nasce da mancanza di lavoro, ma dal fatto che i soci non hanno più investito e l'azienda ha accumulato debiti.
I lavoratori atipici della Cgil si schierano contro la delega
previdenziale del governo Berlusconi. I collaboratori
coordinati e continuativi (più noti come Cococo), che
ormai rappresentano una grossa fetta del mercato del lavoro
e sono in continua crescita (nel 2001 hanno raggiunto i 2 milioni), sarebbero
gravemente penalizzati dall'aumento dell'aliquota contributiva così
come è stato previsto nella riforma fiscale disegnata dal ministro Tremonti.
E' ipotizzabile una fuga in massa dei parasubordinati dal fondo della
gestione separata Inps, per un ripiego verso il lavoro nero o la collaborazione
occasionale. Cosa chiedono i Cococo? Più tutele per gli
atipici, in buona sostanza. Accanto alla precarietà, che è
la caratteristica più vistosa dei contratti di collaborazione, i Cococo soffrono
di una serie di «non coperture» pensionistiche e sociali. Versano al
fondo separato dell'Inps una parte congrua del proprio compenso: il 14% (i
due terzi a carico del datore di lavoro, un terzo a carico loro). E' chiaro,
però, che essendo la parte più debole nella contrattazione e non essendoci
dei tariffari per dei minimi retributivi certi, subiscono di fatto la
decisione univoca del datore sul lordo. Dall'altro lato, sono molto più scoperti
sulle prestazioni sociali che ricevono. Basta una sola cifra per tutte:
il Fondo Inps gestione separata fa una previsione di avanzo patrimoniale
di ben 14 milioni di euro, mentre le uscite per prestazioni si riducono
a 35 mila euro. Uno squilibrio che è destinato ad aumentare se passerà
la delega previdenziale del governo, che prevede l'aumento dei contributi
dal 14% al 16,9% - equiparandoli così a quelli dei lavoratori autonomi
- senza però aumentare le prestazioni ssociali. In più, non viene previsto
di portare l'aliquota per il computo delle future pensioni al livello
di quella degli autonomi: insomma, pagate come loro, ma riceverete una
pensione inferiore. Il progetto Tremonti non prevede
l'indennità di disoccupazione per i Cococo. E attualmente
non c'è neppure un adeguato trattamento per la malattia e la maternità.
E' solo previsto un indennizzo minimo per chi viene ricoverato per
oltre 5 giorni in ospedale, e l'assegno di maternità può arrivare a un massimo
di 3 milioni di lire (previsti solo nel caso che si abbiano tutti i requisiti
richiesti); l'assegno di maternità degli autonomi, invece, può arrivare
anche a 8 milioni. Anche la pensione che verrà maturata è in realtà molto
esigua: dai calcoli del patronato Inca si evince infatti che, qualora i
versamenti coprano tutti gli anni, la pensione sarà pari alla percentuale tra
il 34% e il 40% dell'ultimo reddito lordo. Dato che in media i collaboratori
guadagnano circa 24 milioni di lire annui, i più fortunati non raggiungeranno
il milione di lire.
Nella delega fiscale, infine, è previsto il superamento dell'assimilazione dei
redditi dei Cococo a quelli dei dipendenti sul piano delle detrazioni fiscali:
uno dei pochi vantaggi che riservava questo contratto, insomma, viene
abbattuto.
Nonostante una pioggia fastidiosa e continua, che ha
accompagnato il corteo partito dalla Bertone per giungere
davanti ai cancelli della Pininfarina di Grugliasco, oltre
4 mila lavoratori metalmeccanici hanno partecipato nella mattinata
di ieri alle tre ore di sciopero indette da Fiom-Fim-Uilm in difesa
dell'articolo 18 e contro il licenziamento di Mario Bertolo, delegato della
Fiom, dallo stabilimento di proprietà del presidente dell'Unione Industriali
torinese, Andrea Pininfarina. Delegazioni delle più importanti fabbriche
della zona ovest di Torino e della vicina Val di Susa, quali la Lear,
la Sandretto, la Magneti Marelli, la Bertone, ma anche rappresentanti della
Fiat Mirafiori, della Fiat Avio, di Infostrada Ivrea, delle fabbriche del
polo industriale chivassese, dell'Italdesign di Moncalieri hanno preso parte
alla manifestazione. La protesta, secondo i sindacati, ha interessato circa
20.000 lavoratori.
Annunciato l'avvio di una sottoscrizione, una 'cassa di resistenza', per aiutare
economicamente Mario Bertolo ad arrivare all'autunno, quando si terrà
il processo che contiamo di vincere ottenendo la sua riassunzione.
La Cgil di Palermo denuncia il «licenziamento illegittimo» di dieci persone ad Albacom. La Camera del lavoro parla di «campanello d'allarme» per il futuro degli altri lavoratori. A giugno scadranno, infatti, altri 100 contratti.
Centocinquanta lavoratori della Iscot Ecologia, l'azienda di pulizie che opera all'interno della Sevel in Val di Sangro, sono scesi in sciopero e hanno organizzato un sit-in davanti ai cancelli dello stabilimento. Da oltre 15 giorni non ricevono lo stipendio, sono malpagati, la gestione dell'azienda è inesistente e c'è scarsa sicurezza sul lavoro, dove si applicano 20 turni, lavorando su tre turni da lunedì a domenica. L'azienda ha fatto sapere tramite il responsabile che il ritardo nei pagamenti sarebbe dovuto al fatto che l'azienda committente (la Fiat) non paga da oltre tre mesi.
Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uil-trasporti hanno confermato lo sciopero di 4 ore del trasporto pubblico proclamato per il 17 maggio, con modalità e orari che saranno stabiliti a livello locale, a causa del mancato rinnovo del secondo biennio economico del contratto.
Ha deciso di aderire allo sciopero generale del 16 aprile.
Così è stato licenziato. Mauro, 28 anni, da tempo
costretto a convivere con il lavoro intermittente, padre
di una bambina, salverà il suo posto grazie all'articolo
18. Zona industriale di Limena, cintura urbana di Padova, ore 5.
Scatta la protesta davanti alla Spega, azienda vicentina specializzata nel
catering. Nel Nord Est che produce, uno dei tanti luoghi in cui il sindacato
resta fuori dai cancelli. Dentro di solito si sfornano pasti per le
mense, in particolare ospedaliere e scolastiche. Catene e lucchetti ieri all'alba
hanno bloccato i cancelli di via Zonta e un picchetto con una sessantina
fra tute bianche e maschere degli «invisibili» è servito a non far
passare sotto silenzio il caso di Mauro. La ventina di dipendenti della Spega
scopre così che lui non è rimasto solo, dopo aver ricevuto la lettera di
licenziamento. Era stato il solo a scioperare, mosca bianca nella filiale padovana.
Adesso si è trasformato in un simbolo: l'Associazione Difesa Lavoratori
ha organizzato la protesta di ieri e, soprattutto, conta di farlo riassumere
proprio grazie alla norma dello Statuto che Berlusconi vuole stracciare.
La Spega finirà davanti al pretore del lavoro, perché il licenziamento è già
stato impugnato: «Si tratta di un provvedimento
illegittimo - spiegano gli avvocati Ettore Squillace e
Alessandro Capuzzo - Il periodo di prova, cui si riferisce
l'azienda, era infatti già stato svolto e superato in precedenza quando
Mauro figurava come dipendente di una cooperativa che opera all'interno
della Spega. Chiederemo quindi l'immediato reintegro». Scegliere lo
sciopero, in aziende come questa, non è certo facile. Perché la flessibilità
invocata a gran voce, in realtà, si traduce nel controllo totale
dei lavoratori. Tanto più che si tratta di piccole fabbriche, laboratori,
capannoni in cui il sindacato non c'è e quindi sono padroni e padroncini
senza problemi di sorta. Questo è un caso emblematico anche rispetto
all'articolo 18, che a maggior ragione va esteso a tutti i lavoratori.
Prima o poi bisogna fare una scelta: o mamma o giornalista.
Questo, in sostanza, si sono sentite rispondere dal
direttore quattro redattrici del Messaggero Veneto di
Udine, quotidiano del Gruppo Repubblica-L'Espresso, che chiedevano
un orario part-time per poter accudire i propri bambini. Due di loro,
anzi, il part-time lo avevano già, concesso dalla precedente proprietà e
direzione, e volevano soltanto il rinnovo. Le altre due - una delle quali con
tre bambini piccoli - chiedevano il passaggio dall'orario pieno al tempo parziale.
Sono tante le redattrici italiane - ma anche i redattori - che, pur potendo in
base al nuovo contratto nazionale concordare il part-time con le aziende, si
vedono opporre un secco no e, spesso, vengono messi di fronte a un triste aut
aut: o il giornale o la famiglia. Nel 2001 il giornale
viene acquistato dal Gruppo Repubblica-L'Espresso. Alle richieste
di rinnovo delle due giornaliste se ne aggiungono altre due, che chiedono
di applicare per la prima volta il tempo parziale. Ma la nuova proprietà
e la nuova direzione non vogliono sentire ragioni. «Nel
nuovo contratto, nonostante la resistenza degli editori - spiega Marina Cosi,
presidente della Commissione pari opportunità dell'Fnsi - abbiamo fatto
inserire la possibilità di concordare il part time. Ma in moltissimi casi
viene rifiutato, tanto che spesso si prefigura addirittura il reato di mobbing:
una pressione psicologica tale che obbliga chi non può conciliare il
lavoro al giornale con la vita privata a lasciare il proprio impiego. Per questo,
è stato anche istituito un Osservatorio anti-sopruso, che è già attivo
e ha raccolto molti casi davvero seri». Le giornaliste del Messaggero Veneto,
intanto, non hanno ottenuto quello che chiedevano e tre di loro tuttora
lavorano full time; la quarta ha chiesto un'aspettativa di 6 mesi. Il
Cdr del giornale e la Fnsi si sono rivolti più volte al ministro per le Pari
opportunità, Stefania Prestigiacomo. Ma per il momento tutto tace.
Un'organizzazione sindacale dei dipendenti rivela che la Big Blu è pronta a licenziare il 10% dei lavoratori, che sono 320 mila in tutto il gruppo e 160 mila negli Stati uniti. Il portavoce della più grande azienda nordamericana di computer ha declinato qualsiasi commento su questa notizia che tuttavia è apparsa su due autorevoli quotidiani, il New York Times e l'edizione on line del Wall Street Journal. Entrambe i giornali parlano comunque di un taglio occupazionale, che però non dovrebbe superare il 2,5% degli attuali occupati dell'Ibm. Ma non smentiscono che questa riduzione dei costi è legata alla cattive performance del gruppo. Per il Wall Street Journal si tratta di 8 mila dipendenti in meno, mentre per il New York Times i posti a rischio sarebbero all'incirca 9 mila e non solo negli Stati uniti. Invece, il coordinatore dell'Aliance@Ibm (un gruppo di sostegno dei dipendenti) ha confermato alla Cnn che «il numero di licenziamenti è molto superiore ai dieci mila».
Era da 30 anni che al Comune di Milano non si faceva uno sciopero generale. Alta l'adesione, superiore al 70%. I sindacati contestano la politica di esternalizzazione di alcuni servizi e protestano sia per il mancato rispetto degli accordi integrativi della polizia municipale e del personale dell'acquedotto, che per l'improvvisa decisione di sospendere gli aumenti salariali legati alla valutazione di produttività.
E' stata «quasi totale», secondo il Sulta, l'adesione degli assistenti di volo Alitalia Express allo sciopero nazionale di quattro ore indetto per la giornata di ieri dal sindacato di base del trasporto aereo. Motivo della protesta: un contratto di lavoro che aspetta di essere rinnovato da oltre tre anni.
I lavoratori dell'Italtel hanno approvato l'accordo sulla gestione degli esuberi raggiunto nei giorni scorsi tra Fim, Fiom, Uilm e la direzione aziendale. L'intesa riduce da 340 a 280 il numero degli esuberi nelle aree di Milano e Castelletto, di cui 193 prepensionabili e con adesione volontaria.
«La moderazione salariale non è base né di maggior
occupazione e crescita né di maggior giustizia sociale».
I sindacati metalmeccanici europei respingono l'appello
della Banca centrale europea e si schierano con gli operai tedeschi,
da giorni in sciopero per ottenere aumenti salariali del 6.5%, ben superiore
all'offerta fatta dagli industriali del 3, 3% e di un contributo "una
tantum" di 190 euro. Solo pochi giorni fa il ministro dell'Economia italiano
Giulio Tremonti aveva riferito che l'Ue non ritiene "esportabile" quanto
sta accadendo in Germania. Affermazione smentita dalla dichiarazione congiunta
siglata ieri a Francoforte dalle organizzazioni sindacali di undici
paesi europei (oltre alla Germania: Italia, Francia, Spagna, Belgio, Austria,
Danimarca, Finlandia, Gran Bretagna, Ungheria, Turchia, Portogallo).
La dichiarazione di Francoforte impegna i sindacati a politiche salariali che
portino a tutti i lavoratori la totale copertura dell'inflazione e una parte
degli aumenti di produttività. Dopo il passaggio
all'euro, lo sciopero dell'Ig-Metall è il primo sciopero esteso
in Europa. A causa del peso economico della Germania nella zona euro (35%
del pil) è un avvenimento di dimensione europea. E una vittoria delle tute
blu tedesche rappresenterebbe un segnale positivo anche per gli altri paesi.
Da lunedì scorso, giorno in cui è scattata la protesta nel land meridionale,
hanno scioperato in totale circa 85 mila metalmeccanici in 76 fabbriche.
A partire dal prossimo lunedì lo sciopero si estenderà anche alla regione
di Berlino e Brandeburgo (nordest).
Sono stati diffusi ieri dall'Istat i primi dati provvisori sulla composizione e i cambiamenti dell'occupazione in Italia. 18,77 milioni di persone lavorano in oltre 4,14 milioni di unità locali, divise tra industria, commercio, servizi e istituzioni pubbliche e private. La quota maggiore è ancora appannaggio del settore industriale con il 33% degli addetti, mentre i servizi coprono il 29,5%, le istituzioni il 19,7 e il commercio il 17,8. Rispetto al precendete censimento, quello del 1991, le unità locali sono cresciute del 6,9%, mentre gli addetti solo del 4,4. Salta agli occhi la riduzione della percentuale dell'industria, sia in termini di unità locali (-3,6%) che di addetti (-9,6%). Nel commercio, invece, alla diminuzione delle unità (-3,2%) è corrisposto un lieve aumento degli addetti (+0,9%). Incrementi consistenti, invece, sia nei servizi (+23,9% le unità locali, +24,7% gli addetti) che nelle istituzioni (+9,9%). Dai dati emerge anche una consistente «tendenza al decentramento delle attività produttive verso i centri di piccole dimensioni», che interessa principalmente la cosiddetta «dorsale adriatica», la Basilicata e l'Umbria. Al contrario, nei grandi comuni con più di 100.000 abitanti, si registra una tendenza alla diminuzione degli addetti. A distanza di 10 anni, si può dire che la base complessiva dei lavoratori «produttivi» si è numericamente ridotta, ma è aumentato il prodotto interno lordo; il che significa, come altre ricerche hanno evidenziato, che la massa di ricchezza che va ai salari diminuisce relativamente rispetto a quella che va al profitto o alla rendita. Gli anni `90 sono insomma stati caratterizzati dalla continua erosione del salario (oltre il 5%), ma questo non sembra mai sufficiente alla controparte (le imprese).
A febbraio c'è stata una contrazione dello 0,4%, ossia 32.000 lavoratori, rispetto al mese precedente (-4,1% tendenziale). Al netto della cassa integrazione la situazione occupazionale nelle grandi imprese è ancora peggiore: -4,5%. La retribuzione media lorda per dipendente dell'industria è cresciuta del 3,2% tendenziale, mentre nei servizi è salita del 4,5: Il dato, naturalmente, va preso cum grano salis, perché risente degli aumenti contrattuali di alcune categorie che hanno infine raggiunto un accordo. Nel settore del credito, per esempio, la retribuzione media ha subito un balzo dell'11,9% che difficilmente sarà confermato nelle rilevazioni statistiche dei prossimi mesi.
Presidio permanente di fronte al palazzo della giunta comunale DI CIVITAVECCHIA dei borsisti assunti dal comune nell'ambito dei lavori socialmente utili. Sostengono il diritto al salario garantito e la possibilità di usufruire dei diritti che attualmente vengono negati a tali lavoratori quali malattie contributi ecc ecc.
Sciopero nazionale proclamato da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti per il
mancato rinnovo economico del contratto: i sindacati chiedono 106,39 euro in
busta paga come recupero dell'inflazione per gli anni 2002-2003. Le controparti
sostengono di non avere i soldi e minacciano addirittura la disdetta del
contratto. Domani poi toccherà ai treni con uno sciopero di 24 ore proclamato
dai ferrovieri dell'Orsa e che si concluderà alle 21 di domenica. Obiettivo
dell'agitazione, ottenere il contratto di settore delle attività ferroviarie.
Le adesioni allo sciopero del trasporto pubblico sono state vicine al 100% tra
gli addetti alla circolazione e superiori al 90% tra il personale ausiliario.
Sono annunciate nuove iniziative di lotta qualora la vertenza non si dovesse
sbloccare.
La società aerea britannica EasyJet comprerà la rivale Go-Fly per l'equivalente di 598 milioni di euro, dando così vita alla compagnia aerea a basso costo più grande d'Europa. EasyJet e Go insieme hanno una flotta di 53 velivoli e un raggio d'azione di 83 destinazioni a livello europeo. L'acquisizione sarà in parte finanziata con un'emissione di azioni per 277 milioni di sterline. EasyJet e Ryanair si aspettano una crescita annuale del 25 per cento. In questo periodo le compagnie di bandiera tradizionali, come British Airways e Lufthansa, hanno visto scendere il numero dei clienti sulle rotte europee. Go, nata nel 1998, era un'azienda controllata di British Airways, ma è stata venduta a giugno alla società di venture capital 3i. per l'equivalente 176 milioni di euro.
Senza identità, flessibili per necessità e precari per forza. L'identikit
del nuovo lavoratore, come lo sognano Confindustria e il governo, si riassume
bene in quello che, per tantissimi giovani, rappresenta oggi la prima
possibilità di impiego: l'operatore di call center. La Fiom-Cgil di Ivrea ha
organizzato un seminario cui hanno partecipato le Rsu delle più significative
realtà lavorative del settore: Omnitel Vodafone di Ivrea, Milano e Pisa; Wind
(ex Infostrada) di Ivrea; Telegate-Pagine Gialle di Torino; Ics (ex Op Computers)
ancora di Ivrea.
Sono lavoratori sottoposti a diversi tipi di contratto a seconda dell'azienda di
appartenenza: metalmeccanico, telecomunicazioni ma anche commercio. In Italia ci
sono almeno 2.000 i call center, di dimensioni significative per occupati, che
sono stati censiti. I più significativi sono Ominitel, con circa 10.000
addetti, e Wind con 8.500. Considerata dagli stessi lavoratori, nei primi tempi,
come un'attività transitoria, sono sempre di più i casi di persone occupate in
quest'ambito da un numero considerevole di anni. Ecco allora emergere le
criticità: in primo luogo il reddito basso legato al part-time; poi la
prolungata incertezza della precarietà, assunzioni a tempo determinato o come
collaboratori coordinati continuativi.
"I call center sono aziende di linguaggio in cui il profitto è
rappresentato dalle risposte che direttamente gli operatori danno ai
clienti". Per questo motivo le aziende hanno una vera e propria angoscia di
controllo sui lavoratori di call center. Il clima ricorda quello della
"catena di montaggio": i capi squadra sostituiti da più moderni
"team leader", sempre pronti a intercettare la telefonata che il
lavoratore sta sostenendo e identici agli odiosi antenati nei contenuti e modi
di rapportarsi.
Non mancano le eccezioni, come in quelle fabbriche di Ivrea in cui molti
lavoratori mantengono una forte identità metalmeccanica. Ma nel complesso si
tratta di giovani in balia delle aziende e di una giungla di contratti e
rapporti di lavoro tra i più svariati.
Circa 3 mila assunzioni nel triennio e 16 miliardi di euro di investimenti.
Si è concluso così il negoziato tra Telecom Italia e sindacati sul piano di
sviluppo 2002-2004. Le assunzioni, suddivise nel triennio, comprendono anche i
dipendenti che entreranno nel gruppo dall'eventuale acquisizione di Blu.
Nell'arco della durata del piano è previsto l'avvio di progetti di
riqualificazione delle risorse, supportati da programmi formativi, e il ricorso
alla mobilità per l'accompagnamento alla pensione, secondo i criteri e le
modalità previsti nella legge 223.
Il sindacato, dopo una lunga trattativa e prima della sigla dell'ipotesi
d'accordo e delle assemblee di consultazione dei lavoratori, prevede come metodo
la verifica e un esplicito mandato delle Rsu.
Il sit-in dei dipendenti della Ina - impresa di pulimento - davanti gli
uffici della Sogei, in via Carucci a Roma è stato sospeso dopo che, a seguito
della trattativa tra Sindacati, INA e Sogei, quest'ultima ha ritirato il
provvedimento. La ditta appaltatrice vedendosi ridurre il budget dalla Sogei ha
automaticamente tagliato l'orario di lavoro di 2 ore (lasciando immutate le
mansioni) e quindi lo stipendio ai propri dipendenti. Ancora una volta la causa
è la politica di taglio dei costi adottata dalla Sogei, così come da altre
aziende pubbliche o ex pubbliche, mentre i profitti vengono utilizzati per
aumentare le prebende dei dirigenti. I lavoratori hanno scioperato subito,
imponendo la trattativa e ottenendo la solidarietà dello Slai Cobas Sogei. La
lotta dimostra che ci si può opporre a simili decisioni arbitrarie: ora i
lavoratori sono tornati a orario e salari normali.
A Torino, hanno dichiarato 3 giorni di sciopero i dipendenti della Mazzoni che
si sono visti decurtare lo stipendio del 20% in seguito alla riduzione del
budget previsto dall'istituto bancario San Paolo-Imi per la pulizia dei propri
uffici. Martedì manifesteranno davanti alla sede di Moncalieri.
In Romania è arrivata la stagione delle proteste: ieri il sindacato indipendente "Movimento 15 novembre" ha portato in piazza a Brasov 15mila operai che hanno dato vita alla piu ampia azione di protesta degli ultimi 12 anni. Le loro rivendicazioni sono: più posti di lavoro e più sicuri, aumento dei salari mensili e delle pensioni.
Proliferano le cooperative fasulle che, con la scusa dei valori della
cooperazione, sono autorizzate a trattare i loro «soci» peggio dei padroni.
Salari più bassi e niente diritti sono la loro "ragione sociale".
Ahmed Amardi, marocchino, ha raccontato la sua esperienza alla Filcams Cgil di
Bergamo. Il luogo: gli Ospedali riuniti, la struttura sanitaria pubblica più
grande della città. L'ospedale, un anno fa, ha appaltato alla ditta Ilat il
lavaggio delle lenzuola e della biancheria.
Un camion della Ilat tutti i giorni carica la biancheria sporca e riconsegna
quella pulita. Il trasporto dai reparti al camion e viceversa, l'Ilat l'ha
subappaltato alla Golden New Service che impiega una decina di «soci» per il
pezzetto di sua pertinenza del ciclo del lenzuolo. La cooperativa, a fine
aprile, ha licenziato Ahmed Amardi. Il «socio» ha chiesto spiegazioni e come
risposta - ha riferito al sindacato - ha ottenuto dal signor Gennaro Romano,
factotum della Golden in ospedale, un brusco e minaccioso invito a togliersi
velocemente dai piedi. Il Romano nega d'aver minacciato Amardi, sostiene che il
lavoratore è stato licenziato semplicemente perché "non aveva superato il
periodo di prova". Poi si corregge: quell'Amardi è un «prepotente»,
aveva litigato con una dipendente dell'ospedale, "sa come sono questi
marocchini, lavorano per prendere i soldi". Per saperne di più, "si
rivolga al presidente della cooperativa, io sono solo un socio come gli altri,
il mio compito è di accompagnare le persone al lavoro".
Un socio come gli altri fino a un certo punto: il presidente, infatti, si chiama
Giovanni Romano (dalla voce sembra essere il figlio dell'accompagnatore) e
sull'elenco telefonico l'indirizzo della cooperativa (registrata come Golden
Service Piccola) coincide con quello di casa Romano.
Insomma, una cosa fatta in famiglia. Il presidente conferma: Amardi è stato
«allontanato» perché aveva minacciato verbalmente una lavoratrice,
"tant'è vero che abbiamo fatto una denuncia ai carabinieri". Ammesso
che la denuncia esista, perché è stata presentata dopo il licenziamento e,
soprattutto, dopo che il lavoratore si era rivolto al sindacato?
Giriamo al presidente le contestazioni della Filcams: i "soci" - quasi
tutti immigrati - non conoscono lo statuto e il regolamento della cooperativa,
lavorano anche un mese di seguito senza una giornata di riposo, la retribuzione
a forfait di 800 euro al mese comprende ferie e liquidazione, le assenze per
infortunio non sono retribuite, i "soci" non sono dotati di divisa, di
guanti e di scarpe antinfortuni. Replica il presidente: all'atto dell'assunzione
i soci firmano una lettera dove dichiarano di conoscere le "regole"
della cooperativa. Lo statuto esiste, se la Filcams vuole prenderne visione
"lo chieda al nostro commercialista". I turni di riposo si fanno,
assicura il presidente, senza precisare da quando. Solo la settimana scorsa,
guarda caso, per la prima volta all'ospedale è comparso un foglietto con
l'elenco dei turni. La direzione amministrativa degli Ospedali riuniti di
Bergamo tramite l'ufficio stampa fa sapere: "L'appalto alla Ilat prevedeva
la possibilità di subappalto. Noi abbiamo rapporti solo con la Ilat, la
documentazione che ci ha fornito attesta che la cooperativa Golden New Service
versa i contributi all'Inps".
Subappaltando alle cooperative le imprese possono fare offerte più basse
perché un «socio» costa meno di un lavoratore dipendente. L'impresa si
aggiudica l'appalto, l'ospedale risparmia e la cooperativa di comodo campa nell'intestizio.
Tutti scaricano il loro piccolo o grande guadagno sulle spalle dei
"soci" lavoratori. E' questo l'incentivo perverso che ha fatto
proliferare le cooperative "spurie". Per incepparlo la legge sulla
figura del socio-lavoratore approvata l'anno scorso prevedeva che le cooperative
adeguassero i salari ai contratti nazionali di riferimento. Il termine è già
slittato una volta. La proroga scadrà il 30 giugno e qualcosa ci dice che
slitterà di nuovo.
L'accordo sul rinnovo contrattuale siglato giovedì nel Land del Baden-Wuettenberg tra il sindacato dei metalmeccanici tedesco e gli imprenditori rimane per ora un episodio isolato: non vi e' ancora alcuna intesa per estenderlo a tutta la Germania. E' quanto ha dichiarato il leader di IG Metall, Klaus Zwickel, precisando che gli imprenditori della Sassonia e della Sassonia-Anhalt non sono ancora pronti a sottoscrivere l'accordo siglato nel Baden- Wuettenberg tra l'Ig-Metall e l'associazione degli imprenditori (Gesamtmetall) che prevede un aumento salariale del 4% da giugno prossimo per 22 mesi, piu' un ulteriore aumento del 3,1% dal giugno 2003. L'Ig Metall, ha invitato tutte le regioni tedesche ad accettare l'accordo salariale raggiunto nella regione del Baden-Wuerttemberg.
Dovrebbe tenersi lunedì o martedì l'incontro tra governo e sindacati sulla crisi Fiat. I sindcati contestano le cifre sugli esuberi fornite dall' azienda, mentre il governo, attraverso il vicepremier Fini, sottolinea che "non ci sono motivi per essere catastrofici". I posti a rischio sono superiori ai 10.000 indicati dall'azienda.
E' prevista la partecipazione di oltre 100mila invalidi alla Giornata
nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro. Sarà l'occasione per fare
il punto con il nuovo governo sulle cause del fenomeno - sottolinea l'Anmil in
una nota - ma soprattutto per comprendere quali azioni verranno intraprese per
invertire le drammatiche cifre della guerra del lavoro e per migliorare la
tutela delle vittime".
Gli ultimi dati dell'Inail confermano che, nel lavoro, ogni giorno si attua una
vera strage. L'anno scorso sono stati rilevati 998mila casi di cui 1.366 mortali
(+3, 4% rispetto all'anno precedente). Il dato di gennaio registra una
lievissima inversione di tendenza (-2, 04% rispetto al 2000) ma le prospettive
restano drammatiche. Sulla crescita degli infortuni incide l'aumento della base
dei lavoratori assicurati e dell'occupazione, che nel 2001 ha registrato un
balzo del 2, 1%. Nel 2001 sono stati inoltre indennizzati 37mila infortuni
"in itinere", di cui 173 mortali.
Cresce il popolo del "lavoro in affitto" ma soltanto nel Nord. Lo
rileva una ricerca degli Artigiani di Mestre, che registra un incremento
tendenziale del 5,3% nel 2001 per gli occupati interinali, i quali sfiorano le
cinquecentomila unità complessive. La quota degli interinali sul totale degli
occupati è pari all'1,75%, ma sale leggermente tra le donne con l'1,95% e molto
più tra i giovani, che si attestano al 7,82%. Il lavoro in affitto giovanile
vince nel Nord-Ovest (10,98%) e in alcune regioni del Nord-Est.
Si registrano in Val d'Aosta e Piemonte le maggiori incidenze, rispettivamente
con il 14,43% ed il 13,02% del totale dei giovani occupati. Nel Meridione,
invece, si manifestano i risultati più bassi con l'indice del 4%. E' in
particolare la Sicilia a segnare l'incidenza minore: 1,28%. Riguardo
all'occupazione femminile, sono ancora Val d'Aosta e Piemonte a segnare le
percentuali maggiori, rispettivamente il 6,39 e il 3,11. Seguono Lombardia e
Lazio - entrambe con 2,79% - e l'Abruzzo (2,73%). In coda Sicilia (0,29%),
Umbria (0,41%) e Campania (0,45%).
Per la Fiom Lombardia, l'accordo siglato pochi giorni fa con il Gruppo Alstom
(oltre 5mila lavoratori coinvolti) può essere un punto di riferimento. In base
al nuovo accordo (uno fu firmato il 21 maggio del 2001) i lavoratori hanno più
possibilità di intervenire sui processi (ristrutturazione, riorganizzazione e
decentramento produttivo e di modifica degli assetti organizzativi e
industriali) grazie a un nuovo contesto nelle relazioni sindacali.
Il gruppo Alstom si è impegnato a fornire le "informazioni relative
all'andamento quantitativo e qualitativo dei livelli occupazionali anche con
riferimento all'utilizzo dei contratti a tempo determinato e/o lavoro
temporaneo" nonchè "informazioni relative all'utilizzo degli
impianti, all'articolazione degli orari". Si tratterebbe di una sorta di
mappa dell'occupazione precaria a partire dalla quale è possibile rivendicare
"eventuali passaggi dal lavoro a tempo determinato a un contratto di lavoro
stabile", secondo la Fiom.
Preoccupazioni per i 90 lavoratori della "Acquacolor" di Erba da ieri in stato di agitazione contro il trasferimento degli impianti alla T.R.T., di Verona. L'azienda fa parte del Gruppo Bonazzi e nei giorni scorsi la dirigenza ha reso nota l'intenzione di chiudere lo stabilimento erbese per dar vita ad una fusione con la T.R.T. che ha sede a Verona.
Cgil, Cisl, Uil e Unsa-Salfi proclamano uno sciopero per tutta la giornata lavorativa il 2 giugno prossimo in seguito alla sentenza depositata dalla Corte Costituzionale con la quale vengono "completamente annullate le procedure relative ai corsi di riqualificazione del personale finanziario". L'intento è di costringere il governo a ricercare immediatamente una soluzione politica che faccia salvi i diritti di chi si è già riqualificato e le legittime aspettative di chi ancora deve farlo.
Tir a passo di lumaca sulle strade di Perugia per protestare contro il trattamento fiscale riservato alla categoria. Due i cortei organizzati dalla Fita Cna nel capoluogo umbro. Uno si è mosso da Corciano e l'altro da Ponte San Giovanni, dalla parte opposta della città. Oggi la Fita-Cna discuterà di un fermo generale dell'autotrasporto di cinque giorni in un'assemblea a Bari.
Domani il sindacato dei lavoratori della Marconi deciderà le iniziative di lotta a sostegno dei lavoratori. Chiedono garanzie a difesa del settore difesa e security per la Marconi Mobile dopo l'annunciata quotazione in borsa.
La prima manifestazione in Italia contro la discriminazione sul lavoro degli
omosessuali, a Castelnuovo Don Bosco, piccolo paesino della provincia astigiana,
molto cattolico - vi è nato Don Bosco - dove si sono dati appuntamento ieri
oltre 400 gay, lesbiche e transessuali da Napoli, Bologna, Genova, Milano e da
altre città italiane. Insieme a tanti altri cittadini, per portare la loro
solidarietà a Emanuela Tione, transessuale a cui non è stato rinnovato il
contratto per "problemi di visibilità", e alla sua compagna, Paola
Martinelli, messa a zero ore dalla cooperativa di cui è dipendente. Una
mobilitazione di forte valore simbolico organizzata dal circolo Maurice di
Torino e dalla Cgil. Emanuela è un'infermiera transessuale di 34 anni. Il
contratto non rinnovato in aprile, altri colloqui sostenuti proprio in questi
giorni: le sbattono la porta in faccia, sempre per lo stesso motivo:
"Problemi di visibilità". La sua compagna e convivente, Paola, cuoca
di 25 anni, è stata ripresa al lavoro solo dopo che la Cgil ha minacciato di
fare causa. Sempre in aprile, la sua cooperativa l'aveva messa "a
riposo" senza una spiegazione. Ultima busta paga: soli 4 giorni retribuiti.
Molti cittadini del paesino, coppie con i passeggini, operai, sindacalisti,
alcuni assessori dei paesi vicini, tanti omosessuali hanno offerto la loro
disponibilità a contribuire all'affitto della coppia: "Con il lavoro ci
hanno tolto la dignità, il poter fare al spesa e pagare la casa, vivere come
tutti gli altri un'esistenza normale", dice Emanuela.
Le prospettive del sistema pensionistico sono alquanto cupe, incerte e turbolente. E' quello che è emerso ieri in un convegno organizzato dalla facoltà di Economia all'università La Sapienza di Roma, dove esperti e docenti, sindacalisti e uomini di Confindustria, il presidente dell'Inps Massimo Paci e il rappresentante del governo e sottosegretario al Welfare Alberto Brambilla, hanno tentato una difficile sintesi, attorno alla annosa e controversa vicenda previdenziale. I dati forniti dall'Inps, sull'andamento del sistema previdenziale pubblico, sono in linea con le aspettative di contenimento già innestate dalla riforma Dini, e dai successivi aggiustamenti del governo Prodi (e con la famigerata "gobba" che potrebbe spostarsi di molti anni se ci fosse una vera emersione del sommerso e la regolarizzazione del lavoro nero degli immigrati); il governo continua a premere sull'acceleratore della riforma che cercherà di far passare con una delle sue leggi delega, fuori e senza il consenso del Parlamento e con molti mugugni nella stessa maggioranza: sia nel Centro ex democristiano sia nella Destra cosiddetta sociale. E' in questione il destino del Tfr e dei fondi pensione, il passaggio da un sistema pubblico obbligatorio a uno privato volontario. E ancora, la diatriba sulla "privatizzazione" dell'Inps, sul grado di complementarietà delle assicurazioni individuali rispetto alla misura della permanenza in vita di un sistema a copertura statale; il problema dei contributi "sottratti" al sommerso, quelli degli immigrati, dei dipendenti atipici, degli indipendenti "cococo". E per finire, la questione dell'età in cui, per donne e uomini, matura il diritto o si esercita la volontà del "ritiro". Secondo il presidente dell'Inps la soluzione è stabilizzare entrambi i sistemi con un pilastro centrale finanziato dallo Stato e, accanto, lo sviluppo della previdenza complementare. "C'è bisogno di questo dualismo - ha detto - per cautelarci contro "i rischi del mercato" e "i rischi dello Stato", ma non si può sempre scaricare ogni problema sul sistema previdenziale pubblico perché al momento è in stato di buona salute, grazie anche alla legge Dini che sta dando i suoi frutti". Paci, infine, ha respinto al mittente, cioè al capo del governo e ai ministri del Welfare e dell'Economia, una riforma che in sostanza vorrebbe privatizzare le pensioni e l'Inps, e ha sostenuto che "da un lato, i sistemi privati non hanno in sé le capacità per affrontare crisi di sistema: politiche, belliche o catastrofiche; dall'altro, il sistema pubblico è soggetto ai rischi di interventi "politici" da parte dei governi che si susseguono, impostando cambiamenti a volte imprevisti e improvvidi".
Ieri l'ultimo infortunio sul lavoro si è verificato a Fiumicino. L'autista di un catering Servair durante le operazioni di carico è caduto ed è stato ricoverato al Grassi di Ostia. L'ultimo infortunio è l'ennesimo frutto della pratica delle privatizzazioni che, fino ad ora, hanno portato a centinaia di licenziamenti di cui i 391 della Ligabue rappresentano la punta maggiormente visibile di un processo di demolizione delle norme più elementari della sicurezza.
Venti operai della ex Casaralta di Bologna morti di tumore negli anni
sessanta-settanta, dopo essere stati esposti all'amianto e senza che l'azienda
per cui lavoravano si sia preoccupata di adottare le misure di sicurezza a quel
tempo previste per tutelare adeguatamente la loro salute. Una storia di
ordinario sfruttamento che, nel duemila, torna di attualità. Le responsabilità
di quanto accaduto saranno infatti finalmente chiarite da un processo. Sul banco
degli imputati ci sono finiti due dirigenti dell'ex stabilimento di costruzioni
ferroviarie: si tratta di Carlo Farina e Giorgio Regazzoni, rinviati a giudizio
con l'accusa di omicidio colposo plurimo.
C'è chi teme che alla fine trionfi l'ingiustizia. "C'è il rischio di
prescrizione, non solo per questo processo ma anche per tanti altri",
avverte Vito Totire, presidente della Associazione esposti amianto (Aea). Il
processo nasce sotto cattivi auspici anche per un'altra ragione: "Avevamo
chiesto di costituirci parte civile - spiega Totire - ma la nostra istanza è
stata respinta con una motivazione incredibile. Hanno detto che la nostra
associazione è stata fondata nel 1989 mentre i fatti imputati sono avvenuti in
precedenza. Strano, visto che analoga nostra richiesta è stata invece accolta a
Bari, al processo per la Fibronit, fabbrica chiusa nel 1985".
All'esito di questa vicenda giudiziaria guardano in tanti. Secondo la
ricostruzione fatta dai lavoratori più anziani della ex Casaralta, pare che gli
operai vittime di mesotelioma siano venticinque. In più, poichè le stime
epidemiologiche valutano che a ogni caso di mesiotelioma corrispondono da uno a
tre casi di tumore polmonare, potrebbero essere almeno 50 gli operai colpiti da
tumori all'apparato respiratorio, stando a una proiezione fatta dall'Aea nel
marzo scorso.
Nell'industria di costruzioni ferroviarie, l'amianto veniva utilizzato per la
coibentazione delle carrozze (protezione dal caldo e dal freddo) e lavorato in
due modi: o "a spruzzo", tecnica molto pericolosa, oppure installato
mediante pannelli. La quantità complessiva di amianto presente su ciascuna
carrozza era stimata da 800 a mille chilogrammi.
Sono le Regioni del Sud a detenere il primato negativo del rischio legato alla presenza dell'economia sommersa. E la Campania è la regione in cui questo pericolo è maggiore con un valore che arriva, fatto 100 il dato nazionale, a 187,9, seguita dalla Calabria (172,5) e dalla Sicilia (168,5). La disoccupazione vede la Calabria con un valore pari a 246, mentre Trentino Alto Adige e Veneto registrano rispettivamente 30 e 39. Secondo Bortolussi "nel Mezzogiorno prevale un sommerso di convenienza che riguarda quei lavoratori o imprenditori che non hanno nessuna intenzione di emergere perché trovano più conveniente, da un punto di vista economico, rimanere in questa situazione. E' per questo - conclude Bortolussi - che anche noi nutriamo molte perplessità sulla capacità delle misure sulla riemersione del lavoro nero, messe in atto dal Governo Berlusconi.
Cinquecento lavoratori delle aziende aquilane della Flextronics e della Lares Tecno hanno bloccato ieri mattina il casello dell'Aquila Ovest dell'autostrada per Roma, per protesta contro il mancato avvio di interventi per scongiurare la crisi del polo elettronico, che rischia di espellere dalla produzione centinaia di lavoratori. In assenza di risposte concrete, è annunciata anche l'occupazione dei seggi elettorali (all'Aquila si vota per l'elezione del sindaco il 26 maggio) e il traforo del Gran Sasso della stessa autostrada.
Sciopero degli assistenti di volo di Alitalia Express il prossimo 29 maggio.
La protesta, di 24 ore, è stata indetta dal Sulta ed interesserà tutti i voli
in partenza dall'intero territorio nazionale. Tra i motivi alla base della nuova
protesta che riguarda il settore aereo, il rinnovo del contratto scaduto da
oltre due anni, la costruzione di un meccanismo di circolarità del personale
verso Alitalia Team.
Avevano reso noto un black out nelle comunicazioni tra torre di controllo e aerei avvenuto a Fiumicino la notte del 17 aprile scorso. Per questa ragione due tecnici e un delegato sindacale del Sulta sono stati licenziati in tronco dalla Vitrociset, l'azienda che gestisce il servizio in appalto Enav. Licenziamenti che, accusa il Sulta, "colpiscono chi da sempre si batte contro l'appalto e attualmente contro la prevista ulteriore ristrutturazione, con significative riduzioni di personale e abbassamento degli standard di sicurezza".
Si è spostata all'esterno del X Municipio la protesta dei lavoratori socialmente utili che mercoledì avevano occupato la sala di presidenza per chiedere una copertura contrattuale. Sostenuti dai precari dei Call center locali, dal Cinecittà Social Forum e dai Disobbedienti, hanno incontrato parlamentari e sindacati, e ora attendono il risultato dell'incontro tra gli assessori Milano, Nieri, Esposito e D'Alessandro. Due mesi fa, il consiglio presieduto da Sandro Medici aveva votato all'unanimità un ordine del giorno, proposto dal verde Giuseppe Mariani e dall'assessore ai servizi sociali Fabio Galati, in cui dichiarava la propria disponibilità a cercare una strada: "Questi lavoratori socialmente utili costituiscono un modello di fuoriuscita dall'esclusione sociale". Anche durante quella seduta i più atipici degli atipici si erano fatti sentire: "vogliamo contratti e non sussidi". La soluzione proposta è di creare un'azienda di utilità sociale, a gestione pubblica (come l'Ama o l'Acea), che regolarizzi la fornitura dei servizi a cui gli Lsu provvedono da oltre 3 anni in cambio di un sussidio bassissimo: all'inizio 200.000 lire, a cui si è poi aggiunto un piccolo compenso, in cambio dei saperi che i lavoratori hanno messo a disposizione. Oggi, dunque, si tratterebbe di passare dall'assistenza al contratto.
L'Italia è un paese più ricco, ma più complesso, sostiene l'Istat nel
Rapporto annuale. Che significa? Le complessità tendono a determinare
"nuove differenze" di classe imbalsamando il paese e emarginando
economicamente e culturalmente una larga fetta della popolazione. Le cifre dell'Istat,
però, dicono molte altre cose. Ad esempio che la dimensione aziendale delle
imprese non ha soluzioni di continuità. Ovvero, non ci sono scalini che possano
dimostrare che le imprese non superano la fatidica soglia dei 15 dipendenti per
paura dell'articolo 18. Anzi.
Altro mito che viene sfatato: quello della flessibilità. Forse l'Italia è
arrivata buon ultima nella giungla del capitalismo senza regole, però ha
recuperato in fretta: il 27,5% dei dipendenti lavora con orari flessibili e sono
ancora più di 2 milioni quelli che lavorano oltre 40 ore alla settimana.
L'impennata della flessibilità è stata accompagnata da una esplosione dei
lavori atipici dei quali l'Istat "propone uno schema di classificazione in
31 differenti tipi di rapporti di lavoro" e evidenzia come l'atipicità nel
30% dei casi significa rapporti di lavoro che si interrompono entro un mese.
Insomma, lavoro "usa e getta".
Ma al capitale tutto questo non basta visto che l'Italia rimane la patria del
lavoro nero: con una punta di sommerso che in Calabria sfiora il 28%, mentre la
media nazionale tra il `95 e il '99 è salita dal 14,5% al 15,1%.
Secondo l'Istat la struttura produttiva italiana, pur con molti settori
d'eccellenza, difetta da un punto di vista tecnologico, di innovazione. E gli
investimenti - nel 2001 - "in attesa di nuove agevolazioni", ossia di
intervento statale, sono crollati.
Il paese è più ricco, come afferma l'Istat, ma l'equità nella distribuzione
dei redditi, dimostra la stessa Istat, non è migliorata. Il risultato è una
progressiva emarginazione di fasce di popolazioni; di aumento della distanza tra
Nord e Sud; di consumi sempre più opulenti per una piccola fetta e di un
sopravvivere per un altra con il permanere di 670 mila nuclei familiari senza
alcun reddito. E ancora: è un po' aumentato il peso delle donne nel mercato del
lavoro, ma il tasso di attività è nettamente superiore (a parità di fasce di
età) per quelle, anche coniugate, ma senza figli. Perché rimane elevato il
peso dell'assenza di strutture sociali in grado di sostenere adeguatamente i
nuclei familiari e consentire alle donne di avere accesso sul mercato del
lavoro. Un'ultima notazione riguarda la spesa sanitaria pubblica: è addirittura
vergognoso che la salute sia negata (o fortemente ritardata) per chi ne ha più
bisogno: anziani e cittadini di scarsa cultura.
Dalla lettura del secondo capitolo del rapporto annuale 2001 dell'Istat
(scaricabile sul sito www.istat.it) emerge con chiarezza un fatto: a ignorare la
realtà delle imprese italiane sono soprattutto governo e Confindustria.
Continuano a prendersela con l'art.18 dello Statuto dei lavoratori, il grande
ostacolo - dicono - alla crescita e alla competitività delle imprese. Il
rapporto può servire a misurare la strumentalità di quest'attacco. Sulla
soglia dei 14 dipendenti non c'è nessun accumulo di imprese timorose di
crescere assumendo il quindicesimo. L'Istat documenta che le imprese con
migliori risultati economici, produttività e profitti, sono proprio quelle che
pagano meglio i propri lavoratori. Sono queste quelle che esportano, che
riescono a stare sui mercati esteri. Si è continuato in questi anni a chiedere
le gabbie salariali per il sud? Ebbene, lì il costo del lavoro è già ora più
basso del 16,5% rispetto alle imprese del nord-ovest, ma ciò non sembra aver
favorito la produttività delle imprese meridionali (inferiore di oltre il 30%
rispetto al nord ovest).
Le imprese italiane - escludendo sommerso, agricoltura e pesca - sono più di 4
milioni: un'impresa ogni 14 abitanti. Vi lavorano 15 milioni di addetti, con
ovvia prevalenza assoluta delle piccolissime unità produttive. Sono 3,2 milioni
le imprese con uno o due addetti (titolare e al massimo un dipendente). Metà
degli occupati nel settore privato lavora in imprese con meno di 10 addetti. Le
meno di 10mila imprese con almeno 100 addetti esprimono solo un quarto dei
dipendenti.
Negli anni scorsi l'Istat aveva già segnalato che nel settore dei servizi le
imprese italiane sono mediamente più piccole di quelle degli altri paesi Ue
(compresi Grecia e Portogallo); lo stesso avviene nell'industria, con qualche
eccezione.
L'Istat sottolinea che in tutte le classi dimensionali, le imprese meglio
organizzate sono anche quelle che pagano di più i propri dipendenti, che
presentano una migliore produttività, più elevati margini di profitto e una
più spiccata tendenza ad aumentare l'occupazione. Le imprese con una più
elevata produttività sono peraltro anche quelle che maggiormente ricorrono a
collaborazioni esterne e al lavoro flessibile. Oltre un terzo delle imprese con
almeno 50 addetti e un quarto di quelle fra 20 e 49 addetti ricorrono ai
lavoratori coordinati e continuativi, mentre l'intensità del ricorso a questa
forma di lavoro precario perde rapidamente consistenza presso le imprese più
piccole. Il fenomeno è praticamente concentrato presso le imprese industriali
sopra i 10 addetti.
Il colosso tedesco dell'elettronica Siemens ha annunciato il taglio di 7mila posti di lavoro. La decisione rientra nell'ambito di un piano di ristrutturazione che ha l'obiettivo di rafforzare la competitività della società. La società ha deciso di dismettere dalla divisione "Industrial Solutions and Services Group" (I&S) le attività che non rientrano nel core business e nelle quali sono occupate 5mila persone (3.700 in Germania e 1.300 negli altri Paesi). E' prevista un ulteriore riduzione del personale di 2mila lavoratori, due terzi dei quali in Germania. Siemens prevede così di risparmiare 500 milioni di euro. La riorganizzazione porterà da 30mila a 27mila i dipendenti di I&S che conta così di avere un giro di affari, dopo la ristrutturazione, pari a 4 miliardi di euro. Siemens lo scorso anno aveva già tagliato 20mila posti di lavoro per far fronte alle perdite della divisione di telefonia mobile e delle reti Tlc. In totale il colosso tedesco occupa 443mila persone.
Sono iniziati ieri nella Corea del Sud gli scioperi dichiarati in coincidenza con l'avvio dei mondiali di calcio, nell'esplicito intento di usarela vetrina internazionale per costringere il governo a una trattativa altrimenti quasi da escludere. Il conflitto, infatti, è stato paradossalmente aperto dallo stesso governo, che aveva preventivamente vietato qualsiasi sciopero nel periodo dei mondiali per garantirsi una pace sociale «visibile» in tutto il pianeta. I primi a muoversi, ieri mattina, sono stati i metalmeccanici e i chimici. Sulla durata dell'agitazione non c'è nessuna certezza: "Questo è uno sciopero a tempo indeterminato" ha detto Han Sun-Joo, leader della Kctu. Il presidente Kim Dae Jung ha minacciato il ricorso a mezzi di repressione durissimi, ma questo non è stato sufficiente a fermare una protesta che ha l'occasione storica per imporre per la prima volta una trattativa vera sulle 40 ore settimanali e latri diritti elementari del lavoro.
I dipendenti di Blu scrivono al ministro delle telecomunicazioni Gasparri. E'
urgente fare chiarezza sul futuro del quarto operatore di telefonia cellulare
del paese, perché giorno dopo giorno i dipendenti sono costretti a fare le
valigie e a lasciare l'azienda. E' il caso dei contratti di formazione lavoro,
assunti per due anni (con sgravi e agevolazioni fiscali a favore dell'azienda)
in attesa di essere riconfermati. Già oltre 200 di loro, telefonisti nei call
center di Calenzano (Firenze) e Palermo, dal gennaio scorso hanno perso il posto
di lavoro. L'altroieri la notizia che per 91 in scadenza entro giugno l'azienda
ha concordato una sorta di "salvataggio" attraverso l'assunzione da
parte di un'agenzia di lavoro interinale, che a sua volta li riaffitta a Blu. Ma
questo fino a fine luglio, e se una soluzione a quel punto non si sarà trovata,
i ragazzi saranno di nuovo a rischio di licenziamento. Senza contare che a
settembre scadono altri 70 contratti. Nel giro dei prossimi 3-4 mesi, insomma,
si potrebbe già salire a oltre 400 operatori "dismessi". L'ipotesi
per il momento più concreta - anche se nel dettaglio dei tempi e dei modi in
realtà ancora molto vaga - è quella descritta nel piano di cessione consegnato
lo scorso 9 maggio dall'amministratore delegato di Blu, Enrico Casini, al
ministro Gasparri. Si parla di un modello "a resto zero", ovvero della
cessione di tutti i rami dell'azienda con i relativi dipendenti attraverso un
break up - più semplicemente, uno "spezzatino" - a Tim, Omnitel
Vodafone, Wind e H3G. Il passaggio intermedio dovrebbe essere quello di una
vendita in blocco al gruppo Telecom, che congiuntamente si impegnerebbe a
eseguire subito dopo la divisione.
I dipendenti hanno scritto a Gasparri proprio per sollecitare tutto l'iter delle
autorizzazioni, che per il momento sembra essersi arenato. I telefonisti e
impiegati di Blu chiedono di "aprire un tavolo istituzionale presso il
ministero, che veda presenti azionisti, acquirenti, azienda, sindacato e
dipendenti, per verificare, con la dovuta trasparenza, le garanzie presenti nel
piano proposto dall'azienda per il mantenimento dei livelli occupazionali e
professionali e per il reintegro dei contratti Cfl non confermati dall'inizio
della crisi di Blu". E che il governo intervenga per "interrompere il
processo di non conferma dei Cfl in scadenza, finanziando l'azienda per il tempo
necessario a individuare una soluzione che scongiuri il rischio di liquidazione
o, peggio, di fallimento".
Le Rsa Falbi-Confsal e Unionquadri hanno proclamato lo stato di agitazione del personale del centro tecnico per la rete unitaria della pubblica amministrazione. "I sindacati rilevano che il provvedimento approvato in prima lettura dal consiglio dei ministri del 9 maggio u.s. relativo alla soppressione del Centro Tecnico per la Rete Unitaria e dell'Autorità per l'informatica nella Pubblica Amministrazione (Aipa) e che istituisce in loro vece una Agenzia, non tutela pienamente i lavoratori e mette seriamente in discussione i diritti del personale del Centro Tecnico acquisiti attraverso il riconoscimento, con selezione pubblica, delle particolari professionalità necessarie, sin dall'inizio, al funzionamento del Centro stesso. Inoltre tale operazione non appare giustificata né da un risparmio della spesa pubblica, né da una razionalizzazione dei compiti degli enti soppressi, che anzi avevano prodotto un drastico risparmio di spesa rendendo trasparenti molti degli appalti pubblici". I sindacati chiedono pertanto al Governo di riconsiderare l'attuale impianto e di essere convocate urgentemente per discutere ogni aspetto relativo al personale.
"Se questa nostra viene interpretata come comportamento antisindacale non ci interessa un fico secco e saremo fieri di accettarne tutte le conseguenze" aveva scritto Filippo Guerra alla Fiom, e per conoscenza anche alla Uilm e a Berlusconi, Maroni e Bossi, spiegando che non avrebbe più accettato i rappresentanti del sindacato in azienda né raccolto le quote sindacali. Nei prossimi giorni gli sarà notificato il decreto del giudice che intima di pagare al sindacato 7000 euro e di riprendere l'applicazione dello statuto dei lavoratori e del contratto nazionale. Generalmente le spese per una causa di violazione dell'articolo 28 (comportamento antisindacale) non superano mai i 1000/1500 euro, ma nel caso del signor Guerra la "specificità dolosa" del suo comportamento ha indotto il giudice Marco Dellacasa ad aumentare il carico, come si legge nella sentenza depositata mercoledì scorso presso il tribunale del lavoro di Bologna. I fatti risalgono al 4 marzo, quando due sindacaliste della Fiom si erano presentate nell'azienda metalmeccanica della provincia bolognese, che conta circa 150 dipendenti, per partecipare ad una assemblea dei lavoratori, dopo averlo comunicato all'azienda con un fax. Filippo Guerra aveva chiuso la porta in faccia alle due funzionarie precipitandosi al computer per comunicare la decisione di vietare l'assemblea e spiegando che semmai "tale richiesta" sarebbe dovuta essere presentata dai rappresentanti eletti dai lavoratori. Peccato però che nella Siti eleggere una Rsu non è mai stato possibile, e non è difficile immaginare il perché. Minacce, richiami scritti a chi ha in tasca la tessera del sindacato, alla Siti di Monteveglio sono normale amministrazione. La lettera si chiudeva con doppia firma ed un post scriptum "Per tornare in Siti d'ora in poi dovrete presentarvi con l'ordinanza di un magistrato e se del caso accompagnati dalla forza pubblica". Il sindacato decise di denunciare la Siti per comportamento antisindacale. La sentenza è stata depositata due giorni fa ed entro la prossima settimana sarà notificata all'azienda. Secondo l'avvocato della Fiom Franco Focareta, "gli episodi di violazione dello Statuto o di comportamento anti-sindacale stanno diventando sempre più comuni anche in una regione altamente sindacalizzata come l'Emilia Romagna... atteggiamenti che fino a sei mesi fa sarebbero stati inconcepibili si diffondono a macchia d'olio".
Oggi il "Nuovo Quotidiano di Puglia" non sarà in edicola per uno sciopero dei giornalisti proclamato dopo la decisione dell'azienda e della direzione di non pubblicare un documento sindacale approvato all'unanimità dall'assemblea di redazione svoltasi ieri mattina nella sede di Brindisi.
10 minuti è durato l'atteso e vagheggiato dialogo sulla nuova «Ley de
trabajo» (Legge sul lavoro) che ha riunito il ministro del lavoro Juan Carlos
Aparicio e i segretari di Ugt e Ccoo, Cándido Méndez e José María Fidalgo.
La conversazione si è arenata sul primo e perentorio "ma" di Aparicio,
per il quale, coerentemente con la recente e feconda tradizione neo-thatcheriana
europea, il concetto di "trattativa" equivale a quello di "resa
incondizionata" da parte del sindacato. La data fissata per lo sciopero
generale, il 20 giugno, è un sottile e crudele sgarbo al premier: coincide
infatti con la vigilia del vertice di Siviglia che Aznar aveva concepito come
una passerella trionfale per chiudere il semestre di presidenza spagnola. La
decisione era comunque nell'aria da tempo: il precedente italiano costituiva
insieme uno stimolo e un auspicio. Rimanevano però alcuni problemi in sospeso,
tra i quali il ricompattamento del fronte sindacale, spezzatosi circa un anno fa
per ragioni di leadership, e l'incertezza circa la risposta popolare.
Il primo problema è stato risolto, almeno per il momento, a tarallucci e vino,
mentre per il secondo si aspetta che sia la piazza stessa a dare una risposta.
Lo slogan della manifestazione sarà "Lavoro e protezione sociale sono tuoi
diritti: non farteli togliere". I contenuti, in compenso, sono chiarissimi:
si tratta di far ritirare al governo un progetto di legge che prevede, tra le
altre cose, la sospensione dallo stipendio per i lavoratori licenziati e in
attesa di sentenza del Tribunale del lavoro, la drastica liofilizzazione dei
sussidi di disoccupazione, nonché l'obbligo, per chi volesse continuare a
usufruirne, di accettare impieghi scomodi (fino a 50 chilometri da casa), mal
pagati e poco congrui con profilo professionale del candidato.
Doppia agitazione il 24 maggio nel trasporto aereo italiano. A Roma si bloccano, dalle 10 alle 18, tutti i lavoratori degli Aeroporti di Roma a sostegno della vertenza dei dipendenti della ex Ligabue, il catering che ha chiuso i battenti a Natale segnando il primo fallimento delle privatizzazioni nel settore. Per sollecitare l'intervento dell'AdR (che secondo gli accordi doveva risprendersi i lavoratori nel caso l'esito dell'operazione fosse stato quello che si è poi verificato) si sono mossi tutti i sindacati del settore, mentre un gruppo di dipendenti prosegue lo sciopero della fame davanti all'«ingresso vip». Dalle 10 alle 14, inoltre, si fermano i controllori di volo dell'Enac aderenti alla Cgil. La società prevede che saranno cancellati, nella fascia oraria dello sciopero, almeno 88 voli. Informazioni sui voli saranno disponibili su Televideo e il sito degli Aeroporti di Roma.
Le elaborazioni dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel
Mezzogiorno) sui dati Istat aiutano a capire come le cifre, apparentemente
asettiche, vadano maneggiate con cura. Partiamo dal prodotto interno lordo (Pil)
del 2001. Un anno di rallentamento per tutto il paese (+1,8%, invece che il 2,9
del 200), ma meno drastico al sud (+2,2%, quasi come nel 2000) che nel nord
(1,7%, di contro al 3% dell'anno precedente). Se ne potrebbe dedurre che il
meridione stia assumendo una struttura produttiva più solida che in passato;
mentre, invece, si tratta solo di una minore esposizione all'andamento della
congiuntura internazionale. Insomma: il sud produce prevalentemente per il
mercato locale e interno, e il suo relativo isolamento dai mercati
internazionali lo ha in questo caso protetto dal rallentamento generale.
Discorso ancora più chiaro per il calcolo del Pil pro capite, uno degli
indicatori che usato per descrivere l'andamento della ricchezza su un
territorio. A partire dal `96, infatti, si assiste a una costante riduzione del
divario tra sud e nord: nel 2001 questa tendenza è stata confermata, cosicché
il Pil per ogni meridonale è arrivato al 57,3% di quello di un settentrionale.
Il miglioramento, in un solo anno, è stato dello 0,6%. Lo stesso Svimez avverte
che a migliorare il rapporto ha contribuito, in maniera
"significativa", la ripresa dei flussi migratori verso il nord
(290.000 persone, nel periodo indicato). In termini di popolazione residente,
scontando anche l'immigrazione da altri paesi, in questi 6 anni il sud ha perso
117.000 unità, mentre il centro-nord ne ha guadagnate 563.000. Un Pil
complessivo leggermente migliore, insomma, può diventare "miracoloso"
se diviso per un numero sensibilmente minore di abitanti. Mentre laddove la
popolazione cresce (il nord, in questo caso) lo stesso miglioramento si traduce
in un peggioramento relativo.
Il meridione fa registrare un aumento dell'occupazione dipendente (+2,7%, dopo
un +1,6 nel 2000) che potrebbe suonare incomprensibile alla luce del
rallentamento economico. Ma vanno tenuti presenti due fattori: il primo è il
cosiddetto "lag temporale" (l'occupazione cresce o diminuisce su tempi
leggermente in ritardo rispetto a quelli del ciclo economico), il secondo è
costituito dalla massa di interventi legislativi volti a comprimere il costo del
lavoro al sud, che hanno reso più conveniente assumere persone anziché
automatizzare certe fasi produttive. Il riscontro è immediato: gli investimenti
fissi lordi, nel 2001, sono cresciuti solo del 3,3% (l'anno precedente c'era
stato un +6,8%). In particolare, la spesa per macchine e attrezzature è
cresciuta di un 2,7% davvero misero se confrontato con il +10,5 dell'anno
precedente.
Sciopero generale dei metalmeccanici ieri a Rieti. La provincia laziale è al centro di un processo di deindustrializzazione che mette a repentaglio altri 600-650 posti di lavoro dopo che in pochi anni l'occupazione nel settore metalmeccanico è già diminuita del 46%. Altissima la partecipaizone allo sciopero indetto da Fim, Fiom e Uilm con percentuali superiori al 90% alla Eems, alla Lombardini, alla Vanossi, alla Torda e alla Omicron.
La crisi Fiat avrà ripercussioni anche nel settore tessile, tra le aziende dell'indotto che producono rivestimenti interni e sedili per auto. Se la Fiat dovesse ridurre a Torino la produzione nei termini annunciati, sarebbero almeno un migliaio i posti di lavoro a rischio; già nei mesi scorsi alcune aziende dell'indotto avevano denunciato eccedenze strutturali con esuberi per circa 300 lavoratori. Il settore tessile e dell'abbigliamento nella provincia di Torino ha già subito negli scorsi anni pesanti ristrutturazioni (in particolare con la crisi del Gft) che hanno decimato l'occupazione.
Davanti a Mirafiori ci sono un cavallo bianco e un puledro marroncino:
saranno proprio questi quadrupedi a guidare il corteo dei lavoratori più a
rischio d'Italia. La ragazza che li accompagna spiega che sono lì per
solidarizzare con gli operai di Mirafiori: "Siamo di Vinovo, il terzo
ippodromo d'Italia che tra pochi giorni chiuderà i battenti trasformando cento
lavoratori in disoccupati. Ha comprato tutto la Juventus per farci un centro
commerciale e qualche campetto da pallone. Vedi, dunque, che il padrone è lo
stesso, sotto sotto c'è sempre lo zampino della Fiat".
Due giorni fa, il segretario della Fiom di Pomigliano aveva rilasciato una
dichiarazione condivisa da tutti gli operai che ora sfilano davanti a noi:
"Lunga vita al padrone Gianni Agnelli", l'ultima frontiera prima della
vendita della Fiat Auto alla Gm. Sempre che i soci americani siano davvero
intenzionati a comprarsi l'intera baracca. Alle 9 e un quarto il primo corteo
operaio a bloccare il grande corso torinese che segna uno dei quattro lati di
Mirafiori è quello che esce dalla porta zero, all'angolo con corso Orbassano.
E' il corteo dei lastratori. Le tute sono quelle variopinte di Fiat auto e
quelle grige e arancione di Tnt. "Mirafiori/ è scesa in lotta/ il posto di
lavoro/ non si tocca". Il corteo si ferma di fronte alla porta due per
aspettare i carrozzieri, che tardano: "Stanno rastrellando tutti, reparto
per reparto". "Abbiamo fermato tutte le linee!", dicono i più
giovani in testa al corteo con le bandiere di Fiom, Fim, Uilm, Fismic,
Sin.Cobas. Tutte ferme, le linee, gli operai hanno scioperato in massa, il 90%
per i sindacati. Tutte ferme, le linee di montaggio. Quelle che restano,
s'intende. Erano sette, ora sono cinque, domani quattro. E' la Fiat a dirlo.
Parte il corteo di carrozzieri e lastratori, cavallo e pony compresi. C'è anche
uno striscione rosso con scritta bianca: "Rsu Politecnico di Torino".
Porta due, porta tre, porta quattro e finamente il corteo avviva alla porta
numero 5, il cuore malato di Mirafiori, la palazzina centrale dove scioperano
gli operai degli enti centrali ma non gli impiegati. Gli impiegati mugugnano, si
sentono traditi, scrivono proteste e parolacce sul sito Intranet aperto dalla
direzione proprio per raccogliere "opinioni e suggerimenti". Ma
scioperare, signora mia... Questi piuttosto piangono, scioperano solo quando il
padrone irriconoscente di tanto zelo li sbatte fuori.
Dalle presse arriva un altro corteo che ospita anche gli operai del Comau
servizi, tute diverse stessa incazzatura. C'è l'operaia con troppi anni di
anzianità dunque prescelta dalla Fiat per la mobilità. Il quarto corteo è dei
meccanici, Powertrain e cioè joint-venture Fiat-Gm; non riesce ad arrivare fino
alla porta cinque da via Settembrini, l'altro lato di Mirafiori e dopo aver
bloccato la strada se ne torna sui suoi passi. Dopo due ore lo sciopero finisce
e si deve riprendere il lavoro. Su 1.300 meccanici, alla Powertrain glie ne
avanzano 500. Restano i grandi spazi di Mirafiori, che è arrivata a dar lavoro
a quasi 60 mila persone. Adesso ce ne sono meno di 15 mila, in realtà la metà
perché il 50% è in cassa. Spazi addirittura eccessivi per costruire qualcosa
come 160 mila automobili nel breve periodo, la metà di oggi.
Aeroporti di Fiumicino e Ciampino in tilt, ieri, per lo sciopero del
personale di terra e dei dipendenti Enac di Roma: al centro delle proteste, la
difesa dei diritti e dell'occupazione nei due scali. Una crisi avviata con i
processi di privatizzazione ed esternalizzazione selvaggia dei servizi,
culminata con il fallimento e la chiusura del catering Ligabue, che ha voluto
dire la perdita del posto di lavoro per 400 persone. Secondo i sindacati, il 90%
degli operai ha incrociato le braccia. L'Alitalia ha cancellato 111 voli. Tra
gli scioperanti, anche gli impiegati dei servizi carrelli e nastri
trasportatori, fortemente sotto organico. Gli operai e gli impiegati della
Ligabue - cuochi, quadri, fino ai pulitori, parte dell'indotto - da 6 mesi non
ricevono lo stipendio, e hanno perso pure il Tfr, confluito nella procedura
fallimentare (sarà restituito loro dall'Inps).
I lavoratori hanno anche manifestato davanti alla sede Rai di viale Mazzini, per
protestare contro il black out di informazione sulla loro vicenda. Tra i
cartelli, "Fiumicino chiama, Torino risponde. No ai licenziamenti".
I sindacati di Poste Italiane accusano il vertice dell'azienda di aver risanato la società a spese dei lavoratori con violazioni ripetute del contratto, diritti negati e discriminazioni. Al nuovo amministratore delegato, Massimo Sarmi, le organizzazioni di categoria chiedono "un incontro urgente per affrontare una situazione ritenuta ormai esplosiva e insostenibile". "In azienda -denuncia Nino Sorgi, segretario generale del Slp-Cisl non vengono garantiti i diritti fondamentali come le ferie, i dipendenti sono sottoposti a carichi di lavoro superiori a quelli previsti dal contratto e se regiscono scattano sanzioni, minacce e ritorsioni. Inoltre, nonostante le ripetute denunce il management di Poste utilizza le leve aziendali per discriminare i lavoratori eletti nelle Rsu e quelli che abbiano un qualsiasi rapporto col sindacato, perpetuando una situazione di evidente illegalità". E proprio per conoscere a fondo la situazione dell'azienda e delle violazioni dei diritti, oggi si riuniranno a Roma duemila Rsu delle Poste di tutti i sindacati. Si avvia dunque la mobilitazione di tutta la categoria. I sindacati denunciano ancora i mancati pagamenti per lo straordinario e per quanto riguarda il recapito l'obbligo di recapitare tutta la corrispondenza a prescindere dalla quantità di lavoro, dall'orario e da quanto previsto dalle norme contrattuali. Una condizione che sarebbe aggravata dall'uso quotidiano del cosiddetto abbinamento che sarebbe ormai imposto a copertura di tutte le incapacità gestionali e insufficienze di organico, pena inaccettabili provvedimenti disciplinari o addirittura il licenziamento.
Con un fatturato di 198 milioni di euro, in crescita del 26% rispetto all'anno precedente, e utili per 488 mila euro, l'assemblea dei soci di Obiettivo Lavoro, società di lavoro temporaneo, ha approvato il bilancio 2001. Il risultato netto è risultato in flessione rispetto ai circa 3 milioni di euro registrati nel 2000, anche a causa dell'avvio di due nuove società. Lo ha comunicato un portavoce dell'azienda. Le imprese socie di Obiettivo Lavoro, si legge invece in una nota, sono salite a 437.
Ancora ieri, nella centralissima Piazza Dante, alcuni disoccupati hanno cercato di ribaltare un autobus dell'Anm. Contemporaneamente, un altro gruppo di disoccupati del "movimento per il lavoro", ha contestato il presidente della Regione, Antonio Bassolino, recatosi nel quartiere Mercato, nei pressi della stazione centrale, per l'inaugurazione di un albergo.
Lei vuole essere rispettata. Vuole che siano rispettati certi diritti
elementari. Così ha provato prima a difendersi da sola in azienda, cercando di
discutere le scelte organizzative e gli orari di lavoro. Ha provato a parlare di
straordinari quando si andava oltre l'orario stabilito, ha provato a dire che
forse 10 ore continuative davanti a un monitor del computer sono un po' troppe.
Senza ottenere risultati. Poi si è rivolta al sindacato. E il sindacato, in
questo caso la Slc, il sindacato dei lavoratori delle comunicazioni della Cgil,
le ha consigliato di farsi la tessera per poter agire più garantita nel suo
posto di lavoro. Così la donna, 34 anni di Foggia (preferisce non dire il suo
nome), il 21 maggio scorso ha deciso di farsi la tessera sindacale, ma ha
ricevuto due comunicazioni in contemporanea: la prima che era stata iscritta al
sindacato, la seconda che era stata licenziata. La direzione dell'azienda, la
Dva di Foggia, che produce video e filmati occupando 8 dipendenti, non ha
gradito la notizia che era stata trasmessa, come prevede la legge da un
sindacalista. Il telegramma della ditta è giunto a destinazione,
nell'abitazione della lavoratrice. La ragazza non si è fatta però intimidire
neppure dal telegramma, visto che tra l'altro non prevedeva neppure i giorni di
preavviso. Così venerdì si è presentata in azienda da cui però è stata -
con gentilezza - allontana. Lei è licenziata. Punto e basta. Niente preavviso,
niente discussioni, torni pure al suo sindacato. Qui - è il messaggio implicito
della direzione della Dva - non si discutono gli orari di lavoro,
l'organizzazione, l'ambiente. Chi vuole lavorare, lavora, non si parla di
diritti sindacali.
Il sindacato ha avviato una denuncia per violazione dell'articolo 28 dello
Statuto dei lavoratori (comportamenti antisindacali), il licenziamento è stato
contestato e la pratica è stata già affidata a un legale. La donna è stata
licenziata, dice il telegramma per «giustificato motivo». In realtà non ci
sono motivi tecnici e professionali che giustifichino il provvedimento. Il
giustificato motivo è legato quindi solo all'iscrizione al sindacato, cosa che
in Italia non è - ancora - illegale. Il sindacato è libero, ogni lavoratore,
ogni cittadino ha il diritto di iscriversi al sindacato che preferisce ed è
singolarmente portatore del diritto di sciopero. Ma la Dva di Foggia può
licenziare una lavoratrice solo perché si è iscritta al sindacato. L'azienda
ha meno di 15 dipendenti. E' uno dei tantissimi casi in cui il famoso articolo
18 (quello che prevede appunto il reintegro in caso di licenziamento
ingiustificato) non arriva. Se la Dva invece di avere nel libro paga 8
dipendenti ne avesse avuti 15 il problema non sussisteva.
Quella tra Olivetti e Fiat è un'analogia tutt'altro che forzata. Il declino
industriale che ha colpito questa zona della provincia di Torino negli ultimi
dieci anni, infatti, presenta tratti comuni con ciò che sta avvenendo alla Fiat
in questi giorni: l'inarrestabile deteriorarsi di un impero che tutto
riconduceva a sé; l'incapacità di mantenere quote di mercato per crisi di
innovazione; il tentativo di salvare il salvabile tagliando il costo del lavoro
- nota strategia perdente - scaricando sui lavoratori il peso di una
ristrutturazione dagli orizzonti incerti.
A Ivrea fu la fine dell'esperienza Op Computers a Scarmagno e la dismissione
dell'azienda, suddivisa poi in più realtà produttive con una perdita
consistente di posti di lavoro. Oggi nel Canavese restano 1.500 lavoratori di
Olivetti Tecnost - denominazione del gruppo dopo il passaggio nel 2001 alla
Pirelli di Tronchetti Provera - e altri 600 nelle due aziende, Ics e Cms, in cui
fu divisa la Op Computers.
Per reagire alla situazione di "totale immobilismo" dopo
l'acquisizione del gruppo da parte di Pirelli, Fim, Fiom, Uilm e le Rsu Olivetti
del Canavese, hanno deciso uno sciopero per martedì prossimo: due ore a fine
turno con presidio davanti alle Officine H della Ico.
Un risultato i sindacati metalmeccanici l'hanno subito raggiunto: la
convocazione, il 14 giugno, dell'incontro più volte richiesto per conoscere il
piano industriale di Olivetti Tecnost.
Un altro capitolo caldo riguarda i rapporti con le società del gruppo Fulchir,
imprenditore veneto che tre anni fa acquisì i resti di Op Computers,
allargandone sì l'orizzonte da Scarmagno verso Caluso, ma con scelte evidenti
di disimpegno e continui processi di riorganizzazione.
Un incremento mensile medio di 60 euro per i panifici artigianali e di 70 euro per quelli industriali. E' questo, come informa una nota Assipan-Confcommercio, il risultato dell'accordo di rinnovo per la parte economica del contratto nazionale dei panificatori raggiunto dall'Assipan con le organizzazioni sindacali di settore.
A maggio l'indice della produzione industriale, al netto dei fattori stagionali e dell'effetto calendario, segna un recupero dell'1,3% rispetto ad aprile quando si era registrata una flessione dello 0,9% sul mese precedente (ore perse per scioperi e distribuzione dei giorni festivi). A marzo l'Istat aveva indicato una riduzione dello 0,7%. In termini destagionalizzati è risultata una flessione dello 0,9% rispetto ai valori medi del secondo semestre 2001.
Le modifiche dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori saranno inserite
in un disegno di legge costruito su misura. Si tratta dell'ultima mossa del
governo Berlusconi per disinnescare il conflitto e tentare di riprendere il
negoziato con i sindacati. Il fine del governo è sempre quello di snellire il
più possibile le regole che governano il mercato del lavoro per ottenere il
massimo di flessibilità. Tirar via l'articolo 18 dalla delega - secondo il
governo - permetterebbe così di avviare i tavoli sulla più generale riforma
del mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali (per i quali al momento non
è previsto neppure un euro), un altro tavolo sul Mezzogiorno e infine altri due
tavoli alquanto caldi, quello sul fisco e quello sulle pensioni. Che sono poi la
vera sostanza dell'attacco governativo padronale, altro che l'art.18!
La commissione lavoro del senato aveva intanto soppresso l'art. 6 della delega
(quello riguardante l'orario di lavoro) e discusso gli emendamenti all'art. 7
sul part time.
La nuova proposta per la delega è stata elaborata dal sottosegretario alla
presidenza del consiglio Gianni Letta che dovrebbe anche coordinare tutti i
tavoli di trattativa con i sindacati e gli industriali.
La battaglia sindacale e delle opposizioni politiche per la difesa dei diritti
dei lavoratori rischia di farsi irretire dal governo: la Cgil ha dichiarato in
più di una occasione che le cose che non vanno bene delle deleghe non si
esauriscono con l'art. 18. Per esempio è il caso dell'obbligo di devolvere il
Tfr ai Fondi pensione previsto dalla delega sulla previdenza. I sindacati
confederali devono quindi affrontare un difficile chiarimento perché finora né
Cisl né Uil hanno risposto alla proposta della Cgil di riprendere la
mobilitazione unitaria, sciopero generale compreso. Se andasse in porto la
manovra di palazzo Chigi cambierebbero poi anche i termini per un eventuale
referendum abrogativo delle modifiche all'articolo 18.
Nel frattempo è partita la campagna per la raccolta delle firme per un altro
referendum, quello che vuole estendere a tutti i lavoratori (cioè anche a
quelli delle aziende sotto i 15 dipendenti) le tutele dello Statuto.
Tutto ciò però si colloca in un quadri di calo del conflitto e delle
mobilitazioni: dopo lo sciopero generale, i sindacati confederali e i partiti di
centrosinistra puntano soprattutto sull'attività istituzionale, come i
referendum, trascinandosi dietro anche l'autorganizzazione sindacale. Lo
strumento referendario ha valore se accompagna una lto livello di mobilitazione,
ma non sopperisce ad esso pena pesanti sconfitte. Ora si rischia di stare tutti
alla finestra, dopo aver messo una firma, a vedere che succede. E intanto, come
si diceva, già succedono cose che meritano risposte pesanti.
Sciopero dei lavoratori ieri a Genova, per protestare contro la ventilata vendita a pezzi della Marconi Mobile, uno dei rami del gruppo inglese Marconi Plc. Un corteo si è mosso dai cancelli dello stabilimento a Sestri Ponente, circa 500 lavoratori hanno sfilato per dire "no alla frantumazione del patrimonio industriale della Marconi in Italia, no alla vendita a pezzi della Marconi Mobile, no alla quotazione in borsa senza garanzie, no alle scelte della direzione aziendale che non considerano le prospettive lavorative e professionali dei dipendenti".
Con le ipotesi di reato di «omicidio colposo plurimo» e «lesioni colpose gravi» 17 funzionari ed ex funzionari del Gruppo Solvay sono stati iscritti nel registro degli indagati della procura di Ferrara. L'indagine riguarda una cinquantina di operai morti e ammalati dopo l'esposizione al cloruro vinil monomero, una sostanza che la letteratura medica internazionale ritiene cancerogena.
I macchinisti del Comu hanno indetto per oggi uno sciopero nazionale di quattro ore per il trasporto locale. La protesta è fissata dalle 10.00 alle 14.00. Il Comu chiede una riduzione dell'orario di lavoro settimanale per i turnisti, un'assicurazione per i conducenti legata alla perdita di idoneità alla guida e un aumento mensile di 38 euro per il recupero del potere d'acquisto delle retribuzioni.
I licenziamenti prodotti dalla crisi della Fiat rischiano di essere
dodicimila in tempi non lunghi nella sola area torinese, dove si concentra una
quota importante della produzione automobilistica italiana. Il segretario
generale della Fiom Gianni Rinaldini dice che "La situazione è
drammatica" e il tentativo per presentare la crisi Fiat come "ciclica
è inutile. La questione del settore auto è una questione nazionale e richiede
sia scelte da parte della Fiat per lo sviluppo, con ingenti risorse, sia da
parte del governo per quanto riguarda scelte di politica industriale che
favoriscano quel settore". Dietro questa analisi si cela però il rischio
corporativo e persino nazionalistico, e comunque si vuole chiamare all'unità
nazionale a difesa dei profitti Fiat e "come conseguenza" dei diritti
dei lavoratori. Da una impostazione del genere può derivare anche una messa in
secondo piano, o uno scambio sulle deleghe: il governo interverrà sulla FIat,
salvando capra e cavoli, se i sindacati accetteranno qualcosa dall'altra parte.
Insieme alle quattro ore di sciopero proclamate due giorni fa, i sindacati
chiedono l'apertura immediata di due tavoli di trattativa, con la Fiat e con il
governo. Fim, Fiom, Uilm e Fismic denunciano le scelte sbagliate dell'azienda.
Il segretario della Fiom di Mirafiori, Claudio Stacchini, denuncia
"l'estraneità della politica e il rischio che una crisi così drammatica
finisca esclusivamente nelle mani degli azionisti e delle banche, che hanno una
sola cosa in testa: l'abbandono della produzione di automobili, con le
conseguenze che questa scelta sciagurata avrebbe sul lavoro e sulla vita di
decine di migliaia di dipendenti della Fiat e dell'indotto." E' esattamente
la politica perseguita non solo dai padroni privati ma anche da quelli statali,
che smantellano, privatizzano e decentrano.
Parte del gruppo Finmeccanica, si divide in tronconi diversi: Alenia Aeronautica, a Pomigliano d'Arco, dove vengono prodotti velivoli civili e militari (in avviamento); Alenia Inc., con sede a Washington, una delle branche finanziariedel gruppo; Alenia Marconi Systems, basata a Roma, che produce radar, sistemi navali e terrestri, missili e controllo del traffico aereo; Alenia Marconi Systems Finance s.a.r.l., altra finanziaria con sede a Lussemburgo; Alenia Marconi Systems Gmbh, basata a Monaco di Baviera, dove vengono fabbricati radar, sistemi navali e terrestri, missili e controllo del traffico aereo; Alenia Marconi Systems Inc., basata a Westlake Village, negli Stati uniti, che produce anch'essa radar, sistemi navali e terrestri, missili e controllo del traffico aereo.
Ha cinque stabilimenti di produzione: a Torino (2.308 dipendenti), dove produce parti di motori aeronautici; a Pomigliano d'Arco (Napoli, 1.113 dipendenti) dove progetta, revisiona e monta aerei civili e militari; a Brindisi (811 dipendenti) dove assembla e revisiona motori; a Colleferro (Roma, 541 dipendenti), da cui escono prodotti aerospaziali; ad Acerra (Napoli, 294 dipendenti) dove vengono prodotte parti di motori aeronautici civili.
Nel pomeriggio del 28, Fiom-Fim-Uilm hanno incassato il risultato dello
sciopero di due ore indetto proprio in occasione della prima venuta nel Canavese
di Tronchetti Provera: adesioni superiori al 70%, con picchi dell'80% nelle
maggiori realtà produttive. Presidio riuscito davanti ai cancelli
dell'Associazione Industriali del Canavese, dove si teneva un convegno. Pubblico
meno folto del previsto nel parterre della sala congressi.
Appena sceso dall'auto che lo ha portato per la prima volta a Ivrea da Milano,
Tronchetti Provera è stato chiamato in causa da un operaio che, stupito, gli ha
chiesto "allora lei non è un fantasma?". All'inaspettata domanda il
manager non ha trovato di meglio che rispondere "perché?", trovando
la pronta ribattuta "perché è da un anno che aspettiamo di vederla a
Ivrea, non ci credevamo più".
Tronchetti Provera ha cercato di rassicurare tutti: "Conosciamo i problemi,
vogliamo risolverli al più presto. Non prevediamo nessun drastico
ridimensionamento, anzi vedremo di valorizzare al massimo le risorse
professionali dell'area". Fim, Fiom e Uilm del canavese paventano possibili
nuovi "tagli" occupazionali per Olivetti-Tecnost - 1.500 lavoratori ai
quali va aggiunto un consistente indotto Tronchetti Provera dice di voler
rilanciare Olivetti, ma non esclude la possibilità di effettuare sacrifici su
aree di sofferenza.
Chiude il cinodromo di Roma dopo 74 anni di attività e oltre 40 persone rischiano di perdere il posto di lavoro. E' la Snai a comunicare la messa in liquidazione della società e i licenziamenti. La denuncia è dei lavoratori che si riserveranno - secondo una nota - di adoperare tutti i mezzi opportuni per interessare e sensibilizzare sia l'opinione pubblica che le istituzioni.
E' accaduto a Rrapaj Myftar, 35 anni, albanese. Si ammala e dal giorno in cui cade in malattia la Ditta, una impresa edile del Chianti, "sparisce", lasciandolo senza salario e assistenza. La denuncia è della Fillea Cgil.
Il colosso Usa Coca Cola dovrà versare 8,1 milioni di dollari a circa 2 mila lavoratori e lavoratrici, per la maggior parte donne, dopo che una verifica federale e un'inchiesta interna hanno riscontrato che erano state sottopagate dall'azienda tra il 1999 e il 2000.
Mentre il governo si appresta a lanciare alla Fiat il salvagente degli
incentivi per tirarla fuori dalla crisi in cui sta affondando, la stessa azienda
si prepara a decollare con il Joint Strike Fighter, il caccia statunitense
costruito dalla Lockheed Martin. Fiat Avio parteciperà come azienda principale,
insieme ad Alenia Aeronautica e ad altre 27 aziende italiane, alle fasi di
sviluppo e produzione del Joint Strike Fighter, per la cui realizzazione la
Lockheed Martin riceverà dal Pentagono (che ne acquisterà 3mila) oltre 200
miliardi di dollari. Per partecipare al programma, però, il gruppo di aziende
italiane non sarà pagato, ma dovrà pagare: si prevede un investimento di un
miliardo di dollari, che dovrebbe essere recuperato tra il 2012 e il 2025.
Come si concilia la partecipazione italiana (concordata a livello governativo)
al programma statunitense del Joint Strike Fighter, chiaramente concorrenziale
rispetto a quello europeo dell'Eurofighter Typhoon, il caccia che l'Italia sta
costruendo (tramite l'Alenia) insieme a Gran Bretagna, Germania e Francia?
La Lockheed Martin pensa di guadagnare altri 200 miliardi di dollari con
prevendite a paesi alleati e contratti di manutenzione. Da parte sua, il
consorzio Eurofighter International ha in mente di conquistare, con il suo
caccia, il 50% del mercato mondiale di aerei da combattimento. L'impegno
italiano consiste non solo nel realizzare l'Eurofighter Typhoon, ma
nell'acquistarne 120 per un costo previsto nel 2000 (e quindi soggetto ad
aumento) di circa 16mila miliardi di lire, cui si aggiungeranno i costi
operativi. Questa infatti è la regola: il paese che partecipa alla costruzione
di un sistema d'arma deve essere il primo ad acquistarlo.
Problema risolto: basta che l'Italia, oltre ai 120 Eurofighter, acquisti (sempre
con i nostri soldi) altrettanti Joint Strike Fighter. Così ha fatto appunto la
Gran Bretagna, che ha preceduto l'Italia firmando nel gennaio 2001 un accordo
con il dipartimento della difesa Usa con cui si impegna non solo a realizzare ma
ad acquistare, in aggiunta agli Eurofighter, i Joint Strike Fighter.
Chi si illude che la partecipazione italiana al programma del Joint Strike
Fighter porterà un sostanziale aumento di posti di lavoro, resterà deluso. In
un settore ad alta tecnologia, come quello aerospaziale, l'occupazione è molto
limitata. Per di più il caccia viene costruito negli Stati uniti. Resteranno
delusi, quindi, anche quei metalmeccanici che, di fronte alla crisi Fiat,
ritengono che la strada da percorrere è quella del settore aerospaziale.
Dimenticano di porsi una semplice domanda: chi paga i prodotti dell'industria
bellica aerospaziale, che sono i più costosi? Sempre i lavoratori, direttamente
con le tasse e indirettamente con i tagli alle spese sociali, necessari a
sostenere l'aumento della spesa militare.
A Mestre gli extracomunitari hanno ufficialmente aperto la «vertenza
Fincantieri» spalleggiati dal Comune rappresentato dal prosindaco Gianfranco
Bettin e dall'assessore Beppe Caccia. Così è nato il Comitato delle vittime
degli infortuni in Fincantieri, che potrebbe avere presto una succursale anche a
Monfalcone: ha rotto quella sorta di muro fra la fabbrica e la città. Bastano
le parole di Pasquale Castellano. E' il fratello di Vincenzo, che all'alba del
10 maggio è volato venti metri più sotto. Ora è ricoverato in coma
all'ospedale Umberto I. "Ho lavorato sei anni in Fincantieri. Ho visto
morire un collega, Calogero, schiacciato da una gru. La stessa sorte è toccata
a mio fratello, rimasto prigioniero per due ore in una condotta senza ossigeno.
Adesso basta. Dobbiamo salvare tutti gli altri".Vincenzo, è uno delle
migliaia di dipendenti delle terze ditte che entrano in fabbrica con i sub
appalti. Gente che lavora anche 12 ore di fila, che si dà il turno perfino per
mangiare dentro uno stanzone e che non ha diritto nemmeno alla sicurezza imposta
dalla legge 626. Lavoro selvaggio: niente parapetti, in equilibrio a venti metri
d'altezza, quasi al buio "protetto" da un telone di plastica. Così
Vincenzo è stato inghiottito dalla condotta della sala macchine.
Vincenzo è diventato il simbolo di una lotta operaia che mette la Fincantieri
spalle al muro. Il Comitato conta di aprire uno sportello per raccogliere le
denunce e offrire assistenza legale, mentre si punta ad una piattaforma
costruita insieme ai migranti: il tam tam del recente sciopero generale di
Vicenza è arrivato anche in laguna, dove si potrebbe replicare il 15 giugno...
Anche il sindacato ha deciso iniziative. La Fiom si è rivolta direttamente al
prefetto e si presenterà come parte offesa nel processo per l'incidente a
Vincenzo Castellano, puntando l'indice contro il sistema degli appalti in
Fincantieri.
Il Comune di Venezia farà intervenire l'Ispettorato del lavoro e il servizio
Spisal dell'Usl, per verificare le condizioni di vita di migliaia di lavoratori
all'interno del cantiere navale. Dai trasfertisti, gli operai del Sud che sono
diventati immigrati ad intermittenza con i viaggi in treno di notte, alla
comunità bengalese che ormai ha sostituito il lavoro extra dell'ex Jugoslavia e
del Mar Baltico. Fino ai portoghesi, che sono sbarcati a Porto Marghera con
contratto e salario del loro paese... Un ciclo produttivo che segue quello delle
maree: ondate di appalti che arrivano con la costruzione di una nave. E' la
compressione dei tempi di produzione con cui la cantieristica scarica a mare
anche i diritti per reggere la concorrenza della Corea o di Rotterdam.
Infine, sempre la Fincantieri è alle prese con un altro fronte: l'amianto. La
morte di Ivonne Semenzato, 57 anni, ex dipendente dei cantieri navali, riapre
infatti la partita giudiziaria sugli operai stroncati dal mesotelioma pleurico.
Il pubblico ministero Felice Casson ha fatto immediatamente eseguire l'autopsia.
Semenzato è stato elettricista alla Fincantieri dal 1971 al 1989. Anche da
pensionato aveva continuato a lavorare fino all'agosto 2001 all'interno dei
cantieri navali di Porto Marghera. Dopo aver ottenuto un riconoscimento parziale
dell'esposizione all'amianto dall'Inps (10 anni), aveva sollecitato l'Inail a
concedere la malattia professionale: una pratica rimasta senza risposta. Quindi
con la moglie e il figlio aveva citato la Fincantieri in giudizio, invocando il
risarcimento del danno biologico. Il giudice Paola Ferretti del tribunale del
Lavoro ha aggiornato la causa al 18 giugno. Semenzato nel suo ricorso aveva
raccontato 18 anni di lavoro sui "materassini di amianto, in uso comune,
per consentire agli operatori di avvicinarsi a tubi di grandi dimensioni,
polvere di amianto visibile sul pavimento dei cantieri e delle stive delle
navi".
Le proposte di riforma hanno scatenato già nelle scorse settimane proteste durissime. La giornata di sciopero, la seconda in due mesi dopo quella dello scorso 11 aprile, è stata indetta dall'Adedy, il sindacato dei dipendenti pubblici, il quale ha Sottolineato in un comunicato che la protesta non è soltanto contro le riforme delle pensioni, ma anche per chiedere l'adeguamento dei salari alla media dell'Unione europea.
Le organizzazioni sindacali del Banco di Sicilia hanno proclamato lo sciopero del personale per il mancato accordo per la previdenza per le ore pomeridiane dei giorni 13, 14, 20 e 21 giugno, nonché per l'intera giornata del 28 giugno 2002. Inoltre, è stato proclamato lo sciopero dal lavoro straordinario, per la reperibilità e per ogni altra prestazione aggiuntiva, per il periodo 13 giugno - 30 giugno 2002.
Acque agitate allo stabilimento della Fincantieri di Ancona, dove l'occupazione è stata assicurata fino alla fine di dicembre. Cgil Cisl Uil e la rsu hanno deciso di bloccare gli straordinari e di indire una riunione dei coordinamenti nazionali per stabilire ulteriori iniziative di lotta.
Tre lavoratori di Fiumicino licenziati per avere denunciato disfunzioni nell'attività di sicurezza dello scalo. Contro la repressione e le discriminazioni sui posti di lavoro, il Sulta ha indetto 4 ore di sciopero del trasporto aereo per il 13 giugno.
Sfidare la paura che regna tra i lavoratori flessibili, alzarsi durante l'assemblea di preparazione allo sciopero generale (era il 15 aprile) per difendere l'articolo 18, può costare caro soprattutto a un lavoratore interinale. E così alla Fma di Pratola Serra, la fabbrica dei motori Fiat, i dirigenti lo sfizio se lo sono tolto al momento opportuno. Alla scadenza del contratto interinale del 30 maggio, 82 giovani vengono confermati fino a dicembre, ma l'ottantatresimo uno resta fuori. Dimitri Musto, 29 anni, in Fma da più di un anno, lavoratore impeccabile, è deciso a non calare la testa: "Durante la mia esperienza di lavoro - racconta - ho visto tanto sfruttamento, perciò durante quell'assemblea dissi che difendendo l'articolo 18 i sindacati difendevano anche i nostri diritti".
La Commissione lavoro del senato ha dato il via libera all'art. 7 della delega che riguarda gli incentivi per il lavoro part-time. Approvato un emendamento firmato da Ds e Margherita che prevede norme, anche di natura previdenziale, per agevolare l'utilizzo di contratti a tempo parziale anche per i lavoratori più anziani consentendo la "staffetta" con i giovani. La sostanza della delega, però non cambia: scompare il consenso vincolante del lavoratore a eventuali modifiche del contratto part-rime. E' inoltre stato avviato l'esame dell'articolo 8. I lavori della commissione riprendono martedì prossimo dalle norme sul lavoro atipico (articolo 8 appunto) ovvero dalle nuove regole per il lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite (job sharing). Contro tutto questo nessuno chiama a lottare?
I lavoratori della catena di negozi Mercatone Uno sono in stato di agitazione contro i controlli con telecamere installati dalla direzione e per sollecitare l'avvio della trattativa sul contratto integrativo aziendale. Il sindacato ha deciso di denunciare al ministero del lavoro la direzione di Mercatone Uno Service e le direzioni dei punti vendita per aver installato strumenti di controllo a distanza senza aver informato le rappresentanze sindacali aziendali e senza avere stipulato accordi. Per l'integrativo aziendale, il sindacato chiede al ministero del lavoro la convocazione delle parti per sbloccare la vertenza, che riguarda, tra l'altro, le modalità utilizzate dall'azienda per le assunzioni obbligatorie. Sono previste assemblee in tutti i negozi e 8 ore di sciopero in uno dei week end di giugno. Il gruppo Mercatone Uno, presente in tutta Italia, ha in tutto 3 mila dipendenti.
"L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro... precario". Lo slogan pubblicizza un'iniziativa di Lavoratori in lotta Atesia, Ligabue, Atace Cooperazione sociale: assemblea pubblica, venerdì 31 maggio ore 16,30, sala mensa officine centrali Atac, Via Prenestina 45. I temi dell'assemblea, nelle parole degli organizzatori: "Per estendere l'articolo 18 a tutti i lavoratori e per i diritti sindacali alle aziende con meno di 15 dipendenti, in difesa della scuola pubblica, della salute e dell'ambiente, per una società veramente libera che non ponga l'interesse di pochi al di sopra dell'interesse di tutti".
L'Agenzia delle entrate è un organismo chiave del ministero dell'economia.
Nel '95 l'allora governo decide di coprire i buchi in pianta organica con un
corso di formazione. Sembra andare così incontro alle aspirazioni dei
dipendenti, altrimenti costretti - per avanzare nella carriera - ad attendere le
solite "leggine" democristiane che promuovono tutti a un livello
superiore senza che a ciò corrisponda un lavoro davvero più qualificato. La
legge obbliga però l'amministrazione a coprire l'organico con un concorso
pubblico. E così avviene, al tempo, modificando "in corsa" le
procedure. Il concorso, inizialmente previsto per i soli interni al ministero,
viene gestito in modo tale da selezionare - con regolare prova d'esame - i
candidati. Di 20.000 richiedenti ne passano solo 15.000, in modo che ci possa
essere una quota riservata agli esterni. Nel 2000 si tiene il corso, vero duro e
- alla fine - selettivo (i bocciati nonn saranno pochi). Pagato con i soldi di un
fondo di previdenza interno (che copriva in parte le spese mediche, ecc), in
orario rigorosamente non lavorativo e tale da costringere molti a giocarsi in
questo modo le ferie.
A gennaio 2001 l'esame e quindi, per molti ma non per tutti, l'attesa della
promozione. Che arriva, a fine anno, con un nuovo contratto che contiene però
una clausola capestro: nel caso la Corte costituzionale accolga il ricorso della
ex Dirstat, relativo alla correttezza delle procedure, il contratto stesso sarà
nullo di diritto e i lavoratori dovranno restituire le somme percepite in più
rispetto al vecchio contratto. Puntualmente la Corte riconosce che le procedure
sono state illegittime (il concorso doveva essere totalmente aperto) e, a questo
punto, dovrebbe scattare l'annullamento del contratto. Il ministero, con questa
mossa, si è assicurato una massa considerevole di personale più qualificato,
che svolge già ora mansioni superiori a quelle previste dal contratto; a costo
zero, perché il corso era stato finanziato con denaro destinato comunque ai
dipendenti, e gli aumenti di questi mesi dovrebbero essere restituiti.
A Padova pienamente riuscita l'"assemblea in movimento" organizzata
dai Cobas-Adl negli uffici finanziari di via Zabarella e di via Vergerio. Hanno
partecipato all'assemblea-sciopero di due ore, dalle 11 alle 13, circa cento
persone. I manifestanti, hanno esposto anche uno striscione, naturalmente di
colore rosso, con la scritta "Diritto alla carriera e salari europei".
Oggi pomeriggio sempre i Cobas effettueranno una manifestazione pacifica davanti
il Pedrocchi, dove, con inizio alle 15, è previsto un convegno sul tema
«Fiscalità locale alla luce della riforma in itinere», al quale
parteciperanno il sindaco Giustina Destro, Francesco Miceli direttore regionale
delle Entrate, il parlamentare Flavio Rodeghiero della Lega e il sottosegretario
di Stato alle finanze Daniele Molgora.