Notizie dalla lotta di classe |
Settembre 2001 |
Unire quello che il capitalismo divide. |
Allarme disoccupazione in Giappone. Anche la più grande industria dell'elettronica, l'Hitachi, ha comunicato la volontà di tagliare 14 mila posti di lavoro a partire dal prossimo anno (marzo): diecimila dipendenti in Giappone ed altri 4.000 nella rappresentanze della compagnia sparse all'estero.
E' l'ultimo bollettino della catena di licenziamenti già programmati da altre industrie dell'high-tech nipponico. Infatti, la Toshiba ha predisposto 19 mila esuberi, la Fujtsu, la maggiore industria di computer altri 16.000 licenziamenti, da completare entro i prossimi quattro anni. Lo stesso comportamento ha avuto la Nec, annunciando altri 4.000 licenziati oltre i 15.000 già programmati. Giovedì è toccato a due società di componentistica elettronica, la Kyocera e la Oky Electric, comunicare - che nel prossimo anno - dovranno fare a meno rispettivamente di 10.000 e di 2.000 lavoratori. La motivazione di queste pesanti ristrutturazioni aziendali sono sempre le medesime: la caduta dei profitti, causata anche dalla recessione nazionale ed internazionale (Usa in primis), la concorrenza dei paesi terzi (Cina, Corea del sud ecc.), la fine di un ciclo di ammodernamento tecnologico, legato all'uso dei computer dei cellulari e di Internet).
La caduta dei profitti nel settore della new economy mostra come il capitale, pur ristrutturandosi periodicamente, e adattandosi a nuove scoperte e nuovi mercati, ripercorre comunque, per il proprio essere "sociale", le stesse strade che lo riportano in mano alla legge del valore, alla caduta del saggio di profitto.
Le strategie adottate come controtendenza si fanno sentire, con un tasso di disoccupazione che, solo per parlare del Giappone, ha raggiunto il 5% della forza lavoro, dopo 30 anni. Non solo, da dicembre del 2000 c'è stata una crescita esponenziale dei senza lavoro spaventosa: ottocentomila persone hanno già perduto il loro posto di lavoro.
L'Azienda Abruzzo Tessile fallisce e 77 dipendenti, di ritorno dalla pausa estiva, trovano i cancelli sbarrati. La Cgil e la Cisl proclamano un'assemblea permanente all'Abruzzo Tessile di Montepagano di Roseto degli Abruzzi. I proprietari della fabbrica - dopo aver venduto tutto il macchinario e ceduto le quote societarie - sono volati a Santo Domingo, lasciando i dipendenti senza prospettiva salariale e occupazionale. Le soluzioni più immediate per sostenere i dipendenti, possono essere attivate solo con la partecipazione diretta dell'azienda, che al momento è "latitante".
Chiude la legatoria Les. 70 dipendenti, si ritrovano senza preavviso, dopo il week end, in mezzo ad una strada. Nulla aveva fatto presagire che l'impresa torinese, fornitore di case editrici come l'Einaudi, fosse in procinto di fallire. Lunedì le attività erano riprese regolarmente e negli ultimi tempi erano state fatte alcune assunzioni. I sindacati decideranno quali iniziative intraprendere.
Sciopero dei lavoratori Telecom in Emilia Romagna. I dipendenti dell'azienda di telecomunicazione, hanno scioperato il 3 settembre insieme a quelli di altre regioni, contro l'annunciato trasferimento di circa 300 persone. Sempre ieri, in una conferenza stampa, la denuncia dei sindacati che chiedono un intervento della Regione. Le questioni, non riguarderebbero solo i trasferimenti,ma anche lo smembramento di alcune strutture e l'aggravio delle turnazioni.
I dipendenti della società Ligabue, che fornisce catering di bordo all'aeroporto di Fiumicino, hanno organizzalo un sit-in, preoccupati per il rischio di messa in liquidazione dello stabilimento catering ovest del Leonardo Vinci. 314 dipendenti potrebbero perdere il posto di lavoro, in seguito alla decisione dell'azienda di cedere alcuni settori ad altri catering. Intanto ieri in 50, si sono riuniti di fronte la sede della società, muniti di striscioni con slogan di protesta. Sono mesi che i lavoratori della Ligabue attendono risposte dall'azienda sul loro futuro, e nel frattempo hanno visto confermata la sensazione che si voglia arrivare a svuotare l'ultimo catering che si porta dietro il contratto degli Aeroporti di Roma.
Si chiama "Rivoluzione" la nuova ristrutturazione tecnologica dello stabilimento di Cassino, finalizzata alla produzione della generazione di automobili del terzo millennio. La prima ristrutturazione della fabbrica laziale era stata governata da una ideologia pantecnologica che aveva concentrato il massimo di innovazione in uno stabilimento solo, e l'operazione non aveva dato buoni frutti: non tutta l'innovazione è necessaria e utile, a volte produce strozzature produttive. Montare le ruote della vettura con i robot è complicatissimo, diminuisce la fatica fisica dell'operaio ma non fa risparmiare tempo, dunque denaro. Con la produzione del nuovo modello Stilo si riparte, capitalizzando - si presume - gli errori del passato. Nuova organizzazione del lavoro, più flessibile e capace di garantire un balzo in avanti della produttività. I lavoratori attraverso iniziative di protesta hanno cercato invece di mettere in rilievo che le condizioni di lavoro (presto sarà su tre turni, notte compresa) vengono peggiorate, e ogni residuo di controllo sindacale rischia di andare a farsi benedire. Alla fine, la Fiat è riuscita a strappare il consenso, ma non di tutti i sindacati: la Fiom non c'è stata, e non ci sta, e l'accordo raggiunto resta un accordo separato contro cui i metalmeccanici della Cgil hanno raccolto le firme dei lavoratori. La vertenza non è conclusa.
Treni e stazioni sono sporchi? Riduciamo del 10-20% le spese per le pulizie e saranno finalmente lindi e pinti. Il paradosso - illustrato nella conferenza stampa di presentazione delle nuove gare d'appalto per le pulizie di Trenitalia, Rete ferroviaria e Grandi stazioni (le tre società uscite dalla frantumazione-privatizzazione delle Ferrovie dello stato) - dovrebbe funzionare comprimendo i "margini di guadagno delle imprese". Il ragionamento è semplice, del tutto fiducioso nelle "logiche di mercato". I contratti d'appalto scadono a dicembre; per i nuovi bandi di gara bisogna adottare la normativa europea (in caso di appalti superiori ai 400.000 euro). L'anno scorso il totale delle spese per le pulizie è stato di 500 miliardi; ma la sporcizia è rimasta alta. Fin qui i contratti erano stati affidati a quattro consorzi di imprese, con una media superiore al centinaio di miliardi l'una; un costo stimato superiore del 20% alle medie di mercato. Come fare pe ottenere "efficienza nel servizio, economicità, incremento della qualità"? Con la concorrenza. L'idea risolutiva è perciò quella di frantumare gli appalti - per cifre oscillanti tra i 4 e i 16 miliardi - obbligandosi così ad aprire la gara alle imprese europee. Dal combinato disposto di "aumento della concorrenza" e "aumento dell'efficienza" (che dovrebbe discendere dai ridotti margini di guadagno per ogni singola impresa) si spera venga fuori la quadratura del cerchio: avere treni immacolati e l'agognata riduzione del 20% sul totale delle spese per le pulizie.
Uno dei criteri chiave - oltre all'ovvia ammissibilità legale delle imprese - è infatti "il miglior prezzo". E questo apre di fatto le porte a offerte che sono possibili solo a costo di comprimere oltre misura il salario degli addetti alle pulizie. Le tre società ferroviarie - che hanno indetto separatamente le gare - giurano che saranno escluse le "offerte anomale", troppo basse per esser vere. Ma è abbastanza ovvio che polverizzando gli appalti tra molte imprese si aumentano i costi fissi (ognuna ha bisogno, ad esempio, di una struttura amministrativa, sia che dia lavoro a dieci o cento lavoratori), rinunciando alle "economie di scala". Se, infine, si ha ben presente che queste "imprese" non hanno nessuna "componente tecnologica", le conseguenze sono inevitabili: il "risparmio" può avvenire solo a spese di salari e posti di lavoro.
Compaq e Hewlett Pakckard (Hp), ognuna per conto suo, avevano già previsto di licenziare molte migliaia di lavoratori (da sei a otto mila la prima e circa novemila la seconda) per risistemare i conti, ma i vantaggi in termini di risparmio e di conseguente profitto non erano considerati sufficienti, tanto che hanno deciso di fondersi, per assorbimento di Compaq in Hp.
Ora sarà più facile raddoppiare i licenziamenti, che alla fine saranno anche trentamila, tagliare linee produttive, razionalizzare gli acquisti, accentrare direzione e ricerca. Il gruppo che ne risulterà sarà il primo al mondo per pc prodotti, il secondo, quasi all'altezza di Ibm per fatturato complessivo. Infatti, sommando le vendite attuali delle due società si arriva con 87 miliardi di dollari (40 Compaq e 47 Hp) a sfiorare i 90 miliardi raggiunti da Ibm. Compaq verrà pagata 25 miliardi di dollari in azioni Hp. Il risparmio previsto per via della fusione è calcolato in 2 o 3 miliardi di dollari nei primi due anni (molto dipende dal difficile calcolo delle liquidazioni) ciò che potrebbe far ritornare il sorriso tra gli azionisti delle futura società, che avrà nome Hp.
"da il manifesto - Galapagos"
Si possono fare varie ipotesi su come andrà a finire la vicenda Pirelli-Olivetti-Telecom-Tim che sta movimentando la già travagliata borsa italiana. Però occorre partire dall'inizio, cioè dalla privatizzazione del gigante telefonico. Con quella dismissione l'unico a non fare un buon affare fu lo Stato, assillato dai debiti (in genere cattivi consiglieri). Chi acquistò azioni durante l'Opv, offerta di pubblica vendita, invece l'affare lo fece. Soprattutto il nocciolo duro costituito attorno alla Fiat che con appena il 7% del capitale e un esborso ridicolo si impadronì del comando della Telecom. Fin dall'inizio fu chiaro che la società oltre che mal gestita, era "facilmente" scalabile. La prova la si ebbe grazie ai "capitani coraggiosi" messi insieme dal duo Colaninno-Gnutti.
La razza padana si impadronì di Telecom con una classica operazione di leverage buy out, con un'Opa lanciata con pochi capitali propri e molti prestati dalla banche. L'operazione, tuttavia, fu abbastanza democratica. Nel senso che a tutti i venditori, anche ai piccoli azionisti, era garantito un premio rispetto alle quotazioni correnti di borsa. La cosa straordinaria fu che solo poco più del 50% degli azionisti aderì: l'altro 50% era convinto che sotto la guida dei capitani coraggiosi (fra cui ottimi industriali di casa loro) il futuro di Telecom sarebbe stato radioso. E quindi si tenne ben strette le azioni scommettendo su una redditività clamorosa, direttamente proporzionale al livello dei debiti accumulati dagli scalatori o ereditati dalla precedente gestione Telecom.
In realtà fin dall'inizio fu chiaro (e il manifesto lo scrisse molte volte) che l'indebitamento complessivo (di Telecom e della controllante Olivetti) era estremamente alto e gli utili pur notevoli non sarebbero riusciti ad abbatterlo. Insomma, Telecom guadagnava ma gli utili finivano alle banche che avevano finanziato l'operazione. E neppure la cessione di alcuni asset (e il licenziamento di migliaia di lavoratori) avrebbe risolto il nodo dell'indebitamento. Non a caso Colaninno aveva progettato varie operazioni per far pagare al mercato l'indebitamento. Nessuna è però andata in porto. Come stupirsi se quando Tronchetti Provera si è fatto sotto i capitani coraggiosi abbiano mollato la presa in 24 ore?
Ma i capitani oltre che coraggiosi sono anche molto furbi: cedendo Telecom questa volta hanno pensato solo a loro stessi. Il ricco premio di maggioranza pagato dalla Pirelli se lo sono integralmente intascato, portando a casa una plusvalenza miliardaria. Miliardaria nel senso di migliaia di miliardi. Grazie a un cavillo giuridico, infatti, per Tronchetti Provera non è scattato l'obbligo dell'Opa visto che la quota acquisita era inferiore al 30 per cento del capitale. Insomma tutti gli altri a bocca asciutta. A cominciare dai fondi esteri che avevano creduto a Colaninno e ai suoi e che forse si sono legati al dito la nuova operazione.
Certo, Tronchetti e i suoi alleati (Benetton e poi Unicredito e Intesa Bci) hanno dovuto sborsare 14 mila miliardi per controllare la Telecom. Un buon prezzo, visto che lanciare un Opa avrebbe significato dover tirar fuori oltre 100 mila miliardi.
Ma i nuovi proprietari hanno trovato immutato il problema di Colaninno: l'indebitamento. Essere bravi industriali conta poco se le banche ti mangiano tutti i profitti. Tronchetti dopo l'acquisto ha fatto un solo annuncio: sono entrato in Telecom per restarci e dopo l'approvazione dell'operazione da parte delle autorità antitrust presenterò un adeguato piano industriale. Ragionamento corretto se non fosse che nel frattempo è stata annunciata la convocazione di un'assemblea dei soci Olivetti per delegare il cda ad aumentare il capitale della società che controlla la Telecom. Aumento, probabilmente, anzi sicuramente finanziato dall'abbattimento parziale dei debiti.
Della Olivetti Tronchetti possiede meno del 30%. Questo significa che se fosse deliberato un aumento di capitale di Olivetti di 20 mila miliardi, l'azionariato diffuso che dalla scalata Tronchetti non ha guadagnato una lira dovrebbe sborsare oltre 14 mila miliardi. Insomma lui comanda ed è il padrone, gli altri zitti e mani nelle tasche. Come meravigliarsi se il titolo sta crollando? Come fa Tronchetti ad accusare il mercato di troppa speculazione, come riportato sul Corriere della Sera di ieri?
La verità sembra un'altra: molti si sono stufati di essere strangolati e hanno deciso di dire basta alle angherie: anche a costo di rimetterci parecchi soldini hanno cominciato a vendere, lasciando solo Tronchetti Provera. Questa però è solo la prima ipotesi. La seconda è che il crollo delle azioni Olivetti potrebbe essere pilotato da mani amiche per alimentare il clima di sfiducia e convincere molti azionisti a non sottoscrivere l'aumento di capitale che sarà deliberato. In questo caso l'inoptato potrebbe essere sottoscritto dallo stesso da Tronchetti Provera (o da amici): la percentuale di controllo sull'Olivetti potrebbe salire a ben oltre la quota attuale, raggiungendo cioè il 40-50 per cento del capitale, blindando la società e senza l'obbligo di dover lanciare un'Opa.
Fantafinanza? Forse, ma non è da escludere. Terza ipotesi: a vendere attualmente non sono gli amici ma i nemici (il mondo ne è pieno soprattutto dopo il torto ricevuto con l'acquisto del 23 per cento di Olivetti passando attraverso Opa-Bell anziché attraverso il mercato). L'obiettivo sarebbe quello di far crollare le quotazioni per poi lanciare un'Opa a buon mercato che porterebbe alla guida di Telecom-Tim un nuovo proprietario. Fantafinanza, anche questa ipotesi? Probabilmente. Ma il cerchio a questo punto si chiude non resta che aspettare.
Voci sempre più insistenti di una prossima dichiarazione di fallimento della società Moulinex. Il gruppo italiano Elfi, principale azionista con il 74,3% del capitale dopo la fusione con Brandt, non sembra avere nessuna intenzione di mettere mano al portafoglio per rilanciare la società francese di piccoli elettrodomestici. Il comitato di fabbrica ha avuto un incontro con la direzione, nella sede sociale della Défense. Ma i sindacati affermano di non essere stati informati in modo corretto. Ufficialmente, difatti, si doveva parlare di "piano sociale", cioè di pesante ristrutturazione: 4mila posti di lavoro da tagliare, di cui 1.500 in Francia (la Moulinex ha una quindicina di stabilimenti, 8 in Francia, 2 in Spagna, 2 in Irlanda, 1 rispettivamente in Messico, Germania ed Egitto, e impiega circa 10mila persone).
Il governo Jospin sul modello del ministro dei trasporti, Jean-Claude Gayssot, che ha fatto pressione su alcune imprese pubbliche perché assumessero i licenziati della compagnia aerea Aom-Air Liberté in istanza di fallimento, anche il sottosegretario all'industria, Christian Pierret, ha chiesto ad alcune società di assumere i licenziati della Moulinex.
I lavoratori della Moulinex sono in agitazione. Da una decina di giorni sono occupati gli stabilimenti di Alencon e di Cormeilles. Ieri, Marc Blondel, segretario di Force ouvrière, ha annunciato che entro fine mese ci sarà uno sciopero generale.
Il delegato della Cfdt, Claude Renaud, accusa "la logica delle fusioni che è sempre nefasta per i dipendenti". La critica punta il dito sulla fusione tra un produttore di grossi elettrodomestici, Brandt, e uno di piccoli attrezzi, Moulinex, che ha spinto le banche che tradizionalmente lavoravano con Moulinex (Crédit lyonnais, Bnp, Société génerale) a diventare estremamente prudenti.
Per il delegato Cgt, Thierry Le Paon, che spera ancora in un nuovo acquirente che rilanci il noto marchio, "l'annuncio del fallimento è uno choc terribile per tutti i lavoratori e sarà catastrofico anche a livello commerciale". Ma il presidente Patrick Puy spera ancora: "Moulinex e Brandt con i loro prodotti sono dei gioielli e ieri come oggi hanno suscitato e susciteranno interesse".
Ieri circa duemila lavoratori su due turni, oltre la metà dei presenti in fabbrica, hanno partecipato alle assemblee indette dalla sola Fiom e hanno votato contro l'accordo separato siglato con l'azienda da Fim, Uilm e Fismic e contro la nuova organizzazione e i tempi di lavoro. Per la precisione, dei duemila presenti solo uno, all'assemblea del secondo turno, ha votato in disaccordo con le posizioni esposte dal gruppo dirigente della Fiom (presente anche il segretario generale, Claudio Sabattini). "Ci hanno impedito di svolgere un referendum sull'accordo separato - dicono i delegati Fiom - ma non possono impedire ai lavoratori di esprimere il proprio dissenso".
La Fiat, dicevano i lavoratori intervenuti alle assemblee, si gioca molte delle sue carte sulla scommessa Stilo, per sfondare in un settore di mercato dov'è debole, la fascia C. Ma "noi lavoratori ci giochiamo i nostri diritti, e i diritti sindacali in generale". L'azienda, dice la Fiom, ha lavorato per spaccare i sindacati e a dividere i lavoratori. L'accordo separato brucia ancora, e soprattutto non ha interrotto gli scioperi: due giorni fa è stata la volta della verniciatura, contro l'aumento dei carichi di lavoro. L'accettazione delle nuove condizioni di lavoro imposte dalla Fiat sono motivate da Fim e Uilm con la promessa di 800 nuove assunzioni, usate dall'azienda in modo ricattatorio, dicono però in casa Fiom: se vi bevete questa minestra altri 800 giovani entreranno in fabbrica, se non mollate sulla nuova metrica andremo a fare la Stilo in un altro stabilimento, più flessibile. Fatto sta che ancora non si sa che tipo di contratti di lavoro legherà gli 800 giovani alla Fiat, e in molti temono che saranno atipici.
Gli accordi separati non finiscono mai. Sempre a Cassino, il 30 luglio Fim e Uilm ne hanno firmato uno, ancora con la Fiat, per la precisione con la direzione Comau, dove sono stati introdotti i 20 turni settimanali contro la volontà, e la firma, della Fiom, i cui delegati stanno ora raccogliendo le firme per il referendum abrogativo e quelle per le dimissioni delle Rsu Comau, che hanno siglato un accordo senza la delega dei lavoratori.
Anche a Cassino l'autunno sarà caldo, e questo non farà piacere a chi ha fatto del tutto perché si scaldasse.
La vittoria sindacale degli operai di Puebla, che avevano ottenuto un aumento salariale del 10%, è durata 24 ore. La Volkswagen ha annunciato la prospettiva di cancellare il poderoso piano d'investimenti (un miliardo e mezzo di dollari, 3000 miliardi di lire) e di trasferire l'impresa in Asia. Avevano scioperato per 19 giorni i 12.500 dipendenti della maggiore industria automobilistica europea, strappando un aumento sulla busta paga, che equivale solo ad un modesto miglioramento del livello salariale. Ma per i dirigenti messicani della Volkswagen è stato troppo. In perfetta sintonia con le ricette di globalizzazione in voga, la società ha deciso di spostare gli impianti in Asia, dove non si aspettano grattacapi sindacali. Il vicepresidente della filiale di Città del Messico ha spiegato "diplomaticamente" la decisione: "Con due scioperi in meno di due anni, diventa molto difficile per l'amministrazione di questa impresa giustificare al consorzio l'investimento per il Messico".
La "Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro" ha reso noti i risultati della sua inchiesta sui problemi della salute sul lavoro. 21.500 lavoratori intervistati in tutti i paesi dell'Unione (con una popolazione attiva di 159 milioni di persone), rispettando anche le percentuali tra dipendenti (83%) e autonomi (17%). Il quadro che ne emerge è noto, incompatibile con gli slogan che si sentono pronunciare tutti i giorni da Confindustria e governo. Le cause primarie di danni alla salute dei lavoratori sono infatti: esposizione ai rischi fisici, intensificazione dei ritmi e flessibilità delle forme contrattuali. E' diretto il rapporto esistente tra precarie condizioni di salute e ripetitività delle mansioni; ma soprattutto con la forte intensità dei ritmi. Un quadro che non cambia in nulla l'analoga inchiesta condotta nel '95. I maschi con contratto a tempo indeterminato o interinale sono quelli più esposti a stress fisico, trasporto di carichi pesanti e in posizioni scomode. E' aumentata complessivamente l'intensità del lavoro e i periodi di massima velocità del lavoro rispetto alla quantità di tempo complessivo sul posto (per oltre il 50% degli intervistati). I lavoratori autonomi lavorano una media di 46 ore settimanali rispetto alle 36 e mezzo dei dipendenti. Solo le mansioni professionalmente elevate hanno un controllo vero del proprio lavoro e del modo di organizzarlo. Le donne, come in passato, sono ancora molto meno presenti degli uomini nei ruoli di responsabilità.
Qwest Communications ha annunciato il licenziamento di 5.000 dipendenti.
Il gigante dei pneumatici francese Michelin ha annunciato il taglio di 2.000 posti di lavoro in Usa, pari al 7% dell'intera forza lavoro negli Stati Uniti. La riduzione degli organici sarà completata entro il 2003.
OPEL taglierà 1.500 posti di lavoro nelle fabbriche di Ruesseksheim e Antwerp, in Germania. Opel e Gm vogliono ridurre la capacità produttiva del 15% per tornare in utile nel 2003.
I dati di Giugno forniti dall'ISTAT indicano ancora in calo l'occupazione nelle grandi imprese. Nell'industria è scesa del 2,7 per cento su base annua, con la perdita di 22mila posti di lavoro. Perdite a giugno anche per l'occupazione nei servizi dove la variazione su base annua è stata dello 0,6 per cento: 6.500 i posti cancellati. Secondo i dati dall'Istat, le variazioni congiunturali mostrano un leggero miglioramento dell'occupazione nelle grandi imprese industriali che, al netto della cassa integrazione guadagni, ha registrato un incremento dello 0,1 per cento rispetto allo scorso maggio.
Nelle grandi imprese dei servizi, invece, la variazione è stata negativa e pari allo 0,2 per cento, sempre al netto della cassa integrazione guadagni. I settori che in giugno hanno perso il maggior numero di posti sono quelli della produzione di energia elettrica, gas ed acqua con una flessione del 6,4 per cento, della fabbricazione di mezzi di trasporto con una diminuzione occupazionale del 4,5 per cento e dei trasporti, che hanno registrato una contrazione occupazionale del 4,0 per cento, a causa delle ampie ristrutturazioni.
La Ligabue conclude la sua esperienza come catering nell'aeroporto di Fiumicino con un fallimento, secondo la società, o una serrata secondo i lavoratori. Un'assemblea generale convocata da Cgil, Cisl e Uil discuterà la proposta di sciopero generale della categoria delle gestioni aeroportuali. Quello che una volta era l'universo Alitalia è diventata infatti una giungla di società "privatizzate" con un unico criterio: abbattere il costo del lavoro e annullare i diritti acquisiti dei lavoratori.
Da questo punto di vista la storia della Ligabue è un esempio da laboratorio. Il servizio catering (la preparazione del cibo che si mangia a bordo degli aerei) è stato fino al '97 garantito dagli Aeroporti di Roma, quindi da una società allora parastatale, su concessione dell'Enac. Buoni contratti, forti garanzie. Con l'avvio della privatizzazione il catering Ovest viene ceduto alla Ligabue, società di proprietà dell'omonimo ex eurodeputato del Ppi, poi passato con Forza Italia. Il passaggio non comporta mutamenti contrattuali e di diritti; lo garantisce un accordo tra Enac, sindacati e Ligabue firmato alla presenza dell'allora sottosegretario ai trasporti, Albertini. Per almeno dieci anni le condizioni rimarranno quelle, c'è scritto; poi si vedrà se il business dovrà tornare alla AdR o no.
Nel frattempo, però, la "liberalizzazione" del settore fa sorgere nuovi catering, con tutt'altre condizioni contrattuali e di lavoro. La Ligabue comincia a perdere commesse da parte della compagnie aeree, va in rosso e pretende di cedere i lavoratori in "esubero". Stante l'accordo del '97, nessuno dei "concorrenti" - che intanto fanno affari d'oro - vuole accollarseli: "costano troppo". Caduto il governo di centrosinistra ("che con una mano gestiva la concertazione, con l'altra dava via libera agli istinti animali del 'libero mercato'", dicono i lavoratori), Ligabue considera decaduto anche ogni accordo. E chiude. E l'Enac, il "garante" del servizio, il responsabile del "coordinamento e del controllo" del processo di privatizzazione non dice nulla perché anche l'Enac, infatti, non è più la società che manteneva un fragile compromesso tra il compito istituzionale (il controllo sul servizio: gli impianti del catering sono di proprietà dello stato, la Ligabue ha soltanto una sub-concessione) e quello della "soddisfazione degli azionisti", che vogliono solo contare i profitti. Lascia cadere proprio il compito istituzionale ovviamente. Alla Ligabue sono impiegate ancora 500 persone. Consapevoli di essere stati i corpi concreti di un esperimento su come abbassare costo del lavoro e diritti in un colpo solo. E con la benedizione di tutte le "concertazioni" di questo mondo. Una consapevolezza che dovrebbe aprire gli occhi a molti, fin dallo sciopero di tutti i catering di Fiumicino, martedì prossimo.
"Ho cominciato a lavorare in cantiere nel 1963. Ho sempre fatto il tubista. La polvere bianca era dappertutto, in banchina e a bordo. Lavoravamo senza protezioni. Ci pulivamo con l'aria compressa e le fibre volavano ovunque. Nel 1994 mi hanno diagnosticato le placche pleuriche. La Fincantieri non ha voluto riconoscermi la malattia e io sono dovuto tornare al lavoro. Alla fine sono andato in pensione con i miei contributi. Adesso chiedo almeno un riconoscimento. Non siamo carne da macello". Così diceva tre mesi fa Guido Tonzar, col dolore e il terrore di chi aspetta la morte dopo che, lavorando con l'amianto alla Fincantieri di Monfalcone (Gorizia), si era ammalato di mesotelioma, il terribile tumore della pleura che non lascia speranze. E infatti Tonzar è morto pochi giorni fa, in un ospedale non lontano dai cantieri, imbottito di morfina.
L'Associazione Esposti Amianto, con il Consorzio Culturale del monfalconese ha organizzato una serata per ricordare questo dramma, prodotto dal capitalismo. Alla serata di solidarietà con i lavoratori hanno partecipato Maurizio Camardi e la Kammer Ensamble, Ricky Gianco, Lella Costa e lo scrittore Massimo Carlotto che su questa vicenda sta scrivendo pagine importanti. Vittime di "un crimine di pace" come lo ha definito proprio Carlotto tempo fa, dopo un commovente incontro tra le madri di Plaza de Mayo e le vedove del monfalconese.
Lo racconta anche Alessandro Morena, autore di Polvere, un libro che documenta in modo scientifico una strage coperta da anni di silenzio colpevole. "Negli ultimi vent'anni - spiega Morena - nella fascia costiera tra Trieste e Monfalcone abbiamo avuto 600 casi di mesotelioma, dei quali 200 solo a Monfalcone. E negli ultimi otto mesi, cioè tra gennaio e agosto, ci sono stati 15 casi di morte".
Ma, secondo le statistiche, l'incidenza di questo tumore sulla popolazione locale risulta in salita almeno fino al 2020-2025, considerando i tempi di latenza del mesotelioma. Un tumore, peraltro, molto raro che, in situazioni di normalità, e in una città delle dimensioni di Monfalcone, dovrebbe colpire una persona ogni 17 anni.
Invece qui, in questa tranquilla cittadina che conta oggi circa 30.000 abitanti, i morti e gli ammalati si contano ormai quasi settimanalmente e il terrore comincia a diffondersi anche tra chi in cantiere non ha mai lavorato, ma ha, per esempio, lavato le tute degli operai al ritorno dal lavoro o semplicemente respirato l'aria che trasportava ovunque le minuscole particelle assassine. Tanto è vero che, aggiunge Morena, "si comincia a far chiarezza anche su altre patologie, come il tumore ai polmoni che, sempre in questa fascia di territorio e sempre negli ultimi vent'anni, ha causato altre 2000 morti, delle quali almeno il 60% attribuibili all'asbesto".
Cifre impressionanti che inducono il pensiero di una vera e propria strage, per la quale, purtroppo, oggi non resta che chiedere giustizia. E' quello che stanno cercando di fare le vedove che, dopo aver intentato cause civili individuali senza risultati, si sono riunite in un associazione presentando denuncia collettiva per "omicidio colposo plurimo, strage e omissione colposa di misure di sicurezza".
L’autunno della scuola si annuncia più rovente che mai. Sono numerosi i problemi irrisolti con cui si è aperto l’anno scolastico, dal salario dei docenti alla situazione dei precari, che si sommano ai nefasti progetti del governo, illustrati a Rimini dal ministro della Pubblica Istruzione Letizia Moratti, che mirano a consegnare l’istruzione in mano ai privati. I Cobas hanno proclamato uno sciopero per il 27 ottobre con manifestazione nazionale a Roma. Cgil Cisl Uil e Snals sembrano accontentarsi, invece, del ritorno al metodo concertativo. Tra i problemi posti, c’è n’è uno considerato "centrale dei prossimi mesi", vale a dire il rinnovo contrattuale di oltre un milione di dipendenti. L'obiettivo è l’equiparazione delle retribuzioni a quelle europee. Ma la questione è stata rimandata a tavoli di confronto specifici, così come la discussine sulle materie calde del personale Ata e dei dirigenti scolastici.
Molto fumo e niente arrosto, però, tra gli intenti concertativi dei sindacati confederali e quelli del ministero. A sottolinearlo è Piero Bernocchi, portavoce dei Cobas Scuola: "La ministra - dice Bernocchi - ha già esposto il suo programma ed è un programma di chi vuole privatizzare la scuola. Noi abbiamo comunque chiesto un incontro e la Moratti ci ha risposto come ci rispose Berlinguer a suo tempo, che per 4 anni non ci ha incontrato. Poi c’è stata la catastrofe del concorsaccio ed è stato costretto a lasciare il posto. Ecco perché per noi va dichiarato immediatamente lo sciopero". La piattaforma su cui il sindacato di base chiama alla lotta insieme lavoratori della scuola e movimenti antiliberisti è articolata in diversi punti: si scenderà in piazza contro la parità tra scuola pubblica e privata e per l’istituzione di scuole materne statali e elementari con il tempo pieno su tutto il territorio nazionale; contro la reintroduzione della divisione tra scuole di addestramento al mestiere private e licei, e per la cancellazione definitiva della riforma dei cicli (al suo posto: innalzamento a 18 anni dell’obbligo scolastico con biennio unico alle superiori e presalario per tutti gli studenti dopo i 16 anni). I Cobas dicono no alla divisione salariale in base al presunto merito e chiedono invece un salario europeo per docenti e Ata con anno sabbatico di aggiornamento. Altre richieste: no alla disgregazione regionale della scuola pubblica e 10mila miliardi in più nella finanziaria per le strutture e retribuzioni; ritiro del decreto che taglia 20mila posti Ata e assunzione stabile degli Lsu; non più di 20 alunni per classe; assunzione di tutti i precari sui posti vacanti e salario minimo garantito per i precari durante i periodi di non lavoro; no all’equiparazione del lavoro svolto nel privato con quello nella scuola pubblica; infine, restituzione del diritto di convocazione di assemblea alle organizzazione di base e ai lavoratori.
Non serve enfatizzare la morte di migliaia di persone, ma certo è interessante notare come anche nell'ambito del settore voli e sicurezza degli stessi, la privatizzazione e l'esternalizzazione delle risorse provoca danni, fino a favorire situazioni "esplosive", come quelle dell'11 settembre a New York. Ce lo ricorda, se ce ne fosse bisogno, Edward Luttwak, esperto americano di strategie militari che ha fornito una interessante spiegazione dei motivi del successo dell'azione alle torri gemelle, chiamando in causa la privatizzazione. Secondo Luttwak, una delle cose che non ha funzionato è stato il sistema di sicurezza negli aeroporti. E lo scadente funzionamento del sistema è dovuto al fatto che i servizi non sono gestiti direttamente dallo stato, bensì dati in appalto, secondo il criterio dell'outsourcing - la terziarizzazione, per dirlo con parole nostre. Il termine outsourcing usato da Luttwak è ora molto polare negli ambienti industriali italiani. Si riferisce al fatto che le imprese preferiscono rivolgersi all'esterno per procurarsi beni e servizi anziché produrli direttamente. Lo fanno le fabbriche in Italia. Lo fa lo stato americano che compra il servizio di sicurezza, anziché assumere direttamente alle sue dipendenze del personale da destinare a questa attività. Come si sa, in tutte le ditte appaltatrici i salari sono in generale molto modesti, molto più modesti che nelle grandi imprese e nel settore pubblico. L'outsurcing permette quindi un grande risparmio. I dipendenti delle ditte che forniscono il servizio di sicurezza sono in generale pagati con il minimum wage, il livello retributivo minimo fissato per legge. Luttwak faceva notare che i lavoratori occupati a quel salario e in quelle condizioni di lavoro sono scarsamente qualificati e scarsamente motivati. Perciò essi forniscono servizi di sicurezza scadenti. E questo può aver favorito il successo dell'azione terroristica. Quanto raccontato da Luttwak è da anni fatto notare dai lavoratori e dai sindacati di base dei servizi e del pubblico impiego. La questione che, oggi, tale problematica venga tirata fuori per giustificare l'insuccesso dei servizi di sicurezza USA ne rivela un uso strumentale, perchè si sofferma solo sul problema della sicurezza e della gestione della repressione da parte dello Stato, mentre non evidenzia che la deregolamentazione e l'esternalizzazione provocano in generale lavoratori demotivati, senza diritti e con bassi salari, con conseguente deperimento di servizi fondamentali come la sanità, i trasporti, l'energia ecc. In USA è in crescita la diffusione dei lavori scadenti e mal retribuiti, che danno luogo ai cosiddetti working poor, lavoratori poveri. Luttwak, per inciso, aggiungeva che in parte significativa questi lavoratori sono immigrati: gente che deve accettare per forza lavori non garantiti, sottopagati e privi di difesa sindacale. L'outsourcing, soprattutto nel settore statale, ha anche la funzione di contrastare i progressi dell'organizzazione sindacale, che negli ultimi anni aveva cominciato a svilupparsi in quest'area occupazionale. Negli USA si privatizza tutto, anche le prigioni: la deregolamentazione del mercato del lavoro e soprattutto i tagli al sistema di welfare hanno avuto con la presidenza di George W. Bush una forte accelerazione.
Nessun accordo tra i sindacati e le poste sui 9.000 esuberi. La trattativa, dopo 45 giorni, passa sul tavolo del governo. Si conclude con un nulla di fatto la prima fase della vertenza fra le parti, appena le poste notificheranno al ministero del lavoro il mancato accordo, scatteranno altri 30 giorni di tavolo negoziale. Se tra poco più di un mese non si troveranno soluzioni, l'azienda potrà decidere unilateralmente. I sindacati proclamano lo stato d'agitazione. Per risolvere definitivamente la questione degli esuberi, il sindacato propone (in base alla norma prevista dalla legge 223) l'obbligo di pensione, una volta raggiunto l'accordo fra le parti, per tutti quei lavoratori che ne hanno maturato il diritto secondo la legge Dini.
"Siamo un gruppo di lavoratori della Multiservizi spa, società a capitale pubblico partecipata dal Comune di Roma al 15%, dall’Ama al 36% e per il restante 49% da una azienda di servizi privata, la Mauntencoop in comproprietà con la società Veneta Servizi. [...] L’azienda, con 1.500 dipendenti, si occupa dei servizi di pulizia delle scuole comunali di Roma e dei cimiteri del Verano e di Prima Porta. Vogliamo denunciare [...] lo stato di abbandono e di disinteresse da parte della proprietà pubblica nella gestione dell’azienda lasciata in balìa del privato. Nei fatti, dopo un rinnovo del contratto nazionale di lavoro che vede un irrisorio aumento di 102.000 lire in due anni e senza una tantum, l’azienda ci chiede di effettuare turni "spezzati" nell’orario e nel luogo di operatività. Il lavoratore deve sostenere uno spostamento che dura anche un’ora e soprattutto a sue spese e che gli ruba, quell’ora, dal suo tempo libero. Inutile protestare. [...] i servizi nel cimitero del Verano, erano svolti da 80 lavoratori che ora sono stati ridotti a 21, di cui 8 part-time, e senza adeguamenti tecnologici. Nelle scuole poi dove l’azienda rinforzava con due unità il personale comunale al mancare dei bidelli ci si deve sobbarcare anche la copertura del loro lavoro senza alcun aiuto. Lamentiamo quindi anche la non quantificazione del carico di lavoro. E tutto questo è destinato a peggiorare perché sembra che l’importo finanziato a copertura dell’affidamento dei lavori per il prossimo 2002 ammonterà ad almeno il 20% in meno dell’attuale mantenendo al contempo lo stesso impegno sul carico operativo. Questo vuole dire che l’aggravio di impegno verrà scaricato come al solito sui lavoratori [...]. Si è creato così un clima di paura che ha costretto molti lavoratori a chinare la testa e sopportare i soprusi fino al punto di recarsi al lavoro con il busto ortopedico! e sì che il nostro lavoro non è certo leggero. E poi i nuovi lavoratori vengono assunti a tempo determinato: siccome le scuole sono operative solo 10 mesi perché contrattualizzarli per tutto l’anno? E in più dovranno accettare la condizione capestro del turno frazionato sia nel tempo che nel luogo. [...] Nel programma del sindaco era previsto l’impegno per il miglioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti capitolini sia quelli interni all’amministrazione comunale che quelli operanti all’interno delle società partecipate. Tuttavia la politica aziendale della Multiservizi spa sembra operare risparmi prevalentemente sulla pelle dei lavoratori mortificandone la professionalità. Ci siamo rivolti al sindacato ma non abbiamo avuto nemmeno la soddisfazione di poter incontrare la direzione dell’azienda, tantomeno l’indizione di alcuna iniziativa sindacale.
Il trasporto aereo conta negli Usa per il 10% del Pil. Il valore di borsa
delle compagnie aeree, già depresso prima dei dirottamenti, si è dimezzato
lunedì, alla riapertura di Wall Street, nonostante l'impegno a parole della
Casa bianca a sostenere il comparto. Per ritornare ai valori della vigilia
sarebbe stato necessario un raddoppio delle quotazioni. La riduzione dei corsi
azionari del 50% si riflette in una riduzione del 50% dei passeggeri. In una
normale fine settimana di settembre la compagnia Delta aveva 300.000 viaggiatori
al giorno.
L'elenco delle difficoltà del di fronte al settore riguarda in primo luogo le
perdite in vite e in mezzi; la conseguenza sarà l'invitabile rincaro dei premi
di assicurazione, per tutti. Vi è poi, fortissimo, il disamore del pubblico per
il mezzo aereo, dimostratosi tanto vulnerabile. Le previsioni indicano in non
meno di un semestre, forse in un anno, il recupero ai livelli di
passeggeri/chilometro precedenti l'attacco. Negli ultimi anni si era registrato
un aumento annuo del 5%; quest'anno mancherà. Un altro aspetto decisivo è il
rallentamento dei tempi di viaggio, in particolare di imbarco dei passeggeri. Si
prevede che verrà richiesta la presenza due ore prima del decollo, anche per i
voli interni che una volta, nei tempi felici prima dell'attentato, funzionavano
salendo a bordo all'ultimo momento, acquistando il biglietto. I viaggi, quelli
brevi soprattutto, gravati di attese in partenza e in arrivo, raddoppieranno i
tempi ai quali i viaggiatori sono abituati. Il controllo aumenta i tempi di
presenza degli aeromobili sui piazzali: anche la pulizia e le operazioni di
rifornimento, anche il catering, diventano occasioni di possibile terrorismo, da
controllare con cura. E si arriva così al punto dolente: la necessità di
assumere forza lavoro qualificata e sicura per svolgere mansioni di servizio a
terra, prima demandate a lavoratori marginali, a paga minima, spesso dipendenti
da società appaltatrici. E assumere proprio nel momento in cui - dicono le
compagnie - solo licenziando e tagliando i voli meno redditizi si sopravvive.
Così Continental Airlines ha un piano di licenziamenti per 12.000 lavoratori e
avverte di avere un debito in scadenza di 70 milioni che oggi non sa come
affrontare, Us Airways ne mette fuori 11.000, American Transair 1.500, Midway
Airlines chiude l'attività e manda tutti a casa. Delta assicura che terrà al
minimo i licenziamenti, pur tagliando del 20% i voli; è l'unica a mettere in
evidenza che occorrerà, nella nuova situazione assumere altro personale, per
controllare gli aerei in volo, oltre che a terra. Un caso rimbalza
dall'Australia. Chiude e licenzia 16 mila lavoratori Ansett, seconda compagnia
australiana a capitale neozelandese. I lavoratori bloccano tutto il traffico,
compresa Helen Clark, primo ministro neozelandese che non ha fatto niente per
evitare il disastro. Le relazioni tra Nuova Zelanda e Australia precipitano.
Qualcuno ricorderà il ruolo svolto da piloti ed equipaggi Ansett che vennero
affittati dall'Alitalia: si presentava così una forma anticipata di
globalizzazione; ma i lavoratori Alitalia non erano contenti di essere nell'onda
della storia.
Le compagnie aeree si sono presentate a Washington per battere cassa. Chiedono
24 miliardi di dollari, tutto compreso.
C'è aereo e aereo. Quelli civili volano bassissimi per le conseguenze delle
vicende nordamericana. Altri velivoli, invece, sembrerebbero avere un futuro
radioso lassù tra le nuvole. Sono quelli militari, naturalmente. Il pregio
della Fiat Avio è di essere specializzata in produzioni particolari, capaci di
soddisfare tanto l'aeronautica civile quanto quella militare. Per esempio le
pale delle eliche, o la scatola di ingranaggio degli elicotteri che fa andare le
pale. Poi, alla Fiat Avio importa poco se quell'elicottero servirà a spegnere
gli incendi, o a lanciare lacrimogeni sui manifestanti, o a bombardare i
villaggi kurdi e palestinesi. O se il Fla - aereo di trasporti di mezzi e truppe
- verrà utilizzato per portare in salvo i civili nei casi di calamità
naturali, o per sbarcare i marines nelle montagne afgane. Fatto sta che, vinca
l'economia di guerra o quella di pace, Fiat Avio cade sempre in piedi.
Da qualche mese, ciclicamente si parla di grandi alleanze internazionali in cui
sarebbe coinvolta la Fiat Avio - la società del gruppo torinese con i margini
migliori, il 13%, grazie a una produzione ad alto valore aggiunto - e le ultime
voci la darebbero addirittura sul punto di acquistare la Mtu, società
aerospaziale di cui la DaimlerChrysler vorrebbe liberarsi. Va rilevato che la
Mtu ha un fatturato maggiore della Avio (2,1 contro 1,5 miliardi di euro), ma
grazie al contributo della produzione di motori diesel che è già passata di
mano all'interno della stessa DaimlerChrysler.
Avio e Mtu hanno già costituito una piccola società comune per la produzione
di parti di motoristica del Fla, un aereo per il trasporto di mezzi e truppe
militari, un progetto a cui lavora anche la società pubblica francese (in via
di privatizzazione) Snecma. Con General Elettric, invece, la Avio produce
componenti del boeing 777. Una delle produzioni classiche dell'Avio è poi il
motore di un altro aereo militare, il G90. Senza dimenticare il consorzio
europeo per la il programma Efa, un cacciabombardiere per le Forze armate
tedesche, spagnole, inglesi e italiane: al programma, per l'Italia partecipa l'Alenia
e nel motore c'è lo zampino della Fiat Avio.
La prima privatizzazione italiana nel settore aereo è ora anche il primo
fallimento. La Ligabue, che nel 1997 aveva rilevato la più grande delle due
società di catering degli Aeroporti di Roma, sta per portare i libri in
tribunale. Ma nella forma del "concordato temporaneo", che potrebbe
far pensare a una manovra "terroristica": minacciare la chiusura per
ottenere l'"armonizzazione del contratto" Ligabue con quelli degli
altri catering aeroportuali. Ossia un 30% netto in meno in busta paga
(resterebbe ferma la paga-base, mentre le voci aggiuntive andrebbero
forfettizzate; per poi sparire al prossimo rinnovo contrattuale). I cinquecento
lavoratori hanno ricevuto le lettere di licenziamento e ieri mattina hanno
manifestato a Fiumicino, andando poi a "svegliare" le autorità
regionali, che fin qui avevano provato a lavarsene le mani. Il prefetto ha
convocato per il 20 alle 9,30 le parti sociali.
L'AdR tace. I patti sottoscritti al momento della
privatizzazione/esternalizzazione del catering prevedevano che l'azienda di
Fiumicino - poi finita nelle mani di Romiti - riassumesse i lavoratori nel caso
che l'operazione non fosse andata a buon fine. E pare evidente che, se nessuno
dei soggetti istituzionali (a partire dal ministero dei trasporti) si farà
sentire con sufficiente forza, l'AdR si guarderà bene dal fare una sola mossa.
Altrettanto sconcertante è il silenzio dell'Enac, che ha il compito
istituzionale di sorvegliare sul processo di privatizzazione nel settore. Deve
essere perché anche quest'ente è finito nel vortice dei
"privatizzati". Ma tutta la situazione dell'aeroporto sta per
diventare esplosiva. La Cgil ha proprio ieri denunciato che per le pulizie sta
per essere varato un bando "al massimo ribasso" (anche qui,
mediamente, pensano di arrivare a un 30% in meno sul costo del lavoro).
O il taglio di 400 posti di lavoro o il fallimento. Ai 600 dipendenti della
Postal Market l'aut aut il padrone Eugenio Filograna l'ha dettato ieri in
un'intervista a un quotidiano. Un comportamento spregiudicato in linea con il
personaggio. Nel '99, quando aveva acquistato l'azienda di vendite per
corrispondenza dalla tedesca Otto Versand, l'allora senatore
berlusconian-cossighiano aveva promesso mari e monti. Per due anni ha ottenuto
parecchia cassa integrazione in cambio di progetti megagalattici, tipo portare
la Postal Market nell'e-commerce e, addirittura, in Borsa. I progetti sono
miseramente abortiti e ora il conto Filograna lo presenta alle lavoratrici e ai
lavoratori.
Che le cose stessero volgendo al peggio i dipendenti, quasi tutte donne,
l'avevano capito dall'inizio di settembre. Nella sede della Postal Market di San
Bovio (nell'hinterland milanese) non ci sono merci nei magazzini, solo pile di
cataloghi non spediti. I fornitori non vengono pagati da mesi. I sindacati del
commercio, sentendo puzza di richiesta di stato d'insolvenza e d'amministrazione
straordinaria, avevano chiesto un incontro "chiarificatore" a
Filograna. L'hanno finalmente ottenuto per venerdì, dopo che le Rsu hanno
proclamato l'assemblea permanente. Con le dichiarazioni all'Avvenire, Filograna
ha "chiarito" in anticipo tenore e oggetto dell'incontro: il costo del
lavoro incide per 12 miliardi sulle perdite, "unica via di salvezza"
ridurre di due terzi l'occupazione, altrimenti lui porta i libri in tribunale. I
lavoratori respingono l'aut aut: con 200 addetti non sta in piedi nessuna
azienda di vendita per corrispondenza, a meno di terziarizzare tutto. D'altra
parte, se si arriverà all'amministrazione straordinaria, il potere decisionale
non sarà più di Filograna ma del commissario nominato dal tribunale. Filograna
ha le spalle coperte, anche se fallisce la Postal Market ha un avviato studio da
commercialista.
In undici anni Postal Market ha cambiato tre volte padrone. La formula delle
vendite per corrispondenza è sicuramente logora; si pensava di rinvigorirla
abbinandola all'e-commerce. Ma le vendite via internet hanno fatto flop ovunque.
Dovevano essere l'ancora di salvezza e, invece, sono state la botta definitiva.
Per questo è svanito l'accordo tra Postal Market e Flashmall, il più grande
supermarket virtuale di prodotti hi tech rimasto davvero virtuale.
Si chiamava Salvit e fino al '93 produceva a Bulciago (Lecco) pannelli di
cemento-amianto. Il potere mortifero dell'amianto si dispiega nel tempo, anche
quando le fabbriche sono chiuse da anni. Almeno cinque ex operai della Salvit
sarebbero morti per tumori causati dall'amianto. A questo danno già consumato,
se ne aggiunge un altro: cosa fare dei capannoni dismessi e dei 4.500 metri
quadrati dell'ex Salvit? Una società comasca intendeva comprare il tutto e
trasformarlo in polo artigianale-industriale. Ma l'Asl di Lecco ha bloccato
l'acquisto e il progetto. Oltre ai residui delle lavorazioni depositati su tutta
l'area, i capannoni sono fatti di cemento e amianto. La loro demolizione
provocherebbe la dispersione di una massiccia quantità di amianto. E già ora,
a lavori neppure iniziati, dai campionamenti risulta una percentuale d'amianto
superiore a quella consentita di una fibra per litro d'aria. Ce ne sono da tre a
sette per litro.
La Lombardia è piena di eredità velenose dell'industria chimica. Un mese fa è
tornato alla ribalta il caso della Caffaro di Brescia: pcb oltre le soglie
fissate dalla legge Ronchi in una zona vastissima del capoluogo. A Piancogno,
sempre in provincia di Brescia un caso Caffaro in miniatura, quello della Vi.Bi.
Anche qui pcb e metalli pesanti in concentrazioni fuori norma. A
Pioltello-Rodano, alle porte di Milano, la Sisas ha cessato l'attività da un
anno. Inquinava prima e inquina quasi di più ora. Ha smesso di succhiare acqua
per il ciclo produttivo, la falda si è alzata e rischia d'entrare in contatto
con i veleni accumulati nel terreno.
Gli operai dell'Ilva di Taranto hanno incrociato le braccia per un'ora e mezza, manifestando sulla statale Appia nei pressi del centro siderurgico, preoccupati per la possibile chiusura delle cocherie e per l'incerto futuro occupazionale. La Cisl di Taranto ribadisce così il suo "no" ad una contrapposizione tra ambiente ed occupazione e rilancia la necessità di una ricostruzione delle cockerie dell'Ilva.
Le ferrovie hanno annunciato i ritardi, richiamando la responsabilità di
"maestranze estranee alle Ferrovie": un annuncio offensivo nei
confronti dei lavoratori che per due ore hanno protestato su 6-7 binari della
principale stazione della capitale: i 300-400 manifestanti definiti più volte
"estranei", non erano altro che gli operai delle pulizie dei treni.
Quegli operai, in effetti, sono dipendenti di ditte che hanno i lavori di
pulizia in appalto, ma è anche vero che sono fondamentali per la buona riuscita
e la comodità dei viaggi sui treni Fs. Che in quanto a pulizia lasciano sempre
più a desiderare.
Gli operai delle pulizie dei treni sono circa 12 mila in tutta Italia. Ma
dall'anno prossimo rischiano di rimanere in 8 mila, perchè 4mila di loro
potrebbero perdere il posto di lavoro. Le Fs si sono messe in testa di
risparmiare a più non posso, e il nuovo bando di appalto per i lavori ha
tagliato il budget a disposizione da 700 miliardi a 470 miliardi. Insomma, il
30% di denaro in meno. E il 30% di operai che restano a casa: le lettere di
licenziamento sono già state spedite.
Il meccanismo è quello tristemente noto della "gara d'appalto al massimo
ribasso", che ancora oggi crea problemi a settori come quello edile, della
ristorazione o delle pulizie, ma che già la legge 327 del 2000 ha trasformato
in "offerta economicamente più vantaggiosa", con le relative tutele
per i lavoratori, come la valutazione del costo del lavoro e della sicurezza. Ma
evidentemente questo meccanismo costerebbe troppo alle Fs, che nel nuovo bando
non rispettano la clausola sociale del mantenimento dei posti di lavoro, dato
che hanno stanziato una cifra bassa, che si abbasserà ulteriormente con la
gara.
Anche se il Patto dei trasporti firmato nel 1998 e la stessa legge 327/2000 lo
impongono, le Fs nel bando non hanno indicato l'obbligo di applicare il
contratto dei servizi per le imprese di trasporto. Contratto che i lavoratori si
sono guadagnati nel maggio scorso dopo 4 anni di scioperi, e dopo aver accettato
un taglio delle paghe del 20%. Le aziende potranno così applicare contratti
meno remunerativi per i lavoratori, come quello delle imprese delle pulizie.
Ma come vengono puliti i treni Fs? Un operaio di 45 anni, da 25 "in
treno", spiega che un turno dura 7,36 ore. "Spesso le ditte che ci
danno lavoro non ci forniscono un'adeguata strumentazione per la sicurezza, e
così laviamo i bagni con acidi molto potenti, senza neppure le mascherine. Lo
stipendio, poi, si è notevolmente abbassato negli ultimi anni: il lordo prima
era sui 2 milioni, oggi è di 1 milione e settecentomila lire". "Prima
c'erano anche dei premi - aggiunge un altro operaio - e una squadra era composta
da 12 persone. Oggi per lavare 51 carrozze in un giorno, ci sono solo 5 persone.
Perciò ci limitiamo a spazzare e pulire i bagni, non possiamo usare gli
aspirapolveri o lavare gli scompartimenti. Ci manca il tempo".
Un nuovo appuntamento il 25 settembre, a Roma, per la manifestazione nazionale.
La carrozzeria Pininfarina, di proprietà dell'ex presidente di Federmeccanica, ha annunciato ai rappresentanti sindacali che per un anno bisognerà trovare una soluzione per almeno 500 lavoratori "in esubero" nei tre stabilimenti del gruppo. L'azienda torinese ritiene concluso il tentativo di dar vita al secondo polo torinese di produzione automobilistica, dopo la Fiat. Il sindacato ha chiesto impegni per evitare perdita di reddito e posti di lavoro. Nei prossimi giorni, Fim, Fiom e Uilm organizzeranno assemblee negli stabilimenti e tra un mese la trattativa.
Un'azienda di lavoro interinale italiana sotto accusa in Francia per
"violazione delle normative sul lavoro e per maltrattamento dei
dipendenti". L'Agroservizi di Bergamo si occupa d'intermediazione di
manodopera agricola nel nord e centro Italia, ma con alcuni appalti in Francia;
ora è sotto inchiesta per numerose violazioni delle leggi sugli appalti e delle
garanzie contrattuali. La procura francese di Digione ha chiesto il fermo di tre
funzionari dell'Agroservizi - E. B., P. L. e P. F. - in seguito alle denunce di
25 operai. Gli assunti, alcuni senza un regolare contratto, si erano rivolti
alla polizia locale. La compagnia aveva assicurato il pagamento della trasferta,
vitto e alloggio, ma sembra che gli accordi con le imprese agricole francesi
fossero in nero. In 50, costretti a turni massacranti (oltre 10 ore di lavoro
senza riconoscimento degli straordinari), fino a 150 km al giorno per
raggiungere i luoghi di lavoro, senza alloggio fisso, hanno scioperato per
quattro giorni solo per essere ascoltati. Dopo il ricovero in ospedale di Luigi
Mazzucchelli (il deperimento organico gli ha provocato un infarto) si sono
rivolti alle autorità locali e al consolato italiano. Attualmente i dipendenti,
abbandonati dalla società, sono stati costretti a rivolgersi alla Caritas e da
altre associazioni umanitarie. Già agli inizi di settembre l'ispettorato del
lavoro aveva ricevuto una denuncia da parte di alcuni operai. "Sono banditi
- ha affermato Giorgio Buso, un operaio dell'Agroservizi - mi hanno assunto
senza farmi firmare un regolare contratto, trattenendo il mio libretto di lavoro
e senza darmi alcuna garanzia". L'agenzia, che al momento conta oltre 600
operai e fornisce alle imprese agricole lavoro interinale tutto l'anno,
raccogliendo operai soprattutto al Sud e tra gli extracomunitari, è in grave
difficoltà.
L'ispettorato del lavoro di Bergamo ha dato il via alle indagini; sembra siano
numerose le denuncie in merito. Anche in Italia, infatti, i lavoratori sarebbero
costretti a dei ritmi massacranti. Giorgio Buso spiega che le condizioni di
lavoro erano "ai limiti dell'umano". Per i malcapitati l'iter era
sempre lo stesso: contratti irregolari, alloggi precari, orari di lavoro fuori
controllo, trasferte chilometriche per raggiungere i vigneti, praticamente a
digiuno. "Eravamo 60 e ci facevano bere quattro volte al giorno - racconta
Alessandro De Fusco, bloccato in Francia - da una tanica della benzina, tutti
nello stesso bicchiere ricavato da una bottiglia di plastica tagliata".
Molti operai annunciano battaglia, mentre si attendono gli sviluppi di una
vicenda indicativa di quali livelli abbia raggiunto la "flessibilità"
per i lavoratori agricoli nel 2001.
E' finita con cariche della polizia una manifestazione di "lavoratori socialmente utili" a Palermo, ieri mattina. Quanti sopravvivono con questo tipo di impiego, a Palermo, sono ben settemila. E i contratti sono perennemente in scadenza, vista anche la decisione governativa di ridurre progressivamente i fondi relativi. Oggetto della manifestazione era, come sempre, la "stabilizzazione" e la trasformazione del rapporto di lavoro in assunzione a tempo indeterminato. La regione Sicilia, invece, aveva trovato fondi una proroga di soli due mesi ai contratti con scadenza ottobre. Nella zona di via Notarbartolo, infine, le cariche e l'incendio di alcuni cassonetti della spazzatura. Il bilancio finale parla di sei lavoratori fermati.
I 110 lavoratori degli esercizi commerciali dello scalo romano sono in stato
d'agitazione da domenica scorsa, dopo l'annuncio da parte della Weitnauer Duty
Free Italia della messa in mobilità di 88 dipendenti.
Al centro del provvedimento non c'è, almeno per ora, la crisi del trasporto
aereo dovuta all'azione terroristica contro le torri gemelle di New York, bensì
la prossima scadenza delle licenze commerciali, in concessione dalla società
Aeroporti di Roma, per cinque dei nove esercizi commerciali dell'azienda
all'interno del Leonardo da Vinci.
L'assemblea dei lavoratori tenutasi sabato scorso ha deciso un primo pacchetto
di scioperi di novantasei ore - il primo di una lunghissima serie, annuncia il
segretario nazionale Sulta - così domenica i negozi sono rimasti chiusi e per
la settimana in corso sono previsti scioperi a singhiozzo.
Secondo il Sulta, soltanto con la chiusura di domenica scorsa la società ha
perso circa cento milioni, nonostante ufficialmente i dirigenti segnalino
addirittura dei guadagni, dovuti alla poca affluenza nei negozi a causa della
paura del terrorismo. I lavoratori non intendono accettare neanche la perdita di
un solo posto di lavoro nè di essere usati come ostaggi o mezzi di pressione
nel tira e molla della trattativa. Chiedono il ritiro immediato di questo
provvedimento.
La Duty Free Italia lavora all'aeroporto Leonardo da Vinci da circa venti anni.
Già due anni fa, in occasione del rinnovo delle licenze e di alcune modifiche
strutturali dell'aeroporto romano, aveva annunciato licenziamenti, mai attuati.
Gli operai delle pulizie dei treni scioperano con manifestazione nazionale
alle 9.30 in piazza della Croce Rossa, a Roma) contro i bandi di gara d'appalto
pubblicati dalle Fs che non prevedono nessun obbligo di rispetto della legge
327/2000 (ossia l'offerta deve risultare congrua rispetto al costo del lavoro
stabilito da apposite tabelle elaborate dal ministero del lavoro) nè fanno
riferimento al contratto collettivo di settore.
Cinquemila operai delle pulizie di treni e ferrovie hanno manifestato a Roma, in
piazza della Croce Rossa, di fronte al ministero dei trasporti e alla sede delle
Ferrovie. Molti laziali, altri hanno raggiunto Roma da Catania, Bolzano,
Catanzaro, Lecce, Genova, Napoli, Siracusa. E da tante altre città. Quasi la
metà del totale degli operai italiani - il settore ne conta in tutto 12 mila -
per presentare al governo e alle Fs le proprie difficoltà lavorative.
Difficoltà che si traducono immediatamente nella sporcizia di molti treni e
stazioni.
La stazione di Catania, raccontano gli operai siciliani, è fornita della
"platea" per il lavaggio, macchinario con pompe e spazzole che fa
risparmiare parecchia fatica, ma molti treni vengono puliti a Siracusa, dove
manca la platea e ci si deve adattare con secchi e spazzoloni. A Lecce, nel
turno notturno di 6 ore e 20 minuti, 7-8 lavoratori devono pulire la bellezza di
7 treni: 3 espressi da 16 carrozze ciascuno, e 4 eurostar da 9 e 11 carrozze. In
media, 1 operaio per 1 treno per 1 ora di lavoro. Nemmeno i robot potrebbero
tanto.
A Bari, si lavora in 4 per turno, e le mansioni si moltiplicano: oltre alle pulizie, il cambio delle batterie sotto i vagoni, dei cartellini di prenotazione sui posti e dei cartelli indicatori, la fornitura ai capitreno delle cassette di pronto soccorso, l'assistenza ai viaggiatori disabili.
Anche a Roma Tiburtina lamentano di essere in pochi a fare sempre più lavoro, con la stazione che resta aperta di notte senza che nessuno sia in turno.
Gli operai delle pulizie dei treni hanno un lordo su 1 milione e 750 mila lire, frutto di un contratto collettivo siglato nello scorso maggio e che ha già tagliato le paghe del 20% rispetto al passato.
La crisi del gruppo Moulinex-Brandt si sente anche in Italia: gli stabilimenti Ocean di Verolanuova (dove si producono frigoriferi) e di La Spezia (lavatrici) non lavorano da due settimane. Gli operai, riuniti ieri con i sindacati e i rappresentanti politici locali di Cdl, Ulivo e Rifondazione, hanno chiesto al governo un intervento a livello europeo, per evitare che ogni decisione sul futuro dei due stabilimenti venga presa soltanto in Francia. Inoltre, è stata costituita un'unità di crisi presieduta dal prefetto di Brescia.
Uccisi due operai di Potenza. L'episodio è avvenuto nella periferia della città lucana. I due operai stavano spalmando del catrame in un pozzo, e pare che siano stati avvelenati dalle esalazioni. Le due vittime, Mario Paterna, 29 anni, di Ruoti, e Giuseppe Nardozza, 33, di Potenza, sono arrivati già privi di vita in ospedale. Le indagini delle autorità dovranno stabilire se i due operai fossero dotati delle attrezzature di sicurezza necessarie per chi lavora con il catrame.
L'amministratore delegato di Alitalia Francesco Mengozzi ha fatto sapere che
il 28 settembre presenterà al Cda un piano di emergenza che prevede tagli
pesanti di dipendenti (2.500), aerei e rotte. Al governo, invece, chiederà il
via libera a una nuova ricapitaliazzazione. Il piano "lacrime e
sangue" ha soddisfatto solo Piazzaffari: ieri la contrattazione sui titoli
Alitalia (che in borsa capitalizza oltre 2 mila miliardi) è stata sospesa per
eccesso di rialzo dopo che nei giorni scorsi le azioni avevano perso quasi il
40%.
La società al 30 giugno presentava perdite consolidate di bilancio per oltre
500 miliardi ma sotto l'effetto della crisi del trasporto aereo provocata
dall'attentato alle torre gemelli, rischia di vedere esplodere le perdite.
Secondo i dati contenuti nel piano d'emergenza, nei prossimi sei mesi, da
ottobre a marzo 2002, senza interventi correttivi, sui conti della società si
abbatterebbero altri 700 miliardi di perdite. Obiettivo del piano di emergenza
è di ridurle di 300 miliardi.
I tagli prevedono l'esubero di almeno 2500 dipendenti, 900 tra il personale di
volo e 1.600 in quello di terra. Mingozzi, per addolcire la pillola, ha
sostenuto che non si tratta di veri e propri licenziamenti, ma di mancate
conferme: a essere allontanati saranno lavoratori con contratti a termine.
Attualmente in Alitalia sono occupati 2.692 lavoratori con contratto a termine
(1.697 unità di terra e 995 assistenti di volo). E' qui che saranno pescati gli
esuberi. Non dormono sonni tranquilli, però, i 1.251 impiegati e operai che
lavorano con contratti di formazione lavoro: anche per loro, nonostante il basso
costo del lavoro, c'è il rischio di una mancata conferma.
Il gruppo industriale statunitense Honeywell ha annunciato che taglierà altri 4 mila posti di lavoro, portando a 16 mila unità, pari al 13% dell'organico, la riduzione complessiva per l'intero 2001. L'amministratore delegato Lawrence Bossidy ha spiegato che verrà accantonato fino a un miliardo di dollari a carico dei conti del terzo trimestre per finanziare i tagli e la chiusura degli impianti.
Circa 5 mila lavoratori dell'Ilva di Taranto hanno partecipato a due cortei che sono partiti dalla zona industriale per arrivare al centro cittadino. Tra loro, moltissimi neoassunti. Il segretario nazionale della Fim, Giuseppe Farina, che ha parlato a nome dei tre sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil, ha detto che, sulla questione del danno ambientale causato dall'industria, "non è giusto contrapporre lavoratori e cittadini", essendo i primi "più esposti degli altri alle malattie causate dall'ambiente di lavoro".
Aperto il tavolo istituzionale che deve affrontare la chiusura della Ligabue, il catering dell'aeroporto di Fiumicino: prima privatizzazione italiana, ma anche il primo fallimento. Il prefetto di Roma, Giuseppe Romano, aveva convocato le parti, l'altro ieri sera. E aveva preso la decisione di pretendere la restituzione dei libri contabili depositati presso il tribunale fallimentare e riconsegnarli alla Aeroporti di Roma, che nel contratto di privatizzazione era il garante di ultima istanza per il mantenimento dei posti di lavoro. E' stato fissato un principio basilare: le direttive comunitarie non sono un obbligo. E, nella misura in cui lo sono, valgono anche quando vanno salvaguardate le garazie dei lavoratori (le privatizzazioni devono confermare i contratti in vigore all'atto del trapasso). Ora l'AdR ha 70 giorni di tepo per trovare un altro acquirente in grado di rispettare i termini del contratto. Nel frattempo i lavoratori manterranno lo stipendio. E comunque viene battuto il tentativo - posto in essere dal lungo silenzio della AdR, dell'Enac e della Regione - di lavarsene le mani.
Per quattro ore, gli impiegati e le commesse della Weitnauer duty free Italia dell'aeroporto di Fiumicino sono tornati a incrociare le braccia, abbassando senza preavviso le serrande di 9 duty free. Le proteste sono cominciate domenica scorsa, dopo che l'azienda ha annunciato la messa in mobilità di 88 dipendenti.
Circa 400 mila occupati in più in dodici mesi e 212 mila persone in cerca di
occupazione in meno: la sintesi dei dati diffusi ieri dall'Istat sulle forze di
lavoro in luglio è tutta in questi numeri. Sui quali spicca però quello sul
tasso di disoccupazione: è sceso al 9,2%, una percentuale che sottende 2,193
milioni donne e uomini in cerca di lavoro. In ogni caso, la percentuale è la
più bassa dal gennaio '93 e si confronta con un tasso del 10,1% del luglio
2000.
Spiega l'Istat: "La crescita su base annua dell'offerta di lavoro è
pressoché interamente dovuta alla componente femminile, aumentata
dell'1,8%" (ma il tasso di attività e quello di occupazione per le donne
sono ancora 20 punti più bassi di quelli maschili), mentre "la dinamica
dell'occupazione si è mantenuta relativamente più accentuata nel
Mezzogiorno", dove, tuttavia, il tasso di disoccupazione è più che doppio
rispetto al nazionale. L'incremento dell'offerta di lavoro emerge anche dal
confronto congiunturale (realizzato con dati destagionalizzati). Rispetto ad
aprile, l'occupazione è cresciuta dello 0,6% e le persone in cerca di
occupazione sono risultate l'1,1% in meno.
La crescita dell'occupazione (1,8% sul luglio dello scorso anno), quasi tutta
generata dal settore dei servizi, mostra "un rallentamento rispetto al
recente passato" e l'incremento ancorchè positivo è il più basso degli
ultimi 5 trimestri.
Secondo i dati non destagionalizzati, il totale delle forze di lavoro a luglio
ammontava a 23,906 milioni (180 mila persone in più rispetto al luglio 2000).
Di questi, 21,713 milioni sono gli occupati, 2,193 milioni i senza lavoro
(l'8,8% in meno rispetto a dodici mesi prima).
La crescita dell'occupazione è tutta spiegata dall'incremento nel settore dei
servizi, nel quale risultavano impiegati 13,697 milioni di lavoratori, 369 mila
(il 2,8%) più del 2000. L'industria in senso stretto (5,131 milioni),
sostanzialmente il settore manifatturiero, registra, invece, un decremento di 83
mila (1,6%) occupati. Positivo, al contrario, il trend del settore delle
costruzioni nel quale sono impiegate 1,740 milioni di persone, 98 mila in più
(il 6%) sul luglio dello scorso anno. Stabile l'agricoltura con 1,144 milioni di
occupati, lo 0,6%: un incremento, sottolinea l'Istat, in
"decelerazione" rispetto alle precedenti rilevazioni.
L'aumento dell'occupazione ha interessato soprattutto i lavoratori dipendenti,
saliti a 15.660 mila, 374 mila in più (il 2,4%)rispetto al luglio 2000. Di
questi, 13,122 milioni sono lavoratori a tempo pieno e indeterminato (+2,2%),
mentre 2,537 milioni sono lavoratori con contratto a termine o a tempo parziale
(+3,9%) dei quali 1,142 milioni (+6,3%) a tempo pieno, ma a termine. In
diminuzione, invece, il popolo dei superprecari: i lavoratori a termine e a
tempo parziale sono calati dell'1,3%, scendendo sotto la soglia del mezzo
milione. Complessivamente, i dipendenti a termine rappresentano il 10,5% del
totale, mentre quelli a tempo parziale l'8,9%. Per le donne e nel Mezzogiorno le
percentuali aumentano.
Quanto ai disoccupati, il 9,2% del tasso di disoccupazione è la media tra il 3,6% del Nord (1,9% a Bolzano e 3,1% nel Nord-est), il 7,1% del Centro (con le Marche attestate al 3,6%) e il 19% del Mezzogiorno, con punte del 24,4% in Calabria e del 22,3% in Sicilia. Sempre nel Mezzogiorno, il tasso di disoccupazione femminile giovanile (fino a 24 anni) è "sceso" al 60%, contro il 12,7% del Nord.
In tutto il mondo le compagnie aeree e le industrie aerospaziali hanno
annunciato ulteriori tagli di decine di migliaia di posti di lavoro in seguito
al crollo nel numero di passeggeri e l'aumento vertiginoso delle tariffe assicurative
causati dall'11 settembre. E' facile però capire che le società approfittino
del momento per attuare decisioni già prese da tempo, ma di difficile
realizzazione in tempi normali. Anche questo può essere considerato un fronte
di guerra, ed ecco l'elenco delle vittime: Delta Airlines, la terza compagnia
americana, ha annunciato il licenziamento di 13mila dipendenti e il taglio del
15 per cento dei voli. Con il che il crollo dell'occupazione del settore negli
Usa avrà colpito finora non meno di 100mila lavoratori. Ma c'è chi afferma
che, nonostante i 15 miliardi di dollari promessi da Bush, la carneficina non si
fermerà qui. Alla Boeing di Seattle il primo scaglione di 10mila licenziamenti
partirà il 14 dicembre. Lo ha annunciato ieri il portavoce del numero uno
mondiale dei produttori di aerei, che procederà a 30mila eliminazioni entro il
2002.
Nel vicino Canada, Air Canada e l'industria dell'aviazione civile canadese
Bombardier Inc. hanno annunciato il taglio di 8.800 posti di lavoro. Air Canada,
che cancellerà il 20% dei voli e si sbarazzerà di 84 velivoli, già un mese fa
aveva licenziato 4mila persone. Sempre in Canada, Transat At, l'operatore cui fa
capo Air Transat, ha annunciato martedì il taglio di 1.300 persone, il 28%
degli occupati.
Nella vecchia Europa, le cose non vanno meglio, anche se i numeri sembrano meno
devastanti. Swissair Group ha smentito a fatica il suo presidente, che aveva
preannunciato la bancarotta, già in ginocchio prima degli attacchi agli Stati
uniti. In Irlanda del nord, duemila posti sono svaniti alla fabbrica di aerei
Shorts. Un quarto di tutti i dipendenti. La scandinava Sas, che ha deciso di
tagliare il 12% della sua capacità, prevede invece di ridurre il personale di
800-1.000 unità.
La direzione della Fiat l'aveva preannunciato qualche settimana fa,
nell'incontro istituzionale con il sindacato sui programmi produttivi: se le
conseguenze dell'attacco alle Twin Towers ricadranno sul mercato dell'auto,
anche l'occupazione potrebbe risentirne. Detto fatto: ieri la multinazionale
torinese ha comunicato (per telefono!) ai sindacati la decisione di mettere in
cassa integrazione 20 mila lavoratori nella settimana tra il 22 e il 26 ottobre
e 14.500 in quella successiva. L'obiettivo della Fiat è di ridurre la
produzione di 30.000 vetture. Si prevede che l'unico stabilimento italiano che
non sarà interessato alla sospensione forzata è quello di Cassino, dove si
produce la Stilo. Gli stabilimenti più colpiti sono quelli torinesi e
napoletani.
Questa decisione sarebbe la conseguenza della caduta della domanda, valutata nel
mese di settembre tra il 5 e l'8%, secondo l'amministratore delegato di Fiat
Auto, Roberto Testore. Stime non lontane da quelle che circolano in Giappone e
negli Stati uniti. 20 mila lavoratori sono più della metà dei dipendenti
italiani di Fiat Auto: 34.000 oggi, nell'80 erano 148.000, falcidiati da
ristrutturazioni, aumento della produttività e terziarizzazioni. Ai 20 mila
cassintegrati diretti se ne aggiungeranno altre decine di migliaia nella
componentistica, da Tnt a Comau, alla costellazione di aziende che una volta
rientravano sotto la voce Marelli.
Gs, la catena italiana acquistata nello scorso anno dal colosso francese
Carrefour,comincia a mostrare un volto da multinazionale: sceglie il franchising
e la terziarizzazione, a spese dei dipendenti. Una delle decisioni più
contestate, è stata presa in questi giorni a Torino, dove la Carrefour dà
lavoro a oltre 3 mila persone, tra ipermercati, supermercati, ingrosso e i
cosiddetti "negozi di vicinato", ovvero i mini market sotto casa, con
una media anche di 2 o 3 addetti. Oggi, 22 dipendenti di sette "Dì per
Dì" Gs rischiano di perdere il lavoro, a causa del meccanismo del
franchising (ovvero della cessione del marchio "in affitto"). Presto,
questa politica potrebbe essere estesa a centinaia di piccoli negozi "poco
remunerativi" in tutta Italia, della Gs-Carrefour (che ne controlla circa
600) e di altre catene.
I 22 dipendenti in base alle norme sulla cessione di ramo aziendale devono
essere riassunti da chi rileva i negozi, si parla anzi di 'continuità
lavorativa'. Apparentemente, insomma, sono garantiti. Ma certamente verranno
licenziati entro pochi mesi: i sette negozi diventeranno singole imprese con
meno di 15 dipendenti, non sarà quindi più applicabile lo statuto dei
lavoratori e i dipendenti saranno licenziabili senza giusta causa. La loro
anzianità media è di 14 anni, c'è chi lavora in Gs anche da 30 anni:
costerebbero troppo a delle imprese familiari. Ai piccoli imprenditori conviene
molto di più la conduzione familiare, con al massimo qualche giovane
apprendista.
I lavoratori dei Dì per Dì hanno scioperato per protestare contro la
decisione.
Per un contratto equo, contro la guerra. L'assemblea nazionale dei delegati Fiom (oltre 6.000 presenti al palasport di Verona) ha indetto uno sciopero generale di categoria per 9 novembre, con una manifestazione a Roma che probabilmente raccoglierà l'adesione di altre categorie e di tutti coloro che si oppongono ai venti di guerra. L'organizzazione dei metalmeccanici della Cgil non si è lasciata bloccare dall'escalation militare e chiama i lavoratori a scendere in piazza per ottenere il rispetto della piattaforma contrattuale che intende salvaguardare il potere d'acquisto e i diritti dei metalmeccanici.
Sul conflitto internazionale in corso, la Fiom, condannando il terrorismo, sottolinea di opporsi a qualunque "tentazione di guerra": così la manifestazione del 9 novembre assume un carattere ancor più generale.
Torna in primo piano la questione sicurezza a Taranto, all'interno dell'Ilva, dove è morto Francesco Montervino, operaio di 46 anni, non dipendente Ilva, ma della "Ecologica". L'uomo stava sostituendo alcuni filtri nella centrale termoelettrica di proprietà della Edison, situata nell'area dell'Ilva, e sarebbe rimasto soffocato per l'esalazione di gas residuo. Il grave episodio si aggiunge a un altro incidente avvenuto due giorni fa nello stesso impianto: un altro operaio, Cosimo Acquaviva, di 30 anni, è caduto da un'impalcatura mentre stava compiendo un lavoro di sabbiatura, riportando diverse fratture.
La Disney, travolta dall'apocalisse dell'11 settembre, è in grave crisi e risente della caduta in Borsa più degli altri Studios. In seguito all'attacco dell'111 settembre, infatti, uno dei maggiori azionisti della major di Topolino ha venduto azioni per circa due miliardi di dollari facendo precipitare la situazione. Per risollevarsi, la Disney ha annunciato 2.000 licenziamenti supplementari, che si aggiungono ai 4.000 già decisi prima degli attentati. Come per altre società Usa in difficoltà, il crollo delle Twin Towers diventa una buona scusa per procedere a nuovi tagli, anche perché la debolezza della major, conseguenza della politica dissennata di Michael Eisner (responsabile del superflop Pearl Harbor) non è un fatto nuovo.