Con la mamma, il papà e l'amico genovese... "sdentato"
Fummo convogliati a Udine per
trascorrere quella che era chiamata "quarantena", una specie
di disinfestazione.
Fummo relegati in una grande
caserma fuori città; ci era proibita la libera uscita, non potevamo
avere nessun contatto con i civili, quasi fossimo dei lebbrosi.
In quel periodo, se ce n'era
ancora bisogno, finivamo di spidocchiarci e ci purgarono per bene. Ogni
sera, come rancio, c'era invariabilmente una gran gavetta di minestrone
col riso, di norma stracotto, che aveva uno strano sapore: ci mettevano
del sale amaro, purgativo. Ma mi servì: guarii così bene
dal mal di fegato per il quale ero stato rimpatriato che quando mi presentai
a Genova, all'Ospedale Militare, per la visita di controllo, mi spedirono
direttarnente al reggimento senza quella licenza di convalescenza nella
quale speravo.
Me ne importò ma non
píu di tanto. Avevo già rivisto i miei genitori che erano
venuti a trovarmi la domenica di Pasqua a Udine. Quel giorno, malgrado
la proibizione di uscire, la caserma si svuotò. I militari del corpo
di guardia all'ingresso non ebbero il coraggio di fermare le mamme, i papà,
i parenti che erano arrivati e che volevano uscire con i loro soldati tornati
dalla Russia.
Nella mia camerata era rimasto
solo il mio amico genovese, quello sdentato, che per quel giorno non aspettava
nessuno. Mia madre lo prese sottobraccio e lo portò con noi.
E fu quel giorno, mentre ogni
tanto papà si asciugava qualche lacrima di commozione e la mamma
ricominciava a farmi le solite raccomandazioni di sempre che sentii davvero
di essere ritornato a casa.