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DEMETRA

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DEMETRA che i Romani identificarono con la loro Cerere.

... la prima a dissodar le glebe coll'aratro insegnò; prima le biade i più soavi nutrimenti diede; a noi prima dè leggi; ed ogni cosa riconosciamo da lei.

(OVIDIO, Metamorfosi, V).

Demetra era dunque la dea della vegetazione, dei campi e dell'agricoltura. Che poi fosse considerata anche protettrice del viver civile, era una logica conseguenza, in quanto l'agricoltura rappresenta un grado superiore di civiltà rispetto alla precedente fase di caccia e pastorizia. In origine era però esclusivamente una divinità terrestre, come lo dimostra anche il suo nome Da Mater = Madre Da, in cui Da sembra una forma arcaica per ge = terra. (Qualcuno ritiene che il nome significhi invece madre dell'orzo, ma saremmo tentati di dire che il quadro non cambia). La parola da ritorna anche nel nome di Poseidone che potrebbe essere derivato da Poteidan = marito di Da; infatti Poseidone, come vedremo, era marito di Demetra, sia pure in forma alquanto irregolare.

Benchè certamente di origine preomerica, Demetra venne inserita nel sistema olimpico, diventando ufficialmente figlia di Crono e Rea e quindi sorella di Zeus. Ciò non impedì a Zeus di farla sua:

Poscia egli venne al letto di Deffietra altrice di molti, la quale partorì Persefone dalle bianche braccia. che a sua madre fu rapita da Ade.

Persefone si chiamò anche Kore, ma si ritiene che in origine fossero due personaggi distinti, che assieme ad Ecate avrebbero formato una trinità, ossia il triplice aspetto di Demetra stessa: Kore a rappresentare il grano in erba, Persefone la spiga matura ed Ecate il grano mietuto.

Da Zeus, Demetra ebbe anche lacco. Iacco non è che un'altra forma di Bacco. Bacco Dioniso entra infatti nella sfera di Demetra quale figlio di Persefone. Come abbiamo appena visto, Persefone non è che un'altra manifestazione di Demetra; quindi l'equazione Iacco Dioniso quadrerebbe.

Un altro amore di Demetra fu Giasione; potrebbe trattarsi di un Dattilo, come fa supporre il nome, ma le fonti non lo precisano. Da quell'unione nacque Pluto, dio della ricchezza.

Anche Demetra ai suoi tempi aveva corso dunque la cavallina. Ma i tempi della spensieratezza finirono, quando Plutone le rapì la figlia Persefone. Il dio degli inferi, innamoratosi della fanciulla, chiese a Zeus il permesso di sposarla. Zeus sapeva bene che Demetra non gli avrebbe mai perdonato se col suo consenso Persefone fosse scesa al Tartaro, ma d'altra parte non voleva contrariare il fratello Plutone dal carattere rancoroso e scorbutico. Per trarsi d'imbarazzo dichiarò che non era in grado nè di dare nè di negare il suo consenso. Plutone allora, sicuro della neutralità di Zeus, rapì Persefone mentre era intenta a cogliere fiori. Secondo l'Inno omerico, ciò avvenne nei pressi di Nisa in Beozia. Un'altra versione, fortemente accreditata, parla invece di Enna in Sicilia, senza contare numerosi altri luoghi che si contendevano quel privilegio.

Demetra udì da lontano il grido d'aiuto della figlia, ma arrivò troppo tardi, la terra si era già rinchiusa sopra Plutone e Persefone, e non v'era rimasta traccia del rapimento.

Pungolo acuto, l'angoscia le straziò il cuore; le [sue care mani lacerarono il velo sui capelli fragranti d'ambrosia, ambo le spalle poscia coprì con vesti scure, si precipitò sopra terre e mari, come san fare [gli uccelli, sempre cercando. Nessuno però volle darle no[tizie, nè dio alcuno, nè veruno degli uomini mortali. Per nove giorni Deo sovrana vagò per la terra, con nelle mani laci accese, sofferente ricusò l'ambrosia, disdegnò del nettare la bevanda dolce di miele, e mai non bagnò le membra, (Inno omerico a Denzetra).

Il terzo giorno aveva incontrato Ecate che, pur desiderosa di aiutarla, non potè darle notizie precise. Al decimo giorno, infine, Demetra si rivolse ad Elio, il Sole, che vedeva e sapeva tutto, ed Elio le raccontò come erano andate le cose; a mo' di consolazione aggiunse che non era il caso di disperarsi, visto che Plutone, sovrano di un terzo del mondo, era in fin dei conti un partito tutt'altro che disprezzabile. Dopo di che, con la scusa che il sole non poteva ritardare il suo corso, montò sul suo carro e se ne partì.

Demetra, ancora più addolorata di prima, non volle più tornare al consesso dei detestati dei. Assunse l'aspetto di donna anziana e vagò per i paesi degli uomini.

In quel frangente capitò l'episodio con Poseidone. Questi, che pure era fratello suo, s'invaghì di Demetra che, tesa com'era alla ricerca della figlia, aveva ben altro per la testa. Per sottrarsi alle insistenza dell'importuno Poseidone, si trasformò in giumenta e si mescolò fra la mandria di Onco, un figlio di Apollo che regnò su una parte dell'Arcadia. Ma Poseidone che di cavalli se n'intendeva - non per nulla era stato lui il creatore del cavallo - la riconobbe anche nel travestimento equino. Che dire? La montò, e da quell'unione nacquero la ninfa Despoina e il cavallo selvaggio Arione. Demetra rimase talmente furente che venne chiamata Demetra Erinni.

Dopo quell'íntermezzo spiacevole, Demetra giunse un giorno ad Eleusi. Affranta si sedette all'ombra di un ulivo vicino ad una fonte.

La videro le figlie di Celeo Elneusino, quando ad attingere vennero l'acqua sorgiva in vasi di bronzo per la cara casa paterna. Furono quattro: Callìdice e Cleisìdice, Demo piena di grazia, e Calliloe la maggiore. Come dee le fece apparire la fresca fanciullezza. Ma non la conobbero: difficilmente gli dèi si fanno scorgere dai mortali. (Inno omerico a Demetra).

Scambiandola per una balía asciutta, le ragazze proposero a Demetra di occuparsi del loro fratellino Demofoonte, nato tardi a Celeo e Metanira, sua sposa. Demetra accettò ed entrò nella casa di Celeo. Vedendola triste, la serva Giambe cercò di rallegrarla con i suoi motti e lazzi, e riuscì infine a renderla più serena. Allora Metanira, in segno di saluto, le porse un calice di vino, ma Demetra lo rifiutò chiedendo invece un bicchiere di acqua mista con orzo e resa fragrante con un po' di menta. E' questa un'allusione al divieto di bere vino cui gli iniziati al culto di Demetra dovevano sottostare.

Demetra prese dunque cura di Demofoonte

Prosperò come essere divino, ma non mangiò cibo nè succhiò latte. Demetra invero l'unse d'ambrosia come un dio bambino, lo strinse al seno e gli soffiò dolcemente nel faccino. Ogni notte però lo spinse, come se fosse tizzone, in mezzo al fuoco gagliardo.

 

Questo avrebbe conferito al bambino immortalità ed eterna giovinezza, e con questo dono Demetra avrebbe voluto ringraziare per la gentile accoglienza fattale. Ma una notte, Metanira sorprese Demetra, mentre stava facendo a Demofoonte quel trattamento termico, e si mise a gridare per lo spavento:

Demofoonte, figlio mio! nel fuoco ti getta la nostra straniera! Ahimè, che lutto e pianto!

A sentire queste parole, Demetra si risentì, tolse il bambino dalle fiamme e lo pose per terra. Indi, riassunte le sue sembianze divine, si fece riconoscere per Demetra. Diede della sciocca alla povera Metanira, perchè col suo intempestivo intervento aveva privato il figlio del dono dell'immortalità, e le fece sapere che desiderava che ad Elcusi le venisse costruito un tempio, dove avrebbe insegnato al popolo i sacri costumi. Detto ciò, uscì dalla casa di Celeo, lasciando Metanira svenuta per terra. Udendo il pianto del piccolo Demofoonte, le sorelle si precipitarono dalle loro camere, ma non riuscirono a calmarlo, dato che oramai non era più abituato a nutrici comuni.

Quando al mattino Celeo venne a sapere quanto era successo, ordinò subito ai suoi sudditi la costruzione del tempio. Finito che fu il sacrario, Demetra vi si ritirò, sempre ancora rattristata per la figlia scomparsa. Per forzare gli dèi a renderle giustizia, ricorse ad un espediente.

Mandò agli uomini un anno terribile e da cane sopra la terra nutrice di molti. Nessun seme [nel suolo germogliò; Demetra dai bei serti lo fece perire; invano i buoi tirarono sopra i campi i curvi aratri, inutile cadde nel solco la bianca semente.

(ibidem).

Infatti, quando Zeus si accorse che gli uomini non erano più in grado di sacrificare agli dèi i frutti della terra, pensò di venire a patti con Demetra. Spedì ad Elcusi Iride, la messaggera degli dèi, con l'invito a Demetra di ritornare fra gli dèi. Il tentativo fallì. Allora Zeus mandò, uno dopo l'altro, tutti gli dèi, ma Demetra non cedette: o le sarebbe stato concesso di riavere la figlia o, se no, niente ritorno all'Olímpo e niente frutti della terra.

Visto che era irremovibile, non restò altro a Zeus che cercare di convincere Plutone a rilasciare Persefone. Affidò questa delicata missione al più abile diplomatico fra gli dèi, ad Ermes, che infatti riuscì nell'intento. Plutone anzi mise a disposizione di Ermes il proprio carro d'oro tirato dai cavalli immortali, affinchè riconducesse Persefone a sua madre.

Finito il primo commosso abbraccio fra madre e figlia, Demetra chiese a Persefone, se per caso avesse assaggiato del cibo mentre si trovava nel regno dei morti, perchè se così fosse, non avrebbe potuto per sempre rimanere presso la madre e gli altri dèi, ma soltanto due terzi dell'anno, dovendo passare il rimanente terzo, ossia l'inverno, col suo sposo Plutone sotto terra. Infatti questi, astutamente, aveva fatto assaggiare a Persefone, prima che partisse, una melagrana. Ma Zeus, per prevenire complicazioni all'ultimo momento, mandò la madre Rea con la promessa di tutti gli onori possibili, e sulle dolci insistenza di Rea, Demetra si dichiarò soddisfatta e fece ricrescere i frutti della terra. Poi, onorando la promessa fatta, insegnò alla gente di Elcusi i misteri del suo culto, dopodichè Demetra e Persefone fecero finalmente ritorno all'Olimpo, donde Persefone ogni autunno si parte per ricongiungersi coi marito Plutone nel regno dei morti.

Anche di questo mito esistono altre varianti. Secondo una di queste, Demetra avrebbe avuto le notizie sul rapimento della figlia in Argo da Crisantide, moglie di Pelasgo, presso cui la dea aveva trovato gentile accoglienza.

Secondo gli Orffici, la consolazione di Demetra sarebbe avvenuta nel seguente modo: Nei 9 campi di Raro, a metà strada fra Atene ed Eleusi, Demetra avrebbe incontrato gente nata dalla terra: la donna Baubo (" ventre "), l'uomo Disaule e i loro figli Trittolemo, Eumolpo e Eubuleo che facevano rispettivamente il bovaro, il pecoraro e il porcaro. I maiali di Eubuleo sarebbero sprofondati nella stessa voragine, nella quale era scomparsa Persefone, e il ragazzo sarebbe quindi stato in grado di ragguagliare Demetra sul destino della figlia. Secondo altri invece sarebbe stato Trittolemo a informare la dea, ed essa, in segno di gratitudine, gli insegnò l'agricoltura e lo mandò per il mondo a portare il dono del pane agli uomini che non lo conoscevano ancora. Siccome il nome Trittolemo, che significa " triplice guerriero ", lascia supporre che si trattasse di un personaggio della cerchia di Ares (come del resto anche il figlio di Celeo, Demofoonte " l'uccisore del popolo "), la storia potrebbe anche essere un'allegoria del superamento dei selvaggi costumi dalla civiltà degli agricoltori. Sia come sia, Baubo accolse Demetra con gentilezza, e vedendola triste, la vo e consolare. Seduta a gambe divaricate di fronte a Demetra, alzò le sue vesti, ed ecco ridere dal suo grembo Isacco, il figlio divino di Persefone. Alla sua vista, Demetra si rasserenò. Ma qui, evidentemente, si sfiora già il campo delle speculazioni esoteriche dei misteri eleusini.

Oltre che ad Elcusi, si celebravano misteri di Demetra anche a Lerna. Per il culto della Demetra egizia v. Danao.

 

 


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