Blair lancia l'offensiva contro la sinistra Labour.

Luigi Vinci

Liberazione 26-11-1997

Nei giorni scorsi il Labour Party ha sospeso per un anno sei deputati nazionali e quattro parlamentari europei della sinistra del partito, tra i quali Ken Coates e altri parlamentari europei tra i più impegnati in iniziative istituzionali e di movimento contro la disoccupazione di massa nell'Unione Europea. Il motivo ufficiale della sospensione è nel rifiuto di questi compagni di attenersi a un nuovo "codice di disciplina" di partito che impedisce al parlamentare di eccedere a giornali che non siano quelli editi nella sua circoscrizione elettorale o di tenere iniziative pubbliche fuori da essa, senza il consenso delle istanze nazionali o delle circoscrizioni interessate del partito.

Ma nella sostanza questo codice intende colpire l'agibilità dei deputati della sinistra del Labour Party - a quelli legata a Tony Blair le istanze di partito concedono la più ampia libertà di movimento. Inoltre ben difficilmente un parlamentare che sia stato colpito da un provvedimento disciplinare sarà ricandidabile a prossime elezioni. Insomma la destra di Blair ha avviato la pulizia etnica nel partito.

E' prematuro ragionare sulla risposta politica che la sinistra del Labour Party darà. Il fatto che nel '99 la Gran Bretagna con ogni probabilità parteciperà alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo con metodo più o meno proporzionale induce ipotesi interessanti. Per adesso i compagni colpiti dalle sospensioni stanno usando le possibilità loro concesse dallo statuto di partito per difendersi.

Questi accadimenti, uniti ad altri dati, offrono lo spunto a riflessioni su come sta articolandosi il panorama politico europeo in questa fase di crisi della destra liberista. Essa sta sgombrando la posizione di governo già detenuta quasi ovunque (rimane oggi al governo solamente in Germania, dove tuttavia dovrà affrontare tra un anno elezioni difficilissime) e in Spagna. E quasi ovunque è sostituita al governo da coalizioni di centro-sinistra o di sinistra imperniate sulla socialdemocrazia. Le quali però palesano le attitudini di fondo più differenziate oltre a comprenderle nella loro interna dialettica: si va dunque dal semiliberismo di Blair al riformismo di Jospin, e in mezzo ci stanno le oscillazioni di Prodi.

E’ probabilmente dominante, a tutt'oggi, l'attitudine nella socialdemocrazia europea, e nei suoi dintorni quali l'Ulivo, a proseguire più che si può per la strada percorsa dai precedenti governi di destra liberista - pur ciò moderando in esposta ad aspettative della propria base elettorale e a sollecitazioni di sinistra interna. In pari tempo in una parte della socialdemocrazia europea appare una determinazione maggiore a rompere con il liberismo: in particolare sul versante delle modalità della costruzione europea. Ciò riflette le condizioni di crisi sociale e di più elevata capacità di mobilitazione dei lavoratori connesse alla ferocia delle politiche liberiste praticate in questi anni. Pertanto nella socialdemocrazia di molti paesi europei sempre meno si riesce a coabitare, anzi ormai - come testimoniano gli accadimenti del Labour Party - si è in guerra.

Il principale teatro di questo scontro è la Germania: che dunque anche sotto quest'aspetto rappresenta il paese nel quale nei prossimi tempi si deciderà del 70% delle sorti politiche e sociali dell'intera Unione Europea. Dove andranno il governo Prodi e il Pds di D'Alema dipenderà anche da questi processi. Per adesso, palesemente, si stanno barcamenando.