Documento-raccomandazione del Prc accolto dal governo

Agricoltura, il Prc invita a rilanciare il settore

F.R.

Liberazione 20 dicembre 1997

ROMA. Giornate febbrili in Parlamento. Le quote latte hanno messo a nudo le debolezze del settore agricolo, evidenziando cattive gestioni, complicità delle organizzazioni professionali di categoria, Coldiretti in testa, politiche più votate a considerare la terra come merce di scambio che non come ricchezza da sviluppare per il rilancio economico del Paese. Questo sistema, dove non sono mancate truffe ed imbrogli, aveva l'avallo di tutti, è stato incoraggiato dalla destra, dalla Dc (che, non dimentichiamolo, ha sempre considerato l’agricoltura un ricco serbatoio di voti - si diceva che la Coldiretti assicurasse alla Dc almeno trenta parlamentari -) e dal rampantismo socialista. La sinistra è stata spesso latitante, lasciando un vuoto tuttora difficile da colmare. Non è un caso che la Lega vuole tenere in pugno i Cobas del latte ribelli, per strumentalizzarne le richieste, e la destra vorrebbe far proprie le istanze degli agricoltori del Mezzogiorno.

Considerando che la situazione del settore agricolo del Paese versa in condizioni assai preoccupanti, tale da dar vita a manifestazioni ed episodi che il presidente Scalfato ha giudicato «da codice penale», i deputati di Rifondazione comunista, Malentacchi, Nardini e Muzio, hanno presentato un documento, accolto dal governo come raccomandazione, perché l'esecutivo si adoperi a tutto campo per il rilancio di questo settore primario. Ancora una volta è il lavoro, la sua tutela, la creazione di nuovi posti, l'elemento caratterizzante delle richieste del Prc, perché tale settore - si legge nel documento - se adeguatamente sostenuto, può costituire un volano dello sviluppo economico complessivo a livello nazionale e comunitario». Le questioni sul tappeto sono sì delicate, ma urge in ogni caso una risposta adeguata «in un arco di tempo ragionevole». Questo a significare che l'agricoltura non può più attendere: decenni di pessime gestioni hanno già prodotto abbastanza danni.

Rifondazione chiede con urgenza un impegno del governo per «stabilire con i livelli decisionali dell’Unione europea una discussione ed un confronto tesi ad individuare gli strumenti legislativi, finanziari ed ordinamentali attraverso i quali poter riportare l'aliquota Iva per alcuni prodotti agricoli, a cominciare dal vino, entro il 31 dicembre '98, ai livelli precedenti».

Discorso di ben maggiore ampiezza meriterebbero i prodotti "made in Italy", sicuramente di elevata qualità, ma bisognosi di una più estesa ed incisiva promozione e tutela. Non si tratta solo di salvaguardare l’originalità dei beni mediterranei, ma di renderli competitivi, sviluppando la «capacità produttiva e la commercializzazione».

Un capitolo a parte viene riservato alla Ribs, spesso identificata come l'Iri dell'agricoltura. La società pubblica per il risanamento agro-industriale ha bisogno di un intervento urgente che ne ridefinisca in termini chiari i «compiti e le funzioni» che a loro volta le consentano di intervenire in singole strutture di trasformazione di prodotti agricoli per un valore finanziario non super rive al 50% delle proprie risorse. Il restante 50% andrebbero utilizzate «per favorire ed incentivare i processi di consorziamento di imprese agroalimentari», finalizzate alla costituzione di marchi regionali ed interregionali; per una politica di ricerca e di recupero della varietà di semi autoctoni; e, ultimo, ma non meno importante, per arrivare ad avere prodotti esenti da residui tossici.

Agricoltura non è solo quote-latte o protesta delle olive, è anche, purtroppo, quella pagina nera chiamata Federconsorzi, il cui crack è ancora vivo nella memoria di molti operatori del settore. La liquidazione del colosso è stata affidata alla Sgr (un consorzio di banche) che ne ha acquisito il patrimonio, valutato in sedicimila miliardi, ma che oggi si trova in una spaventosa situazione debitoria. «Chiediamo di azzerare questa situazione - ha detto Giorgio Malentacchi - che per alcuni casi risale agli anni ‘60. Il governo si è impegnato a verificare e risanare. Noi lo prendiamo in parola». Alla base del dissesto, secondo le risultanze di un’indagine svolta da una commissione ministeriale, vi sarebbe una grave responsabilità dei vertici aziendali. Oggi, dissesto e liquidazione della Federconsorzi sono al centro di diversi procedimenti giudiziari in atto.

SCHEDA:

L’identikit.

In 15mila aderiscono ai comitati

I Cobas del latte si sono autocensiti e l'identikit che ne viene fuori è quello del contadino modello che passa almeno quattordici ore al giorno tra i campi, rispetta le norme (quindi non produce in eccedenza sulle quote attribuitegli), è strozzato dai debiti e possiede un'azienda di dimensioni familiari. Dimenticavamo: nessuno del Cobas - dicono loro - fa parte dei settemila indagati. Gli aderenti ai comitati spontanei degli allevatori sarebbero 15mila su 107mila. Un numero di poco superiore al 10%. I dati sono stati comunicati ieri dagli allevatori del presidio di Torrimpietra, alle porte di Roma, che in questi giorni sta diventando campo base di riferimento nazionale.

«Le aziende dei Cobas - ha spiegato Paolo, un allevatore di Modena - sono tutte soggette al super-prelievo, perché hanno fatturato tutto il latte prodotto e nessuna di esse ha commesso irregolarità». L'allevatore modenese ha detto che le aziende dei Cobas hanno da un minimo di venti ad oltre duecento capi di bestiame, con un fatturato che va da settanta milioni a un miliardo e mezzo di lire, solo per la vendita del latte, con un utile compreso tra il 3% e il 10%. «Ho un trattore che costa cento milioni - ha continuato Paolo -, ma per pagarlo ho un mutuo di 70 milioni».

Paolo ha spiegato di avere un’azienda di dieci ettari di estensione, con quaranta capi in lattazione (cioè, che producono latte da vendere). Un'azienda che vale dai due ai tre miliardi di lire tra immobili e bestiame e che fattura dalla vendita del latte da 300 a 350 milioni di lire lordi l'anno. Dice di essere stato soggetto ad un superprelievo dagli industriali di 108 milioni di lire. «Ho bisogno di altri 40 ettari di terreno - ha aggiunto - per i quali pago un affitto. Alla fine riesco ad avere un utile netto di 50 milioni di lire l'anno».