Cossutta: La politica esige il confronto

Giampiero Timossi

Liberazione 21 ottobre 1997

AQUI TERME. C'è una nebbia che sembra fumo. Di buona mattina resta immobile a mezz'aria, nasconde il cielo, non capisci se questa domenica di mezzo ottobre avrà pioggia o sole. Acqui Terme, sta tra Piemonte e Liguria, in confini che cambiano dietro ogni curva. La sua gente vive nel mezzo alla pianura. Dicono: «Abbiamo il sole in faccia rare volte. II resto è pioggia che ci bagna». Mica basta, perché qui la Lega Nord ha anche alzato una delle sue roccaforti: la più becera, giurano in molti.

Quattro anni fa il Carroccio ha eletto Bernardino Bosio. E lui, riconoscente, è riuscito a dedicare una piazza alle «gesta di piazza San Marco». Quindi, assillato dall'incubo albanesi, ha pensato di recintare la cittadella con il filo spillato. Faceva sul "serio", perché il filo spinato l’ha messo abncio. Infine, ma pago come ogni buon celtico, ha fissato una taglia su ogni albanese "clandestino" presente ad Acqui.

Anche questa è Acqui, antica città di acque calde e consolidata vocazione agricola. La gente si sveglia di buon'ora, sette giorni su sette. L’appuntamento, questa domenica di inizio autunno, è nel salone delle Nuove Terme. Ore 9,30 esatte. Cossutta arriva alle 9. C'è da parlare di razzismo. Ma non solo. C'è da districare un passato recentissimo. Un pensiero maturato nei giorni della crisi, nelle frenetiche riunioni istituzionali, nei contatti giocati con le lancette dell'orologio. Un pensiero che il presidente di Rifondazione ha in testa da parecchi giorni, convinto che ogni compagno debba sapere. Capire la rottura e quello che è venuto dopo. Insomma, qualche cosa in più di un sassolino. Il filo di un discorso perso nelle nebbie di mille attacchi.

«Vorrei ci chiedessero scusa», dice asciutto Cossutta. Non parla delle posizioni diverse maturate nei gironi della crisi, ma degli attacchi a tutto campo partiti dopo il no alla Finanziaria. E’ indirizzato alla Rai, l'attacco più forte «Perché il servizio radiotelevisivo è pubblico. E perché senza il nostro voto in Parlamento, la Rai non avrebbe questo dirigenti».

Dunque cacciar via le nebbie. Spiegare cosa è successo a chi, domenica mattina, riempie il salone elegante e decadente delle Nuove Terme. Spiegare a "bocce ferme", direbbero qui nel basso Piemonte. «Si è conclusa, in un modo che credo positivo, una crisi politica acuta, acutissima dice Cossutta - che si è manifestata con la posizione critica di Rifondazione comunista. Con le dimissioni di Prodi e del suo Governo. E poi con la possibilità di stabilire un accordo. L'accordo sulla base del quale si è ricomposta la maggioranza, anche in termini diversi e nuovi. Per la prima volta i capigruppo alla Camera e al Senato del nostro partito hanno messo la loro firma a fianco della firma dei capigruppo dell'Ulivo a sostegno del Governo. Nel passato noi votavamo per il Governo, ma la nostra firma non c'era, perché non facevamo parte dell'Ulivo e ancor oggi non ne facciamo parte. Ma ci sentiamo dopo l'accordo che abbiamo siglato parte più forte, più consapevole, più partecipe, di questa maggioranza».

Dunque il passaggio c’è stato. E il presidente comunista spiega il percorso fatto. Con metodo e precisione, incurante di un microfono che fa le bizze. «Abbiamo cercato di indicare al Paese delle priorità. Esigenze vere, problemi veri. Abbiamo fatto il nostro dovere. Bisogna che ci si metta in mente che con Rifondazione occorre una consultazione permanente. Bisogna discutere insieme, sempre e continuamente. Non c'è altra strada, l'Ulivo non ha una maggioranza, non ce l'ha. Per avere la maggioranza ha bisogno dei voti di Rifondazione. Ma Rifondazione comunista e l'Ulivo sono due cose diverse. Non contrapposte ma diverse. Perché abbiamo programmi diversi: non contrapposti, ma non coincidenti».

Allora bisogna interrogarsi sul percorso da seguire: «Qual è la strada. Quella della reciproca possibilità di comprensione, d'intesa. E' scritto come primo punto di quest'accordo: una consultazione permanente con Rifondazione. Non una nostra presenza nel governo, è una fuga in avanti. E’ una richiesta che non ha fondamento. Non abbiamo una pregiudiziale contro la partecipazione al governo della cosa pubblica. Ma quando ci entriamo in un locale, regionale o nazionale è perché c’è un accordo reale, perché c'è una concordanza programmatica vera. Come si fa quando sulla scuola abbiamo posizioni diverse, sulla giustizia posizioni diverse, su certi aspetti di politica estera abbiamo posizioni diverse, così come sulle posizioni economiche che sono fondamentali. No non è così che si fa. Noi abbiamo il senso di responsabilità».

Ma come si è arrivati all’accordo, senza fughe in avanti? «Siamo riusciti ad eliminare alcuni dei ticket più odiosi, non ancora tutti. Questo lo abbiamo ribadito e ce l'abbiamo fatta. Così come sulle pensioni di anzianità che sono una conquista». Punto per punto, «senza chiedere la luna nel pozzo», ma senza cedimenti. Così sulla riduzione dell'orario di lavoro: 35 ore a parità di salario. «Quante battaglie dovremo ancora sostenere; c'è chi ci ha dato una mano, Oltralpe, è Jospin». Ma restano gli attacchi di Confindustria, «basterebbe fosse meno meschina».E, sulle 35 ore, risuonano le obiezioni dei sindacati. E Cossutta si toglie qualche altro sassolino. «Non le capisco - dice - sul "Sole 24 Ore" D’Antoni dice di esser contro una legge delle 35 ore. Certo, deve essere frutto della contrattazione e dell'azione dei sindacati. Sissignori, ma non c'è contrasto. Perché - rivolto ai sindacati - vedete in modo cosi assurdo il fatto che si possa avere una legge sulle 35 ore? Ma non è un modo per aiutare la lotta dei lavoratori? Oppure, caro D’Antoni, sei preso da un ira nei nostri confronti perché abbiamo saputo fare meglio di te, attraverso il nostro lavoro e la nostra caparbia? E avete fatto un accordo con il governo, sapendo che non c'era l’accordo con Rifondazione comunista. Non si fa così la politica, la politica deve tenere conto delle sue regole: la politica esige il confronto, la lotta nella società. Ma deve ricevere anche l'intervento legislativo. La legge finanziaria non la firmano i sindacati e la Confindustria con il governo: la vota il parlamento. E in parlamento, caro D’Antoni, noi siamo determinanti».

Per oggi può bastare. Ad Acqui spunta il sole. Sarà certo un caso.