Comitato Politico Nazionale 22/23 novembre 1997
Sintesi delle conclusioni di Fausto Bertinotti |
Care compagne e cari compagni, vi ringrazio in modo tutt'altro che formale per l'impegno che avete profuso nella discussione e nell'ascolto degli interventi in queste due intense giornate. Concludiamo quindi una riunione del nostro Cpn assai rilevante e significativa per il tenore degli interventi e delle questioni trattate. Lo facciamo presentando un documento conclusivo molto chiaro, che sceglie nettamente una linea da portare avanti per l'intero partito.
Sarebbe però ipocrita non registrare che questa nostra riunione apre una nuova fase anche nel partito. Sono state proposte, con accenti e proposizioni diversificate, pratiche e scelte tra loro differenti. Questo comporta la necessità di coniugare, all'interno della maggioranza congressuale, la pratica dell'unità e quella di una ricerca aperta su una articolazione di posizioni che concernono essenzialmente il rapporto tra il partito e la società. Armando Cossutta ha parlato di mettere fine alla pratica della delega nei confronti del segretario. Va bene, sono d'accordo, anche se, per la verità, non mi pare si sia mai verificato questo eccesso di delega. Comunque sia è una sollecitazione che va comunque accolta e allora bisogna istruire un dibattito sulle divergenze, sui diversi elementi di analisi, in merito ai rapporti tra il partito e la società, e che riguardano il futuro della nostra politica.
Intanto, però, e fatti salvi i dissensi espliciti che qui si sono manifestati, c'è una scelta di linea, che va portata avanti.
Quale è la questione principale su cui ruotano le differenze che si sono evidenziate? Essa verte sul cosa sarebbe successo se non fossimo riusciti a raggiungere un'intesa con il governo. Qui c'è, ancora oggi, diversità di valutazioni, che in nuce contengono diverse analisi sulla capacità nostra di creare consenso e sul rapporto con la società.
La mia opinione è che se non fosse maturato un accordo nuovo e più avanzato con il governo, il nostro partito avrebbe potuto e dovuto fare una scelta di autonomia non impossibile. Se, al contrario, avessimo accettato quanto il Presidente del Consiglio aveva detto in Parlamento il 9 ottobre, noi saremmo rimasti imprigionati in una logica vischiosa. Abbiamo assistito, come ho detto nella relazione introduttiva, all'esercizio di un potente meccanismo di consenso al governo. In parte questo si è potuto espletare perché è diffusa una necessità di trasformazione e in questo caso l'esercizio del governo è concepito come rafforzamento in questa direzione. Ma è emerso largamente anche un tratto puramente subalterno, che vede questo governo come un limite invalicabile e la stabilità come un bene in sé. Io penso che se le motivazioni che apportiamo hanno la forza per reggere, questo limite può essere valicato senza essere travolti nel nostro rapporto con gli elettori e con le masse.
Noi dobbiamo certamente approfondire la nostra discussione sull'esito elettorale amministrativo di novembre. Ma certi giudizi che qui ho sentito mi paiono ingiusti e liquidatori. Nella relazione ho fornito un giudizio sintetico ma articolato. Ho parlato di diversità tra il voto per le provinciali, il voto per le città del centro-nord, il pesante arretramento nel mezzogiorno. Perché allora oscurare o cancellare il risultato delle provinciali. A primavera tutti noi lo avevamo messo in luce con giusta sottolineatura, perché ora dimenticarsene?
Dalla grande manifestazione di Roma, passando per l'esito elettorale del collegio senatoriale del Mugello, fino alle recenti elezioni amministrative, si vede bene la capacità di tenuta del nostro partito, insieme ad una incapacità di un forte avanzamento sul terreno elettorale. Ma questo è altra cosa che parlare di sconfitta o di tracollo. Cerchiamo allora di analizzare bene i dati: oggi un giornale romano riporta le prime considerazioni sui flussi. Ci dovrebbero fare riflettere. Dal Pds ci arriva un 6% di voti, mentre non ne cediamo a questo partito, ma soprattutto il 20% dei nostri voti va verso l'astensione. Non abbiamo perciò perso sulla nostra destra, ma probabilmente tra coloro cui non è bastata, malgrado i risultati, la nostra determinazione nel contrasto con la maggioranza.
Questi elementi Ci devono costringere a ragionare a 360° gradi. Dobbiamo ragionare meglio sul nostro radicamento, sulla necessità e la possibilità della ricostruzione di un blocco sociale che sostenga una prospettiva di alternativa. Proprio per questo dobbiamo sapere contemperare la libertà di ricerca con la condivisione delle scelte e la loro pratica.
Noi oggi cogliamo la possibilità dell'aprirsi di una nuova fase. Senza l'apertura della crisi questa possibilità non esisterebbe neppure. Ora dobbiamo trasformare i risultati potenziali in risultati concreti e politici. Certamente c'è bisogno di avanzare delle piattaforme programmatiche, ma il punto di partenza è l'intesa che abbiamo raggiunto con il governo. Da lì dobbiamo partire per riempirla di contenuti forti. Quale proposta concreta di legge avanziamo sulla riduzione d'orario? La costruiamo, a partire da quanto finora abbiamo detto, dal dibattito e dalle esperienze internazionali e interne che vi sono in questo campo. Certamente sulla salute bisogna andare oltre la questione, pure importante, dei ticket. Come sulla scuola bisogna discutere del ruolo di un intervento e un servizio pubblico profondamente riformati.
Dentro questa nuova fase permane il problema della difesa della nostra autonomia. C'è il rischio che si ricrei una situazione e un assetto avversi allo sviluppo di una volontà riformatrice. Noi vogliamo evitare la rottura con il centrosinistra. Ma questo esito è tutt'altro che scontato e ovvio. Il compagno Caponi in sostanza ha detto che non si poteva assolutamente porre con questa forza un problema di contenuti, perché questo non era supportato da una capacità di ottenere consenso tra la gente. La compagna Salvato ha parlato di domanda di trasformazione. Vorrei osservare che quella domanda ha un carattere duale. Da un lato c'è la domanda di soddisfacimento di bisogni reali, dall'altro vi sono i processi di modernizzazione capitalistica.
Dobbiamo sapere distinguere tra le due cose. In base a questa distinzione dobbiamo avere il coraggio di compiere atti e passaggi politici, come la rottura del quadro politico, sapendo che possiamo incrociare la domanda irrisolta di bisogni, mentre andiamo in uno scontro frontale con I processi di modernizzazione capitalistica e il sistema di consenso che essi cercano di creare attorno a se.
La ricerca dell'unità è iscritta geneticamente nella nostra stessa natura. Non è quindi vero che la rottura sia un esito voluto, però questa può essere iscritta nella nostra analisi dei fatti, e in ogni caso non può essere considerata come una soluzione comunque impossibile. Noi dobbiamo mantenere ben ferma la critica alle forme da molti auspicate di bipolarismo perfetto che soffocano le differenze, che negano in radice le ragioni dell'alternativa in favore di quelle dell'alternanza. Dobbiamo difendere come una ricchezza per tutti la diversità del nostro programma con quello del centrosinistra e naturalmente promuovere attivamente il confronto.
Dobbiamo mettere nel conto che si possono verificare situazioni in cui è la maggioranza stessa che stabilisce una incompatibilità tra la sua azione e l'affermazione, pur in una sincera ricerca unitaria, della nostra identità. Nell'anno passato ci siamo proposti il compito di difendere le condizioni dei lavoratori, dei pensionati, dei cittadini. Abbiamo ottenuto risultati importanti che ci hanno permesso di andare avanti. Abbiamo bisogno di proporre delle cose in positivo. Ma se non c'è agibilità della nostra autonomia è impossibile farlo, e ne va della stessa democrazia nel nostro paese.
Il punto cruciale è rappresentato dalla nostra capacità di fare proposte incisive. Questo gruppo dirigente si è speso in questa direzione, era necessario farlo, proprio perché i movimenti da soli non ce la fanno. Come diceva Engels il programma è una bandiera piantata nella testa della gente. Così ci siamo mossi, avanzando bandiere, terreni di identificazione sociale, proposte emblematiche. Lo abbiamo fatto sulle pensioni, sulle tassazione dei Bot riuscendo a parlare anche ai giovani. Così abbiamo fatto sulla riduzione dell'orario di lavoro.
Chi ha più e migliori proposte di merito le avanzi. Lunica cosa che non si può fare è stare a guardare e poi criticare. L'inchiesta sulle condizioni di lavoro e di non lavoro è davvero importante per il nostro radicamento e per fornire spunti programmatici. Il campo delle proposte è dunque aperto: che cento fiori fioriscano. Su questa base avanziamo al governo proposte che spostino avanti l'asse del suo orientamento e della sua pratica.
Ma il terreno più difficile rimane quello della nostra iniziativa di massa e verso il mondo del lavoro. Sulla scena del mondo gli operai, i lavoratori manuali non solo non spariscono ma aumentano. Ci è perfettamente chiara una dimensione di classe. Noi stessi ci poniamo, e anche con successo, di renderla evidente. Ma da qui a passare all'organizzare i lavoratori nei luoghi di lavoro il passo è tanto necessario quanto arduo e complesso. Le lavoratrici e i lavoratori si sentono spesso esposti e indifesi. Chiamarli allorganizzazione e all'attività esplicita non è semplice. Ciononostante stiamo lavorando per linsediamento del partito nei luoghi di lavoro, ma incontrando precisamente tutte queste difficoltà.
Cosi come ci siamo posti il problema della nostra presenza negli organismi di massa
In tutti, nessuno escluso, e non nella forma della lottizzazione, ma almeno della presenza, utilizzando a questo fine tutte le strade, compreso quelle diplomatiche. Abbiamo iniziato un lavoro verso i ceti medi, verso i lavoratori agricoli, verso gli artigiani. Ma lo facciamo con coerenza verso le nostre posizioni generali, quindi ovviamente evitando di ammiccare all'evasione fiscale.
Non c'è ragione per contrapporre il vecchio al nuovo. Penso che sia giusto esplorare tutte le strade per realizzare, per cosi dire, forme di insediamento classico del nostro partito tra le masse popolari, anche se non solo. Vediamo un problema grave, quello della nostra presenza nel sindacato. Dobbiamo veder la questione anche in relazione al quadro europeo. In Francia i sindacati raggiungono solo il 7% della popolazione lavorativa. Il comportamento delle Comisiones Obreras in Spagna è diventato uno dei principali problemi per Izquierda Unida. In Inghilterra il sindacato ha subito colpi violentissimi. In Germania vi è la grande esperienza dell'IG Metal, ma l'insieme del sindacato è sotto il tiro del padronato e del governo. Abbiamo perciò in Europa un unico problema, quello della ricostruzione di un sindacalismo di classe, che si presenta con caratteri ovviamente diversi a seconda delle situazioni.
Qualcuno pensa di risolvere il problema promuovendo una scissione nella Cgil? Si sappia che sono nettamente contrario. Noi dobbiamo continuare la strada che abbiamo iniziato. Siamo arrivati ad un punto difficile delle nostra esperienza in questo campo. Ma allora partiamo dal pluralismo esistente, anche dalle diverse opzioni di comportamento sindacale che ci sono tra i nostri compagni nella Cgil, per ricostruire un'ampia sinistra sindacale. E' cosa difficilissima, ma assolutamente necessaria. Ricompaiono luoghi e momenti di lotta sindacale e sociale estremamente significativi, dalla questione dell'Olivetti, a quella della Piaggio, a quella delle Ferrovie dello Stato a quella delle Poste e delle Telecomunicazioni. In tutti questi punti è in discussione l'occupazione e il futuro industriale, tecnologico e civile del paese. Investiamo in queste lotte di resistenza e di progetto . Partiamo da qui per creare forme di sindacalismo di base, cioè attori concreti del conflitto. Tanto più che l'obiettivo della nostra critica alla politica prevalente nel sindacato è stato individuato ed evidenziato anche dai fatti: è la pratica della concertazione; che inevitabilmente porta ad una caduta e a una perdita dell'autonomia.
In altri campi come quello dell'intervento nel mondo giovanile, cui è dedicata la prossima importante conferenza nazionale, conosciamo insieme difficoltà e enormi potenzialità. I giovani vengono numerosi alle nostre manifestazioni, perché sentono e vogliono esprimere in modo forte il loro senso di appartenenza ai nostri ideali. Ma resta non facile poi organizzarli, chiamarli ad una militanza comune, che trasformi la realtà e allo stesso tempo il nostro partito.
Abbiamo aperto una interlocuzione molto positiva con il mondo cattolico, anche con i rappresentanti ufficiali della Chiesa. Quando mai avete visto un cardinale a una festa di Liberazione, cioè di un giornale comunista? Ma anche questo dialogo, al quale non intendiamo rinunciare, incontra degli ostacoli, che non poseranno nascondere. Il problema del finanziamento alla scuola privata cattolica, rappresenta una divisione forte con questo mondo, ma noi non possiamo mettere da parte questioni di principio che riguardano la nostra idea di società.
E' stato affermato in alcuni interventi che c'è bisogno di maggiore democrazia interna al partito. E' comunque vero. Di democrazia non ve ne è mai abbastanza. In Direzione avevamo deciso, nelle ore della crisi, di andare ad una consultazione diretta degli iscritti, fatta nei circoli, in forme aperte ai non iscritti. Oggettivamente non ve ne è stato il tempo, ma quella idea nelle forme e nei modi da decidere, dovrà essere ripresa, perché noi dobbiamo riuscire a dare direttamente voce agli iscritti, dobbiamo fare pesare la loro volontà. Nel nostro partito non vi è alcuna negazione del principio: una testa un voto. Mi paiono esagerate le critiche al riguardo. Quando questo semplice principio liberale fu negato nel sindacato, assieme a tanti compagni che oggi sono qui costruimmo l'esperienza di Essere Sindacato e demmo battaglia aperta sulla questione della democrazia. Il punto però oggi, nel nostro partito, mi pare francamente un altro. Va favorita in ogni modo lespressione libera di tutte e di tutti. Ognuno può e deve esprimere il proprio dissenso, ma accompagnandolo dalla presa di responsabilità di avanzare altre proposte, altri documenti, se necessario, altre linee. L'unità del gruppo dirigente sulle scelte che poi nella discussione prevalgono è un bene essenziale cui non possiamo rinunciare.