L'interesse della Germania è quello d'imporre una linea monetarista che porti a una drastica riduzione dei deficit pubblici, con l'eliminazione dello stato sociale

Se la Bundesbank non vuole l'euro

Nico Perrone

Liberazione 22 aprile 1997

Le regole di Maastricht furono largamente influenzate dalla Germania, e in particolare dalla sua banca centrale, la Bundesbank. Regole monetarie che di proposito mettevano da parte una delle dimensioni essenziali e originarie del progetto europeo: quella del lavoro. Fu proprio il capo della delegazione italiana, Guido Carli, politico e finanziere d’impostazione liberale, ma forse non liberista a oltranza - com’è stata la linea che ha travolto tutto - a battersi, per quel che poté, nel corso delle trattative che portarono al trattato di Maastricht, affinché si tenesse conto anche dei parametri sociali.

Ma il punto di vista sostenuto dalla Germania prevalse e impose un regresso della prospettiva europea che era stata segnata dal trattato della CEE. Restava tuttavia un’interrogativo, che nessuno si è mai adeguatamente impegnato di chiarire: come potesse la Bundesbank - che della propria moneta ha un culto che sovrappone a qualsiasi altro valore - rinunciare all’autonomia e alla forza del marco, per cedere il campo a una moneta unica, sia pure gestita da una banca centrale europea fortemente influenzata dalla banca tedesca. C’erano una forte ragione d’immagine - nazionale e monetaria - e una solida tradizione finanziaria da tutelare: quella che fa gravitare tante monete europee (inanzi tutto l’indebitato franco belga) sotto l’influenza e la protezione della Germania.

Ora quell’interrogativo incomincia a chiarirsi. L’interesse della Germania è quello d’imporre una linea monetarista che porti a una drastica riduzione dei deficit e dei debiti pubblici dei singoli paesi, che si attua attraverso la progressiva eliminazione dello stato sociale. La riduzione del deficit e del debito pubblico dà maggiore stabilità alle monete e ai sistemi economici, e questo rende più programmabili e gestibili le grandi operazioni finanziarie internazionali. Mentre la compressione dello stato sociale, oltre a contribuire fortemente a quegli stessi fini, apre spazi enormi all’iniziativa delle assicurazioni e delle finaziarie private - che in Germania hanno dimensioni enormi e quindi necessità di sbocco -, con le connesse operazioni speculative.

L’avere imposto disegni di questo genere ai paesi più deboli - innanzi tutto all’Italia, della quale molto infastidiva anche il protagonismo nelle vicende economiche e in quelle internazionali - è servito a preparare il mercato nel quale i leaders - Germania, ma anche Francia - potranno operare con maggiore profitto e sicurezza.

Ora salta fuori che, nei primi tre mesi di quest’anno, il deficit di bilancio tedesco avrebbe superato di 40 miliardi di marchi (circa 40 mila miliardi di lire: una sciocchezza, che equivale a una "manovrina" nostrana) la soglia di sicurezza. Basterebbe che la Bundesbank attenuasse soltanto la sua politica di difesa a oltranza dei tassi d’interesse, per recuperare, mediante l’incremento delle imposte che verrebbe dall’aumento degli investimenti e quindi del prodotto interno, quella piccola differenza. Ma questo deficit torna comodo proprio alla Bundesbank, perché altri mettano in discussione l’intero progetto della moneta unica.

Il risultato sarebbe quello di avviare un processo per rallentare - o mandare a monte - la moneta unica: salvando il marco nella pienezza del suo potere. Anche questo è un gioco che ci viene imposto dall’esterno. Ma non è detto che non possa avere la sua utilità, per rilanciare - anche con la forza delle lotte operaie che attraversano l’intera Europa - una nuova trattativa che non sia appiattita più sulla moneta, ma ci riporti al disegno originario di un’Europa che abbia un suo comune denominatore sociale, accanto a quello degli scambi e della moneta.