SE MANCA IL PROGETTO

pagine a cura di Paolo Repetto e Fabio Sebastiani

Liberazione 29 ottobre 1997

Liberazione ha organizzato un Forum con alcuni dirigenti sindacali su alcune domande cruciali per i prossimi mesi: Può la Cgil tornare a fare politica? O si lascerà "prosciugare" dalle sacche di una concertazione che sta ormai chiudendo disastrosamente il suo primo ciclo di vita? Quali opportunità si aprono per le varie anime critiche della Cgil?

 

Il sindacato confederale, ed in particolare le sensibilità più critiche all'interno della Cgil, si interrogano sulla definizione del sistema di regole sociali alle soglie del terzo millennio. Così, Liberazione ha riunito intorno ad un tavolo Mario Agostinelli, segretario Cgil Lombardia, Giorgio Cremaschi, segretario Fiom Piemonte, Ferruccio Danini, coordinatore nazionale dell’Area programmatica dei comunisti Cgil nonché presidente del comitato direttivo dell'organizzazione, Paolo Nerozzi, segretario della Funzione pubblica e Giampaolo Patta della segreteria nazionale Cgil e leader dell'area programmatica di Alternativa sindacale. Insieme, hanno cercato di fare il punto sullo stato della Cgil, sui suoi limiti nella pratica contrattuale, sul grave deficit di democrazia interna. Ognuno è partito dal proprio punto di osservazione, ma Liberazione ha tentato di volgere lo sguardo in avanti; affinché le sensibilità critiche che popolano la confederazione si guardino "dentro", nella prospettiva di avviare un percorso comune. Perché, davvero, non c’è tempo da perdere.

Liberazione: Cominciamo da una veloce analisi di fase. La legge sull’orario di lavoro introduce di forza il tema delle 35 ore nel dibattito sindacale. E le parti sociali rilanciano la riedizione del "patto tra produttori".

Agostinelli: lo credo che in molti non ci sia la percezione esatta del cambio netto di fase che stiamo vivendo: siamo infatti alla conclusione del risanamento e alla definizione di una prospettiva, per coniugare i caratteri del risanamento con quelli dello sviluppo. Una conclusione nel segno dell'equità - per non scaricare sul lavoro i costi del "cambiamento" - aprirebbe quella prospettiva. C'è, insomma, una grande contiguità tra il modo in cui si chiude questa fase - oggetto dello scontro che ha portato alla crisi di governo - e l'immediato futuro. Mi sembra che la percezione di questa mutazione non sia stata colta neanche dalla Cgil, che vive come separate la fase della conclusione sulla Finanziaria e l'innesto di una battaglia sulla riduzione dell'orario di lavoro. Io credo, invece, che le due questioni siano collegate. A questa conclusione sono arrivati anche tantissimi nostri rappresentanti nelle fabbriche e in tutti i luoghi di lavoro. Infatti, la reazione all'apertura della crisi è stata caratterizzata da preoccupazione, più di quanto fosse accaduto nei gruppi dirigenti, dei partiti e dei sindacati: e un'altra volta ancora si è avuta la dimostrazione dell'impossibilità di separare i processi sociali dalla politica.

Abbiamo poi anche verificato come il nodo dello stato sociale sia stato affrontato con un certo ritardo: la mancanza di una piattaforma rappresenta la grande insicurezza del sindacato sulle modalità con cui affrontare questo nodo; alla fine è stato affrontato con l'obiettivo di "limitare i danni" mentre si poteva provare a collegare manovre di natura strutturale con la fase nuova. Tra l'altro, la scomparsa dall'orizzonte della consultazione dei lavoratori è la cartina di tornasole della crisi profonda: in sostanza, non essere in grado di uscire da questa stretta, chiedendo ai lavoratori un patto di solidarietà, per costruire la mediazione e fare un passo avanti senza cosi rifluire su risposte di natura corporativa, è il segno di una grande incertezza. Siamo un grado di recuperare? Non lo so. Ma andare al confronto col governo senza una piattaforma è un autentico arretramento dopo che il 20 settembre, con quella grande manifestazione, avevamo cercato di dare un'identità solidale al sindacato. E se prevale l'atteggiamento difensivo, come temo, si capisce anche perché si dia una lettura riduttiva alla questione dell'orario, nel momento in cui dovrebbe essere il sindacato a rivendicare la legge, affinché le parti sociali la possano in seguito riempire di contenuti.

Cremaschi: In questi mesi abbiamo supplito, con le assemblee, ad un vuoto di iniziativa unitaria e confederale. Siamo di fronte al fatto che da settembre ad oggi, almeno nelle regioni del nord, tutta la discussione di merito sullo stato sociale non è arrivata nei luoghi di lavoro. Ma al di là della nostra supplenza - che serve a mantenere un rapporto coi lavoratori - va detto che il dialogo con la nostra gente avviene attraverso la televisione. Così, rischiamo davvero un corto circuito della struttura sindacale e anche io penso che il processo di crisi sia profondo. Ma vorrei anche sottolineare che mi rifiuto di considerare casuale ciò che sta avvenendo. Se manca la piattaforma sul welfare, ciò non è dovuto ad un errore: credo che la piattaforma non c’è stata perché con questa impostazione non ci poteva essere Non si è costruita un'ipotesi unitaria; e ciò è accaduto perché la linea prevalente del sindacato confederale, sui temi di cui stiamo parlando, è una linea di carattere emendativo. Tutto deve avvenire in quadro pre-determinato. E il nodo di fondo è che assistiamo ad un ingessamento dell’iniziativa del sindacato rispetto al cambio di velocità della politica in Italia e in Europa.

Qui va in crisi la prassi concreta del sindacato, sviluppatasi lungo gli anni '80 approdando alla concertazione di inizio anni '90: la mia impressione è che, nel sindacalismo confederale, si assista ad un atteggiamento conservatore che richiama le risposte del sindacato americano degli anni '30: questi, di fronte a Roosvelt che interveniva sul rapporto di lavoro, lo accusava di mettere il naso in vicende di stretta competenza sindacale. Peraltro, assistiamo ad un cambiamento di segno della concertazione: io la difendo, se intesa come ruolo di grande soggettività democratica del sindacato; ma ho l'impressione che si voglia passare ad un modello di concertazione di tipo corporativo. In cui Confindustria e sindacati definiscono prima le reciproche compatibilità, per poi sottoporle al governo. Siamo, insomma, arrivati al bivio: servono scelte in avanti, piattaforme sociali e rivendicative, per decidere se diventare un sindacato che organizza il sociale e ricostruisce una sua strategia del Conflitto sociale, o se arretrare verso l'aziendalismo.

Patta: Esprimo intanto la mia soddisfazione per come si è conclusa la crisi di governo, e non stiamo parlando di un fatto contingente. Credo infatti che le due sinistre esistano, e siano condannate ad essere o insieme al governo, oppure insieme all'opposizione. II quadro europeo, peraltro, è in movimento: siamo vicini alla fine del ventennio liberista e la rottura dell'asse Bonn-Parigi porta la Francia a cercarsi uno spazio suo, indicando un programma sociale alternativo. Il gruppo dirigente confederale non è convinte che ci troviamo di fronte a questo dato e ragiona forse ancora intorno ad un quadro politico più fragile; e di conseguenza non è capace di fare delle scelte. Leggo così l'intervento, in piena crisi, a favore delle elezioni e lo sbandamento seguito all’accordo tra Prc e governo.

Bisogna, allora, che le organizzazioni sindacali riconquistino un ruolo contrattuale nel nuovo quadro politico, terminando il lavoro sulla piattaforma su tante questioni decisive ancora da definire. Su queste si deve aprire un rapporto coi lavoratori, per gestire la partita complessa delle 35 ore, che richiama il rapporto con l'organizzazione del lavoro, il "sommerso" e la competitività. Sull'orario, era preferibile un'ipotesi tutta sindacale - come le due mozioni congressuali Cgil ipotizzavano - ma il nostro ritardo è stato terribile, e di fronte ai costi della disoccupazione un governo che si rispetti doveva dire la sua. Ora si aprirà il dibattito sulla concertazione - la quale non potrà più avvenire come prima, ed è un fatto positivo - ma ciò non significa che il sindacato sia costretto ad una riduzione del suo peso nel quadro generale. Bisognerà piuttosto trovare forme nuove.

Danini: Il ragionamento fatto finora dimostra la crisi di proposta del sindacalismo confederale. Dobbiamo riflettere sulla ragione per cui non si è arrivati alla piattaforma sullo stato sociale, e sul perché non si è avviata la consultazione nei luoghi di lavoro. Riguardo alla finanziaria, se non si raggiunge un’intesa nel giro di pochi giorni, il governo presenterà la settimana prossima il maxi-emendamento sui 4mila miliardi di tagli allo stato sociale; il sindacato aveva chiesto alla maggioranza di avanzare una sua proposta, e si è trattato forse del riflesso condizionato rispetto al "patto per il lavoro". All'epoca si era, infatti, raggiunta un'intesa sindacati-governo, per poi trovarci di fronte ad un documento, uscito dalle Camere, più avanzato dell'intesa raggiunta tra le parti sociali -pensiamo ai 3mila miliardi in più per il mezzogiorno o ai l00mila posti, di cui 35mila già vagliati dall'apposita commissione.

Qual è, dunque, la svolta? Ridare autonomia al sindacato. Il quale deve definire un progetto, sottoporlo ai lavoratori, per uscire dall'ambito della moderazione e aprire una fase più avanzata, di pari passo con quanto avvenuto sul terreno politico. Infatti, il tema delle 35 ore riapre la discussione sulle condizioni di lavoro, sul rapporto tra tempi di lavoro e di vita - una discussione interrotta da anni. Dall'altra parte abbiamo il problema di avviare un processo di democratizzazione del sindacato. Nel complesso, la Cgil ha dimostrato, lungo tutto il periodo della crisi, una grave perdita di autonomia, pensando che l'approdo naturale di quella fase fossero le elezioni, il modo più veloce per risolvere i problemi fra le due sinistre. Perciò, la grande sfida è definire oggi un terreno di lotta all’altezza dei compiti che ci aspettano. Se ciò non avvenisse, si andrebbe verso una crisi di rappresentanza altissima, che potrebbe pregiudicare i rapporti con i lavoratori.

Nerozzi: Anche io, come Patta, credo che l'accordo tra governo e Prc non sia effimero e che leghi le due sinistre al governo o all'opposizione. E' stato un accordo liberatorio, non compreso fino in fondo dai gruppi dirigenti del sindacato. La questione dell'autonomia, in un sistema sempre più bipolare, ne richiama immediatamente due: la prima è quella di un progetto, di un programma generale che il sindacato deve elaborare; poi c'è l'aspetto della riforma dello stato sociale, che non si ferma alle ragioni della finanziaria. Venendo all'accordo sull'orario, diciamo che non pone soltanto una questione contrattuale - e su questo aspetto l’intesa presenta anche aspetti discutibili - ma anche una riflessione sull'organizzazione del lavoro, dell'ambiente, della salute e dei temi collegati alla condizione di lavoro.

Su tutto ciò il sindacato deve costruire una proposta, e quest'anno non l'ha presentata. Ma se il tema dell’autonomia richiama quello dell'unità, la discussione di queste settimane ha dato risultati meno fecondi di quelli che avrebbe potuto dare. E se è vero che problemi di autonomia ci sono stati - come diceva Danini - aggiungo che la Cgil li ha avuti nel suo insieme, e nessuno ne è indenne. Si riparte dunque, ricostruendo un progetto e anche un nuovo soggetto democratico unitario. Soprattutto in un quadro bipolare: il rischio di diventare una sottospecie del sindacato dell'Ulivo o di un sindacato che dipende dai due partiti della sinistra è davvero pesante. Comunque sia, la navigazione a vista non porta molto in là. Pensiamo alle pensioni: se nei prossimi anni non risolviamo il problema delle entrate, ci troveremo di fronte a situazioni più drammatiche di quelle che stiamo vivendo. Sull'orario, la legge è strumento utile che non elimina però la contrattazione. Anzi, obbliga la maggioranza a fare i conti con l'organizzazione del lavoro e, quindi, anche con il sindacato fuori dai luoghi di lavoro.

Liberazione: Il processo unitario richiama, ancora una volta, i contenuti. Possibile allora che le anime critiche della Cgil non riescano a ricostruire un percorso comune a partire dalle contraddizioni vere, quelle su cui vi siete soffermati?

Cremaschi: La difficoltà a costruire una controproposta delle confederazioni rispetto a quelle del governo non depone a favore del rapporto tra sindacato e lavoratori. Una parte di loro potrebbe addirittura trovare inutile la rappresentanza sindacale - se ritenesse che i frutti di un accordo derivano dalla discussione politica interna alla maggioranza. Mi sembra allora che un’ "unità" cementata dai tavoli della concertazione non tenga, perché fondata sulla scarsezza della democrazia sindacale. La sfida resta quella dell'unità, tenendo presente che significa lo scioglimento di Cisl, Uil e Cgil in un altro modello sindacale, e non la sommatoria degli apparati. La dialettica politica della Cgil, con tutte le differenze, deve diventare la dialettica del sindacato unitario: per non trovarci, da un lato, con i gruppi dirigenti dei sindacalisti più vicini ad Ulivo e, dall'altro, con una minoranza radicale. Così non si "unisce" nulla, ma si creano solo rotture.

Patta: Rifare un progetto significa decidere come farlo. Il primo tema è quello della democrazia, di mandato e di convalida. Ma sugli aspetti concreti su cui si organizza la democrazia, qualche passo avanti è stato fatto: la legge che stiamo introducendo sul pubblico impiego è una novità di grande rilievo. Questo risultato non si è raggiunto in un momento alto per il sindacato, ma arriva comunque con questo governo e non con I precedenti: e può consentire di determinare un risultato che legittimerebbe le rappresentanze aziendali con una legge e cambierebbe la vita interna dell'organizzazione. Più in generale, bisogna ribadire il modello confederale del sindacato italiano contro le derive corporative.

Danini: Mi sembra che, a volte, nei nostri ragionamenti, facciamo dei salti logici. In queste ultime settimane, infatti, ci troviamo di fronte ad uno dei punti più bassi del rapporto unitario. Eppure, contemporaneamente, la Cgil lancia con forza l'unità sindacale. Io credo che se il sindacato come soggetto politico non riesce a costruire un progetto, l'unità non esiste. Così come penso che non possa avere respiro un sindacato che vive alla giornata. E l'Area dei comunisti è nata proprio con l'urgenza di segnalare, in Cgil, un pensiero critico. All'organizzazione chiediamo, intanto, di prendere atto dell'esistenza di un pluralismo, per il riconoscimento reciproco. Dopodiché, faccio una proposta. Prendiamo la questione dell'orario: se siamo d’accordo tutti sul fatto che la legge apre una riflessione profonda sulle politiche del sindacato, partiamo da qui per avviare un processo unitario. Mi sembra che oggi le condizioni per avviarlo siano più favorevoli rispetto a ieri: e lo dovrebbero portare avanti tutti coloro che in questi mesi hanno posto l'esigenza di un forte rinnovamento delle politiche del sindacato.

Nerozzi: Il punto vero - sono d'accordo con Danini su questo aspetto - è avviare un processo di rinnovamento generale del sindacato. E' vero che il processo unitario è in ritardo, ma il dubbio che mi porto dietro è che all’insieme delle sinistre e anche ad un pezzo di sindacato, l'idea di un sindacato "residuale" vada proprio bene. Sull'unità, la vera discussione riguarderà chi pensa ad un sindacato progettuale, per l'intera società, e chi pensa invece ad un sindacato per gli occupati ritraendosi così da un ragionamento complessivo.

Agostinelli: La novità della discussione che stiamo facendo sta nell'aver colto che è in corso il passaggio da una fase difensiva ad una in cui è decisivo il progetto che il sindacato mette in campo. Sarà questa la prova vera di autonomia. L'appuntamento del 20 ha rappresentato il momento più alto di autonomia dalla politica degli ultimi anni. Perché ha consentito di riaprire, al nord, la questione del lavoro come fonte di diritti. Ma l'autonomia si deve riempire di contenuti, oppure resta una rivendicazione di regole che non si misura con i fatti. Faccio un esempio: la riduzione dell'orario offre un'occasione straordinaria per intervenire sul rapporto tra crescita di produttività e controllo dell’organizzazione del lavoro. E il sindacato è atteso da una accelerazione della fase di elaborazione - è -questo il punto di coagulo tra le posizioni che ci sono qui.