«Il presidenzialismo viola limpianto della Carta» Carlo Benedetti intervista lo storico Armando Pichierri |
Liberazione 21 dicembre 1997
Costituzione, ieri, oggi e domani. Ne parla lo studioso Armando Pichierri, ordinario di scienze umane e storia. Un "protagonista" delle vicende istituzionali, autore di saggi e libri sui problemi storico-costituzionali, da Origini della Repubblica alla Fine dei Cnl sino al recente La Costituzione provvisoria, ordinamento dello Stato tra fascismo e repubblica che ripercorre la storia italiana dal '43 al '48 con particolare riferimento all'ordinamento transitorio del nostro Stato. Una analisi delle complesse vicende politiche e normative che condussero alla approvazione della Costituzione repubblicana. E partiamo, quindi, da queste "lontane" vicende per arrivare all'oggi e capirlo, di conseguenza, meglio.
Nel suo libro sulla Costituzione "provvisoria" lei ripercorre le origini della nostra Carta nel periodo cruciale che dalla caduta del fascismo allarmistizio, dal governo Badoglio alla cobelligeranza sino alle elezioni del 46, precede l'approvazione, appunto, della nostra Costituzione. Qual è, oggi, quindi, il senso di tutto questo?
E il medesimo che ha per l'equipaggio di una nave in mezzo al mare sapere da dove è partita e per cosa ha intrapreso il viaggio. Fuor di metafora la Costituzione provvisoria è un lavoro di ricostruzione storica attraverso gli atti normativi e di interpretazione dei fatti ed atti normativi attraverso la storia. Il suo senso, oggi, consiste pertanto nel dire quali siano state da un lato le forze politiche in campo negli anni 1943/1948, come si siano scontrate ed incontrate e per quali fini; dallaltro quali siano stati i fatti normativi prodotti e come in essi, e da essi, la lotta politica fosse condizionata. Ovviamente, i due momenti, quello della normazione e quello della volontà politica, solo didascalicamente si possono distinguere e separare, giacché, nel loro farsi, erano, specialmente in quel periodo, connessi ed intrecciati. Inoltre, la Costituzione provvisoria fa emergere le motivazioni ed i fini per cui in Italia, in quegli anni, ci si batté contro il nazifascismo. Ciò permette di affermare, per gli esiti del processo costituente conclusosi con la Carta costituzionale e con l'elezione del primo Parlamento repubblicano, che i valori ed i fini riversati nella Costituzione rappresentano un unicum per il diritto costituzionale comparato.
Ma quei valori e quei fini sono ancora presenti nella Costituzione "vivente"?
Con la dovuta consapevolezza che in questi cinquantanni molte cose sono mutate, va rilevata, innanzitutto, la grande scomparsa di una grande condizione internazionale, delineatasi già proprio nel 1943 in Italia a proposito dellarmistizio: la divisione del mondo nei due blocchi, occidentale ed orientale. Si è pensato, da parte di qualcuno, che la fine di uno dei due blocchi avesse reso obsoleto e superato l'impianto ordinamentale prefigurato dall'Assemblea costituente. A tale ordinamento, peraltro, qualcuno ha anche assegnato la responsabilità dei guasti della politica italiana. Quindi va subito detto che quell'impianto non è responsabile delle degenerazioni intervenute in tutti questi anni. Anzi, a rigore, quelle degenerazioni intanto si sono potute verificare in quanto i mezzi ed i fini, presenti nella Costituzione, sono stati o disattesi, o violati, o usati male. Di conseguenza chi ha presente la lotta politica degli anni della Costituzione provvisoria non può non rilevare, oggi, che le finalità della classe dirigente italiana hanno "tralignato" dalla Carta fondamentale. Del resto la revisione in corso ne è la conferma.
Può dirci, brevemente, quali sono le differenze tra il periodo della "Costituzione provvisoria" ed oggi?
Due sono le finalità essenziali della Costituzione provvisoria: la libertà politica e la dimensione personale dellindividuo. Intorno ad esse, ovviamente, si intrecciano altre essenzialità. Alla prima rispondono gli articoli 48 e 49, alla seconda gli articoli 2 e 3 della Costituzione. Negli anni '43-'45 la libertà politica costituiva lelemento unificante nella lotta contro il nazifascismo; nello stesso tempo, l'affermazione dell'individuo come valore personale fu la reazione allo sterminio fisico di soggetti ed etnie. In questo contesto nasce, appunto, larticolo 3 della Costituzione. A questo impianto si è, recentemente, risposto, in modo anomalo, con il referendum abrogativo introduttivo (sebbene giuridicamente compatibile, in questa contraddizione verbale si nasconde un imbroglio storico ancorché politico) del sistema maggioritario del 1993; con il quale è stata introdotta la disuguaglianza personale in tema di voto. Fortemente problematica, poi, diventa la libertà politica, nelle forme in cui oggi si manifesta, se il semipresidenzialismo all'italiana dovesse diventare forma di governo.
Vuol dire che la revisione costituzionale in atto è un attacco alla libertà politica?
Non sono così categorico. Ma facciamo parlare fatti non sospetti. Il 3 febbraio 1996 a Bologna Temistocle Martines, in occasione del tentativo Maccanico e della relativa bozza sulla forma di governo in cui già si conveniva, al fine di realizzare un accordo politico, di introdurre il semipresidenzialismo, così diceva: «Se è vero infatti che la forma di governo è una riforma che interessa la seconda parte della Costituzione, sull'ordinamento della Repubblica, è altrettanto vero, a mio avviso, che una forma di governo semipresidenziale potrebbe costituire un grosso pericolo, per il modo in cui si concreterà effettivamente per la prima parte e per la terza parte (la prima riguarda i diritti di libertà, la terza le garanzie costituzionali). E non è da escludere che per quest'ultima parte si pensi ad una modifica dei modi di formazione della Corte e per la parte seconda ad una modifica del procedimento di formazione del Consiglio superiore della Magistratura». Quindi, la profezia martinesiana si è pienamente avverata. Si vedano, infatti, gli articoli 122, 123, 135 del progetto approvato dalla Bicamerale. Con essi sia la Corte Costituzionale sia il Consiglio superiore della magistratura subiscono le modifiche profetizzate. Martines sapeva bene che una volta eletto il Presidente della Repubblica direttamente dal popolo, il capo il capo dello Stato si viene a trovare in una suprema posizione di potere che inevitabilmente viene a ridimensionare la centralità del Parlamento non solo, ma anche ad attrarre e ridurre il potere giudiziario ed il supremo organo di controllo. In questo modo diviene squilibrato il rapporto tra i poteri, a tutto vantaggio del potere esecutivo, diventato, peraltro, a due teste: il Presidente della Repubblica, eletto dal popolo, ed il Presidente del Consiglio, nominato da quello ed a cui presenta le dimissioni.
Cè chi sostiene che l'elezione diretta del Capo dello Stato realizzi un esercizio più democratico della sovranità popolare...
La prima volta che fu affermata in Italia la sovranità popolare, fu il 25 giugno '44. L'esercizio di tale sovranità, però, fu, a causa della guerra, differito. La prima volta in cui tutto il popolo la esercitò fu il 2 giugno 46. Allora il corpo elettorale scelse se il Capo di Stato dovesse essere un Re o un Presidente della Repubblica, e, nello stesso tempo, elesse l'Assemblea costituente. Quindi, la fonte di ogni potere, in quelloccasione, stabilì che lo Stato sarebbe divenuto una Repubblica e che, a dare lordinamento a questa Repubblica, sarebbe stata l'Assemblea costituente, investita, appunto, del compito di delineare le forme di governo degli organi supremi repubblicani (Presidente della Repubblica, governo, parlamento, ecc.). Il popolo fu chiamato, poi, il 18 aprile del '48, ad eleggere il prima Parlamento repubblicano, al quale De Gasperi avrebbe trasmesso il potere legislativo che il governo deteneva ed esercitava dal '44 in virtù dello stesso decreto-legge che aveva affermato la sovranità popolare. La tipicità, esclusiva del processo costituente italiano, si basa, pertanto, sulla separatezza tra momento costitutivo della sovranità e suo esercizio. L'esercizio della sovranità fondò da un lato la Repubblica e dall'altro elesse, secondo le norme del potere costituito dell'Assemblea costituente, l'organo depositario del potere legislativo della sovranità popolare. Sarebbe stato questo potere, poi, a scegliere nel tempo i vari presidenti della Repubblica, bilanciando da una parte il potere esecutivo e dall'altra quello giudiziario. L'elezione del Presidente da parte del corpo elettorale, così come prevede la proposta di revisione, impiega la sovranità popolare, fonte del potere sovrano, come mezzo non come fine. Ed è la più grande violazione dell'impianto costituzionale. I rappresentanti della sovranità popolare nellorgano legislativo finiscono, infatti, per svolgere un ruolo di appendice del Presidente della Repubblica. Infatti, non a caso, scompare la responsabilità del primo ministro di fronte al Parlamento. In questo modo il rinvio alla sovranità popolare nasconde la secondarietà del Parlamento, il cui potere legislativo costituisce l'esercizio continuativo della sovranità popolare attraverso i suoi rappresentanti. Col semipresidenzialismo, invece, la sovranità popolare è convocata una tantum per trasferire se stessa a un organo supremo.
Perché dice che il primo ministro, secondo la proposta della Bicamerale, non è più responsabile di fronte al Parlamento?
Per il semplice motivo che, nella formulazione dell'art.77 della proposta, è scomparsa (né mi risulta essere presente altrove) l'espressione «e ne è responsabile» che si trova, invece, nell'articolo 95 della Costituzione. Si badi bene che la legge n.2263 del 1925 conteneva proprio la cessazione della responsabilità del Presidente del Consiglio nei confronti del Parlamento, e affermava che il Capo del governo era responsabile, però, nei confronti del Re. La campagna fascista contro il parlamentarismo trovò il suo sbocco legale proprio in quella legge, con cui inizia lo Stato fascista.
Con questo vuoi dire che l'attuale processo costituente è un ritorno al passato?
Intanto nel 1925 nessuno, fatta eccezione per taluni (Gramsci in testa), pensava quale sarebbe stato l'esito, e, poi, non considero l'attuale fase un processo costituente. LItalia ha avuto un solo processo costituente ed è quello realizzatosi negli anni 1943-1948. Anzi, per essere precisi, quello che inizia con la riunione del Gran Consiglio del fascismo, nella notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943 e si conclude con lelezione del primo Parlamento repubblicano il 18 aprile del 1948. Se, poi, sia un ritorno al passato, mi sembra anacronistico, nonostante la ferma adesione ed il pieno sostegno di An. Ritengo, però, che si sia di fronte a questo: la nave, tanto per riprendere la metafora iniziale, trovatasi in mezzo al mare con un equipaggio senza alcuna autorità e in cui ognuno si appropria dei beni della stessa, sta cercando dei punti di approdo per porre fine a questo arrembaggio interno. Questi approdi sono o il premierato (nella versione inglese o tedesca) o il presidenzialismo (nella versione francese o americana). In ogni caso si tratta di operazione di aggancio a ordinamenti già vecchi e di conservazione di quadri costituzionali già consolidati ancor prima della seconda guerra mondiale. Lordinamento italiano è il più recente e contiene, altresì, obiettivi e finalità che lo collocano all'avanguardia nel mondo. Certamente qualche foglia o ramo si sarà rinsecchito. Ma la sua eliminazione non instaura un processo costituente.