Comitato Politico Nazionale 22-23 Novembre 1997
Sintesi della relazione introduttiva di Fausto Bertinotti |
Compagne e compagni, anche la tragedia di ieri, con l'annegamento di profughi albanesi nell'Adriatico, ci dice come la politica sia sfidata da eventi e drammi giganteschi. Abbiamo cercato di migliorare, grazie al lavoro delle compagne e dei compagni che se ne sono occupati, la nuova legge sull'immigrazione, crediamo alla fine di avere ottenuto un buon risultato, ma continuiamo a sentire un limite profondo nella politica di cooperazione del nostro paese nel Mediterraneo.
In questa nostra riunione siamo innanzitutto chiamati a fare un bilancio dell'attività e delle lotte politiche che il nostro partito ha condotto da luglio, per ragionare meglio sul cosa fare oggi. Assistiamo ad un cambiamento di fase che richiede un riposizionamento del nostro partito. Non possiamo limitarci ad influenzare i comportamenti del governo, ma dobbiamo porci l'obiettivo di cambiare i rapporti sociali e politici nel paese.
Ci siamo proposti di modificare gli indirizzi di politica economica e sociale del governo. Era necessario, perché il risanamento è stato compiuto, ma ad esso non corrisponde né una diminuzione della disoccupazione né un miglioramento effettivo delle condizioni di vita della gente. In sostanza volevamo evitare il ripetersi della politica dei due tempi, dove prima si fanno i sacrifici e poi i miglioramenti non arrivano mai. Per questo non potevamo limitarci all'azione che conducemmo con successo lo scorso anno: oltre alla difesa delle condizioni dei pensionati e dei lavoratori dai nuovi attacchi, c'era bisogno di un cambiamento di indirizzo che ponesse al centro la lotta alla disoccupazione.
In questi mesi abbiamo condotto, particolarmente a livello europeo, delle esperienze importanti di mobilitazione nella lotta alla disoccupazione, e tuttavia permane un deficit di movimento su questo terreno. Quindi abbiamo dovuto porre con forza la questione della riduzione dell'orario di lavoro sul terreno della politica. Per ottenere questo decisivo risultato siamo dovuti giungere fino alla crisi di governo, senza la quale non avremmo ottenuto nulla.
Solo in questo modo abbiamo ottenuto dei rilevanti risultati. Sul terreno difensivo abbiamo protetto da un ulteriore attacco le pensioni di anzianità degli operai e dei lavori impiegatizi equivalenti. Siamo cioè riusciti, dopo tanti anni di oscuramento, a riproporre al centro dell'attenzione la condizione operaia e del lavoro materiale. Abbiamo così cambiato in modo positivo i contenuti della finanziaria.
Ma il risultato più significativo, sul terreno offensivo in questo caso, è la conquista di un impegno del governo a fissare per legge la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali entro il 1° gennaio 2001. In questo impegno vi è un enorme valore potenziale. Dopo un intero ciclo durato almeno 17 anni, per la prima volta la politica impone le sue ragioni, le sue priorità all'economia.
Questa è la base per un'intesa programmatica per un anno, la leva per il decollo di una politica riformatrice, su cui dobbiamo sapere fare crescere nel paese un confronto tra le forze politiche, sociali, culturali.
Così abbiamo aperto una nuova fase Non saremmo giunti a questo risultato se tutto il gruppo dirigente non avesse avuto la determinazione necessaria di giungere alla crisi di governo.
Nello stesso tempo questo risultato è anche il frutto di una modificazione entro il quadro europeo, per la quale abbiamo attivamente lavorato, che è stata segnata dalla decisione del governo francese di giungere per legge alla riduzione dellorario di lavoro. Il nostro risultato è dovuto al felice incontro della nostra iniziativa con la decisione del governo francese.
La Confindustria, che prima era per approvare a scatola chiusa la legge finanziaria, ha subito cambiato atteggiamento, diventando il principale ostacolo alla politica del governo. La Confindustria quindi coglie bene il mutamento di fase avvenuto. Se noi non avessimo compiuto queste scelte saremmo stati assorbiti entro una politica moderata o espunti da un quadro politico a predominanza moderata.
Un'operazione di questo genere era già cominciata da tempo. La stessa candidatura di Di Pietro, ha il senso di condurre l'Ulivo su posizioni moderate. Lintesa che abbiamo raggiunto con il governo ha posto un freno importante a questi tentativi, che però continuano a riproporsi.
Se un accordo può essere raggiunto anche con una spallata, la gestione di un accordo richiede un lavoro più complesso e di lunga lena. Per questo ci vuole un mutamento dei rapporti di forza, un diverso quadro internazionale, un forte ruolo politico del nostro partito.
Oggi si discute la possibilità di una nuova fase riformatrice. Partiamo dal successo della nostra linea, che viene dal Congresso, ma ha conosciuto un importante avanzamento. Il nostro dibattito interno deve dispiegarsi nella massima libertà, ma credo di potere dire che questo nostro risultato dà torto tanto alla linea, assunta dalla minoranza congressuale, che punta ad una rottura aprioristica con la maggioranza e il governo, quanto a quella, assunta da alcuni compagni, che avrebbe voluto trovare un'intesa con il governo senza aprire la crisi, sulle posizioni espresse da Prodi nel suo discorso alla Camera del 9 ottobre. Queste opposte critiche sono state sconfitte dalla realtà. Non sempre una buona scelta dà un risultato immediato, ma certamente da una cattiva scelta è impossibile che si abbiano buoni risultati. Non ci sarebbe oggi concretamente la sfida sull'orario di lavoro senza il passaggio della crisi.
Vi sono anche altre conferme della giustezza delle scelte che abbiamo operato. In primo luogo dobbiamo guardare al successo della manifestazione del 25 ottobre a Roma, ove era visibile una capacità di mobilitazione del partito in una situazione difficile e della sua capacità di apertura ad altre forze. Intendiamoci non penso che la nostra politica di unità debba solo passare dal rapporto con i centri sociali, ma questo non può essere sottovalutato, soprattutto per le relazioni con il mondo giovanile. In secondo luogo le elezioni del Mugello hanno dimostrato la capacità della candidatura di Sandro Curzi, che abbiamo sostenuto con convinzione, di tenere alte le ragioni della sinistra.
In terzo luogo le stesse elezioni amministrative di novembre confermano un andamento del nostro risultato del tutto uguale a quello di primavera. Nelle elezioni provinciali, ove il voto è più direttamente politico, superiamo il risultato delle stesse elezioni politiche; nelle grandi città del centro-nord ci situiamo tra il risultato delle precedenti amministrative e le politiche; continuiamo invece ad arretrare nettamente nel Mezzogiorno. Ove è stato rilevante il ruolo dei sindaci il nostro parato ha retto positivamente, se si fa eccezione del caso di Napoli, ove va tuttavia ricordato che il dato del nostro voto circoscrizionale è superiore al dato comunale.
Noi non dobbiamo avere alcun imbarazzo nel valutare il nostro atteggiamento nella crisi. Ogni evento determina una tensione che permette di vedere meglio la realtà e il quadro di insieme. In questo senso la vicenda della crisi ha semplicemente drammatizzato uno stato che è però ordinario.
L'anno che abbiamo di fronte è davvero cruciale; ci troveremo di fronte tutti i problemi che abbiamo visto concentrati in pochi giorni.
Dobbiamo rispondere ad una domanda: di fronte ad una riorganizzazione capitalistica così profonda, come ricostruiamo le ragioni del conflitto?
Noi abbiamo spesso analizzato i processi che sono intervenuti sul terreno economico e strutturale, ma non abbiamo sufficientemente messo a fuoco il legame tra questi e l'organizzazione del consenso, così come concretamente avviene nella società. Non si tratta solo di indagare come un tempo il rapporto fra struttura e sovrastruttura, ma di conoscere l'intima connessione fra il processo di riorganizzazione del capitale a livello strettamente economico e come questo si realizza al livello delle culture.
Ora abbiamo maggiori elementi in questa indagine. Ho nei giorni scorsi parlato di elementi di regime, non di regime. Ma questi elementi ci sono e si sono manifestati particolarmente nei modi della formazione del consenso. L'intero sistema dei mass-media si è mosso con la logica dell'annichilimento di chi metteva in discussione la stabilità, non per ordine della politica, ma perché, il che è ancora più grave, aveva introiettato questo presunto valore. Qui c'è un germe antidemocratico assai pericoloso per il pluralismo. Si delinea cioè una sorta di forma di governo allargato, che ingloba il governo centrale, i governi locali, i mass-media, il sistema di relazione con le organizzazioni sindacali e le parti sociali, che spinge verso la conservazione di se medesimo e quindi la stabilità.
L'insieme di questi elementi spingono verso la passivizzazione, l'esercizio della delega, la marginalizzazione, la demonizzazione del conflitto.
Nello stesso tempo assistiamo alla acquisizione del sistema bipolare e di alternanza all'interno di vasti settori di opinione, anche in tanta parte del popolo di sinistra. In questa direzione il campo della sinistra moderata, nelle sue diverse espressioni, politiche e sindacali ha giocato un ruolo grande e diretto, proprio per i suoi rilevanti insediamenti nella società civile. Bisogna quindi aprire un confronto vero sulle modalità delle formazioni del consenso.
Se si accettasse questa cornice la nostra autonomia sarebbe finta, vincerebbero le logiche del mercato e della stabilità. C'è un mutamento storico su come si formano le opinioni nel nostro paese. Vi è ormai una divisione orizzontale, tra un'opinione pubblica informata, ma per questo più esposta ai messaggi sulla stabilità, e una grande parte della popolazione che non viene raggiunta da nessuno. Non dico che questa parte ragiona positivamente, ma so che è diversa e che non so, nessuno sa, come esattamente la pensi. Capirlo diventa oggi un elemento essenziale del fare politica. La scelta di andare alla crisi è stata presa comunemente dalla segreteria. Le chiacchiere sulle divergenze fra il Segretario e il Presidente fanno parte dei tentativi non riusciti di divisione. Comune è stata anche la convinzione che senza quella scelta avremmo posto in una crisi irreparabile l'autonomia del nostro partito.
Nella nostra politica sta iscritta la possibilità, che certamente non auspichiamo, di una rottura del centrosinistra. Su questo la nostra discussione deve pronunciarsi con chiarezza. Noi non auspichiamo altre rotture, anzi lavoriamo per avere un governo riformatore. Per questo dobbiamo qualificare le nostre proposte e contribuire alla costruzione dei movimenti.
Siamo in una situazione che presenta elementi contraddittori. Da un lato vi è lo spostamento a sinistra dell'asse programmatico del governo, dall'altro le pessime conclusioni cui è giunta la commissione bicamerale. Le destre sono in crisi e anche per questa ragione cresce il progetto di ridare vita al centro. Esso appare vuoto di soggettività politica, ma pieno di aspettative. Se un centro moderato riuscirà a condizionare il centrosinistra, il suo futuro diventerà davvero incerto.
Quindi noi dobbiamo allo stesso tempo combattere la cattiva riforma istituzionale, difendere il garantismo e l'indipendenza della magistratura, impedire involuzioni sulla legge elettorale, in una parola difendere la democrazia. Dobbiamo investire sull'intesa che abbiamo strappato per avviare un processo che continui a spostare a sinistra la barra del governo. Certamente le conclusioni del vertice europeo di Lussemburgo sono deludenti, ma il movimento sovranazionale per l'occupazione continua, anche grazie alla nostra iniziativa, a fare passi in avanti, e dobbiamo quindi continuare su questa strada, sapendo anche interloquire positivamente con le formazioni Verdi e la sinistra dell'internazionale socialista.
Il giudizio che diamo sulla politica del Pds è severo: si tratta di una forza capace di consensi, che dimostrano un reale radicamento nel paese, che però manifesta una crisi di strategia politica. Il Pds si è posto come architrave della stabilità e della governabilità, anche a scapito di un proprio profilo programmatico. In questo modo è stato un agente fondamentale in quell'orientamento dell'opinione pubblica verso la stabilità.
Nelle sue ultime interviste D'Alema riapre il discorso iniziato al congresso, avanzando una proposta che rompe con la tradizione classista e configura un partito con un programma da sinistra liberale, che tende a fornire le risposte che scaturiscono dal mercato, dal processo di modernizzazione, dentro il quale cerca di introdurre il portato della rivendicazione dei diritti di cittadinanza. Il Pds non solo si allontana da noi ma compete sullo stesso terreno con le forze del centro, come una forza di sinistra con piattaforma liberale. In questo senso il Pds sceglie la strada tracciata da Blair. Dobbiamo condurre una critica culturale e politica contro questo impianto, non per fare la guerra al Pds, ma per fare vivere la prospettiva dell'alternativa. Competizione e unità, radicalità di obiettivi e ricerca di unità nell'agire politico, sono i pilastri del nostro comportamento.
Assai più complesso e difficile è il nostro rapporto con il sindacato. La critica che abbiamo condotto alla Cgil riguarda la perdita di autonomia nei confronti dei padroni, del governo, dei partiti, e questa si pone come un problema per la democrazia nel nostro paese. Basta pensare alla cattiva qualità del decreto legislativo di Bassanini sulla rappresentanza sindacale nel pubblico impiego. Il punto che ha irritato i dirigenti sindacali non è stato tanto il nostro presunto scavalcamento, e comunque tutti dovrebbero essere contenti se si difendono i lavoratori, quanto il fatto che così si è messa in crisi la pratica della concertazione. Dobbiamo quindi aprire un ampio confronto dentro e fuori il sindacato confederale. Abbiamo condotto diverse esperienze, partiamo da queste ma per costruire una più ampia sinistra sindacale per ottenere la rottura della tregua e della pace sociale. Intanto dobbiamo favorire tutte le forme possibili di collaborazione tra i comunisti che agiscono sul terreno sindacale. Dobbiamo così fare rinascere un sindacalismo dalla base, con regole effettivamente democratiche di funzionamento, di valutazione degli accordi, di elezione dei dirigenti. Per quanto riguarda la prospettiva dell'anno abbiamo il compito di porre a maggioranza e governo il problema della discussione su elementi di programma che costituiscano l'intesa per un anno. Non si pone assolutamente il problema di un nostro ingresso al governo, sia per le ragioni di differenza strategico-programmatica che abbiamo più volte indicato, sia perché il mandato che abbiamo ricevuto dagli elettori riguarda un accordo di desistenza non un'unità organica con l'Ulivo. Non si tratta affatto di idiosincrasia per il governo, negli enti locali dove abbiamo realizzato programmi comuni, dove abbiamo ricevuto l'assenso degli elettori, siamo al governo assieme al centrosinistra.
Bisogna però aprire il confronto programmatico con la maggioranza. Dobbiamo farlo scontando punti di scontro anche aspri, come sulla scuola, dove ribadiamo la nostra opzione per una scuola pubblica riformata e pluralista.
Il lavoro e lo stato sociale sono due facce della stessa medaglia. Vanno affrontate assieme. Ad esempio nei prossimi giorni si dovrà decidere se l'Olivetti diventa una dependance americana, oppure può essere assieme a Telecom, un fattore di propulsione della politica italiana nel campo delle telecomunicazioni. E ancora perché mai discutere di ferrovie e di importanti industrie come la Piaggio, dal punto di vista degli esuberi, cioè dei licenziamenti, e non da quello di una seria politica dei trasporti? Sulla scuola e sulla sanità dobbiamo condurre un confronto e soprattutto la costruzione di movimenti reali, intercettando le tante esperienze che ci sono in questi campi. Oggi gli studenti medi hanno manifestato contro la scuola privata, è un altro passo avanti, aiutato anche dall'iniziativa dei nostri giovani. Sulla sanità dobbiamo sapere condurre lotte di massa che abbiano la stessa rilevanza e la stessa visibilità di quelle che abbiamo condotto sulle pensioni.
La questione dell'orario di lavoro è per noi decisiva. A questa dedichiamo un convegno con significative presenze internazionali, che terremo a metà febbraio a Milano. La riduzione dell'orario di lavoro non è un elemento di una politica rivendicativa, è una vera e propria riforma di struttura della società, che riguarda la qualità del lavoro e della vita. Il lavoro di inchiesta che abbiamo iniziato deve porci in grado di conoscere e capire le trasformazioni intervenute nel mondo del lavoro, nei rapporti tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, questione che è destinata ad avere la stessa rilevanza di quella che un tempo ebbe il rapporto tra lavoro specializzato e lavoro di serie. L'inchiesta non è un fatto specialistico, è l'asse strategico del lavoro di insediamento sociale del nostro partito.
Sulla nostra situazione nel Sud dobbiamo segnare un forte allarme. Non è una critica alle organizzazioni e ai compagni meridionali. E' un problema di deficit di politica. Avevamo proposto la trasformazione dell'Iri in una grande azienda capace di offrire 300 mila posti di lavoro al sud. Non siamo passati. Non ci rinunciamo, ma certamente questo ha aggravato la nostra situazione. Nel Sud appare chiara quella operazione di creazione di consenso attorno al e ai governi. Nelle stesse periferie napoletane, che purtroppo non sono state investite dalle iniziative in altri campi meritevoli della giunta Bassolino, vi è stato ugualmente un investimento di fiducia sulla figura del sindaco. Nello stesso tempo nel mezzogiorno c'è anche tanta speranza di cambiamento. Quanta gente viene ai nostri comizi e poi magari non ci segue né nel voto né nel lavoro continuativo. Che fare allora? Voglio qui ricordare quanto Enrico Berlinguer diceva nel '72 alla conferenza meridionale del Pci, quando in sostanza parlava della necessità di un'organizzazione diretta da parte del partito delle masse meridionali. E' quanto dobbiamo fare costruendo luoghi e momenti di aggregazione, veri e propri presidi democratici, ritessendo le fila di una società civile devastata dai processi di modernizzazione capitalistica. Il Sud non è una malattia, è una periferia, nel significato complesso che diamo a questo termine, ed è decisivo nella costruzione di un moderno partito comunista di massa, perché da lì si può progettare un diverso modello di sviluppo.
La conferenza nazionale dei giovani, preparata da tante assemblee provinciali, rappresenta un appuntamento determinante, guai se nel partito prevalesse una sottovalutazione. Senza l'ingresso delle nuove generazioni il processo di rifondazione di una nuova forza comunista non può avere successo. La stessa possibilità che si riproducano motivi di rottura del quadro politico ci impone di investire sulla costruzione dei movimenti: solo questo può garantire insieme l'ottenimento di un corso riformatore e la nostra autonomia.
Diventa quindi cruciale il rapporto tra ciò che dobbiamo fare in questo anno e la prospettiva di più lungo periodo. Il lavoro nel campo della cultura è addirittura determinante, poiché la critica al pensiero unico è parte costitutiva e indispensabile della costruzione dell'alternativa. Pensiamo perciò di organizzare una grande iniziativa che, partendo dalla nuova condizione dell'intellettuale nella divisione del lavoro, favorisca anche in questo campo la costruzione di movimenti.
Continuiamo a ragionare sullo stato del partito. La nostra situazione è diversa dai vecchi partiti di massa. In tutta Europa è evidente la necessità dell'esistenza dei partiti comunisti non solo per tenere viva la prospettiva dell'alternativa, ma per la sopravvivenza e lo sviluppo degli stessi movimenti. Noi dobbiamo esplorare e percorrere tutte le forme del lavoro politico tradizionale. Ma non basta. Bisogna innovare i modi dell'agire politico. Bisogna promuovere il saper fare. Bisogna aiutare i processi di autorganizzazione. Bisogna così procedere nella ricostruzione della società civile. Fare un giornale è fondamentale, ma orientare chi conta nei luoghi di aggregazione dà più frutti di un buon articolo.
Il lavoro della Rifondazione va compiuto dal basso e dall'alto. D'altro canto solo agendo sul governo e sulla maggioranza non è possibile garantire un effettivo e duraturo slancio riformatore. Il legame con la società civile, il nostro insediamento, la costruzione dei movimenti sono quindi assolutamente decisivi per consolidare la nuova fase che si è aperta e allo stesso tempo per procedere nella rifondazione di un moderno partito comunista di massa.