Rai radiotelevisione italiana:

quando la notizia è che il pluralismo non c’è

Giovanni De Murtas

Liberazione 24 ottobre 1997

I "bollori militanti" di alcuni giornalisti del servizio pubblico (così li ha definiti Mauro Paissan, vicepresidente della Commissione di Vigilanza) che hanno imperversato sui telegiornali della Rai nei giorni della crisi di governo, non sono solo la manifestazione esemplare di deprecabili atteggiamenti individuali.

Non si tratta cioè, semplicemente e riduttivamente, dell'eccesso di zelo (condito con l'immancabile dose di servilismo) di coloro che, avendo deciso di suonare il piffero per il governo Prodi, hanno falsificato anche lo spartito, mandando in onda una cantilena vergognosa di menzogne e di insinuazioni contro Rifondazione Comunista

Non è solo questo l'elemento di riflessione che intendiamo proporre al dibattito politico e all'attenzione delle forze del centrosinistra.Noi crediamo che, dietro questi fatti, si stia manifestando e stia crescendo una tendenza all'omologazione acritica, alla subalternità e al conformismo che giudichiamo particolarmente pericolosi rispetto alle condizioni essenziali del pluralismo e della democrazia nell'informazione.

Per questo abbiamo parlato di evoluzione di regime e di un modello di democrazia autoritaria di cui, del resto, si fecero le prove generali all’atto delle nomine nel consiglio di amministrazione della Rai. Si riaffermò, fin da allora, un metodo di lottizzazione, certo non nuovo ma ben sperimentato (quasi come una ricetta della nonna), per il quale anche la Rai dell'Ulivo, portando il marchio di proprietà dei nuovi committenti politici, si configura come un centro di potere partitico. Sarebbe bene, non foss'altro per un dovere di decenza, che coloro i quali, di fronte a queste argomentazioni, scrollano sdegnosamente le spalle ("un vero polverone", accusa incautamente la responsabile del Pds per la comunicazione, onorevole Melandri) ricordassero almeno questi significativi precedenti.

Le istanze che avanziamo hanno dunque un fondamento preciso e indicano la necessità di stabilire un equilibrio più corretto nell'uso dei mezzi di comunicazione e nelle forme di gestione del consenso.Per farlo abbiamo intrapreso la via istituzionalmente più corretta, proponendo alla commissione parlamentare di vigilanza di entrare nel merito delle osservazioni e delle critiche che, da più parti, sono state avanzate.

Non è un caso, infatti, che sul complesso dei temi del pluralismo, la commissione abbia sentito il bisogno di riprendere il filo di una discussione da troppo tempo interrotta; non è un caso che questa riflessione abbia condotto alla stesura di un documento di indirizzi (approvato all'unanimità) che riassume una serie di principi vincolanti ai quali la concessionaria pubblica - principalmente attraverso il suo consiglio di amministrazione e il direttore generale - deve attenersi.

Anche in virtù di tali considerazioni, ci appare oggi più che mai indispensabile rendere funzionali e operanti quelle norme minime, quelle regole elementari di correttezza e di obiettività che pure dovrebbero essere già acquisite, in quanto bagaglio irrinunciabile di una compiuta democrazia dell'informazione. Di questo si tratta, per ciò che concerne le richieste che stiamo sostenendo presso la commissione di vigilanza. Niente di più, ma anche di meno, rispetto a quello che la commissione stessa ha deliberato fin dal mese di marzo.

Non ci stupisce, quindi, il tentativo di strumentalizzazione repentinamente escogitato dall'onorevole Storace, che nella sua sempiterna guerra contro l'attuale Cda ha subito sollecitato la presentazione di una mozione di sfiducia. Ci appare, al contrario, stravagante e poco comprensibile l'ostinata chiusura di cui continua a dare prova il presidente Siciliano; assumere la linea della difesa ad oltranza dell'operato delle strutture giornalistiche della Rai, liquidare arrogantemente le critiche (peraltro generalizzate) come "scemenze", eludere la sostanza dei rilievi che attengono alla parità delle condizioni di accesso e di uso dei mezzi televisivi, significa legittimare ancora una concezione predatoria della politica, ai danni del sistema dell'informazione e dei diritti democratici dei cittadini, sia sulle televisioni che sulla stampa.

E poiché dai "predatori" non si può pretendere che usino del "savoir faire", abbiamo anche dovuto assistere al plauso (un tantino scomposto e forse interessato visti i precedenti rapporta non proprio idilliaci) rivolto da Massimo D'Alema ai mass-media. «La notizia c'era», pare abbia detto il segretario del Pds, con riferimento alla crisi di governo e alla posizione di Rifondazione; ignorando volutamente che è proprio il trattamento della notizia, che non è mai neutrale, né indifferente, a determinare il tipo di messaggio. Questo - e non più la "notizia" - diventa, a sua volta, l'oggetto esclusivo della comunicazione.

E' esattamente il meccanismo che è scattato nei giorni della crisi di governo: occultare le ragioni reali per le quali Rifondazione comunista ha manifestato il proprio dissenso rispetto alla legge finanziaria, era un'esigenza preliminare, il collante ineliminabile della rappresentazione con la quale la scena della comunicazione televisiva andava riempita dalla colpa di chi - Rifondazione comunista, appunto - attentava alla stabilità del governo e al futuro del paese. Roland Barthes l'avrebbe definita una rappresentazione "mitologica" della realtà.

Non è forse questo un motivo gravissimo di condizionamento nell'interpretazione e nella lettura dei fatti dell'attualità politica? Non si tratta forse di una scelta tale da sovvertire l'equilibrio della linea editoriale del servizio pubblico, che non può che essere improntata a criteri egualitari e paritetici, di piena oggettività e di rigorosa accuratezza, specie quando espone le differenze delle posizioni politiche? Non vi è, in quei fatti, un elemento forte e pericoloso di distorsione delle modalità della comunicazione radiotelevisiva, che, nelle ragioni istituzionali del ruolo della concessionaria pubblica, dovrebbe evitare ogni subordinazione a partiti, poteri o interessi, per tutelare i diritti degli utenti e le professionalità di che lavora in Rai?