Sulla costruzione del partito di massa.
Discutere, per essere più uniti Carlo Benedetti intervista Armando Cossutta |
Liberazione 30 novembre 1997
Commenti di stampa con sottolineature di vario tipo. Anche speculazioni e forzature. Tutto a partire da quell'intenso dibattito che ha caratterizzato i lavori del Comitato politico nazionale del Prc che si è svolto nella sala dell'Ergife di Roma appena una settimana fa. Ma alle reazioni esterne si accompagnano anche notazioni interne e discussioni. Il Prc si mostra sensibile a tutto questo a partire dalla sua base, dai suoi circoli, dalle sue federazioni. C'è proprio bisogno di una sorta di chiarimento - chiamiamolo così - e quindi, di una spiegazione.
Ne parliamo col presidente del partito Armando Cossutta che - prima con un saggio apparso sulla rivista Rifondazione e poi alla riunione dell'Ergife - ha evidenziato temi e problemi della vita e della costruzione del partito di massa. E la prima domanda che poniamo è questa.
Quando ci sono sottolineature e notazioni diverse vuol dire che si discute e si analizza. Ed è un bene perché il dibattito facilita l'andare avanti. Ma vi sono anche momenti che possono portare al disorientamento.
So che nel partito, nel suo insieme, cè il pericolo del disorientamento. Non tanto, credo per la sostanza politica del dibattito che si è svolto nel Comitato politico, ma per le differenze che sono emerse nei discorsi dei dirigenti più autorevoli (membri della direzione, della segreteria). E in modo particolare per le differenze fra il segretario e il presidente. Forse non ci sarebbe necessità di dirlo, eppure mi sembra opportuno doveroso, da parte mia - chiarire bene, innanzitutto, che il confronto politico, esplicito e franco, non soltanto non intacca in alcun modo il rapporto di fiducia e di unità all'interno dei massimi organismi dirigenti, ma ne rafforza il loro prestigio, la loro autorevolezza.
Ma c'è anche chi osserva, dice ed evidenzia - proprio a partire da quanto detto all'Ergife - che queste "differenze" che si sono manifestate porterebbero a un indebolimento della figura del segretario. Tu sostieni, invece, che il confronto non va ad intaccare (è parola tua) quell'insieme di fiducia ed unità. Anzi, alzi il tiro sostenendo che da tutto questo ne esce una maggiore autorevolezza. Puoi spiegare meglio questi concetti?
Dico subito, per rispondere senza mezzi termini, che il ruolo di Fausto Bertinotti, quale segretario nazionale, appare più che mai nella sua forza insostituibile. Egli è il protagonista principale delle scelte del partito che lo hanno portato ad essere punto di riferimento per grandi masse di lavoratori e per una crescente moltitudine di giovani. E il fascino ideale e politico di Rifondazione comunista si deve, in primo luogo, proprio a lui. Lo sanno tutti indistintamente i nostri compagni, lo sa più - e meglio di tutti - il presidente del partito. Così come il vincolo fraterno tra Presidente e Segretario e il loro comune compito di direzione è garanzia di sicurezza e di stabilità - per l'oggi come per il domani - per un partito cresciuto impetuosamente in cosi breve periodo, raccogliendo e coagulando spinte generose soggettive e lucide esigenze oggettive di schiere vastissime di militanti, portatori di storie e di esperienze diverse, antiche e moderne. E tutti uniti dalla consapevolezza del ruolo liberatore e alternativo di questo nostro splendido partito comunista.
Tu parli di splendido partito comunista e ne esalti, quindi, la sua funzione, il suo ruolo in questo contesto storico. Ti riferisci, quindi, all'oggi. Eppure siamo in una fase di profonde revisioni, di cancellazione di molte e importanti pagine della storia. Si è detto e scritto che non c'è più bisogno di una formazione comunista e si è legato questo discorso ai crolli avvenuti all'Est, a quelle teorie che insistono sulla fine delle ideologie... Insomma, compagno Cossutta, come spieghi il fatto che questo nostro partito ha oggi un seguito così consistente proprio nella fase che doveva essere, per molti, quella del "non spazio" per noi?
Ciò che noi siamo divenuti e ciò che noi siamo, è cosa straordinaria, per influenza e per capacità, che probabilmente non ha eguali in altre parti d'Europa, fra le forze di sinistra. Al cuore della nostra forza sta il carattere di alternatività della linea nei confronti dell'attuale ordine sociale e politico dominato da un capitalismo potente e arrogante. Una linea che è ai limiti dell'utopia, suscitatrice (come sempre in ogni utopia e ovviamente, nel senso migliore di questa espressione) di speranze e di dedizione e, nello stesso tempo, la ragione della nostra forza vive nella natura realistica e concretamente incisiva della nostra azione che determina consensi duraturi, in quanto fondati sulla difesa di interessi veri e profondi, di classe - certo - e contemporaneamente generali: quali sono, appunto, le questioni fondamentali per la vita di ognuno, il lavoro, la salute, la previdenza, la scuola, la casa, i servizi sociali, l'ambiente.
Noi siamo riusciti, fin qui, a tenere strettamente congiunti, in un binomio logico e pratico, identità antagonista (e cioè radicalità di analisi e idealità) con impegno realizzatore, cioè l'operare per l'unità tra tutte le forze democratiche e per il progresso attorno a programmi e movimenti capaci di fare avanzare per davvero le battaglie popolari. In tale binomio, nel costante riferimento a esso, vive e si fortifica Rifondazione comunista.
Ma proprio per questo - e cioè l'insistenza giusta e sacrosanta nel valorizzare un binomio che va dall'identità antagonista ai movimenti - non c'è allo stesso tempo il pericolo che la discussione che si è aperta, alla luce del sole come è avvenuto all'Ergife, possa suscitare sconcerto? Oppure, visto il tutto con un'ottica diversa, questo nostro parlare con franchezza, senza vischiosità e fini secondi, può risultare utile e costruttivo?
Sia ben chiaro e mettiamolo nel conto: ci saranno campagne forsennate di disinformazione, di provocazioni, di menzogna che, speculando appunto sul nostro dibattito, tenteranno in tutti i modi di disorientare e indebolire il nostro popolo. Non ci sono riusciti, non ci riusciranno. Anzi: più passano i giorni e più apparirà chiara l'efficacia del confronto aperto nel partito, con uno sforzo di riflessione straordinaria perché straordinaria è la condizione nella quale siamo chiamati ad operare. Siamo usciti a testa alta da una crisi acuta e aspra. Abbiamo superato difficoltà oggettive e anche soggettive, come si sa. Entriamo in una fase politica nella quale tornerà a manifestarsi uno scontro politico alto. Ma sarà una fase che potrà essere caratterizzata da un processo di iniziativa riformatrice.
Possiamo trovarci veramente a un momento di svolta: da noi, da come pensiamo ed agiamo, può dipendere una prospettiva più avanzata. E per questo che la riflessione, l'approfondimento, il confronto sono non soltanto necessari, ma assolutamente indispensabili. Al centro stanno i due temi su cui si è soffermato il Comitato politico e su cui si è impegnato a discutere tutto il partito: la prospettiva (in primo luogo per il 1998, ma non soltanto per quest'anno) e quindi la definizione del programma, di un "programma fondamentale", né limitato al divenire quotidiano né sfumato nella storia a venire. E, insieme con la prospettiva, al centro della discussione si staglia il ruolo e la natura del partito stesso, i suoi referenti, i suoi radicamenti. Ce n'è d'avanzo.
Ne può derivare un rafforzamento, un ulteriore salto di qualità. A condizione - attenti compagne e compagni! - che tutto sia proiettato e costruito nelle scelte politiche. Un dibattito tutto politico, senza ricerche di schieramento, fra persone, come - peraltro - pare sia nella mente e nell'intento di alcuni. Né aggregazioni antiche né aggregazioni nuove, né aggregazioni trasversali: questo è dovere di ogni comunista. Discutere per essere ancora più uniti, ai vertici e alla base. E riflettere, per meglio discutere, per meglio combattere.