Un convegno sulle emigrate Così vicine, così lontane Daniela Preziosi |
Liberazione 30 novembre 1997
(ROMA) Emigrate che non hanno scelto di emigrate. Partite dall'Italia, quasi sempre dal Sud, quasi sempre per seguire un padre, un marito. Straniere due volte, raccontano, nei paesi ospiti quando arrivano, e in Italia quando tornano. Sono le oltre cento rappresentanti delle comunità italiane allestero giunte a Roma negli scorsi giorni per il seminario "Donne in emigrazione" organizzato dalla commissione Pari opportunità della presidenza del Consiglio e da una lunga lista di ministeri e istituzioni. Fra le storie raccontate - storie di valigie di cartone, di lavoro sottopagato, di lingue sconosciute, di mariti, di figli, di sordi funzionari dei consolati - aleggia quel certo interesse che qualche milione di voti degli italiani all'estero desta nelle forze politiche, soprattutto se passeranno le riforme che daranno loro la possibilità di votare dai paesi ospiti - oggi, per farlo, devono risiedere in Italia e tornarci per il voto -.
Quindi la commissione Pari opportunità ha lanciato la proposta di una rete stabile di relazioni fra le donne delle comunità italiane e la presidenza del Consiglio, chiamandola networking, per assicurare che è una cosa seria. Come dire: non perdiamoci di vista. Lunedì scorso, il giorno prima dell'apertura dei lavori del seminario anche il Pds ha organizzato un "suo" forum degli emigrati e delle emigrate. Rai international, le Acli, l'Inca-Cgil (il patronato degli italiani all'estero), le agenzie di informazione per gli italiani all'estero hanno ricoperto le convegniste di dépliant, carte e cartelline.
Ma, come succede quando ci sono le donne di mezzo, i racconti hanno travolto gli interventi scritti e scompaginato gli ordini del giorno. Succede quando la presidente delle Madri di Plaza de Majo, Angela Paolin Boitano, prende il microfono e chiede attraverso le donne italiane all'Italia di costituirsi parte civile nel processo che si aprirà contro sette militari per otto desaparecidos. Succede quando parla Eugenia Sacerdote Lustig, 87 anni microbiologa, scappata dallItalia in Argentina durante le leggi razziali e vent'anni dopo quasi lapidata dai peronisti. Succede quando le emigrate in America raccontano storie più intime, di uomini che emigrano, chiamano a se le mogli, poi le abbandonano con un grappolo di figli e se ne tornano in Italia. Donne che si trovano sole, dall'altra parte del mondo, senza lavoro, senza tutele sociali.
Non che le donne non lavorino all'estero. Ma, come in Italia, hanno problemi di formazione professionale, portano sulle spalle il peso di tutta la famiglia e finiscono per accettare, assai più spesso degli uomini, lavoro nero e sottopagato. Così si presentano all'esame della globalizzazione: indovina come va a finire. Adelina Miranda, sociologa in Francia, si ribella all'immagine delle donne solo vittime: pensa alle figlie delle immigrate, la seconda generazione, quella a cui lei fa corsi di formazione, «sono integrate, intraprendenti, una ricchezza per l'Italia, un patrimonio da investire». Palma sorride: è vero, sue figlie sono così. Lei invece è arrivata in Svizzera cinquantanni fa, e racconta la storia sua e delle sue amiche: licenziate a cinquant'anni, troppo vecchie per tornare sul mercato del lavoro, desiderose di tornare in Italia, con il miraggio di poter prendere almeno la pensione d'anzianità. «E qui si scopre che qualcuno, questa pensione, la vuole abolire».
Jociara Lima de Oliveira, brasiliana in Italia, parla invece dei curdi che sbarcano in Puglia: che le emigrate italiane, dice, insegnino ad accogliere le immigrate (e gli immigrati) in Italia.
Il governo Prodi oggi, alle italiane e agli italiani all'estero, offre un più agevole diritto di voto. Loro chiedono assistenza, informazione, e strumenti per l'integrazione. Denunciano, soprattutto le emigrate di prima generazione, oggi donne anziane, di trovarsi spessa in condizioni di difficoltà, quando non di indigenza. Sono le stesse donne che il ministro degli esteri Lamberto Dini investe del compito di essere le nuove "ambasciatrici italiane"?
Le Madri di Plaza de Majo
«Desaparecidos, ora chiediamo all'Italia di costruirsi parte civile».
Il 4 un sit-in a Roma
Quando Angela Paolin Boitano prende la parola, il ministero degli Esteri, dove si svolge il convegno delle immigrate, tace di colpo. La ministra Anna Finocchiaro le punta gli occhi addosso, il sottosegretario Piero Fassino e la presidente della commissione Pari opportunità si alzano ad abbracciare questa anziana signora che racconta, che non si è mai stancata di raccontare la storia dei tanti desaparecidos vittime dei colpi dei militari argentini. Le Madri di Plaza de Majo sono in questi giorni in Italia, hanno ottenuto una serie di incontri anche ufficiali. Sono andate alla Camera, a parlare con il Comitato dei diritti umani della commissione Esteri, sono andate dal papa, dalla signora Prodi, dalle comunità religiose, dai partiti politici, da magistrati e avvocati. Chiedono che nel processo che si celebrerà finalmente, a febbraio a Roma contro sette militari argentini accusati del sequestro e omicidio di 8 italiani o italo-argentini, l'Italia si costituisca parte civile. Per questo all'ambasciata argentina di Roma (a piazza dellEsquilino) alle 17 e 30 del 4 dicembre ci sarà un sit-in.