UN ESEMPIO DA IMITARE: L’ESPERIENZA MATTEI

Nico Perrone

Liberazione 17 giugno 1997

L’effetto Jospin si è manifestato subito, anche in Italia, ma solo nelle grandi questioni teoriche. Dini e Ciampi cominciano infatti a respingere quell’impostazione statistico-ragionieristica dell’Europa che finora li aveva trovati entusiasti, e anche loro tentano timidamente di accennare ai problemi dell’occupazione. Meglio di niente, certo.

Ma nessuno s’è accorto ancora che la base forte del nuovo corso di Jospin è il rifiuto di continuare nella svendita del patrimonio industriale dello stato, ritenuto essenziale per ragioni strategiche, finanziarie, occupazionali, di sicurezza e persino di decoro nazionale. La privatizzazione della France Télécom, e con essa quella di altre aziende strategiche controllate dallo stato, è stata immediatamente fermata.

Da noi, invece, nelle intenzioni del governo, il programma di svendita del patrimonio industriale dello stato va avanti, anzi lo si accelera, e da qualche parte già si parla di tranches ulteriori di azioni dell’ENI da collocare sul mercato, anche al di sotto di quel 51 per cento del capitale da conservare nelle mani dello stato, che finora sembrava un punto irrinunciabile di resistenza. Oltre che della cessione di decisivi pacchetti della STET, dell’ENEL, e delle aziende dell’IRI: Alitalia, Autostrade, Aeroporti di Roma, Finmare, Fincantieri, Fintecna, RAI, Banca di Roma, eccetera.

In questo quadro, la designazione di Gian Maria Gros-Pietro per la presidenza dell’IRI non rappresenta un elemento di tranquillità per gli interessi della comunità. Gros-Pietro è un punto di riferimento scientifico-professionale della grande industria privata, ma è anche un referente di quel Mario Draghi, direttore generale del tesoro, che per primo aveva negoziato, con la finanza straniera, la svendita di parti essenziali dell’industria di stato italiana. Dunque, al di là delle decisioni del governo, in queste nuove mani sarà la gestione stessa dell’IRI, nel suo quotidiano, a consolidare l’avvicendamento del capitale privato nelle parti più redditizie del patrimonio industriale dello stato.

D’altronde, a Gros-Pietro viene dato un incarico di liquidatore, in tutto consono al lavoro ch’egli dal 1994 ha svolto, al fianco di Draghi; ma soprattutto in linea con la concezione, ch’egli ha manifestato, di cessione ai privati delle "realtà importanti che ancora l’IRI possiede". In tre anni egli dovrà dunque concludere la privatizzazione del residuo patrimonio industriale della finanziaria di stato. Anche Enrico Mattei fu messo a capo dell’AGIP con il compito - anche allora sollecitato dalla finanza americana e inglese - di liquidare l’industria petrolifera di stato. Ma Mattei ebbe la statura per capovolgere il suo mandato e creare, con la grande holding petrolifera di stato, la premessa essenziale per l’ascesa dell’Italia a potenza economica di rilievo mondiale.

Oggi, sia detto con tutto il rispetto, le stature non sembrano più le stesse. Ma, soprattutto, l’asservimento di vitali decisioni politiche a interessi stranieri è più forte che dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale. Perciò non sarà facile sostenere l’argine, almeno rispetto alle privatizzazioni considerate strategiche. Rifondazione Comunista ha tuttavia assunto questo impegno con gli elettori e vuole mantenerlo.

Resterà invece tutto intero il problema dell’IRI e della sua funzione, perché questa holding di stato, anche se dovesse essere svuotata di parti essenziali, non potrà essere liquidata nella sua interezza. La nuova funzione dell’IRI dovrà essere essere rivolta principalmente verso il Mezzogiorno, a difesa dello sviluppo, dell’occupazione, degli investimenti, dell’innovazione tecnologica: che sono i compiti del moderno stato industriale, quelli stessi ai quali fa apertamente riferimento Jospin. Se Gros-Pietro vorrà raccogliere - come gli auguriamo - questa nuova sfida, potremo forse ricordarlo accanto a Mattei.