Caro D'Alema.... Paolo Ferrero |
Liberazione 21 0ttobre 1997
Nei giorni scorsi D'Alema ha affermato che "Nel mondo non ci sono due sinistre; ci sono state nel corso di questo secolo, ma oggi, dopo il crollo del muro di Berlino, c'è un processo di ricomposizione della sinistra oltre i suoi confini tradizionali".
Lo schema di ragionamento è abbastanza semplice: prima della rivoluzione d'ottobre esisteva una sinistra sola, quella socialdemocratica, poi la sinistra è stata divisa per la presenza del movimento comunista. Adesso che il comunismo è morto, questa anomalia è scomparsa e finalmente la sinistra può tornare ad essere unita. Se questa fosse una considerazione di tipo culturale potremo dilungarci a polemizzare con DAlema sul fatto che non è vero che il comunismo è morto, sul fatto che la sua non è nemmeno una sinistra socialdemocratica ma è una sinistra liberale del tutto subalterna ai processi di modernizzazione capitalistica, ecc. Potremmo cioè spiegare le mille ragioni che ci hanno portato a dire che le differenze tra noi e il Pds non sono di ordine quantitativo (come erano tra massimalisti e minimalisti), ma di ordine qualitativo: il Pds vuole guidare i processi di ristrutturazione capitalistica, noi vogliamo svilupparne le contraddizioni per costruire una alternativa sociale e politica. Per il Pds al centro vi è la questione del governo, per noi i soggetti sociali. A D'Alema piace Karl Schmidt, a noi Karl Marx.
Alla luce della recente crisi di governo non credo però che quella del segretario del Pds sia una considerazione culturale: si tratta di un progetto politico. D'Alema ci dice: visto che una sinistra anticapitalista oggi non ha ragioni di esistenza, Rifondazione comunista non ha ragione di esistere, per questo deve scomparire.
Questa questione è stata posta in modo nelle settimane scorse: La chiara volontà della maggioranza di non aprire un tavolo di discussione con Rifondazione, la negazione fino all'ultimo di un vero compromesso ha un solo significato: mettere Rifondazione comunista nelle condizioni di accettare a scatola chiusa quanto deciso dellUlivo, oppure rompere tutto. L'alternativa che ci è stata posta è stata quella di perdere lautonomia politica del partito, diventando nei fatti "comunisti unitari", oppure - per affermarla - di far saltare il governo. Non è un caso che il compromesso sia stato possibile unicamente grazie ad un fattore esterno, alla scelta del governo francese sulla riduzione dorario. La tenaglia attorno a noi non si è allentata per un ripensamento delle forze di maggioranza dellUlivo, ma grazie ad un avvenimento esterno che, muovendo nella nostra direzione, ha reso possibile il compromesso.
La frase di DAlema sullunicità della sinistra diventa allora chiara nella sua valenza politica: la sinistra legittimata ad esistere è una sola - la sua - e il tentativo di stritolamento dei comunisti, proseguirà nel futuro. Hanno provato a cancellare lautonomia politica dei comunisti con la Bolognina, ci hanno ritentato nella vicenda del governo Dini, ci hanno riprovato oggi e ci riproveranno domani. DAlema ci dice che quello raggiunto non è un accordo in cui sviluppare un dialogo tra le sinistre ma è una tregua armata: o noi firmiamo la resa e in cambio dell'autonomia organizzativa accettiamo di perdere l'autonomia politica del partito oppure prima o poi verrà rimessa in discussione la nostra esistenza.
La vicenda della crisi appena conclusa e le affermazioni di DAlema ci dicono quindi che la fase della desistenza è finita. Noi abbiamo fatto la desistenza dentro unipotesi di concorrenza non distruttiva tra le due sinistre. D'Alema ci dice che questa non è la sua prospettiva. Si tratta di un fatto politico a cui è necessario rispondere evitando due errori apparentemente opposti ma in realtà complementari: larroccamento settario o la deriva politicista e governista. E necessario dispiegare completamente la linea congressuale basata sul binomio radicalità e unità, passando dalle parole ai fatti.
Non si tratta di fare proclami ma di costruire le basi materiali su cui reggere la nostra autonomia politica. Vi è un problema di radicamento sociale del partito e di ridefinizione di una nostra politica verso le organizzazioni di massa. Vi è la necessità di una battaglia politico culturale per affermare, popolo della sinistra, la legittimità la necessità di una sinistra anticapitalista pienamente autonoma. Vi è lurgenza di sedimentare un dialogo più fitto con il variegato universo della sinistra antagonista che il 25 ottobre avremo con noi in piazza.