AL SECONDO POSTO NEL MONDO PER GLI INFORTUNI MORTALI Fulvio Aurora |
Liberazione 2 dicembre 1997
Il continuo verificarsi di infortuni sul lavoro ci richiede intervenire ad ogni occasione per denunciare gli eventi, per discutere del problema e proporre soluzioni. La Commissione di Indagine parlamentare sulla sicurezza e l'igiene del lavoro, presieduta dal senatore Carlo Smuraglia ha concluso i suoi lavori. Il documento di sintesi che ne è uscito è stato presentato venerdì scorso 29 novembre alla Università Statale di Milano dallo stesso senatore.
Gli infortuni sono tanti, più di 850mila ogni anno. Sono pure sotto stimati. L'Italia è al quinto posto nella classifica fra i paesi industrializzati per indice di frequenza degli infortuni (rapporto fra numero di infortuni e ore lavorate) ed è al secondo posto, preceduti solo dalla Germania, per gli infortuni mortali). Rischi vecchi si sommano a rischi nuovi. Alle malattie professionali riconosciute si aggiungono nuove malattie da lavoro poco indagate e non riconosciute. Soprattutto restano in ombra i tumori professionali che difficilmente vengono fatti risalire alle cause lavorative che li hanno prodotti. Gli interventi sul piano della prevenzione sono diversi, secondo le aree territoriali, complessivamente insufficienti.
Quel che è più grave è la coscienza comune, insita nel sistema economico capitalista, che considera infortuni e malattie professionali un dato inevitabile, legato al progresso o semplicemente al lavoro. Non si considera o si sottovaluta che si tratta di eventi voluti, dovuti alla mancanza di sicurezze, alla disapplicazione di leggi, alla leggerezza, ai ritmi di lavoro ed altro. Gli infortuni vengono chiamati "inciderti" "tragedie", mai crimini; responsabile è il destino, non l'azienda, non il costruttore di macchine, non l'organizzazione del lavoro.
Il senatore Smuraglia e la commissione di indagine hanno posto molto l'accento sulle leggi, su quelle di antica memoria (Dpr303/56 e Dpr547/55) ancora in parte in vigore e su quelle nuove, in particolare sul famoso decreto legislativo 626 del 1994. Se è vero che si deve abbandonare la continua richiesta di proroghe da parte delle aziende è da discutere la necessità di proporre interventi di incentivazione come sgravi fiscali e contributivi o di allargare anche ai vecchi macchinari nei luoghi di lavoro le stesse provvidenze per le auto.
Certamente si deve fare ogni sforzo per operare in ordine alla applicazione delle legge, ma ci permettiamo di dissentire, per un problema; sulla necessità di incentivare le aziende a fare investimenti sulla sicurezza. Ci chiediamo infatti come mai non si intervenga in modo massiccio nei luoghi di lavoro quando sono noti anche i costi della mancata prevenzione. Si tratta di una cifra vicina ai 55mila miliardi di annui. Non si deve dimenticare però che è l'intera collettività che ne sopporta lonere non è il padrone o il datore di lavoro che ci rimette. Questi solamente si assicura attraverso l'istituto assicurativo, l'Inail, che 50 anni fa forse era un progresso, ma che oggi risulta essere superato e di copertura alle responsabilità.
Il senatore Smuraglia ha anche annunciato una proposta di legge di unificazione di tutta la normativa sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, qualcosa che era già previsto dalla legge di Riforma Sanitaria del 1978 e che mai è stato attuato. Assolutamente necessario ed opportuno, occorre però entrare nel merito, è necessario ancora una volta richiamarsi ai lavoratori ed in qualche modo farli partecipare alla sua costruzione. Un'occasione vogliamo per modificare la filosofia della legge 626 che, non dimentichiamo, è l'attuazione di una serie di direttive comunitarie, che affida al datore di lavoro la rilevazione dei rischi e la loro rimozione, che ritiene che tutti i soggetti dal produttore al consumatore siano interessati allo stesso modo a rimuovere le cause che possono determinare il verificarsi di infortuni e malattie professionali.
La strage (non la tragedia) del Galeazzi ha reso evidente che vi sono responsabilità precise, che quando esiste un clima, quello della privatizzazione della sanità come in Lombardia, quando soprattutto si opera in funzione del profitto ci si fa della salute una merce, è inevitabile il moltiplicarsi di eventi delittuosi come questi.
Si deve continuare a battersi non solo per l'applicazione delle leggi esistenti e per il coordinamento degli strumenti e delle strutture di intervento oltre che per il loro finanziamento, ma finalmente per la ripresa della coscienza di classe sui temi della salute e della sicurezza sul lavoro. Perché i lavoratori vecchi e nuovi sentano tutto questo come un loro problema e non deleghino a qualcun altro, tanto meno al padrone, la difesa della loro condizione.