I pentiti del Truglio

Si chiamava così lo sconto di pena per i delatori nel regno borbonico delle Due Sicilie

Nico Perrone

Liberazione 14 marzo 1997

"Truglio" è parola oggi sconosciuta, ma ci sarebbe qualche motivo per riprenderne l’uso. In Orazio si trova "trutina", che sta a significare il foro per il gancio che tiene in equilibrio la bilancia: quindi starebbe per "giudizio"; "Trullus" si chiamò invece il tempio di Baia dedicato a Mercurio, dio di ogni commercio. Secondo alcuni questa parola, nota anche a Dante, è invece d’origine araba e ha una connotazione spregiativa. Il Nuovo Zingarelli la fa risalire "intruglio", "nel senso d’imbroglio, inganno". Modernamente la si è usata nel regno borbonico, per indicare "in qualunque stato del processo", la "transazione tra l’accusator pubblico e il reo". Il "truglio", o "giudizio in concordia" lo si usava per i "misfatti minori": consisteva in un mercato fra il magistrato e l’accusato, secondo il quale quest’ultimo, in cambio di una delazione, otteneva una forte riduzione di pena.

Il "truglio" venne utilizzato anche nei confronti degli accusati nei processi politici, ai quali si chiedeva spesso di accusare i correi che avessero responsabilità organizzative. Era avvenuto così, per esempio, nel processo istruito dalla Giunta di Stato, istituita il 26 marzo 1794 per giudicare i delitti di lesa maestà, dinanzi alla quale furono tradotti gli affiliati alla "Società degli amici della libertà". Cinquantatré furono i condannati, di cui tre a morte (Emmanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani), sulla base di un "truglio" (rifiutato con sdegno dal De Deo), che aveva coinvolto ventisette imputati, ai quali venne salvata la vita. Vincenzo Cuoco scrisse che la regina di Napoli, Maria Carolina, era arrivata ad affermare pubblicamente che "sarebbe un giorno giunta a distruggere quell’antico pregiudizio, per cui si reputava infame il mestiere di delatore". Ci riuscirà invece, due secoli dopo, la nostra repubblica.

Mediante il "truglio" le pene venivano ridotte, cancellate o commutate in servizio militare, a seconda del rilievo che la delazione assumeva nello sviluppo delle indagini. Un "truglio" venne istituito dalla "prammatica" dell’8 dicembre 1805, mentre con decreto del 22 aprile 1806 furono create quattro "commessioni giudiziali straordinarie" (con poteri limitati al successivo settembre) per giudicare sommariamente tutti i carcerati, purché non fossero accusati di reati "capitali"; un altro "truglio" venne consentito nel 1809. Il "truglio" eliminava il processo pubblico e affidava alla "convinzione intima della coscienza dei giudici" la soluzione del caso (è notevole questo precedente di fondare il giudizio sulla "convinzione intima" del giudice). Gli imputati avevano tuttavia facoltà di rinunziare al "truglio".

Accanto al truglio si sviluppò l’"informo", che consisteva in una discussione fra l’avvocato e il giudice, in casa di quest’ultimo: era spesso l’avvio del "truglio", che sarebbe stato formalizzato successivamente in sede processuale. Tutta questa materia era generalmente affidata alla prassi, ma quando è stata menzionata in circolari o decreti ha avuto soltanto cenni generici e poco comprensibili. Il potere si serviva di questi strumenti, ma sostanzialmente se ne vergognava e cercava di lasciarne scarsa traccia. Oggi perciò se ne trova memoria non in atti formali del regno borbonico (neppure nelle sentenze), ma in vecchi testi di dottrina, dai quali ho tratto le citazioni.

L’uso del "truglio" era quindi generalmente limitato ai reati minori o a quelli politici - per la cui repressione le regole venivano rese molto elastiche ("ad modum belli", secondo Cuoco) - ma, quando venne accolto in norme formali, il suo impiego fu molto limitato e per lo più giustificato da particolari emergenze giudiziarie. Il "truglio" non lasciava tracce scritte del mercato intercorso, perché avveniva fuori del dibattimento, anzi fermava il processo nei confronti del "delatore": il quale veniva indicato proprio con questo termine nei trattati di procedura, mentre "infame" era solo chi, di condizione mendicante o prostituta, esercitava sistematicamente la delazione.

Il delatore veniva disprezzato dal sistema, dai correi e dalla gente, e non riceveva né stipendi in denaro, né generose capitalizzazioni. A sottolineare l’eccezionalità del "truglio", esso poteva essere applicato a reati commessi soltanto qualche mese prima o dopo il provvedimento: Leonardo Marino - l’accusatore di Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani -, ammesso che quello che gli hanno fatto raccontare avesse fondamento, non avrebbe mai potuto beneficiarne.

"Truglio" e "informo" erano quindi considerati come degenerazioni di fatto del sistema giudiziario borbonico, e per questo furono oggetto di forti attacchi nel corso delle discussioni politiche avvenute nel parlamento del 1848. Volevo trovare qualche precedente storico dei "pentiti", dei "collaboranti di giustizia", della legislazione premiale, la cui funzione si è codificata in Italia e largamente si utilizza per motivi di repressione politica e criminale: si è incominciato a usare questi strumenti nell’"emergenza" contro il terrorismo - invocando sostanzialmente la ragion di stato - e ora se ne vuole ribadire l’istituzionalizazione attraverso una nuova legge. Ho cercato da varie parti, ma la risposta è venuta soltanto dalla prassi e da qualche provvedimento temporaneo - nemmeno dalle leggi di procedura penale – del Regno di Napoli.