La sfida riformatrice del Prc

«C’è un eccesso di delega anche nei nostri confronti»

Andrea Fabozzi

Liberazione 9 dicembre 1997

Le lotte sociali, il governo, il partito e il movimento di massa che ancora non c’è. Sulla via Emilia, tra Modena e Bologna, alla festa di Liberazione. Anche d'inverno, quando dietro la porta di casa aspetta solo il freddo, la notte arriva presto e insieme a lei la nebbia. Un casolare nella campagna, tutt'intorno un laghetto, dentro migliaia di compagni e la cucina emiliana per un lunedì di festa laica. Con loro Fausto Bertinotti a parlare di questa nuova fase politica e del 1998, che «sarà un anno decisivo».

E' come una porta che si è aperte, ma solo un po’. «Abbiamo passato un momento difficile - spiega Bertinotti a proposito della crisi e della successiva intesa col governo - ma siamo riusciti ad aprire una prospettiva. Adesso si tratta di sapere se forziamo e passiamo, o se ci chiudono la porta in faccia».

Il solo confronto con il governo, che pure ha dato importanti risultati, non basta più. Bertinotti parte da qui per dimostrare la necessità di un movimento di massa che sostenga l'azione riformatrice del partito. Per buttare giù quella porta servono le lotte, le lotte che ora non ci sono. «C'è una debolezza nel movimento, e c'è un eccesso di delega, anche nei nostri confronti. Non va bene così, così non regge. Funziona solo per un certo periodo, poi non più. Poi la delega finisce male anche in politica e può indirizzarsi verso altre forme»: Bertinotti cita le ultime elezioni amministrative, dove il voto di delega ha giocato un grande ruolo, e dove l'astensionismo dimostra la rassegnazione di settori sempre più vasti della popolazione. Per questo il suo intervento punta molto sull'importanza della partecipazione, e sul peso rilevante che il movimento e le lotte sociali devono assumere. E' una sfida innanzitutto per il partito della Rifondazione comunista.

Cita l'arcivescovo di Milano, Bertinotti. Ricorda l'impianto dell'omelia che il cardinale Martini ha tenuto per la festa di Sant'Ambrogio. Due punti: in questo paese non si sente più la rabbia, il furore dei poveri, e c'è invece una spinta forte all’omologazione, i progressisti tendono ad essere troppo simili ai conservatori. Parole che il segretario di un partito comunista oggi trova «giuste».

«Noi lavoriamo - spiega - perché si torni a sentire la rabbia dei poveri. E siamo fuori da questa tendenza all'omologazione. Anzi, facciamo un lavoro doppio: lavoriamo perché anche la sinistra moderata reagisca di fronte alla spinta verso il moderatismo».

Nella scelta di Antonio Di Pietro di costituire un proprio gruppo parlamentare Bertinotti vede un «rischio di appesantimento nella maggioranza. Certo non temiamo la concorrenza perché stanno su un altro lato - aggiunge - ma bisognerà vedere che conformazione prende. Indubbiamente c'è il rischio che questo protagonismo sul centro costituisca un appesantimento nella maggioranza, rispetto invece ad una scelta su una politica riformatrice che dovrebbe essere assunta. Naturalmente ognuno è libero di organizzarsi come crede - ribadisce - tuttavia una maggioranza come quella di centro sinistra credo che di tutto abbia bisogno meno che di un rafforzamento della sua componente moderata».

E Bertinotti riflette anche sul peso crescente del governo, in questo paese. A tutti i livelli: governo centrale, governo locale, governo dell’informazione. Un peso che rischia di diventare «soverchiante». «Molti aneliti di riforma vengono schiacciati - dice - i poteri che governano sono sempre più separati dalla società. Quello che conta è governare, e può succedere anche che a chi prova a dirsi contrario venga risposto con la polizia. Anche con un governo di centrosinistra»: Bertinotti pensa allo sgombero violento del liceo Mamiani, e confessa di essersi «vergognato di far parte di questa maggioranza», in quel triste pomeriggio romano. Ma, spiega, «la vergogna e l’indignazione sono condizioni necessarie per cambiare questo stato di cose».

Il freddo se ne va col Lambrusco ma anche battendo forte le mani. Il discorso di Bertinotti scalda una platea multiforme, uomini e donne venuti da tutta l’Emilia Romagna per ascoltarlo. «Combattere in alto e in basso, costruire le iniziative di movimento. Altrimenti rischiamo che le forze moderate prendano il sopravvento in questa maggioranza». Le parole del segretario toccano ognuno. «Dobbiamo farlo noi -dice -, perché se in altri momenti della storia del paese i comunisti hanno affidato al sindacato una parte importante della lotta, questo oggi non si può fare. Oggi il sindacato non è in grado o non vuole rappresentare fino in fondo gli interessi delle masse popolari». Piuttosto sempre più spesso si occupa di polemizzare direttamente con Rifondazione.

Bertinotti un po' ci scherza, un po' cede all'amarezza: «Ci sono tante ragioni per arrabbiarsi giustamente - è la replica a un D'Antoni innervosito - la disoccupazione, il sottosalario, lo sfruttamento...». Poi spiega: «Sulle 35 ore noi non vogliamo togliere qualcosa alla contrattazione, piuttosto aggiungere qualcosa, la legge. Negli ultimi anni, senza la legge, l'orario di lavoro è aumentato piuttosto che diminuire. La riduzione dell'orario di lavoro è un obiettivo storico delle lotte operaie, noi vogliamo raggiungerlo con la legge e con i contratti. Perché oggi, di fronte al livello raggiunto dalla disoccupazione, è la vera riforma di struttura».

Ecco la sfida, che comincia qui e ora, fa tappa in un casolare sulla via Emilia, ma ha confini ampi. «In Europa è aperto lo stesso conflitto che c’è nel nostro centrosinistra. o si risolve alla Blair, alla Gonzalez: si sta con i moderati e, qui da noi, si sposta al centro l’asse politico della coalizione. O si fa come la Francia e, in Italia, la sinistra moderata sceglie di dare attuazione all’intesa con Rifondazione per portare avanti una politica di vere riforme». In altre parole «o si apre una fase riformatrice, o noi non ci saremo».